La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11504/2017 del 10/05/2017, ha rivoluzionato il diritto di famiglia per ciò che attiene al riconoscimento dell’assegno di divorzio e dei criteri per la sua quantificazione.
Dopo circa trenta anni di costante giurisprudenza in materia, la Suprema Corte ha modificato il criterio per determinare l’assegno al coniuge economicamente più debole, ritenendo che non sia più possibile adottare come parametro il tenore di vita dei coniugi goduto in costanza di matrimonio. Il diritto all’assegno di divorzio è riconosciuto, dalla Legge n. 898/1970, al coniuge economicamente più debole, in situazioni di inadeguatezza dei mezzi economici ovvero di difficoltà oggettiva di procurarseli.
Con la sentenza n. 2546 del 5 febbraio 2014, divenuta pietra miliare di ogni statuizione in tema di assegno divorzile, la Corte di Cassazione stessa aveva previsto una doppia fase per l’accertamento del diritto all’assegno di divorzio: iniziale verifica dell’esistenza, in astratto, del diritto all’assegno, con riferimento all’inadeguatezza o all’impossibilità di procurarsi i mezzi economici, ponendoli in raffronto con il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio; successiva determinazione, in concreto, dell’assegno. Pertanto, secondo costante giurisprudenza, l’unico parametro fino ad ora da adottare è stato il tenore di vita, analogo a quello avuto durante il matrimonio. Da oggi il giudice, per stabilire l’assegno di divorzio, dovrà invece informarsi al nuovo parametro della “indipendenza o autosufficienza economica”. Per la Suprema Corte, infatti, “con la sentenza di divorzio il rapporto matrimoniale si estingue non solo sul piano personale, ma anche economico-patrimoniale, sicché ogni riferimento a tale rapporto finisce illegittimamente con il ripristinarlo, sia pure limitatamente alla dimensione economica del tenore di vita matrimoniale, in una indebita prospettiva di ultrattività del vincolo matrimoniale”. In sostanza, attualmente va individuato un parametro diverso, ovvero il raggiungimento dell’indipendenza economica di chi ha richiesto l’assegno divorzile: se è accertato che è economicamente indipendente o effettivamente in grado di esserlo, tale diritto non deve essergli riconosciuto. Secondo quanto statuito dalla Corte di Cassazione, esistono quattro indici di prova utili per comprendere se l’ex avrà diritto o meno all’assegno di divorzio; per determinare, cioè, se sia autosufficiente o meno. La prima prova da fornire è il possesso di redditi di qualsiasi specie; occorre poi verificare l’eventuale possesso di cespiti patrimoniali mobiliari e/o immobiliari; il terzo indice di prova riguarda le capacità e le effettive possibilità di lavoropersonali dell’ex, tenendo conto dell’età, della salute, del sesso, del mercato del lavoro; l’ultimo indice di prova dell’autosufficienza è rappresentato dalla stabile disponibilità di una casa di abitazione. L’onere della prova circa la mancanza degli adeguati mezzi o dei motivi oggettivi per poterseli procurare, graverà sulla parte richiedente l’assegno, che dovrà dimostrarlo con “tempestive, rituali e pertinenti” allegazioni e deduzioni. Va precisato, in ogni caso, che tutto quanto finora detto vale unicamente con riferimento all’ex coniuge ed all’assegno divorzile: ai figli, invece, i genitori dovranno continuare ad assicurare il tenore di vita goduto in costanza di convivenza, anche dopo il divorzio. Nel caso in cui l’ex che richiede l’assegno divorzile conviva con i figli, il giudice sarà chiamato a trovare un punto di equilibrio tra le due diverse modalità di determinazione del trattamento economico. Un importantissimo chiarimento, che completa la riforma “iniziata” lo scorso 10 maggio, è arrivato in questi giorni dal Tribunale Civile di Milano, il quale, con ordinanza del 22/05/2017, ha statuito che non avrà più diritto a percepire il mantenimento l’ex coniuge che guadagna all’incirca mille euro al mese. Tale parametro corrisponde alla soglia prevista dalla legge per ottenere il patrocinio a spese dello Stato, ovvero l’istituto giuridico previsto nell’ordinamento italiano, che garantisce alle persone non abbienti, qualora abbiano necessità di essere rappresentate in giudizio, la possibilità di richiedere la nomina di un avvocato e la sua assistenza a spese dello Stato. Non avendo la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11504 del 10/05/2017, chiarito quando il reddito percepito dal coniuge possa dirsi sufficiente a consentirgli di mantenersi da solo (autosufficienza economica), il Tribunale di Milano ha indicato come riferimento un criterio numerico, certo e valido per tutta l’Italia: quello del “gratuito patrocinio”. Pertanto, secondo tale giurisprudenza, chi avrà un reddito personale al di sopra di tale “tetto” non avrà, da oggi, più diritto all’assegno di divorzio; nemmeno se l’ex coniuge è molto più ricco. Proprio in questo sta la novità della riforma: il mantenimento, non avendo più la funzione di garantire lo stesso tenore di vita che la coppia aveva durante il matrimonio, né quella di colmare le diversità fra i redditi degli ex coniugi, è svincolato dalle capacità reddituali. Inoltre, per salvaguardare la possibilità di adeguare tale “tetto” alle circostanze concrete (mille euro mensili possono rappresentare una somma sufficiente in alcune zone d’Italia, ma irrisoria nei grossi centri con alta inflazione), oltre al limite del “gratuito patrocinio” si può anche tenere conto del “reddito medio percepito nella zona in cui il richiedente vive ed abita”.
Scritto da Manuela Rapino - Pubblicato sul numero 6 del 2017 nel "Il Corace"