C’è stato un tempo in cui
dall’Africa erano i bianchi a scappare: nella seconda metà del
‘900, in seguito alla decolonizzazione, furono gli europei a
tornare nei loro Paesi di origine e non sempre furono bene accolti.
Si diceva “ritornano” in Europa, anche se parecchi di loro erano
nati o discendevano da nati in Africa, non si poteva parlare proprio
di ritorno.
La loro storia infatti nasceva con la colonizzazione, la
loro partenza avvenne con la decolonizzazione. Fu il caso dei
“rimpatriati” dalle colonie portoghesi: Angola, Mozambico, Capo
Verde. Nelle colonie viveva almeno mezzo milione di portoghesi, che
aveva lasciato la patria in cerca di lavoro e spesso di una vita
agiata.
Ma con l’indipendenza di questi territori quel mezzo
milione di portoghesi, tra il 1974 e il 1975, dovette abbandonare
case e lavoro e tornare in Portogallo, una patria che molti non
conoscevano e l’impatto per i rimpatriati fu doloroso, erano
tornati nel Paese povero da cui, tempo prima, molti erano partiti.
Molto vasto fu anche l’esodo dei francesi dall’Algeria nel 1962:
circa un milione, il 10% della popolazione. La partenza si svolse in
modo caotico e in un clima di tensione in pochi mesi. I rimpatriati
non furono ben accolti in Francia, dove non ci si aspettava un simile
esodo. Si sentivano algerini, discendenti da famiglie che ormai da
tanto tempo erano in quel Paese.
In Francia li chiamarono “pieds
noirs”, piedi neri. Uno di loro, lo scrittore Albert Camus, morto
nel 1960, ha descritto efficacemente questo mondo.
Lo storico
francese Stora racconta così la partenza della sua famiglia: “Mia
madre aveva pulito l’appartamento da cima a fondo come quando
partivamo per qualche giorno di vacanza. I miei genitori hanno a
lungo conservato le chiavi del loro appartamento, come fosse
impossibile accettare la partenza…”.
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