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mercoledì 3 novembre 2021

L'AVVOCATO RISPONDE: TASSE ACQUISTO IMMOBILI

 Egregio Avvocato,

è vero che i giovani con meno di 36 anni possono acquistare un immobile a uso residenza senza dover pagare tasse e notaio.



Il decreto Legge 73/2021 (cosiddetto Sostegni bis) ha introdotto diverse agevolazioni per l’acquisto della casa per i giovani che hanno meno di 36 anni, dal fondo di garanzia statale per la stipula del mutuo a importanti sconti sulle imposte da pagare all’atto dell’acquisto.

In particolare, è stato introdotto il cosiddetto “bonus prima casa giovani” che permette, ai giovani, di non pagare le imposte sull'acquisto della prima casa.

Il beneficio consiste nella totale esenzione dalle imposte, a differenza dell’ordinario «bonus prima casa» che invece è usufruibile dai contribuenti di tutte le età, qualunque sia la loro condizione economica e reddituale ed implica solo uno sconto sulle tasse da pagare (Iva al 4% o, in alternativa, per le vendite da privato, imposta di registro al 2%).

Si tenga però presente, che tale bonus al momento, si configura come una misura temporanea (salvo proroghe), infatti, si applica solo alle compravendite della “prima casa” e al relativo mutuo per finanziarla stipulati tra il 26 maggio 2021 e il 30 giugno 2022.

L’articolo 64, commi 6-8, dl 73/2021 stabilisce che la compravendita della “prima casa”, ad eccezione di quelle di categoria catastale A/1, A/8 e A/9, e il mutuo per finanziarla sono esenti da imposta di registro e dalle imposte ipotecaria e catastale se stipulati tra il 26 maggio 2021 e il 30 giugno 2022 in favore di soggetti che non hanno ancora compiuto 36 anni nell’anno in cui l’atto è registrato e che il cui Isee non sia superiore a 40mila euro annui. Il bonus vale anche per gli atti che trasferiscono la nuda proprietà, il diritto di usufrutto, uso ed abitazione relativi alla prima casa.

In merito all’Isee, l’Agenzia delle Entrate con la circolare 12/E ha precisato che l’indicatore da considerare è quello calcolato sulla base dei redditi percepiti e del patrimonio posseduto nel secondo anno solare precedente la presentazione della dichiarazione sostitutiva unica (Dsu). Quindi, per gli atti stipulati nel 2021, l’Isee è quello riferito a redditi e patrimonio dell’anno 2019; per gli atti del 2022, l’Isee è quello del 2020. Inoltre, la Dsu non può essere presentata in una data successiva a quella dell’atto notarile in quanto, sempre nella su richiamata circolare 12/E, la stessa Agenzia afferma che il requisito Isee deve riscontrarsi alla data di stipula del contratto e, pertanto, non è possibile per un contribuente ottenere un Isee con validità retroattiva (si pensi, ad esempio, a una richiesta effettuata nel dicembre del 2021 a fronte di un rogito stipulato nell’ottobre 2021). Quindi, dato che l’Isee deve essere in corso di validità alla data del rogito, la presentazione della relativa Dsu deve essere avvenuta in data anteriore (o almeno contestuale) all’atto notarile. Qualora ricorra una situazione di significativa variazione della situazione lavorativa, economica o patrimoniale dei componenti del nucleo familiare rispetto a quanto certificato nella Dsu “ordinaria” è consentito far ricorso all’Isee corrente: si tratta dei casi di sospensione, riduzione o perdita dell’attività lavorativa, di interruzione di trattamenti previdenziali, assistenziali e indennitari, di diminuzione (rispetto all’Isee ordinario) superiore al 25% del reddito familiare complessivo oppure superiore al 20% della situazione patrimoniale.

Tale bonus spetta anche nel caso in cui il contribuente con meno di 36 anni e con Isee inferiore a 40mila euro acquisti l’immobile in comproprietà con un altro soggetto che invece non ha tali requisiti. In tale ipotesi, il bonus spetta solo per metà, ossia in relazione alla quota del contribuente in possesso delle condizioni di legge. L’altra metà della compravendita sconta le imposte ordinarie.

Scritto da Emanuele Vari e Benedetta Palleschi - Pubblicato sul numero 8 del 2021 del "Il Corace"

martedì 5 ottobre 2021

L'AVVOCATO RISPONDE: balcone irregolare

Egregio Avvocato, vorrei sempre se un balcone costruito in violazione delle distanze legali deve essere sempre demolito od è possibile evitare la demolizione?



In linea teorica, quando una costruzione è realizzata in violazione delle distanze legali, previste dalla legge tra due fabbricati, questa va demolita. Eppure, in parecchi casi, la demolizione può essere evitata ove sia possibile eseguire accorgimenti idonei a garantire l’esercizio del diritto di veduta dei vicini, nel rispetto del diritto di aria e luce e soprattutto preservando l’interesse pubblico all’igiene e alla sicurezza. Bisogna in primo luogo tenere presente che le distanze legali previste dal Codice Civile sono quelle minime e generali che si applicano in tutto il territorio nazionale, ma gli strumenti urbanistici locali, come ad esempio i Piani Regolatori Generali (P.R.G.) di ciascun Comune, possono prevedere limiti diversi. Per tale motivo prima di costruire è sempre necessario controllare cosa stabiliscono queste disposizioni, che talvolta sono derogabili se c’è il consenso del proprietario limitrofo a costruire a una distanza inferiore o addirittura in aderenza. In base al Codice civile, le costruzioni sui fondi confinanti, se non sono già unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri, ma i regolamenti locali possono stabilire una distanza maggiore (per questo è sempre bene informarsi presso il proprio Comune sulle prescrizioni vigenti). Perciò, chi costruisce per primo, di fatto, impone all’altro di edificare rispettando la distanza minima dal proprio fabbricato. Per quanto attiene i balconi questi vanno computati ai fini delle distanze fissate dal Codice civile o dalle norme regolamentari. Tenga presente che le regole sulle distanze valgono anche se si costruisce o si amplia una parte di un immobile già esistente, ad esempio realizzando un balcone sporgente dalla facciata esterna e proteso nel vuoto: il cosiddetto balcone aggettante (che si distingue da, interno e senza sporgenze rispetto alla linea della facciata). Nei casi di balcone aggettante, vige l’ulteriore norma per l’apertura delle così dette “vedute dirette”, secondo la quale va rispettata la distanza di un metro e mezzo tra il fondo del vicino e la linea esteriore delle nuove opere realizzate. Il diritto di veduta del vicino, però, cessa se tra le due proprietà è interposta una pubblica via. Quando il è stato acquisito, esiste una regola integrativa in base alla quale il vicino non può fabbricare a distanza minore di tre metri, che deve osservarsi anche dai lati della finestra da cui la veduta si esercita (è la cosiddetta “”, cioè laterale, prevista nel Codice civile). Per capire, quindi, se un balcone va demolito bisogna innanzitutto inquadrare il tipo di violazione realizzata. Sicuramente il rimedio della demolizione è applicabile quando sono state violate le distanze legali minime stabilite dalla legge. In questi casi il giudice può disporre la demolizione del balcone nella parte che eccede i limiti minimi di distanza stabiliti dalla legge o dai regolamenti comunali. In questo modo, la costruzione verrà «ridotta in pristino stato», cioè sarà riportata nella condizione in cui si trovava prima della costruzione, o della ricostruzione, che ha violato le distanze. La demolizione dovrà riguardare però solo le parti eccedenti, cioè quelle che superano indebitamente le soglie di distanza minima, e non l’intero fabbricato: ad esempio, in un palazzo basterà eliminare i balconi sporgenti, senza doverlo abbattere tutto. Inoltre, se è possibile adottare rimedi meno drastici della demolizione, il giudice, su ricorso della parte interessata, può anche stabilire l’arretramento della struttura, per riportarla entro i limiti di distanza legale. Diverso se invece delle distanze legali minime tra costruzioni, è stato violato il diritto di veduta dei proprietari confinanti e limitrofi, in questo caso si potrà evitare la demolizione adottando gli opportuni accorgimenti tecnici per garantire la luce e l’affaccio dei vicini.


Scritto da Emanuele Vari e Benedetta Palleschi - Pubblicato sul numero 7 del 2021 del "Il Corace"

lunedì 29 marzo 2021

L'AVVOCATO RISPONDE

Egregio Avvocato,
vorrei sapere quali obblighi giuridici ho nei confronti di un mio zio, fratello di mia madre deceduta. Chi ne risponde per la sua custodia? La ringrazio. Marta.

Preg.ma Signora,
in linea generale, i nipoti in linea collaterale non hanno obblighi nei confronti degli zii, salvo che non abbiano ricevuto donazioni in vita e, in tal caso, comunque nei limiti della ricevuta donazione. A tal proposito, è necessario fare riferimento al Codice civile, nel quale vengono espressamente indicate le persone obbligate a prestare gli alimenti, tra le quali i fratelli, ma non i discendenti dei fratelli. Secondo quanto previsto dall’art. 433 C.c., sono tenuti all’obbligo di prestare gli alimenti, nell’ordine, 1) il coniuge; 2) i figli legittimi o legittimati o naturali o adottivi, e, in loro mancanza, i discendenti prossimi anche naturali; 3) i genitori e, in loro mancanza, gli ascendenti prossimi, anche naturali; gli adottanti; 4) i generi e le nuore; 5) il suocero e la suocera; 6) i fratelli e le sorelle germani o unilaterali, con precedenza dei germani sugli unilaterali. Pertanto, a carico dei nipoti (figli di fratelli o sorelle) non sorge alcun obbligo giuridico di carattere alimentare nei confronti degli zii, in quanto questi non sono tra i soggetti elencati nell’art. 433 del Codice civile. Soltanto nel caso in cui il nipote abbia beneficiato di donazioni da parte dello zio, lo stesso sarà obbligato al suo mantenimento, così come previsto dall'articolo 443 C.c.: “chi deve somministrare gli alimenti ha la scelta di adempiere questa obbligazione o mediante un assegno alimentare corrisposto in periodi anticipati, o accogliendo e mantenendo nella propria casa colui che vi ha diritto. L'autorità giudiziaria può però, secondo le circostanze, determinare il modo di somministrazione. In caso di urgente necessità l'autorità giudiziaria può altresì porre temporaneamente l'obbligazione degli alimenti a carico di uno solo tra quelli che vi sono obbligati, salvo il regresso verso gli altri”. In tali casi, per obbligo degli alimenti a favore degli zii è da intendere l'obbligo dei nipoti di provvedere alla loro cura, versando un assegno in denaro, in ragione delle quotidiane necessità di vita degli stessi, ovvero ospitandoli e mantenendoli nella propria abitazione. Per l’art. 437 del Codice civile “il donatario è tenuto, con precedenza su ogni altro obbligato, a prestare gli alimenti al donante, a meno che si tratti di donazione fatta in riguardo di un matrimonio o di una donazione rimuneratoria”. Alla luce di quanto detto, quindi, salvo che Lei non abbia ricevuto una donazione da Suo zio, tale da obbligarLa in via prioritaria al suo mantenimento, non sarà tenuta ad alcun obbligo giuridico, se non ad un eventuale e libero impegno morale.

Scritto da Emanuele Vari - Pubblicato sul numero 3 del 2021 del Il Corace

RITORNO AL PIOMBO? – GEE, “POINT BLANK” E MRT

Sulla pagina Facebook di ACR Associazione per la Cultura Rurale si può leggere: “RITORNO AL BUON SENSO - Il parlamento norvegese ha deciso di approvare nuovamente l’utilizzo del piombo nelle munizioni da caccia dopo che l’utilizzo di questo materiale era stato sancito nel 2005. Questa decisione fu presa perché mancavano basi scientifiche sulla sostenibilità ambientale dei materiali utilizzati in alternativa al piombo. Anzi l’utilizzo di altri materiali invece hanno dimostrato che causano sofferenze inutili agli animali e sono più rischiosi per l’uomo, per non parlare del danno che questo divieto causerebbe al comparto economico”. In ambito venatorio la valutazione di materiali in alternativa al piombo rappresenta un’annosa questione ancora aperta. Occorreranno validi studi scientifici, supportati da opportune prove balistiche, per far luce su tale questione. Consultando il manuale “La traiettoria perfetta” dell’Ing. P. N. Sinha, troviamo alcune sigle sicuramente note agli ingegneri esperti di balistica: GEE, “POINT BLANK” E MRT. La sigla “GEE” significa letteralmente “Distanza di regolazione ottimale” (in italiano “DRO”). In pratica rappresenta la distanza alla quale conviene azzerare per poter sparare a distanze sia inferiori sia (ragionevolmente) superiori, senza alcuna correzione. Il “point blank range” (talora abbreviato in PBR) è la massima distanza (previa taratura) alla quale si può tirare al selvatico “di punto in bianco”, cioè senza correzioni. Più precisamente il “point blank range” è la massima distanza entro la quale la traiettoria (previa taratura) sale e scende rispetto alla LM di un certo valore che rappresenta metà della zona vitale del selvatico. L’MRT, sigla che sta per Mid Range Trajectory, indica l’altezza (ovvero Y) della traiettoria sulla LM a metà della distanza considerata. L’MRT ha il vantaggio dell’immediatezza, ma non fornisce dati sulla traiettoria a distanze superiori a quella di azzeramento.

Scritto da Renato Bologna e Emanuele Vari - Pubblicato sul numero 3 del 2021 del Il Corace

sabato 31 ottobre 2020

CACCIA: LEGGI E BALISTICA VENATORIA

Questo mese accenniamo un importante tema relativo alla Balistica: i “residui di sparo”. Lo “stub” è un metodo per rilevare la presenza di nitrati, possibili residui di uso di polvere da sparo, sulle mani o sui vestiti di un sospettato. Si presenta come un grosso stick di colla, che viene passato sulle parti da ispezionare e poi sigillato; è monouso e dopo il rilievo viene inviato al laboratorio per l'analisi. Va precisato che lo “stub”, come a suo tempo il cosiddetto "guanto di paraffina", del quale è solo un pronipote più sofisticato, rileva eventuali tracce di nitrati, ma questo non vuole dire, in senso assoluto, che in caso di positività il sospettato debba aver per forza sparato. La tecnica di uso frequente per la rilevazione dei residui da sparo (Gun Shot Residue) è il metodo “SEM-EDX”, ossia della micro-scopia elettronica abbinata alla microanalisi a dispersione di raggi X. La parte che interessa le problematiche processuali oggetto di questo contributo riguarda la procedura iniziale di prelievo dei residui da sparo a mezzo di uno speciale tampone adesivo detto STUB (o tampone a freddo), costituito da un cilindro chiuso da due tappi (uno per la mano destra e l’altro per la sinistra) sui quali sono inseriti due porta-campione in alluminio ricoperti da uno speciale nastro adesivo. Il prelievo delle particelle si effettua premendo ripetutamente il tampone nelle zone delle mani maggiormente esposte al deposito dei residui da sparo - dette “zone elettive” - quali la superficie dorsale dell’indice e del pollice. L’analisi successiva, tendente a rilevare la presenza dei residui da sparo, comprende l’osservazione al microscopio elettronico a scansione (SEM) e l’analisi con microsonda a raggi X (EDX). Successivamente all’esplosione di un colpo di arma da fuoco si realizza intorno all’arma stessa una nube costituita dai gas di propulsione, accompagnata sia dai residui combusti che non combusti delle cariche di lancio, nonché da altri residui di Bario, Antimonio e Piombo; sostanze comunque altamente volatili che, con ogni probabilità, sono capaci di disperdersi e scomparire già dopo il primo lavaggio, specie se eseguito con sostanze detergenti. Sperimentazioni approfondite hanno invariabilmente dimostrato la generalmente bassissima persistenza temporale sulle mani dei residui di sparo. A questo proposito rimandiamo alla pubblicazione SEM/MPA FIREARMS DISCHARGES RESIDUES - VOL. I, edita nel 1980 dal Metropolitan Police Forensic Science Laboratory di Londra (Scotland Yard), dove a pag. 12 si legge: "FIREARMS DISCHARGES RESIDUES…omissis…", ovvero “RESIDUI DI SPARO DI ARMI DA FUOCO”. I residui di sparo possono essere individuati sui prelievi effettuati sulle mani di chi ha sparato; anche se risulta improbabile che vengano individuati quando i prelievi vengono effettuati dopo due ore dallo sparo, eccettuato nei casi di suicidio. Residui di sparo possono anche essere ritrovati sulle aree frontali del viso e della testa (il numero dei tamponi necessari per saggiare le aree importanti è contenuto nel FDR kit). La quantità di residui depositati varia in funzione del tipo di arma sparata. La ricerca sulle mani viene eseguita solo se il prelievo avviene nella certa immediatezza dello sparo. Nel lavoro di J.S. Wallace - uno dei "padri" riconosciuti di questa tecnica di ricerca e individuazione dei residui di sparo - e di J. McQuillan - Discharge Residues from Cartridgeoperated Industrial Tools in: Journal of Forensic Science Society 1984, si può leggere “Statistiche ottenute dalle indagini svolte mostrano che il 98% di tutti gli indiziati sulle cui mani sono stati trovati residui di sparo erano stati fermati (e sottoposti a prelievo) entro due ore dall'episodio delittuoso. Come conseguenza non sottoponiamo più a ricerca i prelievi che sono stati eseguiti ad oltre due ore dallo sparo".

Scritto da Renato Bologna ed Emanuele Vari - Pubblicato sul numero 7 del 2020 del "Il Corace"

L'AVVOCATO RISPONDE: MULTE COVID

Egregio Avvocato, visto che è entrato in vigore il nuovo provvedimento del Consiglio dei Ministri sul Covid-19, vorrei cortesemente una spiegazione di quali sono le sanzioni applicate in caso di mancato rispetto di tali regole. La ringrazio. Giorgio.

Caro Signor Giorgio, in un primo momento, all’inizio della pandemia, le sanzioni per le violazioni Covid-19 assumevano carattere penale; erano, cioè, applicate per la condanna di reati. Successivamente, nell’ottica di una maggiore incisività della pena inflitta, il Governo ha deciso di depenalizzare la materia, attribuendo al fatto compiuto il carattere di “illecito amministrativo”. In tal modo, diversamente da quanto si verifica in ambito penale, viene notificata alla persona una sanzione amministrativa (massimo entro 90 giorni dall’infrazione), senza necessità di un processo, senza il rischio di prescrizione e con onere per il cittadino di proporre opposizione alla sanzione comminata, ricorrendo al giudice entro 60 giorni dalla notifica. L’ultimo ed attuale DPCM (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri), emesso dal Presidente Conte il 18 ottobre 2020, oltre ad indicare le misure (divieti e obblighi) per contenere il contagio da Covid-19, contiene anche le sanzioni per chi non rispetta quanto imposto dal Governo per frenare la pandemia nel nostro Paese. Pertanto, salvo il caso in cui il fatto costituisca un reato, la violazione dolosa (volontaria) o colposa (negligenza, imprudenza, imperizia) delle disposizioni del DPCM, comporterà l’applicazione, quale illecito amministrativo, di una sanzione pecuniaria da uro 400,00 ad euro 3.000,00. Tale sanzione è raddoppiata (da euro 800,00 ad euro 6.000,00) in caso di doppia violazione della stessa regola; mentre aumenterà di un terzo se il mancato rispetto degli obblighi o dei divieti avviene con l’uso di un veicolo. Nell’ipotesi di concorso di più persone nella violazione (es. partita di calcetto tra amici), ognuna di esse risponderà del fatto, con conseguente applicazione della relativa sanzione. Inoltre, i locali pubblici che non rispettano le determinazioni del decreto (es. uso della mascherina) rischiano, oltre alla applicazione della sanzione pecuniaria, la chiusura dell’attività, da 5 a 30 giorni (30 giorni in caso di “doppia” violazione). La responsabilità, al contrario, è esclusa nel caso in cui la norma sia violata a seguito di un errore incolpevole oppure per necessità, per l’adempimento di un dovere, per legittima difesa o nell’esercizio di una facoltà legittima. Attualmente, quindi, le sanzioni per Covid-19 sono disposte dal Prefetto ed hanno carattere amministrativo (sono equiparabili alle comuni multe stradali). Per tale motivo, in caso di mancato pagamento, l’Autorità che ha elevato il verbale iscrive “a ruolo” la multa e la invia all’Agenzia delle Entrate per la riscossione, la quale procederà con la notificazione della cartella esattoriale al trasgressore che non ha pagato. In caso di mancato pagamento, la cartella esattoriale diventa esecutiva dopo 60 giorni dalla notifica e l’esattore potrà pignorare i beni del trasgressore, tra cui il suo conto corrente ed il quinto del suo stipendio o della sua pensione. Le cartelle esattoriali per le sanzioni amministrative si prescrivono dopo cinque anni; ma una semplice lettera raccomandata di sollecito inviata dall’Ente creditore farà decorrere nuovamente il termine dei cinque anni: quindi, diversamente dai reati, le multe Covid-19 potrebbero non cadere mai in prescrizione. Decorsi i 60 giorni per pagare senza aver depositato ricorso contro la sanzione, non sarà più possibile impugnare la cartella esattoriale, salvo contestare eventuali vizi di procedura, come la notifica della cartella o l’intervenuta prescrizione. Insomma, chi non paga le sanzioni Covid-19 e non le impugna al Giudice di Pace, rischia il pignoramento dei propri beni.

Scritto da Emanuele Vari - Pubblicato sul numero 7 del 2020 del "Il Corace"

mercoledì 30 settembre 2020

CACCIA: LEGGI E BALISTICA VENATORIA - settembre 2020

Su “CACCIA & DINTORNI” il giorno 4 Settembre 2020 si legge: “Zone umide passa la linea VERDE: battaglia persa! Zone umide passa la linea VERDE - Ieri a Bruxelles si è consumata la beffa. Al termine di un lungo confronto e della seguente votazione sono state approvate le restrizioni all’uso del piombo nelle zone umide. Zone Umide - La questione sulle zone umide è ormai una battaglia persa, alla fine in Europa ha prevalso la linea “verde”, che non ha tenuto in nessuna considerazione le indicazioni di chi sosteneva che l’utilizzo dei pallini d’acciaio fosse molto più dannoso. Una battaglia che l’Europarlamentare Pietro Fiocchi stava (...e sta) portando avanti da mesi. Un danno per la caccia, per i cacciatori e per la biodiversità … omissis …”. In tale articolo vengono spiegate le limitazioni nei confronti dei cacciatori, una categoria sempre più bistrattata dall’ignoranza e dall’estremismo sociale. Perché tutta questa intolleranza nei confronti della caccia? Esiste forse una differenza, ad esempio, tra il pescare ed il cacciare? In merito all’articolo in epigrafe bisogna evidenziare alcune criticità. Nell’articolo, infatti, si legge: “La presunzione d’innocenza è un principio cardine di tutto l’ordinamento giuridico europeo, mentre in questo caso la Commissione ha introdotto un principio di presunzione di colpa, vietando il possesso (invece che l’utilizzo) delle munizioni contenenti piombo anche nel caso di esercizio di forme di caccia diverse nel corso della giornata e attraversamento di aree umide nel corso di battute di caccia in zone asciutte … omissis …”. Quindi, il cacciatore, a caccia in una zona umida (così come definita in tale articolo), trovato in possesso di munizioni contenenti piombo, potrebbe essere accusato di praticare attività venatoria con “mezzi non consentiti”. La lettura dell’articolo fa sorgere anche altri interrogativi: in base a quale principio sono state dettate queste ulteriori limitazioni nei confronti dei cacciatori? Forse a causa del saturnismo? Il saturnismo è veramente un problema rilevante tale da indurre ad attivare queste limitazioni? Ricordiamo che il saturnismo (da "Saturno", dio romano associato dagli alchimisti a questo elemento) è una grave malattia dovuta all'esposizione professionale od accidentale al piombo, la cui assimilazione può avvenire per vie cutaneemucose, inalazione o tramite l'apparato digerente (cd. Picacismo). Alcuni materiali con cui vengono realizzati pallini no-toxic sono l’acciaio, il bismuto, il rame ed il tungsteno. Per avere un’idea di massima delle prestazioni balistiche di tali materiali, è opportuno conoscere i concetti di peso specifico (kg/dm3) e durezza dei materiali (nello specifico viene riportata la scala di Mohs per alcuni materiali).


METALLO O LEGA

PESO S. (kg/dm3)

METALLO O LEGA

PESO S. (kg/dm3)

Acciaio comune

7.8 - 7.9

Piombo

11.34

Acciaio inox

7.48 - 8

Rame

8.93

Acciaio laminato

7.85

Tungsteno

19.1

Ferro

7.85



Alcuni metalli e leghe con relativi pesi specifici.



DUREZZA

SOSTANZA O MINERALE

1.5

Piombo

2

Bismuto

3

Rame

4

Ferro

4 - 4.5

Acciaio

7,5 - 8

Tungsteno

Durezza di alcuni materiali secondo la scala di Mohs.


In base alle caratteristiche sopracitate, vi sono materiali indicati per cartucce destinate a tiri su brevi distanze e materiali indicati per cartucce destinate a tiri su lunghe distanze.

Ad esempio, per la caccia alla beccaccia, i materiali no-toxic più idonei sono lo zinco, il ferro/acciaio e il rame. Per questioni di reperibilità, di costi e di facilità di caricamento, tra i materiali appena citati, viene utilizzato maggiormente il ferro/acciaio.


Scritto da Renato Bologna ed Emanuele Vari - Pubblicato sul numero 6 del 2020 del "Il Corace"


L'AVVOCATO RISPONDE: CANNA FUMARIA

Preg.mo Avvocato, ho acquistato un negozio al piano terra di un edificio con condominio e, volendo aprire una pizzeria, ho chiesto di poter installare una canna fumaria, ma l’amministratore mi ha già anticipato che qualche condomino ha eccepito che si tratta di una violazione del decoro architettonico. Le chiedo se è possibile vietarmi l’installazione della canna fumaria. La ringrazio. Giuseppe M.


Caro Sig. Giuseppe, l’installazione della canna fumaria, così come mi ha indicato, presuppone che la stessa, appoggiandosi sul muro condominiale, raggiunga il tetto dello stabile, proprio al fine di scaricare fumo e gas prodotti dalla Sua attività commerciale. La canna fumaria, di solito realizzata in acciaio inox, serve, infatti, a dirigere tutti i fumi derivanti da una combustione verso l’esterno dello stabile comunale, in modo da non arrecare disagi agli appartamenti degli altri condomini. Ai sensi dell’articolo 1102 Cod. civ., rientrando le pareti del palazzo tra le cosiddette “parti comuni” dello stabile, di proprietà di tutti i condomini, di esse si può fare un libero uso, a condizione, però, che non se ne modifichi la destinazione, non si impedisca il libero uso anche agli altri condomini e non si alteri l’estetica ed il decoro architettonico dell’edificio. In generale, di regola la realizzazione di una canna fumaria rispetta tutte le condizioni imposte dalla legge. Infatti, di norma, le dimensioni della canna fumaria sono molto modeste, non impediscono ulteriori installazioni anche da parte degli altri condomini e non alterano sensibilmente le linee originarie ed il decoro architettonico dello stabile. Pertanto, l’installazione di una canna fumaria in condominio è da considerarsi lecita, senza necessità di autorizzazione da parte dell’assemblea, sempre in relazione alle norme contenute nel regolamento condominiale, anche se sarà comunque necessario comunicare al condominio l’inizio dei lavori. Soltanto un regolamento di condominio approvato all’unanimità (non a semplice maggioranza) potrebbe vietare la realizzazione della canna fumaria. La conferma proviene anche da una recente sentenza del Tribunale di Roma (cfr. n. 5303/2020 del 17/03/2020), con la quale è stata dichiarata nulla la delibera assembleare che vietava l’installazione della canna fumaria sulla facciata condominiale a causa della presunta alterazione del decoro architettonico del palazzo. E ciò ancora di più se sull’immobile condominiale sono già presenti più interventi e/o installazioni non omogenee (es. climatizzatori, caldaie, tende parasole, stendi panni, tettoie). Il Tribunale di Roma in primo luogo ha evidenziato che “le disposizioni di un regolamento di Condominio che limitino i diritti spettanti ai singoli condòmini sulle cose proprie o comuni, come quelle che comportino limitazioni alle destinazioni delle unità immobiliari di proprietà esclusiva, incidono nella sfera dei diritti soggettivi ed hanno natura contrattuale. Il regolamento approvato a maggioranza è idoneo solo a "regolamentare" (ovvero a disciplinare l'uso e le modalità di godimento), ma non ad imporre limitazioni ai poteri dominicali che al condomino spettano sulle cose in comproprietà pro indiviso. Affinché le norme di natura contrattuale siano validamente poste e vincolanti, occorre che su di esse converga il consenso unanime di tutti i condomini, non essendo sufficiente - quindi - l'approvazione da parte della maggioranza”. Pertanto, una disposizione regolamentare di tale tenore che non sia (anche formalmente) di tipo contrattuale, non può ritenersi legittima e non può trovare applicazione. Il muro perimetrale, che appartiene a tutti i condomini per l'intera estensione dalle fondamenta alla copertura, anche in corrispondenza dei piani delle porzioni di proprietà esclusiva, adempie a talune funzioni principali indispensabili per l'esistenza stessa dell'edificio (sorreggere il fabbricato, proteggere le unità abitative dagli agenti atmosferici, consentire l'apertura delle porte e delle finestre). Esso, però, esplica altre importanti funzioni accessorie, inerenti al suo ruolo quale parte essenziale della struttura del fabbricato: ad esempio consentire l'appoggio di targhe, travi, canne fumarie, ecc. Pertanto, l'utilizzazione del muro perimetrale comune da parte del singolo condomino, mediante l'apposizione di cartelli, targhe, insegne, canne fumarie e simili, non alterando la naturale destinazione di sostegno dell'edificio condominiale, costituisce normale esercizio del diritto di usare la cosa comune, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 1102 C.c., purché non impedisca agli altri partecipanti di fare uguale uso del muro, non rechi pregiudizio alla stabilità ed alla sicurezza dell'edificio e non ne alteri il decoro architettonico. Al riguardo, il Tribunale d Roma ha indicato che “deve rammentarsi che il pari uso della cosa comune non è da intendersi nel senso di utilizzo necessariamente identico e contemporaneo, fruito cioè da tutti i condomini nell'unità di tempo e di spazio, perché se si richiedesse una siffatta condizione, si avrebbe la conseguenza di dover precludere a ogni condomino di usare la cosa tutte le volte che questa fosse insufficiente ad un tale uso identico e simultaneo. Al contrario, i rapporti condominiali devono essere informati al principio di solidarietà, il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione. Ne consegue che, solo ove sia prevedibile e ragionevole che gli altri partecipanti alla comunione abbiano interesse a fare analogo utilizzo della cosa, la modifica apportata alla stessa dal condomino che impedisca quest'ultima deve ritenersi illegittima. Infatti, il limite al godimento di ciascuno dei condomini è dato dagli interessi altrui, i quali pertanto costituiscono impedimento alla modifica solo se sia ragionevole prevedere che i loro titolari possano, a propria volta, volere accrescere il pari uso cui hanno diritto”. Inoltre, come chiaramente affermato dal Tribunale di Roma nella richiamata sentenza, nella valutazione della incidenza sul decoro architettonico di un'opera modificativa non può essere ignorata la situazione di compromissione di detto decoro per preesistenti modificazioni per le quali non sia stato esercitato il diritto a pretendere il ripristino (Cass. n. 21835 del 17/10/2007 e Cass. 7/9/2012, n. 14992: “non viola il decoro architettonico il comproprietario che esegue i lavori se, sulla facciata, sono presenti interventi preesistenti tollerati dagli altri comproprietari e di cui non è stata richiesta l'eliminazione”). Sulla base delle precedenti considerazioni il Tribunale di Roma escludeva l’esistenza di motivi ostativi all’installazione della canna fumaria, dichiarando, di conseguenza, nulla la delibera condominiale, in quanto lesiva del diritto del condomino all’utilizzazione del muro perimetrale comune.

Scritto da Emanuele Vari - Pubblicato sul numero 6 del 2020 del "Il Corace"

mercoledì 1 luglio 2020

CACCIA LEGGI E BALISTICA VENATORIA: LA PERIZIA BALISTICA

La “perizia balistica” è l’insieme degli accertamenti, degli esami e gli esperimenti aventi lo scopo di accertare il comportamento dell’agente balistico (es. proiettile), dal momento in cui viene dotato di moto (cd. tempo “zero”) al momento del suo arresto. Tale “strumento” costituisce uno dei mezzi di prova all’interno di un procedimento penale: l’art. 220 del c.p.p. statuisce, infatti, che è possibile farvi ricorso nel caso in cui vi sia la necessità di acquisire dati o di svolgere indagini.  La balistica forense è, quindi, il ramo della scienza forense che si occupa delle indagini che hanno lo scopo di ricostruire gli eventi che riguardino un “fatto” in occasione del quale sia stata impiegata un'arma da fuoco.  Le armi da fuoco vengono classificate e descritte non solo sotto il profilo giuridico (armi giocattolo, armi antiche, armi comuni da sparo, armi con modesta capacità offensiva, armi da guerra e armi tipo guerra), ma anche sotto il profilo tecnico, in modo tale che sia possibile identificare eventuali reati compiuti. Tra gli strumenti che possono essere impiegati in una perizia balistica vi è il “cronografo balistico”, composto da un insieme di barriere ottiche, che permette di misurare la velocità di un proiettile di cui si conosce la massa.  La “perizia balistica” viene elaborata dal “perito balistico”, ovvero un esperto in materia, con competenze ed attitudini ben specifiche, nominato direttamente dal giudice che ritenga necessaria una determinazione tecnica dei fatti e dei fenomeni riguardanti l’uso delle armi da fuoco. Le indagini compiute da un Pubblico Ministero, o quelle della polizia giudiziaria e degli Avvocati della difesa, infatti, il più delle volte necessitano della conoscenza specialistica di esperti, che possono offrire il loro supporto tecnico nel settore della balistica, anche “venatoria”, alla luce di una corretta interpretazione dei dati e delle prove. Il perito, pertanto, mediante l’utilizzo dei più sofisticati software, procederà alla ricostruzione degli accadimenti ed alla elaborazione di dati scientificamente incontrovertibili, attraverso la verifica della cosiddetta “catena della custodia” dei reperti balistici prelevati sulla scena del crimine; le indagini comparative di laboratorio; l’identificazione di armi e di munizioni; il prelievo e l’analisi dei residui dello sparo; le prove di sparo; la ricostruzione delle traiettorie; le simulazioni e le sperimentazioni; la determinazione della distanza di sparo, della posizione tiratore e vittima; l’accesso alla scena criminis e la propria presenza in caso autopsia. Nel contesto della “balistica forense” si possono svolgere indagini finalizzate ad identificare il tiratore, il luogo in cui si è verificato l’evento, la distanza di sparo, il numero dei colpi, la posizione di chi ha usato l'arma, la posizione della vittima e la distanza; a cercare reperti di interesse balistico, ad identificarli, a prelevarli ed a conservarli; ad esaminare l'arma ed a verificarne la funzionalità, le caratteristiche (tipo, calibro) e la relativa “riconducibilità” all’evento (attraverso il “microscopio ottico comparatore” si analizzano e si confrontano le immagini dei proiettili che sono stati trovati sulla scena di un crimine con le immagini dei proiettili sparati dall'arma in un ambiente di test).

Scritto da Emanuele Vari e Renato Bologna - Pubblicato sul numero 5 del 2020 del "Il Corace"

L'AVVOCATO RISPONDE: AUTOVELOX

Egregio Avvocato,
proprio questa mattina ho ricevuto la notifica di una multa per eccesso di velocità rilevata attraverso l’autovelox. Cortesemente, vorrei sapere se c’è qualche possibilità di contestarla.
Grazie. Danilo C.


Gentile Signore,
in materia di multe con autovelox, la Corte di Cassazione, nel tentativo di coordinare e chiarire le “incertezze” interpretative in materia, ha recentemente provveduto a specificare quali vizi permettono di impugnare le multe elevate attraverso accertamenti elettronici della velocità. La Suprema Corte, infatti, attraverso due distinte decisioni di legittimità (Cass. ord. n. 11776/2020 e ord. n. 11869/2020), ad integrazione della sentenza n. 113/2015 della Corte Costituzionale che impone alle amministrazioni accertatrici la certezza delle rilevazioni, ha ricordato che, in materia di autovelox, non è sufficiente che il verbale contenga l’indicazione della ”omologazione” e “revisione” dello strumento, essendo necessaria l’indicazione della verifica periodica dello stesso. E’ ormai noto che gli autovelox fissi e mobili, per essere utilizzati, devono essere dotati del certificato di collaudo (rilasciato una sola volta, al primo utilizzo) e dell’ulteriore certificato di taratura annuale, che non deve essere anteriore di oltre un anno, con il quale la Polizia dovrà attestare, nella multa, la data dell’ultima verifica periodica del corretto funzionamento della macchinetta. Le nuove indicazioni della Cassazione sull’autovelox specificano ora che, rispetto all’obbligo di “taratura” periodica, il cittadino ha comunque il diritto, ovviamente proponendo apposito ricorso, di contestare quanto indicato nella multa dall’agente verbalizzante e, di conseguenza, esigere che venga prodotto il certificato di taratura in originale (o in copia conforme); l’unico documento adatto a dimostrare l’effettiva verifica periodica dello strumento di rilevazione, diversamente dalla dichiarazione dell’agente, la quale non è coperta da fede privilegiata. Inoltre, sulla base di quanto rilevato nelle citate ordinanze, nel giudizio di opposizione alla sanzione, è l’Amministrazione che avrà l’obbligo di provare l’omologazione e la verifica periodica dell’autovelox, dimostrando il “perdurante funzionamento” dell’apparecchiatura stessa: non è sufficiente, quindi, che l’Ente produca in giudizio i soli documenti che attestano l'omologazione e la corretta installazione dell’apparecchio, con la conseguenza che, in caso di mancata prova della verifica periodica, il verbale dovrà essere annullato. Altro elemento necessario ai fini della validità della multa elevata mediante autovelox è la necessaria presenza del cartello stradale di avviso, il quale dovrà essere posto, in modo visibile e non maliziosamente nascosto in modo da trarre in inganno i conducenti, a non più di 4 chilometri dall’apparecchio e ad una “congrua” distanza minima per permettere all’automobilista di frenare con dolcezza, senza manovre improvvise. In ultimo, il verbale dovrà essere completo, cioè indicare tutti gli elementi di fatto che hanno generato la contestazione. Su questi due aspetti, la Cassazione (cfr. Cass. ord. n. 11792/2020) ha chiarito che il verbale di contestazione non deve contenere “un avvertimento puntuale circa le modalità di segnalazione”, perché quello che conta è “l’effettiva esistenza ed idoneità della segnalazione stessa”: pertanto, “la mancata indicazione nel verbale della preventiva segnalazione della presenza dell’apparecchio mediante apposito cartello non rende nullo il verbale stesso”, trattandosi di attestazione di un dato direttamente rilevato dagli accertatori senza margini di apprezzamento, contestabile soltanto mediante la querela di falso”. Da ultimo, è doveroso far presente che anche alcune norme internazionali (Uni 30012 e Uni 10012 - raccomandazioni Omil D19 e D20) prevedono non solo la taratura periodica degli strumenti di rilevamento, ma anche l’indicazione della stessa nel relativo verbale di accertamento della violazione.

Scritto da Emanuele Vari - Pubblicato sul numero 5 del 2020 del "Il Corace"

sabato 30 maggio 2020

L'AVVOCATO RISPONDE

Egregio Avvocato,
a causa della emergenza epidemiologica da COVID-19, ho perso il lavoro e per tale motivo, purtroppo, non sono riuscito a pagare le rate del mutuo acceso per l’acquisto della casa dove abito con la mia famiglia. Ho il timore che la Banca possa agire nei miei confronti. Esiste una soluzione per evitare che mi venga pignorata la casa?
La ringrazio.

Egregio Signore,
tra le varie misure di emergenza emanate per contenere gli effetti negativi che il COVID-19 sta producendo sul tessuto socio-economico nazionale, sono state introdotte una serie di norme allo scopo di tutelare i debitori che non riescono a far fronte ai propri impegni, in particolare per i mutui contratti per l’acquisto della propria casa.
In sede di conversione del Decreto Legge “Cura Italia” (cfr. D.L. 17 marzo 2020 n. 18), il legislatore, attraverso la Legge 24 aprile 2020 n. 27, ha introdotto importanti misure di sostegno alle famiglie e di tutela dei debitori in difficoltà e dell’abitazione principale.
In primo luogo, tra le prime misure d’urgenza introdotte, è stata prevista la possibilità di richiedere al proprio Istituto di credito la sospensione del pagamento delle rate del mutuo stipulato, per un tempo massimo di 18 mesi.
Ulteriori provvedimenti normativi sono stati successivamente introdotti, anche per evitare azioni esecutive contro l’abitazione principale.
Nel contesto del decreto è prevista una disposizione eccezionale di sospensione delle esecuzioni per rilascio dell’immobile, prevista nella originaria formulazione dall’art. 103, comma 6, attualmente differita alla data del 1° settembre 2020.
Inoltre, all’art. 54 ter, rubricato “Sospensione delle procedure esecutive sulla prima casa”, è prevista una sospensione, per la durata di sei mesi, di ogni procedura esecutiva immobiliare sull’abitazione principale del debitore: Al fine di contenere gli effetti negativi dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, in tutto il territorio nazionale è sospesa, per la durata di sei mesi a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ogni procedura esecutiva per il pignoramento immobiliare di cui all’art. 555 del c.p.c. che abbia ad oggetto l’abitazione principale del debitore”.
Si tratta, in sostanza, di un provvedimento eccezionale di emergenza, circoscritto nel tempo (sei mesi), che prevede una radicale sospensione del procedimento espropriativo immobiliare nella sua interezza, al fine di evitare che una eventuale perdita dell’abitazione peggiori la già difficile posizione del debitore.
Il blocco delle procedure esecutive riguarda esclusivamente il bene immobile identificato come “abitazione principale”, cioè la “prima casa”, non altri eventuali immobili pignorati o beni diversi.
Per “abitazione principale” si intende quella nella quale la persona fisica, che la possiede a titolo di proprietà o altro diritto reale, o i suoi familiari, dimorano abitualmente (ai sensi del Testo Unico delle imposte sui redditi); quella destinazione stabile, effettiva e durevole, dell’immobile ad abitazione del debitore, a dimora abituale dello stesso (secondo la definizione di “residenza” dell’art. 43 C.c.).
Tale circostanza deve sussistere già prima del processo esecutivo e deve necessariamente essere ancora esistente al momento dell’entrata in vigore della Legge n. 27/2020.
Inoltre, il bene immobile deve essere ubicato nel territorio del Comune in cui l’acquirente ha o stabilisca entro 18 mesi dall’acquisto la propria residenza;  l’acquirente, nell’atto di acquisto, deve aver dichiarato di non essere titolare di diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del Comune ove è ubicato l’immobile acquistato;  l’acquirente, nell’atto di acquisto, deve aver dichiarato di non essere titolare su tutto il territorio nazionale di diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata; che l’immobile abbia goduto delle agevolazioni prima casa.
Ciò precisato, resta fermo che tale sospensione ha carattere necessario, dovendo il giudice dell’esecuzione, ricorrendo i presupposti di legge, dichiarare la sospensione, con la decorrenza e la durata nella misura stabilita dalla legge (ovvero sei mesi dal 30 aprile 2020), provvedendo ad indicare anche la nuova data per la prosecuzione della procedura.
Da ciò conseguirà la illegittimità, deducibile con il rimedio dell’opposizione, di atti di esecuzione compiuti dopo il 30 aprile 2020, sia per l’avvio di azioni esecutive che per le espropriazioni immobiliari già instaurate.
Non tutti gli atti dell’espropriazione immobiliare, però, sono colpiti dalla sospensione.
In caso aggiudicazione del bene immobile occupato dal debitore, i decreti di trasferimento non verranno emessi, salvo richiesta espressa dell’aggiudicatario.
Al contrario, la fase di distribuzione del ricavato dalla vendita non potrà essere oggetto di sospensione: in tale fase, infatti, non risulterebbero pregiudicati i diritti del debitore, ormai privo della propria “abitazione principale”, già trasferita all’aggiudicatario.
In relazione alle Sue preoccupazioni, non essendo stata ancora attivata la procedura esecutiva e non essendo stato notificato il pignoramento immobiliare, potrà usufruire di tale misura di tutela, con l’avvertimento che, trascorsi i sei mesi concessi dalla legge, dovrà provvedere al pagamento di quanto dovuto, per evitare una espropriazione immobiliare da parte dell’Istituto di credito.

Scritto da Emanuele Vari - Pubblicato sul numero 4 del 2020 del "Il Corace"

CACCIA: LEGGI E BALISTICA VENATORIA

Sui fucili a canna liscia esistono idee fantasiose ed in questo articolo ne illustreremo alcune.
Innanzitutto, l’idea che alcuni tipi di fucili siano più micidiali di altri dello stesso calibro, è una di quelle più difficili da digerire.

Dal libro CARTUCCE, di Frank C. Barnes, Ermanno Albertelli Editore

In onore del famoso esperto di cartucce Frank C. Barnes, un Ingegnere.


Infatti, in relazione alla micidialità, ciò che veramente influisce è il calcio del fucile e cioè ciò che veramente conta è colpire il bersaglio. Un’altra credenza, ormai radicata, è che più è lunga la canna maggiore è la gittata efficace. Orientativamente, da circa quarant’anni, le cartucce a polvere infume sviluppano la “loro” massima velocità iniziale in una canna della lunghezza di circa 20-22 pollici, mentre quello che supera tale lunghezza può servire per equilibrare l’arma. Se la canna è troppo lunga, ciò può ridurre leggermente la velocità dei pallini, a causa dell’attrito. Un fucile, la cui canna liscia sia lunga 25-26 pollici, avrà la stessa micidialità di un fucile da 32 pollici. Inoltre, è più rapido mirare con una canna corta. Ulteriore argomento oggetto di discussioni ed equivoci riguarda la gittata efficace di un fucile a canna liscia. Alcuni ritengono che la velocità aumenti con l’aumentare del calibro, altri, invece, che tale velocità aumenti col diminuire di questo. Ciò che fa la differenza, qualora si utilizzi munizione spezzata, è la densità della rosata. Quindi, ancora una volta, ciò che è essenziale è far andare a segno i pallini. Ovviamente, per tali calcoli, sono da prendere in considerazione ulteriori caratteristiche, quali il peso dei pallini ed il loro diametro (numerazione), oltre che il tipo di animale insidiato (grandezza, resistenza alla penetrazione dei pallini). Dal tipo di strozzatura dipendono, poi, le dimensioni e la densità della rosata ad una determinata distanza.Interessante è che, nel caso in cui tutti gli altri elementi siano uguali, non esiste molta differenza fra il diametro effettivo della rosata prodotta, alla stessa distanza, da calibri diversi.

Scritto da Emanuele Vari e Renato Bologna - Pubblicato sul numero 4 del 2020 del "Il Corace"

venerdì 10 aprile 2020

RUBRICA L'AVVOCATO RISPONDE

Egregio Avvocato, vista l’emergenza che stiamo vivendo per il coronavirus e dato che si avvicina il periodo in cui dovrò recarmi presso l’ufficio postale del mio Paese per il ritiro della pensione, Le chiedo se posso tranquillamente spostarmi senza essere multato, come ho sentito dai telegiornali. La ringrazio.

Sul sito del Ministero della Salute (www.salute.gov.it) si può leggere che i coronavirus (CoV), chiamati così per le punte a forma di corona che sono presenti sulla loro superficie, sono un’ampia famiglia di virus respiratori che possono causare dal comune raffreddore a sindromi respiratorie come la MERS (sindrome respiratoria mediorientale) e la SARS (sindrome respiratoria acuta grave). Il coronavirus denominato 2019-nCoV, cd. "Sindrome respiratoria acuta grave - coronavirus 2", non è mai stato precedentemente identificato nell’uomo prima di essere segnalato a Wuhan (Cina). I sintomi più comuni di un’infezione da coronavirus nell’uomo includono febbre, tosse, difficoltà respiratorie. Nei casi più gravi, l'infezione può causare polmonite, sindrome respiratoria acuta grave, insufficienza renale e persino la morte. Tale nuovo coronavirus è un virus respiratorio che si diffonde principalmente attraverso il contatto con le goccioline del respiro delle persone infette, tramite la saliva, tossendo e starnutendo; tramite i contatti diretti personali; tramite il contatto delle mani contaminate (non ancora lavate) con bocca, naso od occhi. Secondo i dati attualmente disponibili, le persone sintomatiche sono la causa più frequente di diffusione del virus. Stiamo vivendo un periodo di confusione ed informazioni spesso non accurate in relazione agli effetti ed agli obblighi da rispettare in relazione all’epidemia da COVID-19 (coronavirus). Le notizie di questi giorni, dopo l’approvazione del decreto “io resto a casa”, confermano che non tutti sono a conoscenza di cosa si rischia spostandosi senza un reale motivo di necessità. Allo scopo di evitare il diffondersi del COVID-19, e tenuto conto del carattere particolarmente diffusivo dell'epidemia e dell'incremento dei casi anche sul territorio nazionale, il Consiglio dei Ministri ha approvato il Decreto Legge 23 febbraio 2020, n. 6, un atto avente forza di legge emanato dal Governo che introduce misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica e che ha avuto attuazione attraverso l’emissione del decreto del presidente del Consiglio dei ministri – DPCM. In particolare, tra le misure adottate, vi è il divieto di allontanamento e quello di accesso al Comune o all’area interessata dal contagio; la sospensione di manifestazioni, eventi e di ogni forma di riunione in luogo pubblico o privato; la sospensione dei servizi educativi dell’infanzia e delle scuole e dei viaggi di istruzione; la sospensione dell’apertura al pubblico dei musei; la sospensione delle procedure concorsuali e delle attività degli uffici pubblici, fatta salva l’erogazione dei servizi essenziali e di pubblica utilità; l’applicazione della quarantena con sorveglianza attiva a chi ha avuto contatti stretti con persone affette dal virus e la previsione dell’obbligo per chi fatto ingresso in Italia da zone a rischio epidemiologico di comunicarlo al Dipartimento di prevenzione dell’azienda sanitaria competente, per l’adozione della misura di permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva; la sospensione dell’attività lavorativa per alcune tipologie di impresa e la chiusura di alcune tipologie di attività commerciale; la possibilità che l’accesso ai servizi pubblici essenziali e agli esercizi commerciali per l’acquisto di beni di prima necessità sia condizionato all’utilizzo di dispositivi di protezione individuale; la limitazione all’accesso o la sospensione dei servizi del trasporto di merci e di persone, salvo specifiche deroghe; la facoltà, per le autorità competenti, di adottare ulteriori misure di contenimento, al fine di prevenire la diffusione del virus anche fuori dai casi già elencati. Per il contenimento e la gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 su tutto il territorio nazionale, dal 9 marzo 2020 l’Italia è blindata da stringenti misure destinate al contenimento del virus. Il Decreto Legge n. 06/2020, così come ribadito dal DPCM 08/03/2020, prevede che, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui al medesimo decreto è punito ai sensi dell’art. 650 c.p.: si tratta di una contravvenzione (inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità), per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica o d’ordine pubblico o d’igiene, che punisce l’autore del fatto, anche se prodotto solo con negligenza e imperizia, con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino ad euro 206,00. È importante sottolineare che si tratta comunque di un reato, con conseguente condanna “penale”: le Forze dell’Ordine invieranno il fascicolo con la notizia di reato presso la competente Procura della Repubblica e si verrà iscritti nel registro indagati. La sanzione può giungere attraverso un decreto penale di condanna o in seguito alla celebrazione di un processo penale. L’eventuale condanna definitiva verrà iscritta nel casellario giudiziale (cd. “fedina penale”). L’art. 650 c.p. punisce soltanto l’inosservanza della disposizione dell’Autorità e non gli effetti che l’inosservanza stessa eventualmente produce: se, con consapevolezza, si trasgredisce al DPCM e si infettano due o più persone, non sapendo di aver contratto il virus, si potrebbe rispondere del delitto contro la salute pubblica previsto dall’art. 452 c.p.; mentre, se si è consapevoli di aver contratto il COVID-19 e si esce di casa infettando altre persone, si potrebbe rispondere del più grave reato di epidemia (diffusione di germi patogeni) previsto dall’art. 438 c.p., punibile addirittura con la pena dell’ergastolo. L’art. 650 c.p. deve essere letto confrontando anche l’art. 260 del R.D. n. 1265/1934 (Testo Unico delle leggi sanitarie), che punisce con l’arresto fino a sei mesi e con l’ammenda chiunque non osserva un ordine legalmente dato per impedire l’invasione o la diffusione di una malattia infettiva dell’uomo. Quello che in particolare ci interessa sono le disposizioni relative all’obbligo di restare a casa e non uscire, salvo, ovviamente, nuove disposizioni ad horas. Sono tuttavia previste delle eccezioni: si può uscire per comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità (es. acquisto di beni alimentari), motivi di salute e rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza (cfr. https://www.interno.gov.it/sites/default/files/possomuovermi.pdf). È però previsto il “divieto assoluto” di uscire da casa per chi è sottoposto a quarantena o risulti positivo al virus. Come oramai ben noto, l’onere di dimostrare la sussistenza delle situazioni che consentono la possibilità di spostamento grava sull’interessato, il quale dovrà produrre la c.d. “autodichiarazione” (Direttiva del Ministro dell’Interno del 08/03/2020), sulla quale dovranno essere inserite informazioni veritiere, pena la punizione in base all’art. 483 c.p., per il quale chiunque dovesse attestare al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a due anni. A tal riguardo, i servizi bancari e quelli postali sono garantiti, ma dovrà trattarsi di operazioni che hanno il carattere di urgenza ed inderogabilità previsti, come valide motivazioni di uscita dal proprio domicilio, dal Decreto governativo vigente. Alle Poste Italiane ci si potrà recare solo se necessario, per motivi urgenti ed inderogabili, pena la punibilità ex art. 650 c.p. con la multa di 206 euro e relativa denuncia penale. Ad esempio, ci si può recare allo sportello per ritirare la pensione se non si possiede il bancoposta; possono essere ritirate raccomandate o altra corrispondenza in giacenza presso gli uffici; si possono spedire corrispondenza e pacchi urgenti. E’ invece vietato pagare bollette che hanno una scadenza non prossima e recarsi agli sportelli postali per avere informazioni su prodotti finanziari. E comunque, nel dubbio, meglio telefonare prima all’ufficio postale per capire se il servizio richiesto può essere rimandato o soddisfatto online. Ovviamente le persone anziane, che più difficilmente riescono ad attivare servizi online, riscontrano maggiori difficoltà. Ma si tratta anche delle persone più vulnerabili di fronte al rischio di contagio da Coronavirus. E Per questo devono limitare gli spostamenti. Non esistendo un trattamento specifico per la malattia, attualmente l’unico modo possibile per ridurre il rischio di infezione, proteggendo se stessi e gli altri, ed evitare la diffusione del COVID-19 è seguire le principali norme di igiene, di isolamento e quarantena in caso di contagio, e le indicazioni delle autorità sanitarie. Per questo si consiglia di stare in casa.

Scritto da Emanuele Vari

Pubblicato sul numero 3 del 2020 del Il Corace

LEGGI E BALISTICA VENATORIA: POSSESSO DI ARMI DA FUOCO

POSSESSO DI ARMI DA FUOCO: IN VIGORE LA NUOVA LEGGE.
DECRETO LEGISLATIVO 10 agosto 2018, n. 104. Attuazione della direttiva (UE) 2017/853 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 maggio 2017, che modifica la direttiva 91/477/CEE del Consiglio, relativa al controllo dell'acquisizione e della detenzione di armi. (18G00127) (GU Serie Generale n.209 del 08-09-2018). Entrata in vigore del provvedimento: 14/09/2018.

L’Italia aveva già una legge sul possesso delle armi da fuoco e, con il recepimento della Direttiva Europea, ha provveduto alla modifica di alcune sue disposizioni. Tra le principali novità introdotte dalla nuova legge sulle armi, una nuova regolamentazione riguarda il rilascio e la durata della licenza: acquistare e detenere un’arma in casa è oggi più facile, visto che la direttiva comunitaria sulla detenzione delle armi è meno restrittiva rispetto alla normativa precedente.
Più nel dettaglio, il limite di armi sportive che si possono detenere in casa è stato elevato da 6 a 12, mentre per le armi lunghe e corte i nuovi massimi di colpi consentiti nei caricatori passano rispettivamente a 10 (prima 5) e 20 (prima 10). Ed ancora alcune novità: è stato ridotto il termine di validità del “porto d’armi” per la caccia e l’uso sportivo, da 6 a 5 anni; la denuncia di detenzione di un’arma, entro e non oltre le 72 ore successive all’acquisizione, potrà essere presentata ai Carabinieri o alla Questura anche online, tramite e-mail da un portale certificato (PEC); è stato previsto l’obbligo di attestare mediante autocertificazione di aver informato i propri conviventi del possesso di un’arma da fuoco; è stata introdotta la categoria dei “tiratori sportivi”, che devono essere iscritti a sezioni del Tiro a Segno Nazionale o a federazioni sportive riconosciute dal CONI, ai quali è anche consentito l’acquisto, la detenzione e l’uso di armi di categoria A6 (demilitarizzate) ed A7 (percussione centrale con caricatore superiore a 10 e 20 colpi). 

Inoltre, chiunque detiene armi comuni da sparo senza essere in possesso di alcuna licenza di porto d’armi in corso di validità, è tenuto a presentare ogni cinque anni la certificazione medica. Sono esentati da tale obbligo i collezionisti di armi antiche e chi è titolare di “licenza di porto di armi”.
Per la concessione del “porto d’armi” il certificato di idoneità psicofisica potrà essere rilasciato esclusivamente da specialisti in medicina legale delle Aziende Sanitarie Locali, o da medici militari, della Polizia di Stato o del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco.

Scritto da Renato Bologna e Emanuele Vari

Pubblicato sul numero 3 del 2020 del "Il Corace"

lunedì 4 marzo 2019

CACCIA: LEGGI E BALISTICA VENATORIA

Nella Determinazione della Regione Lazio G14459 del 13/11/2018, l’Allegato A riporta in intestazione: “Avviso di selezione per l’individuazione dei componenti delle “Commissioni per l’abilitazione all’esercizio dell’attività venatoria” di cui all’art. 40 comma 11 lettere b) e c) della L.R. n. 17/1995, istituite in ciascun capoluogo di Provincia, presso le ex Aree Decentrate Agricoltura del Lazio”.
In tale “Allegato A” si legge: “… omissis … Le nomine dei componenti delle Commissioni per l’abilitazione all’esercizio dell’attività venatoria, ai sensi del comma 13 dell’art. 40 della L.R. n. 17/1995, sono da ritenersi a titolo onorifico, pertanto non sono previsti oneri a carico del Bilancio regionale … omissis …”.
Dato che non si parla di “opera di volontariato”, perché un Professionista dovrebbe lavorare gratis? Lauree, specializzazioni e competenze sono costate sacrifici ed è giusto, pertanto, che chi esercita relative Professioni debba essere remunerato!
Per quanto riguarda il membro della Commissione per la Balistica venatoria, quale laurea viene richiesta? Quali competenze di Balistica venatoria vengono richieste? Non sarebbe opportuno che tale soggetto fosse anche un esperto cacciatore?
Nel trattare la questione relativa alla “morte da shock”, già accennata in un precedente articolo, appare doveroso considerare brevemente i casi in cui un animale cacciabile, colpito con almeno 4-5 pallini, non arresti la sua corsa, ovvero, se fermo, non rimanga sul posto o giù di lì.
Le motivazioni di tale “atteggiamento” possono essere diverse: i pallini potrebbero essere di dimensioni troppo piccole in rapporto all’animale insediato, potrebbero avere scarsa penetrazione, ovvero non riuscire a procurare ferite invalidanti. Un simile fenomeno è riscontrabile quando, ad esempio, dopo avere sparato ad un volatile, si osserva una c.d. “nuvola” di piume ed il volatile continua a volare … Di contro, può accadere che il volatile cada inesorabilmente a terra a causa della rottura di un’ala provocata da un unico pallino.
L’animale non è rimasto sulla fucilata perché il piombo gli è arrivato freddo …”: in merito a tale affermazione non si conoscono trattati di non si conoscono trattati di Balistica terminale che, analizzando il fenomeno dei pallini che colpiscono un animale, riportano casi di visibili bruciature intorno all’area in cui è penetrato il pallino. Quindi la domanda: chi afferma tale rapporto causa (piombo che giunge freddo sull’animale) - effetto (animale che non riporta ferite invalidanti), su quali principi balistici si basa? Ovviamente, quanto detto non riguarda colpi sparati a bruciapelo, in cui non si può neanche parlare della “rosata di pallini”.
Scritto da Renato Bologna e Emanuele Vari - Pubblicato sul numero di Febbraio 2019 del Il Corace