giovedì 13 aprile 2017

P.I.R. o R.I.P.?

Ci sono momenti straordinari, nella storia di un paese, momenti in cui si realizzano cose che in altri tempi sembravano impensabili. Convergono gli interessi, si battono strade mai percorse prima e più soggetti - apparentemente distanti nella quotidiana ricerca della propria sopravvivenza - si ritrovano a cooperare. Si sovvertono le consuete prassi. Si scrivono strategie unitarie, nazionali.
E’ il caso del battesimo dei nuovi strumenti di investimento pensati per i piccoli investitori italiani, i Piani Individuali Risparmio - P.I.R. - o piani di risparmi a lungo termine, come li chiama la legge.

E’ già iniziata la stagione delle telefonate della banca o del consulente perché se ne valuti l’acquisto ma ciò che segnalo è che non si tratta di una misura individuale quanto piuttosto di un fenomeno che interessa una collettività di persone. Annunciati dai governi succedutisi negli ultimi anni e regolarmente riposti in soffitta, i P.I.R. sono stati introdotti con l’ultima legge di stabilità.
Lo schema ricalca quello collaudato in altri paesi ed è utile riassumerne i principali aspetti di novità.

Per incentivarne la diffusione lo Stato solerte fa una prima mossa, favorendo l’investitore attraverso la leva fiscale sugli eventuali guadagni e sull’esenzione dall’imposta di successione. La grande novità di questo strumento tuttavia, sta nel fatto che esso raccoglie i risparmi delle famiglie italiane per prestarli alle piccole e medie imprese, con l’intermediazione della banca, naturalmente.
E con il risultato (atteso) di stimolare l’economia nazionale.

Altra regola è quella che vengano rispettate, nella composizione degli asset, le limitazioni di legge. Perché la legge ha prescritto che almeno il 70% del capitale sia obbligatoriamente investito in aziende con sede in Italia o in imprese che possono avere sede all’estero (entro il perimetro dello spazio economico europeo) ma che hanno organizzazioni stabili in Italia. Inoltre almeno il 30% di questa quota (e quindi il 21% ca. del totale) dovrà inoltre essere investita in strumenti finanziari emessi da aziende che non sono quotate nella nostra Borsa.

Ultima limitazione, la quota investita su un singolo emittente non può superare il 10% del totale.

Che cosa capisco io?
Molte cose. In modo quasi sorprendente mi accorgo che è possibile - per legge - porre delle regole a un operatore privato su come investire i soldi di tante persone e mi chiedo perché questa idea non sia arrivata prima. Prima, cioè, di quelle vicende che in passato hanno fatto perdere molti soldi a molti risparmiatori. Quindi una bella notizia a cui se ne affianca subito una seconda, quando si dice di voler favorire l’investimento o il finanziamento diretto alle imprese ‘piccole’ e ‘medie’, anche se vi assicuro che il ‘piccolo’ e il ‘medio’ che intendo io (e a cui forse pensate voi che leggete) è diverso da quello che si intende per legge.

Per capirci: non sarà il negozietto vicino casa o l’impresa artigianale a ricevere i benefici di questa azione, quanto piuttosto imprese strutturate di medie dimensioni (per fatturato e numero di addetti). Tanto per essere chiari. Qui si apre però un nuovo scenario: sempre grazie a questa legge si può sapere dove finiscono i nostri soldi risparmiati.
Non conosciamo i nomi delle imprese sostenute anche se - lo ricordo - è possibile farlo: lo fa Banca Popolare Etica (per chi ancora non lo sa) sul cui sito potete leggere i nomi delle imprese sociali che la banca sostiene con i soldi detenuti su quei conti correnti.
Con i P.I.R. quello che possiamo sapere è quale tipo di imprese se ne avvantaggerà.

E io mi chiedo: perché per legge non chiediamo alle banche di scriverlo nei loro bilanci da qui in avanti?
Basterebbe una lettura per categorie (definite per legge), perché se io sono un piccolo correntista, vorrei poter scegliere la mia banca a partire da questa informazione: tra le altre cose vorrei sapere se sostiene una certa fetta di mercato o un’altra. Tanto per scegliere. Le considerazioni da fare sono tante e vanno oltre lo spazio che mi è consentito e le farò ovunque mi sia possibile.

Qui chiudo questo articolo con considerazioni sul perché sia il momento di dire: “P.I.R.? No, grazie, semmai ci penso e sto a guardare per un po’”.

Cinque considerazione, una per ogni dito della mano:

Pollice.
Da anni mi batto per far capire che la famosissima diversificazione è difficile da ottenere in pratica. I P.I.R. di certo non offrono un aiuto nella diversificazione geografica dell’investimento esponendo di fatto i risparmi ai rischi del ‘sistema Italia’, senza la possibilità di bilanciare le scelte verso altre aree in caso di necessità.

- Dito indice.
Al rischio geografico si unisce al rischio specifico generato dalla presenza, in portafoglio, di strumenti emessi da imprese italiane a piccola e media capitalizzazione (peraltro principalmente soltanto azioni e obbligazioni). Strumenti generalmente molto volatili e poco liquidi. Restare vincolati a questo tipo di prodotti significa segnare l’investimento con livelli di rischio alti, forse eccessivi per i più, con probabilità di intaccare il capitale. Basta capirlo. Ho detto ‘capirlo’, non scriverlo in un prospetto informativo che pochi leggono o comprendono fino in fondo…

- Dito medio.
L’incentivo fiscale è vincolato a una durata almeno quinquennale dell’investimento. Qualora aveste necessità ritirare in anticipo la vostra posizione, vi trovereste a pagare la normale aliquota sulle plusvalenze. Il dito medio, in questo caso, richiamo di vedercelo mostrare noi investitori che abbiamo fatto una valutazione errata…

- Anulare.
I P.I.R. si affacciano al mondo finanziario come strumenti dedicati a investitori molto esperti e il panorama delle piccole e medie imprese italiane è molto complesso ed estremamente volatile. Inoltre, la novità dello strumento non permette di valutare performance passate e il regime dei costi faticherà ad essere trasparente.

- Mignolo.
C’è una disponibilità infinita o quasi di denaro, nel mondo. La macchina che stampa soldi ha prodotto una disponibilità quasi illimitata per 10 anni di crisi. Mi dite perché adesso dobbiamo andare a bussare alla porta della signora Maria per sostenere l’economia reale? Il nostro povero dito mignolo rischia di veder alzato il dito indice in parallelo, tutte le altre dita piegate, in un gesto mostrato a braccio teso e con vigore a chi promuove iniziative come quelle dei P.I.R. pensandoci incapaci di riflettere.

Scritto da Antonio Cajelli - Pubblicato sul numero 4 del 2017 nel "Il Corace"

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