Da tempo si assiste ad
una escalation di criminalità ad opera di babygang con una crescente
violenza tale da essere diventata ormai un vero e proprio allarme
sociale. Inutile ricordare gli episodi che hanno avuto come
protagonista in questi giorni sempre la stessa babygang di Napoli, ma
le modalità utilizzate da questi ragazzi per commettere violenze e
crimini di ogni genere fanno sorgere comunque la domanda su cosa
scatti nelle menti di un giovane nel momento in cui si trova a far
parte di un gruppo sociale il cui unico scopo è quello di
delinquere.
Nel tentativo di dare una spiegazione razionale a tale
fenomeno, psicologi, giuristi, educatori sociali sono partiti da una
direttrice comune ovvero la crisi generazionale e l’adolescenza.
L’adolescenza rappresenta sicuramente una delle fasi della vita
maggiormente delicate, durante la quale qualsiasi evento può
lasciare un segno indelebile. L’adolescente che commette un reato
sperimenta nei fatti il superamento del limite rappresentato in
questo specifico caso dalla Norma, dalla Legge, che tutta la comunità
a cui lui stesso appartiene rispetta in forma convenzionale. È molto
complicato descrivere le dinamiche e le cause alla base di un
comportamento deviante, quale il reato. In linea generale è
possibile affermare che in frequenti casi alla base della delinquenza
minorile si trovano contesti socio-culturali abbastanza carenti e
deficitari, spesso aggravati da situazioni familiari di disagio o
insufficiente investimento educativo. Certamente, i motivi per il
quale un minore diventa autore di reato non sono rintracciabili
soltanto nel suo contesto di appartenenza, ma anche in
predisposizioni caratteriali che trasformano la sperimentazione di sé
e dei limiti imposti dall’adulto e dalla comunità
all’estremizzazione.
Nel caso di specie, ovvero Napoli è
illuminante anche quanto riportato dal Procuratore della Repubblica
presso il Tribunale dei Minorenni di Napoli ovvero: “Purtroppo c’è
una condizione dei giovani che vivono nella città di Napoli e che
vivono nell’hinterland che è molto grave in taluni quartieri sono
totalmente abbandonati, ci sono pochi servizi sociali. La città di
Napoli ancora ancora ha una sua organizzazione dei servizi sociali,
pur nelle gravi carenze che registra, ma la periferia e soprattutto i
comuni limitrofi sono in situazione ancora molto più grave.” Per
de Luzenberger i problemi sono “certamente famiglie di livello
culturale molto basso, ragazzi che frequentano poco la scuola e un
alta densità criminale perché poi, ovviamente, la delinquenza
minorile in qualche modo è collegata alla delinquenza degli adulti,
cioè ci sono quartieri dove i ragazzi crescono assistendo
quotidianamente ad attività illegali, attività di spaccio o
quant’altro o addirittura queste attività si svolgono anche in
casa e quindi i ragazzi crescono in questa realtà e non hanno
riferimenti diversi perché non ci sono centri di aggregazione, non
ci sono appunto servizi sociali, manca tutto in realtà”.
Allargando però il discorso ad un contesto più generale non può
non riconoscersi che oggi si cresce sicuramente più in fretta,
bruciando le tappe e rivelando una personalità più fragile. Come
mai? Spesso, i contesti familiari nei quali si ritrovano i ragazzi,
sono altamente problematici e sono la causa di un disagio
generazionale sempre più diffuso. Si apre uno scenario fatto di
conflitti, separazioni, divorzi, composto da famiglie con situazioni
sociali gravi, con scarsità di mezzi economici e culturali ma, anche
da famiglie “normali”, economicamente agiate.
I “bulli”
quindi, possono essere loro stessi vittime di stili di vita in cui
prevalgono educazioni violente e autoritarie, frutto di contesti
sociali deviati ma, anche giovani di “buona famiglia”, annoiati,
lasciati soli, con figure genitoriali mancanti, che spesso compensano
la loro latitanza con il benessere o con un atteggiamento
iperprotettivo e giustificativo. A questo, possiamo aggiungere
l’influenza della società dei consumi e dell’immagine, che,
attraverso modelli aggressivi, dalla condotta spesso criminale,
contribuiscono ad abbassare nei giovani la percezione della soglia
della legalità, fornendo un esempio di leader prevaricante e
violento. In questa desertificazione di valori e di falsi miti, i
giovani si ritrovano senza confini che indichino loro dove fermarsi,
senza avere dei “paletti” che li aiutino a delimitare il campo di
gioco della crescita e dell’affermazione individuale. L’adolescente
lasciato solo, trova nella “gang”, sia un senso di appartenenza e
di affiliazione che non trova altrove, sia una perdita
dell’individualità, permettendogli di sviluppare una sorta di
copertura che lo fa sentire meno responsabile nelle azioni. Il
disagio sociale e la solitudine esistenziale che avvolgono
l’adolescente, diventano quindi, terreno fertile per lo sviluppo di
comportamenti disadattivi tipo il bullismo, fino ad arrivare alla
vera e propria “devianza sociale” che porta il minore a compiere
reati.
Cosa fare allora? Sarebbe auspicabile da parte degli adulti,
compiere una vera e propria azione di prevenzione attraverso i
maggiori punti di riferimento dei ragazzi, tra cui la famiglia in
primo luogo, la scuola, la tv, i social. Prevenzione, volta a farli
sentire meno soli, fornendo loro strumenti per essere capaci di
incontrare e rispettare “l’altro” senza sentirsi inadeguati e
aiutandoli infine, a riscoprire la fiducia in sé stessi e nei loro
mezzi.
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