lunedì 5 febbraio 2018

BABYGANG: ALLARME SOCIALE

Da tempo si assiste ad una escalation di criminalità ad opera di babygang con una crescente violenza tale da essere diventata ormai un vero e proprio allarme sociale. Inutile ricordare gli episodi che hanno avuto come protagonista in questi giorni sempre la stessa babygang di Napoli, ma le modalità utilizzate da questi ragazzi per commettere violenze e crimini di ogni genere fanno sorgere comunque la domanda su cosa scatti nelle menti di un giovane nel momento in cui si trova a far parte di un gruppo sociale il cui unico scopo è quello di delinquere.

Nel tentativo di dare una spiegazione razionale a tale fenomeno, psicologi, giuristi, educatori sociali sono partiti da una direttrice comune ovvero la crisi generazionale e l’adolescenza. L’adolescenza rappresenta sicuramente una delle fasi della vita maggiormente delicate, durante la quale qualsiasi evento può lasciare un segno indelebile. L’adolescente che commette un reato sperimenta nei fatti il superamento del limite rappresentato in questo specifico caso dalla Norma, dalla Legge, che tutta la comunità a cui lui stesso appartiene rispetta in forma convenzionale. È molto complicato descrivere le dinamiche e le cause alla base di un comportamento deviante, quale il reato. In linea generale è possibile affermare che in frequenti casi alla base della delinquenza minorile si trovano contesti socio-culturali abbastanza carenti e deficitari, spesso aggravati da situazioni familiari di disagio o insufficiente investimento educativo. Certamente, i motivi per il quale un minore diventa autore di reato non sono rintracciabili soltanto nel suo contesto di appartenenza, ma anche in predisposizioni caratteriali che trasformano la sperimentazione di sé e dei limiti imposti dall’adulto e dalla comunità all’estremizzazione.
Nel caso di specie, ovvero Napoli è illuminante anche quanto riportato dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale dei Minorenni di Napoli ovvero: “Purtroppo c’è una condizione dei giovani che vivono nella città di Napoli e che vivono nell’hinterland che è molto grave in taluni quartieri sono totalmente abbandonati, ci sono pochi servizi sociali. La città di Napoli ancora ancora ha una sua organizzazione dei servizi sociali, pur nelle gravi carenze che registra, ma la periferia e soprattutto i comuni limitrofi sono in situazione ancora molto più grave.” Per de Luzenberger i problemi sono “certamente famiglie di livello culturale molto basso, ragazzi che frequentano poco la scuola e un alta densità criminale perché poi, ovviamente, la delinquenza minorile in qualche modo è collegata alla delinquenza degli adulti, cioè ci sono quartieri dove i ragazzi crescono assistendo quotidianamente ad attività illegali, attività di spaccio o quant’altro o addirittura queste attività si svolgono anche in casa e quindi i ragazzi crescono in questa realtà e non hanno riferimenti diversi perché non ci sono centri di aggregazione, non ci sono appunto servizi sociali, manca tutto in realtà”.

Allargando però il discorso ad un contesto più generale non può non riconoscersi che oggi si cresce sicuramente più in fretta, bruciando le tappe e rivelando una personalità più fragile. Come mai? Spesso, i contesti familiari nei quali si ritrovano i ragazzi, sono altamente problematici e sono la causa di un disagio generazionale sempre più diffuso. Si apre uno scenario fatto di conflitti, separazioni, divorzi, composto da famiglie con situazioni sociali gravi, con scarsità di mezzi economici e culturali ma, anche da famiglie “normali”, economicamente agiate.
I “bulli” quindi, possono essere loro stessi vittime di stili di vita in cui prevalgono educazioni violente e autoritarie, frutto di contesti sociali deviati ma, anche giovani di “buona famiglia”, annoiati, lasciati soli, con figure genitoriali mancanti, che spesso compensano la loro latitanza con il benessere o con un atteggiamento iperprotettivo e giustificativo. A questo, possiamo aggiungere l’influenza della società dei consumi e dell’immagine, che, attraverso modelli aggressivi, dalla condotta spesso criminale, contribuiscono ad abbassare nei giovani la percezione della soglia della legalità, fornendo un esempio di leader prevaricante e violento. In questa desertificazione di valori e di falsi miti, i giovani si ritrovano senza confini che indichino loro dove fermarsi, senza avere dei “paletti” che li aiutino a delimitare il campo di gioco della crescita e dell’affermazione individuale. L’adolescente lasciato solo, trova nella “gang”, sia un senso di appartenenza e di affiliazione che non trova altrove, sia una perdita dell’individualità, permettendogli di sviluppare una sorta di copertura che lo fa sentire meno responsabile nelle azioni. Il disagio sociale e la solitudine esistenziale che avvolgono l’adolescente, diventano quindi, terreno fertile per lo sviluppo di comportamenti disadattivi tipo il bullismo, fino ad arrivare alla vera e propria “devianza sociale” che porta il minore a compiere reati.

Cosa fare allora? Sarebbe auspicabile da parte degli adulti, compiere una vera e propria azione di prevenzione attraverso i maggiori punti di riferimento dei ragazzi, tra cui la famiglia in primo luogo, la scuola, la tv, i social. Prevenzione, volta a farli sentire meno soli, fornendo loro strumenti per essere capaci di incontrare e rispettare “l’altro” senza sentirsi inadeguati e aiutandoli infine, a riscoprire la fiducia in sé stessi e nei loro mezzi.

Scritto da Alessia Pieri - Pubblicato sul numero 1 del 2018 nel "Il Corace"

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