venerdì 2 marzo 2018

L’ITALIA E IL RISIKO LIBIA

Sabato scorso, il 17, mi telefona Souad Sbai per invitarmi a Roma, Teatro Valle,  dove ha organizzato una tavola rotonda:  “L’Italia e il Risiko Libia”. Souad, ex parlamentare, giornalista, scrittrice, attivista per i diritti delle donne, che ad oggi vive ancora “sotto scorta” è una persona seria. Seria quanto l’argomento che è stato trattato, quello della Libia.
Infatti, la Libia è un tassello decisivo ma troppo spesso sottovalutato della geopolitica internazionale; la nascita e lo sviluppo di Isis in Siria e Iraq ha fatto sì che tutte le attenzioni degli analisti e dei commentatori si concentrassero per lungo tempo su quel quadrante, dimenticando la sponda sud del Mediterraneo, ormai dal 2011 luogo di profonde fratture politiche e culla di una nuova forma di jihadismo. Dalla caduta di Gheddafi infatti nel territorio libico si sono incontrate e spesso fuse, come in un processo osmotico le mille varianti del terrorismo internazionale: da pezzi di Ansar al-Sharia, passando per Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI), i reduci di Isis e soprattutto le roccaforti di Al Qaeda ormai la Libia è vista come un territorio ’vergine’ in cui stabilire delle basi. Traffici di armi e migranti, in particolare sono il ’core business’ di questi gruppi di cui elementi qaedisti sono il trait d’union e la guida operativa.
La miccia che ha acceso questo meccanismo di cui oggi vediamo le conseguenze è rappresentata dalla lotta contro Gheddafi; nel giugno del 2017, infatti, è emerso da alcune informazioni rilasciate al quotidiano online “Middle East Eye” che molti combattenti e miliziani di origine libica sarebbero stati lasciati partire liberamente dall’Inghilterra verso Tripoli, senza alcun interrogatorio, pur avendo dichiarato che andavano ad unirsi alle fazioni anti-Gheddafi.Personaggi legati al movimento Jama’a al Islamiyah al Muqatilah bi Lybia, ben conosciuti in Occidente eppure lasciati partire. Un particolare di non poco conto ci introduce alla necessità di riflettere a fondo e costruire delle risposte sulla delicata tematica libica: a capo di questo asse del terrore costituitosi in Libia, infatti, ci sarebbe l’algerino Mokhtar Belmokhtar, uno dei profili terroristici più pericolosi del mondo, leader del gruppo Al-Murabitoun, che fa diretto riferimento ad AQMI. Chi conosce le vicende degli anni ’90 in Algeria, con i massacri degli islamisti coperti da grosse frange dell’esercito ne ricorda il nome.
Un clima reso ancor più esplosivo dai finanziamenti che il Qatar a pioggia catapulta sui movimenti islamisti. Conflitti politici, terrorismo, emergenza immigrazione: a sette anni dalla rivoluzione che ha posto fine al lungo regime di Gheddafi, la Libia è dunque ancora assai lontana dal raggiungere la stabilità interna, restando una grave fonte d’insicurezza per il Mediterraneo e per l’Italia in particolare. Quello che occorre fare in questo senso è prima di tutto capire, comprendere i nodi e i legami, verificare quel che sappiamo e studiare il medio termine.
Con la Tavola Rotonda “L’Italia e il Risiko Libia”, che si è tenuta sabato 17 Febbraio alle 17.30 presso l’Antica Biblioteca Valle a Roma, il Centro Culturale “Averroè” va proprio nella direzione di promuovere una nuova riflessione sulle sfide e sulle prospettive riguardanti il complesso scenario libico. Un confronto aperto, franco e a largo raggio fra analisti, esperti e giornalisti che prenderanno in esame gli aspetti fondamentali della crisi, insieme al ruolo dell’Italia quale partner privilegiato della Libia nel favorire la riconciliazione nazionale, il mantenimento dell’integrità territoriale, la ricostruzione e lo sviluppo socio-economico del Paese. Il pericolo da scongiurare è quello che io definisco la ’’algerizzazione’’ della Libia, con il rischio della creazione di una sacca di jihadismo, condita con una crisi migratoria incontrollata, ancora più esplosiva di quanto già non sia. In Nordafrica e specialmente in Marocco questo pericolo lo hanno capito da tempo e in questi giorni si terrà un summit contro il radicalismo e il jihadismo, con alla testa gruppi organizzati di donne. Segno che l’instabilità libica sta generando il timore di contagio non solo in Europa, ma anche in tutta la fascia rivierasca nordafricana.
Scritto da Costantino Pistilli - Pubblicato sul numero 2 del 2018 nel Il Corace

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