Niente
lacrime. Non dalle parti del Nazzareno, non da quelle del teatro
Vittoria dove sabato 19 Febbraio si è consumata la scissione del PD
e dal PD di Pier Luigi Bersani, Roberto Speranza, Enrico Rossi, e in
un primo momento anche Emiliano, prima di una raffica di giravolte
che alla fine lo hanno portato a candidarsi alla guida del PD,
insieme al ministro Andrea Orlando.
Massimo D’Alema aveva già
dato, per quanto presente, e Pisapia con il suo “campo di sinistra”
in parte ha dato e in parte darà il 12 Marzo, alla sua convention.
Niente lacrime, come quelle mitiche di Occhetto quando sciolse il
PCI, Bolognina 1989, o di altri scissionisti, bruttissimo termine, in
altre epoche. Solo un accenno corale ma sentito delle note di
“Bandiera Rossa”, tanto per ricordare che al cuore non si
comanda. Ma nulla di più. Però che strana questa scissione della
minoranza PD, a “rate” come ha titolato “Il Fatto
quotidiano”, a piccole dosi, l’ultima della quale è arrivata
nella giornata di sabato 25 con Vasco Errani che sa cosa lascia ma
non sa ancora quello che trova perché , anche lui, come altri, sta
valutando.
Una scissione senza lacrime nulla toglie alla drammaticità
e alla sofferenza di una scelta che riguarda il più grande partito
italiano, e sicuramente il più importante della sinistra europea.
“Una scissione che somiglia molto a quelle coppie in crisi che a
un certo punto decidono di separarsi per un periodo con il solito
pretesto, a volte però valido”: “devo riflettere”. Non è
neanche una sensazione se, in modo molto esplicito sono in tanti a
dire “staremo a vedere”, ”dipende dall’esito delle elezioni”,
“lavoriamo ad un campo aperto del centrosinistra anche se non sarà
un nuovo Ulivo”: dichiarazioni indiziarie, che messe in
fila fanno una prova: se Renzi perde le primarie si ritorna nel
Partito.
Ora ci si allontana “per vedere di nascosto l’effetto
che fa”. A parlar chiaro, come sempre, anzi con il suo consueto
cinismo è Massimo D’Alema: “Se Orlando vince le primarie, le
cose possono cambiare”. Orlando chi? Andrea Orlando, già
dalemiano, poi “giovane turco” con Orfini e renziano, poi non più
dalemiano, poi non più tanto giovane, e ancor meno Turco, ed ora
neanche più renziano. Spara palle di fuoco contro l’ex premier.
Ora però il ministro della Giustizia sembra volersi giocare la sua
carta, “buttandosi a sinistra” citando il mitico Totò. Quanto
basta per allertare D’Alema e metterlo in aspettativa.
L’altro
candidato, molto più sanguigno di Orlando, Emiliano, punta ad un
voto più trasversale, ma nei giorni precedenti alla scissione si è
incartato in un gioco tattico che gli ha fatto perdere simpatie.
Esco, no, resto, esco di nuovo, va bè resto e mi candido. Il tutto
in meno di 12 ore, l’equivalente di mezza giornata. Il dato vero è
tutto politico ed è pure semplice: lo statuto prevede che se nessun
candidato alle primarie supera il 50% a scegliere il segretario sarà
l’assemblea nazionale. Ed è questo il vero obiettivo di Orlando e
Emiliano. Questa cosa è chiara a tutti, persino a Renzi. Se le cose
stanno così, se questo è lo stato dell’opera al momento in cui
scriviamo, la domanda più ovvia è: ma allora perché scindersi?
Perché non combattere dall’interno?
A volte le domande complesse
hanno risposte semplici: perché Renzi ha trasformato questo Partito
in una qualcosa di geneticamente modificato, che può essere una
scelta giusta o sbagliata, ma lo ha fatto. Con scelte di politica
economica soprattutto ma anche istituzionali e di altra
natura, che di fatto hanno totalmente bypassato i valori di
riferimento della sinistra. Quello che è venuto meno al PD è stata
la capacità di connettersi con la sua gente, prima ancora che con il
Paese, con la storia e la memoria di questo popolo che era ed è
fatto di milioni di uomini e donne giovani e anziani. E questo
strappo della memoria, delle radici, in una fase storica epocale dove
tra l’altro forte è il richiamo alle identità contro una
difficile gestione della globalizzazione, si è poi innestato con un
disagio dei giovani e di larghe fasce sociali sulle grandi
problematiche del lavoro e dell’occupazione. Renzi ha elaborato
l’idea che questo cambiamento potesse avvenire senza la
partecipazione dei militanti, senza strutturare e rilanciare il
Partito.
Dinanzi a questo quadro la sinistra del PD, quelli della
“Ditta”, per capirci, non potevano ulteriormente indugiare. Il
grande tema che si era posto ed è posto è la necessità o meno
della sinistra nella società e il suo valore politico. Per la
sinistra, nelle sue varie sfumature, è da questo orizzonte che si
legge il populismo, il grillismo, il salvinismo, ma anche il
trumpismo: per Renzi la soluzione era la scorciatoia delle elezioni
anticipate con vittoria del PD e quindi elezioni a Giugno. E per
assicurarsi la vittoria era ed è pronto anche a giocarsi la carta
populista.
Sullo sfondo si agita la questione Governo: questione
paradossale, di quelle che fanno impazzire i corrispondenti della
stampa estera. La riassumiamo così: il Governo Gentiloni,
considerato fotocopia del governo Renzi e da Renzi voluto, e
criticato dalla sinistra dem, ora è difeso dalla sinistra dem
(Nicola Stumpo, bersaniano di ferro, su Repubblica lo conferma (“i
nostri 38 deputati alla camera e 13 al Senato saranno
di sostegno alla maggioranza”): e Renzi non vede l’ora di farlo
cadere: “Paolo stai sereno”, sarà già pronto il tweet? Come è
possibile tale alchimia?
Facciamo un tentativo estremo di scriverlo
papale papale: Renzi ha messo su questo governo in fretta e in furia
per poi andare alle elezioni ad Aprile o a Giugno. Aveva
sottovalutato Gentiloni, e soprattutto l’alleanza
Gentiloni-Mattarella, a cui si è aggiunto Napolitano con il suo
famoso epitaffio: “per far cadere un governo ci vogliono dei
motivi”. E il desiderio delle urne dell’ex premier non è certo
una buona motivazione.
Mattarella ha aggiunto: ci vuole un sistema
elettorale omogeneo per Camera e Senato, e il Presidente del
Consiglio ha premesso, discorso di insediamento alla Camera: “Un
Governo va avanti sino a quando il Parlamento non lo sfiducia”.
Nel
frattempo è successo che: Gentiloni si sta facendo spazio, con
sottile e democristiana autonomia, l’ex minoranza vuole logorare
Renzi e sa che l’unico modo per farlo è far durare il governo in
carica, i cinque stelle nonostante tutti i loro guai non hanno subito
alcun tracollo significativo, e soprattutto Berlusconi necessita di
tempo per risolvere le sue pratiche con Salvini e con quel bel tomo
di Vivendi, che sta scalando Mediaset.
Giusto o sbagliato far durare
questo governo, il quarto non eletto dal popolo?
Dipende con che
occhi si guarda la cosa. O con l’occhio politico o con l’occhio
del cittadino italiano che vede: disoccupazione in forte aumento
(dati INPS), ricostruzione zone terremotate quasi a zero, problemi
seri con l’Europa che rischia di portarci ai livelli della Grecia e
della Spagna. Giudicate voi cosa serve di più a questo Paese.