mercoledì 22 febbraio 2017

PD: UNA SEPARAZIONE PIU' CHE UN DIVORZIO ASPETTANDO IL CONGRESSO

Niente lacrime. Non dalle parti del Nazzareno, non da quelle del teatro Vittoria dove sabato 19 Febbraio si è consumata la scissione del PD e dal PD di Pier Luigi Bersani, Roberto Speranza, Enrico Rossi, e in un primo momento anche Emiliano, prima di una raffica di giravolte che alla fine lo hanno portato a candidarsi alla guida del PD, insieme al ministro Andrea Orlando.
Massimo D’Alema aveva già dato, per quanto presente, e Pisapia con il suo “campo di sinistra” in parte ha dato e in parte darà il 12 Marzo, alla sua convention.

Niente lacrime, come quelle mitiche di Occhetto quando sciolse il PCI, Bolognina 1989, o di altri scissionisti, bruttissimo termine, in altre epoche. Solo un accenno corale ma sentito delle note di “Bandiera Rossa”, tanto per ricordare che al cuore non si comanda. Ma nulla di più. Però che strana questa scissione della minoranza PD, a “rate” come ha titolato “Il Fatto quotidiano”, a piccole dosi, l’ultima della quale è arrivata nella giornata di sabato 25 con Vasco Errani che sa cosa lascia ma non sa ancora quello che trova perché , anche lui, come altri, sta valutando.
Una scissione senza lacrime nulla toglie alla drammaticità e alla sofferenza di una scelta che riguarda il più grande partito italiano, e sicuramente il più importante della sinistra europea.

Una scissione che somiglia molto a quelle coppie in crisi che a un certo punto decidono di separarsi per un periodo con il solito pretesto, a volte però valido”: “devo riflettere”. Non è neanche una sensazione se, in modo molto esplicito sono in tanti a dire “staremo a vedere”, ”dipende dall’esito delle elezioni”, “lavoriamo ad un campo aperto del centrosinistra anche se non sarà un nuovo Ulivo”: dichiarazioni indiziarie, che messe in fila fanno una prova: se Renzi perde le primarie si ritorna nel Partito.
Ora ci si allontana “per vedere di nascosto l’effetto che fa”. A parlar chiaro, come sempre, anzi con il suo consueto cinismo è Massimo D’Alema: “Se Orlando vince le primarie, le cose possono cambiare”. Orlando chi? Andrea Orlando, già dalemiano, poi “giovane turco” con Orfini e renziano, poi non più dalemiano, poi non più tanto giovane, e ancor meno Turco, ed ora neanche più renziano. Spara palle di fuoco contro l’ex premier. Ora però il ministro della Giustizia sembra volersi giocare la sua carta, “buttandosi a sinistra” citando il mitico Totò. Quanto basta per allertare D’Alema e metterlo in aspettativa.

L’altro candidato, molto più sanguigno di Orlando, Emiliano, punta ad un voto più trasversale, ma nei giorni precedenti alla scissione si è incartato in un gioco tattico che gli ha fatto perdere simpatie. Esco, no, resto, esco di nuovo, va bè resto e mi candido. Il tutto in meno di 12 ore, l’equivalente di mezza giornata. Il dato vero è tutto politico ed è pure semplice: lo statuto prevede che se nessun candidato alle primarie supera il 50% a scegliere il segretario sarà l’assemblea nazionale. Ed è questo il vero obiettivo di Orlando e Emiliano. Questa cosa è chiara a tutti, persino a Renzi. Se le cose stanno così, se questo è lo stato dell’opera al momento in cui scriviamo, la domanda più ovvia è: ma allora perché scindersi? Perché non combattere dall’interno?

A volte le domande complesse hanno risposte semplici: perché Renzi ha trasformato questo Partito in una qualcosa di geneticamente modificato, che può essere una scelta giusta o sbagliata, ma lo ha fatto. Con scelte di politica economica soprattutto ma anche istituzionali e di altra natura, che di fatto hanno totalmente bypassato i valori di riferimento della sinistra. Quello che è venuto meno al PD è stata la capacità di connettersi con la sua gente, prima ancora che con il Paese, con la storia e la memoria di questo popolo che era ed è fatto di milioni di uomini e donne giovani e anziani. E questo strappo della memoria, delle radici, in una fase storica epocale dove tra l’altro forte è il richiamo alle identità contro una difficile gestione della globalizzazione, si è poi innestato con un disagio dei giovani e di larghe fasce sociali sulle grandi problematiche del lavoro e dell’occupazione. Renzi ha elaborato l’idea che questo cambiamento potesse avvenire senza la partecipazione dei militanti, senza strutturare e rilanciare il Partito.
Dinanzi a questo quadro la sinistra del PD, quelli della “Ditta”, per capirci, non potevano ulteriormente indugiare. Il grande tema che si era posto ed è posto è la necessità o meno della sinistra nella società e il suo valore politico. Per la sinistra, nelle sue varie sfumature, è da questo orizzonte che si legge il populismo, il grillismo, il salvinismo, ma anche il trumpismo: per Renzi la soluzione era la scorciatoia delle elezioni anticipate con vittoria del PD e quindi elezioni a Giugno. E per assicurarsi la vittoria era ed è pronto anche a giocarsi la carta populista.

Sullo sfondo si agita la questione Governo: questione paradossale, di quelle che fanno impazzire i corrispondenti della stampa estera. La riassumiamo così: il Governo Gentiloni, considerato fotocopia del governo Renzi e da Renzi voluto, e criticato dalla sinistra dem, ora è difeso dalla sinistra dem (Nicola Stumpo, bersaniano di ferro, su Repubblica lo conferma (“i nostri 38 deputati alla camera e 13 al Senato saranno di sostegno alla maggioranza”): e Renzi non vede l’ora di farlo cadere: “Paolo stai sereno”, sarà già pronto il tweet? Come è possibile tale alchimia?
Facciamo un tentativo estremo di scriverlo papale papale: Renzi ha messo su questo governo in fretta e in furia per poi andare alle elezioni ad Aprile o a Giugno. Aveva sottovalutato Gentiloni, e soprattutto l’alleanza Gentiloni-Mattarella, a cui si è aggiunto Napolitano con il suo famoso epitaffio: “per far cadere un governo ci vogliono dei motivi”. E il desiderio delle urne dell’ex premier non è certo una buona motivazione.
Mattarella ha aggiunto: ci vuole un sistema elettorale omogeneo per Camera e Senato, e il Presidente del Consiglio ha premesso, discorso di insediamento alla Camera: “Un Governo va avanti sino a quando il Parlamento non lo sfiducia”.

Nel frattempo è successo che: Gentiloni si sta facendo spazio, con sottile e democristiana autonomia, l’ex minoranza vuole logorare Renzi e sa che l’unico modo per farlo è far durare il governo in carica, i cinque stelle nonostante tutti i loro guai non hanno subito alcun tracollo significativo, e soprattutto Berlusconi necessita di tempo per risolvere le sue pratiche con Salvini e con quel bel tomo di Vivendi, che sta scalando Mediaset.
Giusto o sbagliato far durare questo governo, il quarto non eletto dal popolo?
Dipende con che occhi si guarda la cosa. O con l’occhio politico o con l’occhio del cittadino italiano che vede: disoccupazione in forte aumento (dati INPS), ricostruzione zone terremotate quasi a zero, problemi seri con l’Europa che rischia di portarci ai livelli della Grecia e della Spagna. Giudicate voi cosa serve di più a questo Paese.

Scritto da Emilio Magliano - Pubblicato sul numero 2 del 2017 nel "Il Corace"

sabato 11 febbraio 2017

SI CONTINUA CON GLI EQUIVOCI?

Fra i compiti della Polizia Locale ci sono quelli di “polizia giudiziaria”, “sopralluoghi e rapporti su richiesta di Organi e/o Enti esterni e uffici interni” e “vigilanza edilizia ed annonaria”.
Come avevamo preannunciato, il 29 dicembre scorso abbiamo inviato al Comandante della Polizia Locale, per opportuna conoscenza e per quanto di competenza, quattro articoli pubblicati sul nostro mensile e precisamente quelli titolati “Remettàmole a “cantone”!”, “Chiedere trasparenza non significa appoggiare!”, “Nessuna risposta, nuove domande” e “Chi è preposto al controllo?”.

Ancora non abbiamo risposta. Sappiamo che a seguito della nota è stato sentito il nostro Presidente e, a quanto ci risulta, anche l’Ing. Luca Cerbara e l’Arch. Vincenza Ballerini. L’argomento principale per cui è stata iniziata questa attività di polizia giudiziaria è la vicenda cosiddetta EUROSPIN.
Per quanto ci riguarda abbiamo evidenziato anche altre vicende. Sicuramente il Comandante avrà provveduto ad eseguire gli opportuni accertamenti. Auguriamoci non si sia limitato a far proprio quanto dichiarato dai suoi colleghi comunali. Sarebbe un paradosso! Il Comandante della Polizia Locale di Cori, a seguito dell'attività di polizia giudiziaria, risponda cortesemente a queste domande.

- Ha rilasciato l’autorizzazione amministrativa per l’apertura di una media struttura di vendita n. 1102 dell’1/7/2016 all’EUROSPIN, tra l’altro in detta autorizzazione fa riferimento alla Delibera di Giunta n. 128 del 28/6/2016 (cosa tratta detta Delibera?), ha poi verificato l’agibilità del locale oggetto dell’attività commerciale?
- All’epoca era anche Responsabile del SUAP, quindi non ritiene che ciò comportava una evidente incompatibilità (controllore-controllato?)?
- Ha verificato sulla nuova delimitazione del centro abitato diretta all’apertura dell’EUROSPIN (pare esserci richiesta di parere da parte della Provincia di Latina e dell’Ufficio Tecnico Comunale di Cori)?
- Ha verificato relativamente alla legittimità del fabbricato oggetto di demolizione?
- Ha verificato sulla regolarità o meno della costruzione del fabbricato destinato a EUROSPIN, della rotatoria e sulla pavimentazione di Via Annunziata?
- Ha rilasciato parere in merito alla segnaletica realizzata sia per la rotatoria sia per la pavimentazione di Via Annunziata? Ha verificato chi ha eseguito i lavori in Via Annunziuata e la rotatoria?
- Ha verificato l'esistenza del Piano Particolareggiato approvato dalla Giunta quale atto propedeutico per la esecuzione dell'opera?
- Ha verificato se la ditta costruttrice dell'immobile ha pagato gli oneri di monetizzazione?
- Ha verificato se i lavori sono conformi a quelli autorizzati dopo la presentazione del fine lavori?
- Perché ha rilasciato l’autorizzazione n. 1102/2016 per un’attività commerciale di oltre 1000 mq quando il nostro PRG nelle zone D1 consente un massimo di 1000 mq? Ha verificato l’esatta superficie commerciale dopo l’apertura?
- Se dette verifiche sono state effettuate, esistono i verbali sottoscritti in contradditorio con le parti e protocollati con data certa?

Secondo noi i controlli sono un atto dovuto quando c’è segnalazione così come è obbligatorio accertare e inviare alle Autorità competenti eventuali Notizie di Reato. A tal proposito fa seriamente riflettere il contenuto di un Avviso datato 31 gennaio 2017 redatto e sottoscritto dal Comandante del quale abbiamo avuto conoscenza frequentando gli Uffici della Polizia Locale.
L’Avviso recita “…è stata sollevata la questione del fatto che almeno nell’ultimo anno e mezzo questo Comando non ha provveduto a inviare Notizie di Reato inerenti l’abusivismo edilizio. Nel ricordare che ciascun Agente ha l’obbligo giuridico di provvedere a tutti gli adempimenti di Polizia Giudiziaria inerenti fatti cui si è venuti a conoscenza, compresa la notizia di reato e che qualora non vi avesse adempiuto incorrerebbe nel reato di omissione di atti d’ufficio, INVITO entro il termine perentorio di 3 giorni a partire da oggi, a segnalare al sottoscritto qualunque atto o fatto rilevante sul presente argomento…”.

Quindi si è consapevoli che il mancato controllo potrebbe comportare una vera e propria omissione di atti d’ufficio. E allora? Perché un vuoto di un anno e mezzo per comunicare Notizie di Reato? Da chi è stato voluto detto ritardo pur risultando abusi edilizi nell’ambito del Comune di Cori? È una scelta del Comandante o una volontà politica degli attuali amministratori? L’omissione di atti d’ufficio vale per tutti o solo per gli Agenti? Gli amministratori cosa pensano di un fatto così eclatante? Quali provvedimenti prenderanno?
Rimetteremo al Comandante copia del presente articolo e di quello di Gennaio scorso, sempre con l’intento di contribuire a dare un aiuto per gli accertamenti cui è preposto e ai quali non può soprassedere. Chiediamo sempre al Comandante come è possibile che si pubblichino Determinazioni sul sito comunale senza il contenuto, invocando dati sensibili di dubbia veridicità. Poiché pare non sia il solo, chiediamo al Segretario Generale, garante della trasparenza, di intervenire in merito.

Al Segretario Generale chiediamo di farci avere, sempre per la trasparenza, la nota prot. n. 141/2016 a firma dell’Ing. Luca Cerbara con la quale si evidenziano ipotesi di irregolarità in ordine al rilascio di permessi e/o autorizzazioni a costruire a far data dall’1/1/2016.
La difficoltà a darci tale nota con i relativi allegati, richiesta da circa sei mesi, legittima il sospetto che c’è qualcosa da nascondere. Torneremo a parlare di bilancio, di urbanistica, di raccolta rifiuti solidi urbani e di altro nei prossimi numeri.

Ora una piccola divagazione riguardante Porta Ninfina. Riferiscono che con l’insediamento del nuovo Ente Carosello Storico nel 2016 a seguito dell’abbandono di parte dei componenti storici sia dell’Ente che delle Porte, componenti che risultano aver evidenziato una partecipazione poco democratica alla manifestazione da parte del Comitato di Porta Ninfina, condivisa a quanto pare anche dall’Amministrazione comunale, forse per ragione di voti, ecco che in prossimità delle prossime elezioni amministrative si vocifera in paese che verso questo Comitato dovrebbero arrivare ulteriori favoritismi economici da parte del Comune con la ristrutturazione della palazzina adiacente la Taverna per la realizzazione di un Laboratorio Teatrale.
Un Laboratorio dove sembra dovrebbero essere realizzati nuovi costumi per il Carosello, ma non solo per il Carosello, anche le altre Porte dovrebbero rivolgersi per la realizzazione dei propri costumi al citato Laboratorio. Un Laboratorio che forse, di fatto, favorirà anche un’attività privata? Per chi? Forse è la stessa persona, riferiscono dal Palazzo Comunale, cui pare sia stata promessa una stanza attigua al Museo per svolgere dei corsi? E per le altre Porte che cosa fa l’Amministrazione visto che risulta esserci ancora chi sta pagando di tasca propria l’affitto della sede? Si continua con gli equivoci?

venerdì 10 febbraio 2017

L PD SI SPACCA: PER IL PROPRIO MONDO E' DOLOROSO MA INEVITABILE

E venne così il giorno della resa dei conti (redde rationem) nel Partito Democratico con l’assemblea nazionale del 19 febbraio che ha sancito la spaccatura interna ed aperto le porte ad una scissione con parte di quella minoranza interna di sinistra, da sempre collocata contro il segretario, pressoché su ogni scelta fatta dallo stesso anche quando era presidente del consiglio.
Il rapporto tra il leader del partito ed ex premier e la sua minoranza interna di sinistra non è stato mai idilliaco, nemmeno quando Renzi ha colto il successo alle elezioni europee col partito al 41%, figurarsi quando si sono evidenziati problemi e si sono registrate sconfitte, fino al fatidico referendum costituzionale del 4 dicembre, perso nettamente dal premier, che ha avuto contro – tra i fautori del NO – quella parte di minoranza che di fatto è sempre stata all’opposizione del governo Renzi, boicottandone pesantemente politiche, riforme e progetti.

La minoranza PD ha sempre parlato di sinistra, rincorrendo fumose nostalgie del passato, senza però mai dare il senso di un approccio aggiornato alla realtà e complessità delle problematiche dell’attualità sociale e politica del Paese. Il semplice continuo riferimento alla sinistra, di per sé non è poi indice di volontà e capacità di rappresentare istanze e problemi dei più deboli e dei ceti popolari, ed infatti gli esponenti della c.d. sinistra PD non appaiono certo tra quelli che più abbiano realizzato nei fatti politiche di sinistra, usando per lo più la sigla solo per garantirsi carriere, ruoli, spazi, poltrone.
La verità è che Matteo Renzi è sempre stato visto come un alieno (ed un usurpatore) da parte di un ceto politico (per lo più post-comunista) che ha sempre considerato le altre culture (come quella cattolico-democratica) come subalterne, e che probabilmente non ha mai creduto fino in fondo alla novità rappresentata dal Partito Democratico sin dalla sua nascita, 10 anni or sono. In maniera diversa ed in situazioni diverse, è un po’ quello che è capitato anche con Romano Prodi.

Dopo il referendum costituzionale, e dimessosi Renzi da premier, il Partito Democratico non poteva continuare in una battaglia interna perenne, diventata peraltro stucchevole per tutta l’opinione pubblica ed incomprensibile soprattutto per iscritti ed elettori del partito. Ben venga pertanto un congresso in tempi brevi che consenta di selezionale una nuova classe dirigente e di presentarsi alle prossime scadenze elettorali con idee chiare e progetti ben definiti. Spiace che alcuni siano andati via (per andare dove, con chi e per fare cosa?), e con essi anche esponenti di primo piano del passato politico (come D’Alema e Bersani), ma un partito vive con regole chiare e soprattutto con un elementare principio democratico che è quello del rispetto di tutte le opinioni e – dopo la conta congressuale – anche della maggioranza votata, senza continue contrapposizioni da parte di chi è minoranza, e senza che quest’ultima saboti sistematicamente l’operato della dirigenza del partito e addirittura si ponga con posizioni ricattatorie.

Questo è purtroppo avvenuto e sta avvenendo in un PD il cui mondo è disorientato da beghe, spaccature e fuoriuscite che davvero non hanno alcun senso politico, se non quello di indebolire il centrosinistra rispetto alle altre due compagini contendenti (Movimento Cinque Stelle e Centro-Destra). Peraltro il tentativo di far apparire il PD di Renzi un qualcosa di diverso rispetto alle radici di sinistra che hanno contribuito alla sua fondazione è frutto di una bizzarra pretesa di chi si intesta spazi e storie che vanno ben oltre questo o quell’esponente: se ne sono andati D’Alema (sempre più rancoroso e sempre a capo da 20 anni di ogni congiura contro i leaders del momento) e Bersani (ma ve lo ricordate cosa riuscì a fare nel 2013 dopo le Elezioni Politiche?), ma figure autorevoli come Veltroni, Napolitano, Fassino, Finocchiaro – insieme a chi viene da altre storie, come Franceschini, Gentiloni e Renzi stesso, ed insieme a tutta una classe dirigente più giovane che vive con fastidio le vecchie appartenenze (Mogherini, Martina, Pinotti, Boschi, Orfini, Del Rio, ecc.) rappresentano una garanzia per un partito saldamente ancorato al mondo del centrosinistra, riformatore, non legato a vecchie nostalgie politicamente oggi improponibili, e che deve dimostrare di saper uscire dalle attuali sabbie mobili, riprendendo un’iniziativa politica forte, che guardi all’esterno ed ai grandissimi problemi della società italiana, e la smetta di guardare al proprio ombelico.

La situazione è difficile e non bella, e non solo per il futuro del Partito Democratico, ma per tutta la politica italiana, e ciò è secondo me la conseguenza della vittoria del NO al referendum, che ha di colpo fatto piombare la politica italiana nelle sabbie mobili del peggior passato, e che produrrà una difficilissima governabilità nel prossimo futuro, frutto di compromessi e mediazioni estenuanti (sempre che non vinca l’avventura targata Cinque Stelle): in questo quadro, che nel PD si faccia chiarezza e si elabori un chiaro progetto, è cosa auspicabile e pazienza se si è perso qualche pezzo di vecchia argenteria.

Scritto da Antonio Belliazzi - Pubblicato sul numero 2 del 2017 nel "Il Corace"

giovedì 9 febbraio 2017

CENTRI STORICI: PATRIMONIO DELL’UMANITÀ

L’Amministrazione comunale di Cori sta portando avanti un programma di recupero che riguarda i Centri Storici di Cori e Giulianello con la redazione di un importante strumento quale il Piano Particolareggiato e del Colore.

Il Piano si trova ormai in uno stato avanzato di analisi e progetto e nei prossimi mesi verrà presentato in un incontro pubblico alla presenza di tecnici e amministratori in modo da evidenziarne la metodologia e raccogliere nuovi input. Redigere un piano di recupero del Centro Storico presuppone un atteggiamento d’amore per la “città storica” e il riconoscimento di alcuni abitati come testimonianza storica permette di passare da un’idea di salvaguardia dai soli contenuti artistici a un’estensione in difesa dei documenti della storia, intesi appunto come beni culturali.
Questo significa superare l’idea attuata per episodi ed inquadrare il problema in termini più generali di contesto, rivolgendosi non al singolo capolavoro, ma al documento ed al contesto stratificato.

Pensare alla conservazione di un Centro Storico significa (e per una amministrazione diventa fondamentale), trasmettere alle generazioni future concetti e valori di un proprio patrimonio culturale. Non a caso, infatti, la Dichiarazione di Amsterdam del 1975 definisce il patrimonio architettonico dell’Europa “insostituibile per l’arricchimento della vita di tutti i popoli, nel presente e nel futuro” e si riconosce in esso la capacità di rappresentare un ambiente fondamentale per l’equilibrio e lo sviluppo culturale dell’uomo, costituendo un elemento essenziale della memoria dell’uomo attuale, che, qualora non fosse trasmesso alle generazioni future nella sua ricchezza e nella sua diversità, priverebbe l’umanità della coscienza del suo futuro.
Già nel 1967 la Commissione parlamentare di indagine sulla condizione dei beni culturali in Italia (Commissione Franceschini presieduta dall’On. Francesco Franceschini e non Dario attuale Ministro dei Beni Culturali) dichiarava di voler riconoscere al patrimonio storico, archeologico, artistico e paesistico un preminente valore di civiltà, assoluto, universale, tale da caratterizzarlo come patrimonio dell’umanità di cui ogni possessore singolo, ogni Paese, ogni generazione debbono considerarsi soltanto depositari, e quindi responsabili di fronte alla società, a tutto il mondo civile e alle generazioni future come elemento della sua educazione civica e come dovere umano.

Prima che si sviluppasse un’attenzione forte su questo tema, i Centri Storici erano stati oggetto di saccheggi e ricostruzioni prive di qualsiasi attenzione; dalla totale disattenzione si è passati poi alla quasi mummificazione È necessario, invece, favorire quelle trasformazioni che conservino la memoria del passato, ma nello stesso tempo consentano anche lo sviluppo delle attività proprie del nostro modo di vivere e di essere.
La condizione indispensabile perché i centri storici vengano conservati e vivano è quella di favorire l’uso e la fruizione più ampia degli spazi. Senza la presenza costante di persone che in quei luoghi risiedano, in assenza di attività, questi patrimoni non potranno essere trasferiti nel tempo. Non va inoltre dimenticato che il patrimonio architettonico costituisce un capitale, oltre che spirituale e culturale, anche economico e sociale di valore insostituibile.

Scritto da Giorgio Chiominto - Pubblicato sul numero 2 del 2017 nel "Il Corace"

mercoledì 8 febbraio 2017

LE POLITCHE DI TRUMP

Dal momento della sua candidatura - Donald Trump, per gli appassionati di araldica Drumf - ha portato scompiglio tra il popolo americano, in parte pronto al cambiamento del Presidente ed in parte timoroso del nuovo corso politico.
Tra tutti i partecipanti alla Corsa alla Casa Bianca, i due nomi che sin da subito hanno suscitato simpatie, antipatie e preoccupazioni per i loro programmi politici sono stati quelli di Hillary Clinton e Donald Trump, una del Partito Democratico e l’ altro del Partito Repubblicano.

Nonostante la scarsa fiducia data a Trump sulla possibilità di una sua riuscita, eccolo vincitore delle elezioni! E chi l’ avrebbe mai detto…
Ma davvero era così inaspettata l’eventualità che il suo nome fosse tra i favoriti, prima, e dati gli esiti della campagna elettorale, della sua vincita?! Non credo.. e per varie ragioni..

Trump ha fin da subito basato la sua campagna politica su alcuni temi delicati ed importanti, dato il contesto politico-economico e sociale in cui verte attualmente l’America; e non ha mai nascosto la sua contrarietà alle azioni dei suoi predecessori, accusandoli di non aver incentivato l’economia interna, anzi di averla sminuita con accordi commerciali poco incentivanti per le imprese americane, causando perdita di posizioni di mercato e posti di lavoro, spingendo le aziende a prediligere manodopera a basso costo, attuare delocalizzazione e quindi permettendo ad altre potenze di insinuarsi nelle scenario economico; e di avere permesso al terrorismo Islamico di prendere piede nel modo che, purtroppo, tutti conosciamo.

Vediamo nello specifico cosa ha proposto e cosa dovrebbe portare avanti il Signor Presidente degli Stati Uniti. In genere l’America è sempre stata in grado di influenzare, positivamente e/o negativamente l’economia, la società e la politica degli altri paesi del Mondo. Trump predilige una politica economica protezionistica, vale a dire una politica atta ad limitare gli scambi in entrata di beni e/o servizi in un Paese (importazioni), al fine di agevolare la politica economica interna, cioè dando rilevanza alle aziende del Paese e garantendone il loro sviluppo.
Chi è d’accordo con la politica Trump converrà che, se il protezionismo fosse stato applicato anche in Europa, ad esempio in Italia, non avremmo perso aziende importanti ed avremmo salvato una notevole quantità di posti di lavoro. Magari avremmo i nostri “cervelli migliori” al nostro servizio.

Pur vero è che per attuare tale politica occorrono manovre particolari e ben studiate, che tengano conto di ogni evenienza e che sappiano far fronte ai cambiamenti contestuali che ogni Stato cosiddetto moderno affronta periodicamente e ciclicamente, anche se purtroppo non si riesce mai ad ottenere appieno il risultato sperato. Non credo sia questa la sede per discuterne approfonditamente, ma ne prendo spunto per dire che, se davvero le intenzioni di Trump sono quelle dichiarate e se davvero riesce nel suo intento, l’America potrà a divenire più forte che mai (citando il motto della campagna elettorale dell’ attuale Presidente “Make America Great Again”).

Tema ben più delicato invece è quello dell’ immigrazione clandestina. A tal proposito è necessario scindere la questione degli immigrati provenienti dal Sud America da quelli invece provenienti dai Paesi esteri; nel primo caso si parla di realtà difficili, legate alla povertà ed all’assetto socio-economico, che spingono le persone ad abbandonare la terra natia per migliorare il loro status.
Il problema è che se ciò avviene clandestinamente, non si ha possibilità di far valere i diritti di queste persone e, dall’altro, non si può garantire una gestione del caso a trecentosessanta gradi. Questo per dire che gli stessi clandestini potrebbero incappare in situazioni lavorative apparentemente favorevoli, che in realtà nascondono salari bassi, contratti inesistenti ed orari di lavoro inusuali, da una parte; dall’ altra casi di razzismo, traffici di armi, donne e sostanze stupefacenti, oltre che fatti perseguibili per legge.
L’ arrivo di clandestini inoltre implica costi di gestione notevoli che gravano sulle casse dello Stato e dei cittadini, come accade in Italia. Da qui la tanto chiacchierata idea del Presidente di portare a termine il famoso “muro” che dovrebbe permettere la riduzione del flusso migratorio dai Paesi Sudamericani nella zona nord dell’America, così da poter controllare il fenomeno dell’immigrazione reale e da poter attuare politiche ad hoc, insieme al Decreto Anti-Immigrati, firmato il 26 Gennaio. Tale Decreto, che ha come obiettivo il rimpatrio di persone aventi fedina penale sporca ed irregolari, dovrebbe permettere la riduzione dei clandestini di una notevole quantità; gli arresti si sono concentrati in alcune città, tra cui Atlanta, New York e Chicago.

Un’altra politica di Trump è il controllo dell’ingresso in America di immigrati provenienti da alcuni degli stati islamici, per limitare e quindi evitare, l’ingresso di cellule terroristiche sul suolo americano, rafforzando, con ulteriori leggi, la sicurezza interna.
Il fenomeno degli attentati e la crescente paura hanno provocato tra la popolazione un’avversione verso la religione islamica - Islamofobia - poiché gli usi e costumi islamici non sono pienamente in sintonia con quelli occidentali e quindi si teme una mancata integrazione a livello sociale. L’aggravante di questo fenomeno è la paura. Che sia reale o percepita, la paura è lo stato d’animo che tutto il mondo prova alla pronuncia della parola ISIS, che erroneamente, si collega a tutte le persone di religione islamica.
Premettendo che non tutti gli islamici sono a tal punto estremisti da considerare giusto ciò che fanno i componenti del sedicente stato islamico, c’è da riconoscere che la preoccupazione è viva e costante. Le orribili esperienze accadute in Europa e nella stessa America, nonché le vicende interne ai Paesi per antonomasia islamici, rendono comprensibile la riluttanza all’ospitare persone di questa religione. Ovviamente generalizzare i comportamenti non porta mai a nulla, ma bisogna capire che in questo momento è difficile trovare sistemi efficaci ed efficienti di controllo e prevenzione, dato che a queste minacce di natura diretta, c’è il problema dell’influenza filo-religiosa che queste persone attuano attraverso i nuovi canali mediatici, scegliendo persone che potrebbero essere interessate a determinati comportamenti, un po’ per noia, per avventura o per ingenuità.

Quindi, a mio parere, più che vietare incondizionatamente l’ingresso a tutte le persone di religione islamica, o di qual si voglia religione, si dovrebbe tessere una rete politico-militare con tutti i Paesi del mondo, per poter rintracciare in maniera adeguata gli spostamenti delle persone che si spostano da un Paese all’altro, a prescindere dal motivo per cui lo facciano, senza dimenticare il rispetto della libertà umana.
Detto ciò, i movimenti Anti-Trump sono evidenti e molteplici, con ripercussioni interne ed esterne all’America stessa, come quelli femministi, che potrebbero essere giustificati da un credo sociale che trova limiti di applicazione morale; e politici, che trovano giustificazione nel voler esprimere un parere diverso o semplicemente un ordine da parte dei partiti.
Ci saranno sicuramente altri mormorii, discussioni, problemi e fatti di rilevanza internazionale, e mi viene in mente una riflessione: si critica molto la volontà di Trump di costruire un muro di confine tra Stati Uniti e Sud America lungo circa milleseicento chilometri per bloccare l’immigrazione, che in realtà già aveva preso vita nel lontano 1990 con la Presidenza Bush ed in seguito dalla Presidenza Clinton per agevolare il lavoro della frontiera, dicono alcuni e per evitare invasioni immigratorie rilevanti, dicono altri. Certo è che ci sono stati molti morti nei tentativi di superare tale muro, come il recente suicidio di un clandestino che stava per essere rimpatriato.

Mi pongo delle domande e le faccio anche a voi: davvero Trump è il “mostro” di cui si parla? Non stiamo parlando di una persona che crede nel suo Paese e nelle sue potenzialità, al punto tale da attuare politiche che, sebbene criticabili, potrebbero salvare le imprese statunitensi e creare o confermare posti di lavoro? E’ sbagliato voler assicurare agli immigrati dei diritti, purché questi siano regolari? E’ sbagliato assicurarsi che le persone che visitano l’America, per un breve o lungo periodo, lo facciano nel rispetto delle regole del Paese in cui si trovano, sicuri che non farebbero del male a nessuno? O forse… dovremmo prendere esempio da questo?

Scritto da Eleonora Angelini - Pubblicato sul numero 2 del 2017 nel "Il Corace"

martedì 7 febbraio 2017

CONCORSO ''AD HOC''

Sono stati selezionati, tramite concorso indetto dalla Regione Lazio riservato a soli medici non obiettori, i due medici che prenderanno servizio al S. Camillo di Roma per garantire la piena applicazione della legge 194, in materia di interruzione volontaria della gravidanza.

“Se chi ha vinto il concorso farà obiezione nei primi sei mesi dopo l’assunzione, potrebbe rischiare il licenziamento perché sarebbe inadempiente rispetto al compito specifico per cui è stato chiamato’’, sono le parole del Direttore Sanitario.
L’iniziativa della Regione Lazio è del tutto nuova ed ha suscitato diverse reazioni: chi la vorrebbe estesa alle altre regioni come garanzia della libertà di scelta della donna; chi invece la contesta per diversi motivi tra cui quello discriminatorio.

Immaginiamo cosa sarebbe successo se qualcuno avesse indetto un concorso per soli obiettori?
Allora sì che si sarebbe trattato di discriminazione! La Ministra della Salute ha criticato tale iniziativa non ritenendo possibile “reclutare personale sanitario con contratti a tempo indeterminato chiedendo tra i requisiti l’essere non obiettore. Si tratterebbe di una modalità discriminatoria di reclutamento del personale”, in quanto per legge il medico può cambiare idea nel corso della sua carriera.
Critiche arrivano anche dal fronte della difesa della vita. In particolare la Conferenza Episcopale Italiana ritiene che “la decisione di assumere al S. Camillo di Roma medici dedicati all’interruzione di gravidanza, impedendo loro dunque l’obiezione di coscienza, snatura l’impianto della legge 194 che non aveva l’obiettivo di indurre all’aborto ma prevenirlo.
Predisporre medici appositamente a questo ruolo è un’indicazione chiara ... Con il bando non si rispetta un diritto di natura istituzionale quale è l’obiezione di coscienza.

Il Ministero della Salute ha fatto recentemente un’indagine (2015) appurando che il numero di medici non obiettori risulta sufficiente per coprire ampiamente la domanda di interruzioni volontarie di gravidanza”.
Infatti gli aborti volontari sono il 20%, le nascite il 70%, pertanto il numero dei medici non obiettori risulta adeguato alle esigenze. Il Presidente nazionale dei ginecologi cattolici ritiene che ci sia “una cultura di fondo che vuole impedire di obiettare e, ad esempio, di aiutare le donne, informandole sui traumi che seguono all’aborto”.

Il ricatto sottile è finalizzato a sanzionare la coscienza: si parla di libertà e diritto della donna, ma non si nomina mai il figlio, perché?
In fondo l’obiezione è rispetto a questo, cioè è obiezione alla soppressione di una vita. Vedremo i risvolti di questa ennesima forzatura e distorsione, fatta per garantire libertà e diritti a senso unico, della donna (?) e mai del bambino, invocata per garantire piena attuazione di una legge che è “licenza di uccidere”.

“Sono traumatizzato dalla legalizzazione dell’aborto, perché la considero, come molti, una legalizzazione dell’omicidio. Nei sogni, e nel comportamento quotidiano... io vivo la mia vita prenatale, la mia felice immersione nelle acque materne: so che là io ero esistente... Che la vita è sacra è ovvio: è un principio più forte ancora che ogni principio della democrazia... Io considero non reali i principi su cui in genere i progressisti fondano la loro lotta per la legalizzazione dell’aborto... che è una enorme comodità per la maggioranza... ma la maggioranza... ha sempre torto: perché il suo conformismo è sempre, per propria natura, brutalmente repressivo”.
(Pier Paolo Pasolini, 1975)

Scritto da Letizia Carpineti - Pubblicato sul numero 2 del 2017 nel "Il Corace"

lunedì 6 febbraio 2017

IL CORAGGIO DELLA LOTTA

Ogni uomo è un angolo del ring. In ogni angolo si consuma una tragedia, una lotta, una conquista, una vittoria. Ogni angolo ci rimette in piedi o ci fa barcollare per poi lasciarci cadere a terra. In fondo ci insegna a campare, a gestire la sopraffazione della vita, perché siamo “bestie dentro una giungla”, destinate alla rissa.

Quella che si è disputata il 30 ottobre 1974 allo Stade Tata Raphael fu la rissa più elegante che il mondo della boxe aveva mai visto prima. I due pesi massimi George Foreman e Muhammad Alì si scontrarono per riconfermare, nel caso di Foreman o riottenere, nel caso di Alì, il titolo di campione del mondo. L’esito di quell’incontro è a tutti noi noto, come è nota la valenza simbolica di quella vittoria.
Una vittoria che non fu del singolo, ma della collettività.

E’ interessante indagare, a tal proposito, il segno gestuale delle dita “a V”, che simbolicamente carico di significato, ha mutato la sua accezione nel corso del tempo. Si pensi che, prima di diventare segno di “vincita”, sul finire dell’ottocento la sua ostensione derivava dal fatto che i francesi avessero l’abitudine di tagliare ai prigionieri inglesi le dita che servivano per tirare con l’arco.
Ma la vittoria ha sempre due facce. Per uno che vince c’è la controparte che perde. E se la vittoria d’Alì fu una vittoria collettiva, la probabile perdita di un altro Alì, un Alì arabo, appena ventenne, rischia di mostrarsi come una perdita mondiale.

Ali Mohammed Baqir al-Nimr.

Reato: aver partecipato ad una delle tante manifestazioni della primavera araba. Quindi sommossa, incitamento alla rivoluzione, vilipedio contro il Re dell’Arabia Saudita. In due parole: aver espresso un desiderio di libertà, un’esigenza primaria che sta diventando, invece, una condizione primitiva.
Viene arrestato nel febbraio del 2012 per dei reati compiuti nel 2011 – quando aveva 17 anni – durante la primavera araba.
Nella cella viene torturato, finché il dolore non è tanto forte da mischiarsi col sapore del sangue pesto tra i denti. Ali confessa reati che non ha commesso.

Pena: condanna a morte. Prima decapitato e poi crocifisso in pubblica piazza. La stessa sorte che ad altri, prima di lui, è già toccata. Viene in mente la frase d’apertura di Sarban, che inizia il suo romanzo “Il richiamo del corno” con l’espressione: “E’ il terrore ad essere indescrivibile”.
In questa frase, Sarban, spiega nel corso del romanzo, che non c’è terrore più lancinante che quello di essere cacciati come prede. E mentre ci fu un Alì che rappresentò l’onestà del combattimento, della lotta e il senso della vittoria, oggi ce n’è un altro che rischia di diventare un’icone come la statua acefala di Samotracia. C’è un Alì dentro ognuno di noi. Alì, Alì bomaye

Scritto da Fabio Appetito - Pubblicato nel numero 2 del 2017 nel "Il Corace"

sabato 4 febbraio 2017

ALL’UNIVERSITÀ TRE STUDENTI SU QUATTRO SONO SEMIANALFABETI!

L’APPELLO DI 600 DOCENTI AL GOVERNO 


Oggi 4 febbraio è uscita la notizia su tutte le maggiori testate, della lettera che oltre 600 docenti universitari, accademici della Crusca, linguisti, storici, filosofi, sociologi ed economisti hanno inviato al governo e al parlamento per chiedere “interventi urgenti” per rimediare a quello che ritengono essere il collasso progressivo della scuola e della lingua italiana.

È chiaro ormai da molti anni che alla fine del percorso scolastico troppi ragazzi scrivono male, leggono poco e faticano a esprimersi oralmente. Da tempo i docenti universitari denunciano le carenze linguistiche dei loro studenti (grammatica, sintassi, lessico), con errori appena tollerabili in terza elementare”.

Tre studenti universitari su quattro non sanno scrivere in italiano corretto, risultando di fatto semianalfabeti. Una tragedia nazionale, che altro modo di definirla non c’è, non percepita né dall’opinione pubblica, né dalla stampa, figuriamoci dalla classe politica!

È francamente avvilente trovarsi di fronte ragazzi che vogliono intraprendere la professione di giornalista o insegnante e presentano povertà di vocabolario, scrivono come se stessero redigendo un sms, non conoscono né usano la grammatica. Non sanno cosa siano congiunzioni e avverbi e li buttano lì a caso in frasi sempre più orfane di logica espressiva. Ignorano, si arrangiano con i tempi dei verbi e gli aggettivi, per non parlare della punteggiatura, con virgole e punti messi a casaccio. Faticano a formalizzare un concetto al tempo stesso compiuto e coerente, con la conseguenza di una limitata capacità ad esprimersi”.

Questo gli universitari, provate a immaginare gli altri giovani che all’Università non vanno! UN AIUTO DAI POLITICI?
Intanto mi chiedo come potrebbe mai intervenire un governo su una situazione così estesa e radicata, individuata a partire dalle elementari fino all’ultimo anno delle superiori, a cui nessuno si oppone o protesta, tutt’altro… Una scuola che non obbliga ad uno studio rigoroso, ad alunni e famiglie piace così com’è, sfornare cioè semianalfabeti con titolo di studio. È pur vero che le lingue per loro natura sono sempre in costante evoluzione-devoluzione, basti pensare al passaggio dal latino al “volgare”, che poi è diventato nel corso dei secoli la nostra amata lingua.
Ma qui, badate bene, stiamo parlando di universitari, cioè coloro che saranno la classe dirigente del futuro! Medici, avvocati, insegnanti ecc. Non si può tollerare nel modo più assoluto che uno studente universitario scriva e si esprima come un bambino!

Naturalmente tutta la responsabilità non può essere addossata agli alunni, anzi… Metodi di insegnamento obsoleti, lezioni noiose, tecnologia usata poco e male, buonismo e promozioni facili, tutto questo favorisce il disamore e il disinteresse per la lingua italiana e la scuola in generale. Ma la cosa paradossale è che questa lettera è stata indirizzata proprio ai politici! Cioè coloro che hanno tutto l’interesse che il popolo rimanga ignorante, così da manovrarlo e manipolarlo al meglio!
Avete sentito il ministro Poletti il mese scorso? È bene che i cosiddetti cervelli si tengano a distanza. Meglio che se ne vadano dall’Italia, sono pericolosi, con la loro intelligenza possono intralciare i loro loschi piani: collusioni col malaffare, traffici illeciti, debito pubblico spaventoso, giustizia lumaca, aiuti alle banche, stipendi, vitalizi e pensioni d’oro, illegalità diffusa, corruzione, inefficienza dello Stato, referendum fregatura, disoccupazione record dei giovani, migranti allo sbaraglio, opere incompiute, colpevoli spesso impuniti, pubblica amministrazione da incubo, fannulloni e assenteisti, sprechi giganteschi, miseria, degrado, sporcizia, inquinamento, e via dicendo…

C’è da aver paura di questa gente qui! Basta guardare il livello culturale dei nostri politici, spesso messi alla prova da Striscia la notizia e le Iene, per rendersi conto a che livello siano arrivati. Se se ne vuole una prova si ascolti il linguaggio povero, misero del ceto politico di qualunque schieramento esso sia.
Si è passati dal “politichese”, la lingua del nulla degli anni 80/90 dei vari Craxi, Forlani e compagnia bella (ricordate?), triso di parole ricercatissime, a esattamente l’opposto, ma sempre incomprensibile.

Sentite ad esempio il discorso di questo consigliere comunale del Municipio III di Roma, ripreso mentre sta parlando di sicurezza: “Considerando sette tavoli pochi perché siamo quindici municipi, di cui uno principale sede delle istituzioni e gli altri due a due. Ma scusate… dov’è la difficoltà? Ma voi pensate che forse il ladro, il delinquente, chi fa la movida e tanti altri… oppure chi a un certo punto… i zingari. Pensate che ogni municipio possa gestire i suoi? Ma secondo voi i ladri stanno solo nel quarto? Sono tutti del quarto? I ladri si muovono da una parte all’altra, ragazzi miei”.
Il video è subito diventato virale sul web, scatenando una miriade di polemiche. L’ “oratore” poi si è giustificato dicendo che non sapeva di essere ripreso! Sì perché altrimenti? Forse non avrebbe aperto bocca… per la vergogna! Questo è solo l’ultimo dei tanti interventi ripresi nelle aule comunali. Se vi volete divertire un po’, fatevi un giretto su internet. Ce ne sono a decine! E voi, cervelloni della Crusca, volete che proprio i politici facciano qualcosa? Ma fatemi il piacere…

Scritto da Pino Varone - Pubblicato nel numero 2 del 2017 nel "Il Corace"

venerdì 3 febbraio 2017

LA MARTIRE BAMBINA


Ha 13 anni Giuseppina. E’ una bambina studiosa e diligente, che grazie anche all’amore della sua famiglia, fino a quei maledetti giorni di fine aprile del 1945 ha vissuto un’infanzia serena.

I Ghersi sono proprietari di un piccolo negozio di frutta e verdura in quel di Savona e quando i partigiani si presentano alla porta della loro casa chiedendo materiale di medicazione, il padre di Giuseppina non esita a fornire loro tutto quello che riesce a mettere insieme. E’ il pomeriggio del 25 aprile. Il giorno successivo i coniugi Ghersi si recano, come di consueto, al loro negozio. Ma vengono fermati per la strada da due partigiani armati, che li portano al Campo di concentramento di Legino. Poco dopo vengono arrestati anche gli altri componenti della famiglia tranne la piccola Giuseppina, in quel periodo ospite di alcuni amici. Non c’è quindi più nessuno che possa testimoniare contro coloro che, indisturbati, depredano il negozio e la casa dei malcapitati.

Nel frattempo i Ghersi chiedono ai partigiani i motivi della loro detenzione e viene loro risposto che si tratta di un semplice controllo e che hanno bisogno di interrogare anche la loro figlia che, vincitrice di un concorso, aveva ricevuto una lettera con i complimenti del Segretario particolare del Duce.
In realtà credono che sia una spia al servizio del regime fascista.

Convinti della buona fede di chi li aveva arrestati, i coniugi accettano di essere accompagnati a prendere la piccola. Ma quando tornano al Campo di concentramento, si consuma un dramma che ancora oggi suscita orrore e disgusto: Giuseppina e la sua mamma vengono infatti stuprate e ripetutamente picchiate ed il papà è costretto ad assistere allo “spettacolo” e anche lui viene percosso su schiena e testa con il calcio di un fucile.
Per tutta la durata della violenza, gli aguzzini, non contenti di quello che avevano già razziato, gli chiedono più volte di rivelare il nascondiglio di altro denaro e preziosi. Alla fine di quella terribile giornata, i coniugi Ghersi vengono condotti al Comando partigiano locale che, nonostante a loro carico non fosse emerso nulla, li rinchiude in carcere.

Per Giuseppina, rimasta sola nelle mani di quelle belve, si consumano purtroppo altri giorni di atroci sofferenze. Che hanno termine il 30 aprile 1945, quando viene finita con un colpo di pistola e gettata su un mucchio di altri cadaveri davanti alle mura del Cimitero di Zinola.
Qui viene notata da un signore, che descrive la visione di quel piccolo corpo martoriato con parole tremende: “Era un cadavere di donna molto giovane – scrive Stelvio Murialdo – ed erano terribili le condizioni in cui l’avevano ridotta. Evidentemente avevano infierito in maniera brutale su di lei. L’orrore era rimasto impresso sul suo viso, una maschera di sangue con un occhio bluastro tumefatto e l’altro spalancato sull’inferno”.

La vicenda di Giuseppina Ghersi è stata dettagliatamente ricostruita grazie alla coraggiosa pazienza del papà, che il 29 aprile 1949 ha presentato al Procuratore della Repubblica di Savona un esposto di sei pagine scritte a mano. Pagine che molto probabilmente non riescono a rendere la tremenda sofferenza patita da quella bambina, la cui storia è drammaticamente simile a tante altre, generate da un odio cieco e disumano che ancora oggi alcuni tendono a giustificare, mascherandolo da “azione di guerra giusta e necessaria per combattere il nazifascismo”.



Scritto da Valentina Borro - Pubblicato sul numero 2 del 2017 nel "Il Corace"

giovedì 2 febbraio 2017

LINEE GUIDA PER UN’ ATTIVITÀ FISICA IN CASO DI OBESITÀ

L’obesità è una condizione medica in cui si è accumulato del grasso corporeo in eccesso nella misura in cui esso può portare ad un effetto negativo sulla salute. E’ ovvio che anche in questo caso una buona e sana attività fisica può migliorare lo stato di salute della persona obesa.

E’ consigliabile sentire il parere di un medico prima di intraprendere un nuovo programma di attività fisica. Se siete sedentari da molti anni, e non avete praticato regolarmente attività fisica negli ultimi tempi, iniziate un programma di allenamento poco impegnativo ed aumentate gradualmente l’intensità. Per permettere un ottimale consumo di grassi, scegliete di praticare sport di durata, a medio bassa intensità. Evitare attività ad alto impatto come la corsa, che possono sollecitare eccessivamente le articolazioni, preferire sport come il nuoto, il ciclismo, e la marcia.

Includere qualche esercizio di stretching per migliorare la propria flessibilità, ma evitare di allungare eccessivamente la muscolatura. Evitare di allenarsi durante le ore più calde del giorno, evitare gli ambienti troppo umidi o troppo freddi. Camminare su superfici piane con calzature appropriate. Sebbene le attività di tipo aerobico siano le più efficaci per dimagrire, qualche esercizio di tonificazione generale vi aiuterà a mantenere inalterata la massa muscolare evitando un eccessivo calo del metabolismo basale. Interrompere immediatamente l’esercizio e consultare un medico in caso di: eccessiva sudorazione abbinata a brividi, irregolarità cardiache, pesante senso di affanno o oppressione e capogiri.

ATTIVITÀ CONSIGLIATE: sport aerobici a basso impatto, come ciclismo, nuoto, passeggio e simili abbinati ad esercitazioni di stretching e di tonificazione;

INTENSITÀ DI ESERCIZIO: da bassa a moderata, evitare attività troppo intense;

FREQUENZA DEGLI ALLENAMENTI: da tre a cinque sedute settimanali;

DURATA DELLA SEDUTA: 10 minuti di riscalda- mento + 10-20 minuti di tonificazione + 40-50 minuti di attività cardiovascolare + 5 minuti di stretching.

Bibliografia: Il manuale del Personal Trainer-ed. Centro Studi la Torre; www.wikipedia.org 2013


Scritto da Andrea Pistilli - Certified Personal Trainer Istruttore ICYFF™ - Indoor Cycling and Fitness Federation - Pubblicato sul numero 2 del 2017 nel "Il Corace"