lunedì 4 marzo 2019

L'IMPLOSIONE DEI CINQUE STELLE E IL RAPPORTO CON LA DEMOCRAZIA REALE

C'è una rivoluzione in corso nel MoVimento 5 Stelle. Tale rivoluzione riguarda in una prima lettura la nuova organizzazione che i pentastellati intendono darsi: strutture territoriali, segretari regionali, possibilità di andare oltre i due mandati, alleanze con liste civiche, una cabina di regia che di fatto sarebbe una segreteria nazionale. Insomma un Partito. In questa prima lettura si manifesta l'esigenza di rispondere a quella che loro chiamano una frenata alle regionali in Abruzzo e Molise, ma che in realtà trattasi di una vera e propria batosta se si raffrontano quei dati con quelli del 4 marzo dello scorso anno. Elezioni politiche dalle quali sembrano essere trascorsi non dodici mesi ma anni, tanti sono stati gli scenari politici stravolti; prima di tutto l'avanzata travolgente della "Lega" dal 17% al 32%.
Ma non è del voto del Molise che intendiamo scrivere: è evidente che lì la destra ha stravinto trainata dal partito di Salvini, abilissimo nel tenere insieme Berlusconi e la Meloni, alla quale ha concesso il nuovo governatore della Regione, e nel contempo nel rinsaldare, anche se solo formalmente l'alleanza di governo con i Cinque Stelle. Quello su cui intendiamo ragionare è la seconda lettura della rivoluzione in casa grillina o ex grillina. Intendiamo per seconda lettura l'approfondimento delle motivazioni vere della crisi dei pentastellati e della loro perdita graduale di identità. La nostra opinione è che dentro questa perdita ci stanno anche le ragioni della palese subalternità alla Lega e lo smarrimento conseguente del suo elettorato.
Come spesso accade in politica la crisi cova, camuffata, sotto le ceneri della demagogia (o anche di provvedimenti non del tutto negativi, qualcuno positivo, come il reddito di cittadinanza e la caparbietà nel volerci vedere chiaro sulla Tav); per poi esplodere nelle sue fondamenta strutturali su episodi specifici. In questo caso la scintilla è stata la decisione da dover prendere se consentire alla Magistratura il procedimento contro Matteo Salvini per "sequestro di persona" a proposito della vicenda della nave "Diciotti". Di Maio e il suo entourage avevano due possibilità: autorizzare o non autorizzare. Un "Sì" o un "No". Di solito la democrazia parlamentare funziona così. Anzi sempre, non di solito. C'è una richiesta, la Commissione Parlamentare preposta si riunisce e valuta. Ed a valutare sono i parlamentari che essendo tali sono stati eletti dal popolo. Cioè lo rappresentano, come è ben descritto nel primo articolo della Costituzione. I Cinque Stelle avevano un dilemma: o essere coerenti con uno dei principi fondamentali del loro "non statuto" (come lo definiscono) per il quale tutti sono uguali dinanzi alla legge, e votare sì alla richiesta, lasciando poi che la giustizia facesse il suo corso; oppure opporsi, salvando il Ministro dell'Interno. Per farlo dovevano rispondere ad un quesito: se l'operato del Ministro dell'Interno era stato dettato da preminente interesse pubblico per lo Stato o da motivazioni personali.
In due parole: per farsi propaganda politica. Una decisione impegnativa perché un "sì" alla richiesta avrebbe potuto anche provocare la caduta del Governo. Bene, la linea scelta da Di Maio è stata quella, inedita nella storia delle Repubblica, di affidarsi alla piattaforma Rousseau, cioè al voto dei militanti: un referendum (con un sì che era no e viceversa) su una vicenda delicatissima che sarebbe spettata alla competenza della Politica. Una decisione che sarebbe piaciuta a Ponzio Pilato che, un paio di migliaia di anni fa ebbe la stessa strepitosa idea rivolgendo al popolo la fatidica domanda: volete libero Cristo o Barabba? È finita come tutti sappiamo. Lungi da noi qualunque opinione e paragone, i lettori se ne saranno fatta una loro, ma è evidente che l'esito del voto, di per sé preceduto già da una valanga di polemiche non solo esterne ma anche e soprattutto interne al Movimento, ha fatto esplodere, con il suo esito, un movimento spaccato quasi metà, (ben 40% per l'autorizzazione a procedere) la domanda irrisolta e non più rinviabile del rapporto tra Cinque Stelle e Democrazia: per davvero una forza di Governo, con le sue legittime ambizioni, pensa di bypassare la corretta rappresentanza democratica, uscendo fuori dalle pratiche che la nostra Costituzione prevede? E si pensa per davvero dif arlo ricorrendo costantemente al ricorso referendario su di una piattaforma, diciamolo pure, ambigua ed approssimativa (che anche nel corso delle votazioni ha mostrato tutti suoi limiti?).
Una roba del genere non sta né in cielo né in terra: al massimo in quel purgatorio dove le "anime belle" dei "Cinque Stelle" rischiano di restarci a lungo se non mettono mano in modo concreto, e non solo a parole, alla rivoluzione annunciata che deve servire a raggiungere tre obiettivi: ritrovare una identità ponendo fine al vassallaggio verso la Lega; decidere se essere veramente forza di governo e muoversi dentro i binari delle democrazie europee, ritornando ad essere una forza di popolo, anche antagonista all'attuale "ordine europeo" ma facendo da argine alle derive populiste reazionarie ed eversive, impregnate di razzismo e xenofobia, e non alleandosi con esse, ominimizzare il loro pericolo; riconoscere non semplicemente il dissenso interno, ma la ragion d'essere della dialettica e del pluralismo come punto forte della crescita del Partito. Insomma, devono scegliere cosa vogliono fare da grandi. Altrimenti corrono il rischio serio di non arrivarci neanche alla maggiore età.
Scritto da Emilio Magliano - Pubblicato sul numero di Febbraio 2019 del Il Corace

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