lunedì 4 marzo 2019

IO SONO MIA

È il 1989. Quarantotto ore prima del Festival di Sanremo, l'anno del grande ritorno di Mia Martini. C'è chi sussurra alle spalle. Chi stringe un corno rosso in una mano. Chi sospira e chi cerca di aggrapparsi a tutto ciò che l'ha sempre mantenuto in vita: la musica. Si, perché Domenica Rita Adriana Bertè, chiamata dagli amici Mimì, non ha mai avuto paura di dire: "Se non canto muoio", perché per lei la cosa più importante è sempre stata quella, la sua musica, la sua voce, il suo cantare. Ed è questo che l'ha mantenuta in vita fino alla fine, fino a quel tragico 14 Maggio 1995, dove è stata ritrovata priva di vita, nella sua casa/rifugio, ascoltando la sua musica.
Il film è un ritratto intimista di una donna con una grandissima umanità, tradita dal suo stesso mondo, ma che fino alla fine ha combattuto tenendo la testa alta, anche quando non ne poteva più degli altri, facendo l'unica cosa di cui non avrebbe mai potuto fare a meno: cantare. Il 1989 è stato l'anno in cui questa grande voce del panorama italiano, riconosciuta e amata in tutto il mondo, torna a solcare il palco dell'Ariston provando, con tutta se stessa, ad abbandonare l'ombra di angoscia, le ferite e la delusione, che gente appartenente a quello stesso palco le ha gettato contro, per invidia o forse per paura del coraggio e dell'emancipazione di una donna forte e scomoda, costringendola alla reclusione per quasi quindici anni. La vita di Mia Martini non è stata una vita facile. Riccardo Donna prova, riuscendoci, ad omaggiare questo personaggio complesso con una pellicola che sembra essere quasi una lettera di scuse nei confronti di Mimì per non aver fatto abbastanza, per non esserle stati più vicini e aver lasciato che una bugia, una parola sbagliata, la portasse lontana da quel mondo, che nei suoi pregi e difetti aveva sempre amato. IO SONO MIA porta sul grande schermo e trasmette al pubblico il ritratto di un'artista, il profilo unico e inimitabile di una donna appassionata e tenace, ma al tempo stesso arrabbiata e delusa; una donna ferita ma che non ha mai voluto smettere davvero di combattere, una "piccola" e fragile donna che chiedeva due semplici cose: di essere amata e di essere ascoltata. Complessa, capricciosa, ribelle. Irriverente, caotica, immensa.
Chi era davvero Mia Martini? Anzi, chi era Mimì? Quella ragazzina che cantava da bambina chiusa nella sua stanza con una spazzola in mano e un giradischi in funzione, lasciando le urla di un padre troppo burbero fuori dalla sua esistenza. Un padre con il quale Mimì si è sempre scontrata, un padre al quale ha chiesto scusa cento volte per quella canzone, quella prima canzone che ha iniziato a farla conoscere al mondo; un padre che, in fondo, ha amato con tutta se stessa, portando quelle sopracciglia così folte e distintive proprio per lui. Mimì è quella ragazza arrivata a Roma a soli vent'anni per rincorrere il suo sogno: cantare. C'è stato il jazz, poi la prima grande etichetta discografica, quella di Crocetta (nel film interpretato da Antonio Gerardi). Il primo singolo e il primo successo con "Piccolo Uomo". I primi cambiamenti, dal lungo capello nero al biondo dalle sopracciglia fini. La scelta del nome, Mia come la sua attrice preferita, e Martini come il famoso cocktail. E dopo l'arrivo di Minuetto, il successo internazionale e la ricerca spasmodica di un grande amore. Tutto questo raccontato dalla stessa Martini, in quell'89, tra le strade di Sanremo, in un'intervista con una giornalista che non era venuta lì neanche per lei ma per Ray Charles, e che poi ha scoperto l'ennesima sfumatura di Mimì Bertè.
Scritto da Andrea Pontecorvi - Pubblicato sul numero di Febbraio 2019 del Il Corace

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