martedì 1 dicembre 2020

IL CAMPO DELLA POLITICA, IL CAMPO DI MARADONA

Questo articolo lo stavamo scrivendo riflettendo sugli Stati Generali dei Cinque Stelle e sul dibattito interno alla destra, che sta vedendo Forza Italia sempre più staccata dalle posizioni intransigenti della Lega e di Fratelli d'Italia, e mentre eravamo alla tastiera è arrivata, come un fulmine a ciel sereno, la notizia della morte di Diego Armando Maradona, El Pibe de Oro e, insieme a Pelè, il più grande calciatore di tutti i tempi. 

Tutti i tg nonché i giornali italiani, argentini e del mondo hanno immediatamente, nella loro versione on line, dato notizia a pagina intera e in titoli e servizi di apertura, della scomparsa di questo mito del calcio. E lo hanno fatto con collegamenti da Napoli e dall'Argentina: le due patrie di questo ragazzino nato povero e diventato leggenda che nella sua storia, stroncata a 60 anni, ha incrociato gli altari e la polvere, la gloria del calcio e le sconfitte della vita, il bene e il male. Molti opinionisti, ma anche cittadini comuni, in modo particolare, hanno considerato eccessivo la reazione non tanto degli argentini, cosa comprensibile, ma dei partenopei. "Lo hanno fatto santo subito" sono stati alcuni dei commenti, e qualcuno di questi ci è parso molto in malafede, come se attraverso questa profonda ed intensa commozione, che sicuramente ha  avuto ed ha dei risvolti da riti pagani, si sia voluto, ancora una volta, trasformare una connessione sentimentale tra Napoli e un suo mito, in una solita sceneggiata folcloristica. Chi scrive questa nota mensile su "Il Corace" è napoletano. E lo è in modo verace essendo nato in un quartiere, quello di San Lorenzo, che è il cuore del capoluogo campano. E crediamo di avere le carte in regola per affermare che solo i napoletani possono capire cosa ha significato Diego Armando Maradona per la loro città: una speranza di riscatto, una figura carismatica, uno scugnizzo argentino che è arrivato a Napoli a fare lo scugnizzo napoletano. 



Chi non è napoletano non può capire. Gli anni nei quali il fuoriclasse argentino è stato a Napoli sono stati gli anni in cui Palazzo San Giacomo era amministrato da gente di malaffare nel vero senso della parola: da politicanti che hanno spremuto la città e i relativi finanziamenti, che dall'Europa e dal governo centrale arrivavano, come un limone. Era la Napoli della fine degli anni '80 e dei cosidetti viceré, della trimurti Di Donato-Pomicino-De Lorenzo che hanno straziato la metropoli più bella del mondo, in un connubio criminogeno con la camorra e con affaristi e speculatori della peggiore razza: era una Napoli dove "a nuttata non passava mai" nonostante Eduardo De Filippo, metaforicamente, chiudeva il suo capolavoro "Napoli Milionaria" (ambientato nel dopoguerra) con la famosa frase "adda passà a nuttata". I napoletani non credevano più nel riscatto mentre tangentopoli, che avrebbe fatto piazza pulita di questi lugubri personaggi, era ancora lontana. Maradona divenne da subito il simbolo del riscatto, l'uomo che doveva togliere lo "scuorno dalla faccia di questa città", era il Maradona del "pensaci tu ca se non succede mò nun succede più". Un riscatto civile, etico, politico, economico che passava attraverso il calcio? Certo, una grande e collettiva illusione. Ma una città che crede al miracolo del suo Santo Protettore, San Gennaro, (perché con quello ha firmato un contratto vero, come gli storici e gli studiosi di antropologia sanno), perché non avrebbero dovuto credere in un miracolo nolto più alla portata e laico, e cioè lo scudetto alla squadra del cuore? E Maradona il miracolo lo ha fatto: due scudetti, un paio di coppe, ma soprattutto un sogno e una gioia continua nel vederlo sbeffeggiare, ogni domenica, nei campi di gioco, i grandi squadroni del nord. Ma Diego è stato anche quello che accettava partite di beneficenza e quello che si faceva vedere in giro per il mondo a difendere i più deboli, ad abbracciare capi rivoluzionari e bambini poveri, il Papa e i poveri cristi. Tra questi abbracci non è riuscito ad evitare quello micidiale con la camorra e quello mortale con la droga, diretta conseguenza del primo. E poi tanti errori personali. 

Ma dire che i napoletani hanno dimenticato i suoi errori è errato. I Napoletani hanno onorato e stanno onorando il calciatore, il mito, la leggenda, colui che ha fatto sognare una intera città. Per poi riportarlo alla dimensione umana nel riconoscergli tutti i suoi torti. Quello che i cittadini stanno onorando non è Dio sulla terra, ma è un Deo pagano, secondo una tradizione che affonda nella notte dei tempi e che ha visto sempre la cultura popolare  partenopea mescolare fede e paganesimo. Ecco perché, come ha ricordato anche Roberto Saviano su "La Repubblica",  "chi non è napoletano non può capire". 

In questo articolo avremmo dovuto parlare di politica: è di oggi giovedì 26 novembre la notizia che le opposizioni hanno votato alla Camera e al Senato lo scostamento di bilancio: ha funzionato il monito di Berlusconi che su questo punto, cioè il sostegno alla manovra economica del  governo, avrebbe rotto con la coalizione se la destra non si fosse presentata compatta. Avremmo dovuto parlare dei Cinque Stelle sempre più allo sbando, ma con un Di Maio che ha ripreso il controllo del movimento, sostenuto da Fico, allontanandosi sempre di più da Di Battista e da Casaleggio, dall'ala destra e comunque anti PD dei pentastellati, avremmo dovuto discutere del PD con Zingaretti stretto tra l'esigenza oggettiva di passare da un accordo di legislatura ad un vero e proprio patto strategico con i Cinque Stelle e la consapevolezza che l'impressione generale è che le carte le stia dando Di Maio, mentre cresce la protesta della base dem. E avremmo dovuto scrivere di Conte e della sua partita in solitaria che sino ad oggi ha provato a giocarsi, anche se con l'appoggio del ministro Gualtieri (dem), ma ora sembra allo stremo. E avremmo dovuto scrivere del governo che vive di rinvii proprio su quelle decisioni che servono urgentemente ai cittadini e all'economia del paese, in una fase di riacutizzazione dei contagi covid che espone l'Italia, come tutta l'Europa, a prospettive allarmanti. E avremmo voluto occuparci anche delle elezioni americane con un Trump recalcitrante ad ammettere l'ormai scontata e riconosciuta da tutti vittoria di Biden. Una vittoria che potrebbe essere l'inizio della fine per tutti i sovranismi occidentali ed invertire la rotta aprendo nel mondo e in Europa nuove speranze. Avremmo voluto, ma abbiamo solo accennato. Perché anche per noi la precedenza e lo spazio andava a Maradona, la mano de Dios, El Pibe de Oro, lo scugnizzo argentino all'ombra del Vesuvio.

Scritto da Emilio Magliano - Pubblicato sul numero 8 del 2020 del "Il Corace"

Nessun commento:

Posta un commento