mercoledì 8 novembre 2017

LA MIA BANCA

È straordinario pensare a quanta fiducia ci sia nel mondo. Quando attraversiamo la strada, quando mangiamo al bar, quando ci facciamo curare. L’amicizia, l’amore, il rapporto di lavoro: tutto si basa sulla fiducia.
Fidarsi, appoggiarsi agli altri, è un meccanismo naturale: da quando nasce l’uomo è pronto ad affidarsi a qualcuno. Fidarsi è indispensabile, il paradosso è che è anche rischioso. Ma a volte - che volete - in un mondo così complesso, non si può controllare tutto, forse non ne avremmo il tempo e sicuramente non ne abbiamo voglia. In economia e in finanza la fiducia, l’affidabilità e la correttezza delle istituzioni sono alla base degli scambi. Non c’è contratto che potrà mai rassicurarci abbastanza.

Da poco, poi, abbiamo accresciuto la fiducia nelle opinioni altrui, in quelli che scelgono come noi. Ci fidiamo, insomma, di altri, anche se lontani e sconosciuti, che sono generatori di reputazione e di affidabilità. Ma la fiducia si porta dietro la prudenza, quando dubitiamo, ci interroghiamo. Spesso, in modo rapido e inconsapevole, facciamo valutazioni istantanee, basate sul non verbale, o sulle esperienze vissute. È la prudenza che guida il giudizio (Platone la chiamava ‘saggezza’ e la attribuiva all’anima razionale).
Veniamo ai tempi nostri: la fiducia del piccolo risparmiatore tradito, l’ansia di chi ha dei soldi su un conto corrente e ascolta preoccupato un telegiornale. Ci siamo accaniti come belve a Facebookare l’ultimo dei video virali in cui il direttore di un’agenzia promuoveva la banca per cui lavorava. L’invito che vi faccio è a pensare a quell’espressione che si sente tutti i giorni, quando all’amico o al collega sfugge di dire ‘la mia banca’. Non soltanto un slogan pubblicitario fortunato ma una vera e propria esperienza personale capace di generare identificazione, coinvolgimento, senso di gratitudine e, in qualche caso, orgoglio e appartenenza. Da cliente, non da dipendente. Un’esperienza di profonda fiducia, radicata dentro di noi e della quale siamo sempre poco consapevoli. Fiducia, prudenza. Manca un’ultima parola. Memoria. Quella che dobbiamo conservare dei tempi recenti. E’ possibile infatti allenare le menti dei cittadini a dimenticare, a cambiare idea su quello che è successo. Modificando il ricordo, concentrandolo su aspetti meno dolorosi, suggerendo di vivere il presente, costruendo nuovi ricordi felici, superando, insomma, un’esperienza traumatica. E quello che non fa il produttore di ricordi con la fedina sporca lo fa il nostro cervello, pronto a guardare con ottimismo al mondo, anche qui per effetto di meccanismi vitali innati.  Perché di fiducia si vive. Ma si può anche morire.

Scritto da Antonio Cajelli - Pubblicato sul numero 8 del 2017 nel "Il Corace"

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