martedì 1 dicembre 2020

SOLIDARIETA’ AI CITTADINI E AL SINDACO DI CORI

 (Comunicato Stampa - Cori, 20 novembre 2020)

Solidarietà: in primo luogo a tutte le famiglie che hanno perso una persona cara, che ora si muore senza il calore di una carezza, senza il rito di un saluto. Solidarietà: a chi sta male di qualunque male, per le condizioni di solitudine, terribili ed inaccettabili. Solidarietà: a tutti gli anziani confinati nelle loro case, lasciati soli per amore. Solidarietà: a tutti coloro che nelle RSA avrebbero voluto per i loro cari una fine dignitosa; noi, nella RSA di Cori, contiamo tredici bare partite per destinazioni ignote di cimiteri anonimi per senza nome, solidarietà per chi non conosciamo e non conosceremo mai più. Solidarietà: a chi lavora nelle RSA, negli Ospedali, nei servizi di emergenza, nelle strutture sanitarie, vere o finte, come quella che è rimasta a noi, nonostante le lotte e l’impegno di tanti. Solidarietà: a chi fa le pulizie, agli operatori ecologici, ed ai medici, agli infermieri, agli operatori sanitari. Solidarietà: ai giovani e ai bambini, ai quali sono sottratti gli spazi di crescita. Solidarietà: a tutti i nostri concittadini, alla nostra comunità e al nostro Sindaco, Mauro De Lillis, per il compito che la vita gli ha assegnato in questo tragico passaggio della storia, per aver scelto, anche, di proteggere tutti con un bidone giallo, porta a porta, perchè in quel bidone c’è la potenza della cura. La nostra comunità, con tutti i suoi difetti di paese, il sapere tutto di tutti, ha profonde radici di solidarietà. L’accanimento mediatico di questi giorni è una bestemmia, un’eco spaesata nel silenzio della stampa verso la verità negata di tutti i giorni. Perchè è giornalettismo quello che insegue il dito ma non la luna: un’ossessione compulsiva verso una non notizia. C’è una tv spazzatura che si trova a proprio agio nel “trash”, nel rifiuto speciale, in quel bidoncino giallo, come un maiale che gongola nel proprio letame, e finirà come sappiamo. Non inseguiamo la noia del povero giornalista di turno: cambiamo canale, ma soprattutto, e sta in noi, cambiamo storia.

Scritto dal Comitato Civico Cori - Pubblicato sul numero 8 del 2020 del "Il Corace"

GIALLO A CORI

 Me ne andavo “scazzarienno” per il borgo avvertendo la confortante consapevolezza di essere un privilegiato. Sole ed aria fresca. Caffè di qualità da Ciotto e Gigi. Saluti educati da parte delle vecchiette sedute a “capare” verdure e fagioli. Dall’alto l’ubertosa distesa pontina la cui visione mi faceva riconciliare con “Madre terra” troppo spesso sfigurata e saccheggiata. Cori mé bbéglio! Vivere qui per un “metropolitano” incallito come me suona come un premio immeritato. Ovviamente luci ed ombre qui, ma le prime son di gran lunga superiori alle seconde. Insomma...vedi Cori e poi ci resti (se puoi). Toh! Guarda quei bei bidoni giallo limone fuori alcune case... i soliti raccomandati penso con disincanto...hanno addirittura i contenitori per differenziare gli agrumi penso d’acchito o saranno per i noccioli delle squisite olive locali? Prima o poi arriveranno a tutta la cittadinanza queste macchie di colore plastificate che sanno di pulito. Che ideona avallata dall’amministrazione comunale o da qualche ente locale. Pochi soldi nelle casse ma grande attenzione alla raccolta dei rifiuti. Li morté..che efficienza. Chiedo, complimentandomi per la genialata, ad un “indigeno” (archetipo universale) che sa tutto di tutti e mi becco un perentorio “te tesse ncorbo, cucco!” che punisce giustamente la mia ingenuità. Scopro con stupore che quei contenitori giallo abbacinante sono destinati ai coresi la cui positività al Covid è stata registrata. Una specie di "hic sunt dracones" che certifica la presenza in quello stabile di uno sventurato che si scopre malato e additato. Ci sarà di sicuro qualcuno che, a differenza mia, plaudirà a questa iniziativa e da parte mia massimo rispetto, ma io sono di opinione opposta. Avevo solennemente giurato di non parlare più di pandemia e c. sulle colonne di questo mensile ed anzi mi ero ufficialmente espresso sulla eccessiva proliferazione di articoli sull’argomento. Ma qui il Covid c’azzecca zero. Il tema centrale e direi unico è, in questa vicenda, il diritto alla tanto conclamata Privacy. I rifiuti di un malato (qualunque sia la patologia) vanno diversificati da un sano? Ma soprattutto, sul malato va accesso un “occhio di bue” pubblico che ne indica lo stato? A mio avviso NO! Sono segnali cromatici inquietanti. La stampa nazionale di sicuro sottolineerà questa trovata con interventi politico-sociologici che facilmente sfoceranno in accuse, velate e non, di sprovvedutezza e insipienza umana e politica. La delicatezza e la cura verso chi si è preso il Covid sono il primo dovere di una comunità. La malattia non è una colpa che va ufficializzata “coram populo”. In un tempo cattivo si segnavano le case “pericolose” con scritte e simboli, oggi si usa un innocuo bidoncino, il cui valore (disvalore) è intriso di tristezza e avvilimento. Si poteva consegnare ai "covidosi" una busta capiente e anonima da ritirare con discrezione e solidarietà concreta. Bastava un po’ di Grazia. La quarantena non è un reato e chi la vive merita accudimento da parte della comunità intera. “Dagli addosso all’untore” sa di giustizialismo e persecuzione. Il giallo lasciamolo al sole che presto riscalderà i nostri cuori malati. 


Pubblicato sul numero 8 del 2020 del "Il Corace"

CONDANNE POETICHE

 In un bar, a volte, si possono conoscere persone interessanti. Altre volte, no. “Ma scusi, a lei non è mai capitato di dubitare dell’esistenza di dio?”. Il barista, che era evidentemente affaccendato, non sapeva bene cosa rispondere e frettolosamente disse “Sì, ma non ci ho mai fatto caso”. Quel signore, l’altro che aveva appena finito del caffè, ringraziò, alzò il cappello, se ne andò e disse “Io ci ho fatto caso, ma anch’io ne dubito tuttora”. Adesso, quel signore, se imposto da varie norme contro la libertà del dubbio, non avrebbe mai iniziato la conversazione, non avrebbe mai fatto aggrottare la fronte al barista, né probabilmente sarebbe entrato a prendersi un caffè. Neanche questa storia sarebbe mai iniziata, quella che state ascoltando, né tantomeno chi fa arte si sarebbe mai preso la briga di farla. Kant diceva che l’arte bella è un’arte che ha il suo scopo in se stessa e che promuove la cultura delle facoltà dell’animo, e non l’arte che fa semplicemente ‘piacere’ o che riproduce una serie di operazioni. È così che il poeta palestinese Ashrad Fayadh è stato condannato a morte, dopo 22 mesi di detenzione ad Abha, in Arabia Saudita. Tutto nasce dall’interpretazione che è stata fatta del suo libro, “Le istruzioni dentro”, per cui viene accusato di pensieri eversivi. In realtà, come tiene a precisare l’artista, è una poesia che nasce dal suo essere un rifugiato palestinese e dei suoi dilemmi esistenziali. Ashrad Fayadh è un rifugiato palestinese, ha genitori apolidi e ha dedicato la propria giovane vita nel far conoscere artisti sauditi nel mondo. È accusato di aver dubitato dell’esistenza di dio, per cui di apostasia. Le organizzazioni internazionali che operano per la difesa dei diritti umani sono subito insorte, nonché di moltissimi artisti nel mondo. La poesia è sotto attacco, si dice. Sorte simile per certi versi è quella toccata a Mohammad Al-Ajami, poeta del Qatar, condannato all’ergastolo per aver incitato nei propri versi all’eversione. Il messaggio è chiaro: bisogna avere delle sicurezze nella vita. Vietato dubitare, giusto asservirsi al pensiero imposto da un certo tipo d’intellighenzia. Vietato far vedere la realtà nelle sue sfumature. Vietato rendersi indipendenti: il pensiero unico. Ciò che vediamo, in particolare, è un puzzle impossibile, in cui si colloca in un certo modo la stessa vita di Fayadh: il vuoto ‘vacante’ di Assad (parte di una minoranza sciita), l’insorgere di Daesh e il rafforzamento delle potenze del Golfo, nonché il ruolo di un Iran che è per il contenimento del fondamentalismo sunnita, creano giochi degli specchi ed effetti boomerang che, per ora, è difficile prevedere. Sicuramente vi è l’accentuamento dei fondamentalismi di origine sciita e sunnita in cui il ruolo dell’arte non ha asilo. L’arte ha un limite: non prevede i ritorni.

Scritto da Fabio Appetito - Pubblicato sul numero 8 del 2020 del "Il Corace"

ECCOMI, CI SONO

«Non permettere mai che qualcuno venga a te e vada via senza essere migliore e più contento. Sii l'espressione della bontà di Dio. Bontà sul tuo volto e nei tuoi occhi, bontà nel tuo sorriso e nel tuo saluto. Ai bambini, ai poveri e a tutti coloro che soffrono nella carne e nello spirito offri sempre un sorriso gioioso. Dà loro non solo le tue cure ma anche il tuo cuore». Queste parole di Madre Teresa di Calcutta ci orientano in qualche modo in questo nostro strano tempo di Covid perché ci danno la misura di come agire nel qui e ora: essere espressione della bontà di Dio. Sempre più infatti cresce la solitudine, il nascondimento in casa per timore dei contagi, cresce l’isolarsi dal mondo. L’altro anziché dirci relazione ci dice divisione, l’altro che è e resta risorsa per me, purtroppo è diventato pericolo. Il luogo più sicuro al mondo, la famiglia, l’abbiamo vista trasformarsi in luogo di contagio e qualcuno ha addirittura perduto per sempre i propri famigliari. Tutto questo genera smarrimento, paura, blocca la vita. Eppure a tutto questo male possiamo trovare l’antidoto, si tratta di alzare lo sguardo, respirare cielo, desiderare vita, riaccendere speranza per noi prima, e per gli altri poi.  Sentirci alla presenza di Qualcuno che ha superato il male per eccellenza che è la morte! Cristo ha vinto questo male. Il male si vince con il bene. Fare il bene ci fa bene, genera bene. Ecco cosa siamo chiamati a fare in questo strano tempo, chi ci incontra dovrebbe andarsene da noi contento non avvilito, né disgustato. Non crediamo di vincere il Covid con il mero rispetto delle regole, perché quelle sole regole senza un interiorità ci scaveranno altre fosse: per esempio il distanziamento ci sta chiudendo sempre di più in noi stessi e occorre recuperare l’umanità, educare i nostri ragazzi e tutti noi ad accorgerci dell’altro e dei suoi bisogni. I pesi condivisi diventano leggeri, lo sappiamo bene. Dunque potremmo riassumere tutto con la parola “eccomi” che indica presenza, che è camminare accanto, condividere gli stessi sentimenti. Io ci sono per te anche solo per ascoltarti, anche solo come presenza seppur impotente ma certamente non senza vicinanza del cuore. Distanti ma uniti. I binari di un treno non si toccano eppure sono l’uno accanto all’altro. In questo tempo particolare non vinca la tristezza, non vinca la paura ma vinca la distante e responsabile presenza che dovremmo avere per a tutti in particolare per chi sta soffrendo. Basta poco, basterebbe far sorridere i nostri occhi se le nostre bocche sono coperte dalle mascherine. Il tempo di Covid può e deve essere il tempo della bontà, il tempo dell’"eccomi, ci sono per te".

Scritto da Giovanni Grossi - Pubblicato sul numero 8 del 2020 del "Il Corace"

FOTOGRAFARE L'AUTUNNO

Cari lettori, ci troviamo nel bel mezzo del “foliage autunnale”, quel momento in cui gli alberi danno spettacolo, colorando le foglie dal giallo al marrone passando per il rosso e l’arancio, fino alle sfumature del prugna e del viola, trasformando il panorama in una tavolozza di colori caldi e rassicuranti. Uno spettacolo di cui noi cittadini di Cori e Giulianello abbiamo un posto gratuito in prima fila, infatti siamo circondati da un paesaggio autunnale incantevole, dove vigneti, boschi, ed alberi presenti nel nostro paese e territorio si colorano donandoci dei quadri meravigliosi e delle tinte uniche. È il momento perfetto per gli appassionati di fotografia, nel catturare scatti mozzafiato, ricordi di un autunno che ancora una volta ci sta lasciando traghettandoci alle porte dell’inverno. A tutti noi è capitato di osservare anche durante una semplice passeggiata uno scorcio, un paesaggio meraviglioso, provare delle sensazioni e delle esperienze straordinarie e fare delle fotografie con uno smartphone di ultima generazione o con una macchina fotografica, per poi rivivere quelle emozioni con le persone a noi care, o pubblicarle sui social e condividerle con il mondo. Una volta tornati a casa e visionate le foto, ci si rende conto di avere solo decine e decine di foto piatte, che non dicono nulla. A quel punto sorge un’interrogativa: “sono io che non ho avuto la capacità di imprimere quelle emozioni in una foto, o tutto quell’entusiasmo per quel luogo era immotivato?”. La domanda è assolutamente lecita e la risposta molto spesso sta nel fatto che non si è stati in grado tecnicamente di scattare quella fotografia. I nostri occhi percepiscono tre diverse dimensioni e le immagini vengono spesso accompagnate da una miriade di altri fattori, quali la compagnia di una donna o di amici, il vento, i profumi, il silenzio, ecc.. sensazioni esterne che non possono essere riportate in modo diretto su di una fotografia. 

Paesaggio autunnale a Cori foto Fernando Bernardi



Come fare, quindi? Prima di tutto, dobbiamo ricordarci che la macchina fotografica lavora su due dimensioni (non tre come i nostri occhi) e che, a differenza nostra, non vi è un cervello capace di dare attenzione ad un dettaglio piuttosto che un altro. Dobbiamo quindi capire (nel momento dello scatto) quali sono gli elementi compositivi che più ci piacciono. Prendete il vostro tempo, non andate di fretta, sedetevi se necessario e osservate la bellezza di tutto quello che vi sta attorno. Sentite il rumore delle foglie che cadono, il fruscio del vento e il tepore del sole. Questi elementi dovrete riportarli in un singolo click e tentare di catturarli è quanto di più difficile possa esistere. Quando vi fermate a fare una fotografia, deve esserci qualcosa che vi ha spinto a fermarvi. Come mai? Su cosa è caduta la vostra attenzione? Una strada sinuosa? Un tramonto mozzafiato? Un albero particolare? Un bosco colorato dal foliage?… non ha importanza in sé per sé cosa vi abbia colpito, è importante però tenere a mente che è quello l’elemento a cui dovrete dare risalto. L’esplorazione, il contatto con la natura sono parte integrante del fotografo che ama i paesaggi. La necessità di trovare un punto di vista perfetto, la luce adatta, ci spingono a muoverci e non scattare da un semplice belvedere progettato da qualche ingegnere. Ci spinge a stenderci per terra, in mezzo al fango o alla neve se necessario; a salire su di un albero o a rimanere immobili ore e ore in attesa della luce perfetta. Non ha senso fermarsi, fare una foto affrettata e poi scappare via. Potete anche farlo, ma vi rimarrà ben poco quando tornerete a casa. L’immaginazione è una componente molto importante per un fotografo. Una volta capito cosa vi ha spinto a fermarvi e quali sono gli elementi compositivi di maggiore interesse, dovete scegliere cosa inglobare all’interno dello scatto e cosa no. Immaginate la vostra fotografia, come se l’aveste già fatta. Questo vi aiuterà a scegliere l’obbiettivo migliore per la foto. Non è vero che per i paesaggi si adopera unicamente una lente grandangolare, assolutamente. Non abbiate paura di sperimentare e di fare sempre nuove prove. Il risultato potrebbe sorprendervi. Basiamo la fotografia paesaggistica su tre fondamentali regole: la prima è l’evitare il soggetto centrale, dove la composizione fotografica con un soggetto al centro è uno degli errori più comuni di chi approccia il mondo della fotografia. Lo sguardo di chi osserva la foto ricade immediatamente al centro e dopo pochi secondi si stanca, senza “viaggiare” all’interno della nostra scena. Tutti gli altri elementi compositivi andranno in secondo piano e la fotografia risulterà di scarso interesse. Tentate di isolare quell’elemento, di dargli rilievo, ma di creargli una scena, un background, una cornice. La regola dei terzi è sicuramente un valido aiuto. Il discorso è molto semplice, cercate di decentrare il soggetto posizionandolo ad 1/3 della scena, in modo da creare anche una profondità all’immagine e di far correre l’occhio qua e là in cerca di altri elementi. Altra regola fondamentale è la profondità e spazi vuoti. Spesso nelle foto di panorami c’è troppo spazio vuoto sullo sfondo, questo è un difetto. Il cielo limpido e vuoto aggiunge sicuramente una sensazione di spazio e di libertà… ma troppo non serve a nulla. Esattamente come la regola dei terzi e del soggetto centrale, anche questa può essere infranta. Prendete ad esempio un deserto o una vecchia barca in mezzo a un lago, in questi casi il vuoto si trasforma in “elemento”, diventa quasi un oggetto che vogliamo inserire nella foto per trasmettere la sensazione di isolamento e di solitudine. Ultima ed importantissima regola la profondità di campo. La profondità di campo è un elemento molto importante quando si vuole fotografare un panorama. Dobbiamo tentare di lavorare con un diaframma il più chiuso possibile, in maniera da estendere l’area di messa a fuoco e quindi creare una tridimensionalità all’interno dello scatto. Ovviamente, secondo la legge di reciprocità, se noi chiudiamo il diaframma il tempo di scatto aumenta. Qui entra in gioco l’accessorio che non può assolutamente mancare ad un fotografo di paesaggi: un treppiede. Ci aiuta nel rimuovere il micromosso, ci dà la possibilità di lavorare con tempi molto lunghi e soprattutto rende possibile l’utilizzo del bracketing. Ricordate che gli obbiettivi grandangolari tendono ad offrire molta tridimensionalità oltre ad un angolo di visuale enorme e molta profondità di campo. I teleobbiettivi, al contrario, tendono a “schiacciare” le nostre fotografie e renderle piatte. Ora non vi resta che andare a caccia di paesaggi, di bellezze, di scorci, di vita, il nostro territorio è un ottimo campo di pratica!

Scritto da Fernando Bernardi - Pubblicato sul numero 8 del 2020 del "Il Corace"

DISAPPUNTO DEI COMITATI, RICHIESTA DI LUTTO CITTADINO

 (Comunicato Stampa - Cori,12 novembre 2020)

Abbiamo atteso un paio di giorni, per riflettere, prima di esprimere tutto il nostro disappunto per i contenuti della Conferenza dei Sindaci sulla Sanità del 9 novembre scorso. Oggi, ci ritroviamo a chiedere il lutto cittadino per le persone repentinamente scomparse in poco più di 24 ore nella RSA che è a Cori, focolaio COVID, (e da dichiarazioni del Direttore Generale, Casati, divenuta RSA COVID), perché tutti gli ospiti hanno contratto il Covid (presumibilmente 60). Sono 85 i casi collegati complessivamente al cluster, ci sono anche residenti fuori provincia (il dato di 85 casi è dichiarato dai Comunicati del profilo FB, Salute Lazio, da parte dell’Assessore Regionale alla Sanità). Dunque, tutto è sotto controllo, così il Direttore Generale, ai Sindaci; e, dare informazioni, dice, che è tempo perso, tempo sottratto al suo duro lavoro, che è senza ufficio Comunicazioni; tra parentesi i Comitati avevano chiesto una diretta streaming o facebook, invece all’ultimo minuto ci arriva l’accesso a un web meeting, riservato, e naturalmente, senza diritto di parola. I Sindaci sembrano piuttosto silenti, esce il senso pratico nella gestione dell’emergenza da parte della Assessora Barbaliscia di Aprilia e della Sindaca Villa, mentre tutti sembrano subire la soverchiante arroganza del Direttore Generale, Casati. Nessuno ha la forza di ricordare che il bisogno di più posti letto è una costante per la provincia di Latina che è ormai, da sempre, sotto tutti gli standard nazionali (quelli pre-Covid) di servizi sanitari e posti letto, figuriamoci ora! Così si raccattano in lungo e in largo posti letto dal sistema privato convenzionato GIOMI-ICOT, per pazienti COVID e per pazienti non COVID. Non capiamo cosa sia accaduto durante l’estate, dove si poteva programmare un serio Piano pandemico per la ASL di Latina, mettendo in gioco tutte le risorse pubbliche e aumentando il personale. Si potevano organizzare sistemazioni in sicurezza per i pazienti Covid, ma soprattutto mettere in sicuro e reperire altrove, nel pubblico, posti letto per gli altri malati, perché si continua a morire di infarto, di tumore, di incidenti sul lavoro, e non esiste solo il Covid! Se Casati non avesse perso tempo nei mesi estivi pensando ai premi, si sarebbe dovuto riaprire e riorganizzare i c.d. Ospedali dismessi, quelli montani citati in Conferenza dei Sindaci, da Guidi, Sindaco di Bassiano, ma il Direttore Generale ha fatto finta di non sentire, e nessuno degli altri Sindaci è stato capace di fare eco a Guidi nella proposta. Il Sindaco di Cori, Mauro De Lillis, ci è sembrato a dir poco, stanco e depresso, incapace di elaborare proposte per il sostegno e la cura delle nostre comunità, con un Punto di Assistenza Territoriale e un Ospedale di Comunità ormai desertificati, chiuso il PAT di notte, e con pochissimi pazienti nel repartino rispetto ai posti letto; con la nuova strumentazione per la radiologia tanto declamata dal comparitto, Salvatore La Penna, e quella per la telemedicina (da due anni), destinate a fare la muffa. Sfugge ancor di più, la visione politica sulla sanità del PD Pontino, che ad essere ingenui dovremmo pensarla criminale. Ma che disegno è questo? Quale manie di onnipotenza si lasciano gestire al Direttore Generale, Giorgio Casati, e ai suoi scudieri? E’ così contento, Casati, della gestione remota (in telemetria) dei Casi Covid GIOMI nella RSA di Cori: quei casi, per inciso, sono persone che da marzo non hanno un abbraccio dei loro cari: per cautela, per preservarli da una morte orribile, e invece sono arrivati altri abbracci … La gestione da remoto dei Casi Covid nella RSA di Cori avviene con un programmino, in cui sono inseriti algoritmi di segnalazione alert, a seconda dei valori dei vari parametri vitali: pulsiossimetria, pressione, etc., che vengono presi manualmente e manualmente inseriti nella piattaforma; gli Alert prevedono che l’operatore sanitario se ne accorga su piattaforma e informi telefonicamente una sede operativa a Latina, per il da farsi. Ora il risultato tangibile, di questa gestione che non è telemedicina, ma medicina al telefono, dopo dieci giorni dal cluster covid, è stato il viavai di pompe funebri e ambulanze: gli anziani probabilmente, prima o poi, sarebbero deceduti, ma contare sei bare in poche ore fa veramente male a tutti, e non importa che non siano coresi, non importa che non siano morti per Covid, ma con Covid. E’ la mancanza di pietà umana di chi gestisce la ASL di Latina che ferisce tutti. La sanità nella nostra ASL continua ad essere devastata, c’è cinismo nel privato che acquisisce commesse da chi gestisce il pubblico; cinismo in chi governa il sistema pubblico. Arriveranno tanti soldi per la sanità, sì, arriveranno, ma non possiamo permettere che si continui a gestirli così. Non possiamo! Non possiamo attendere altri martiri inconsapevoli. Vogliamo Servizi Sanitari Pubblici nel territorio e che i Servizi Sanitari Pubblici funzionino, senza sprechi, per chi ne ha bisogno, vicino ai malati, e senza lucratori di affari. 

Scritto dal Comitato Civico Cori - Pubblicato sul numero 8 del 2020 del "Il Corace"

“E QUINDI USCIMMO A RIVEDER LE STELLE”

 Sono queste dell’uscita dall’Inferno, in questi giorni senza aria e senza cielo, le parole di Dante che più vorremmo sospirare, come se tutto il resto fosse ormai un ricordo passato……Viviamo tempi bui che non dureranno poco (non giorni né settimane, purtroppo). In queste condizioni, può apparire futile parlare di argomenti che non siano legati all’attualità giornaliera del coronavirus, a quello che ogni giorno ascoltiamo, vediamo e leggiamo attraverso i media, alle conseguenze che la pandemia genera nei nostri pensieri e nei nostri comportamenti, alle molte domande senza risposta che affollano la nostra mente. Ma no, forse possiamo provare ad evadere dal buio che ha intrappolato le nostre anime, forse possiamo reagire all’incubo che stiamo attraversando, facendo ricorso agli esempi che vengono dalla nostra storia e dai grandi del passato, cercando spunti di riflessione nelle opere che narrano le angosce che altri prima di noi hanno fronteggiato, vivendo in periodi difficili come quello che ora viviamo noi. Per esempio, potrebbe aiutare a riflettere sulla situazione attuale la lettura dei capitoli XXXI e XXXII dei Promessi Sposi del Manzoni, capitoli in cui l’autore riscostruisce la vicenda della peste che colpì Milano nel 1630. «La peste che il tribunale della sanità aveva temuto che potesse entrar con le bande alemanne nel milanese, c’era entrata davvero, come è noto; ed è noto parimente che non si fermò qui, ma invase e spopolò una buona parte d’Italia». Il racconto manzoniano è una descrizione realistica della malattia, tragedia terrena in cui comportamenti irrazionali contribuiscono a facilitare la diffusione del morbo. Per capirne di più si potrebbe leggere  il Decameron di Boccaccio, ed in particolare l’introduzione all’opera, nella quale Boccaccio descrive i comportamenti individuali e collettivi dei fiorentini di fronte alla mortalità che non si sapeva fronteggiare. Le prime manifestazioni del morbo «nelle parti orientali»; l’ampliamento «verso l’Occidente»; il mutare delle manifestazioni esterne dell’infezione; le incertezze della medicina di fronte a una malattia sconosciuta; le modalità del contagio; i variabilissimi comportamenti umani, dalla sobrietà estrema fino alla sconsideratezza; l’isolamento degli ammalati e la solitudine estrema dei morti. Tante cose sono identiche a quel che accade oggi, perché gli uomini ripetono sempre sé stessi. Ma più di tutti dovremmo leggere il padre della lingua italiana, colui che ha plasmato e modellato l’identità del nostro Popolo. Dante Alighieri, interprete dei complessi sentimenti che attraversano la nostra mente e la nostra anima, vero e proprio stigma di umanità, Dante nella Commedia ha mostrato in maniera mirabile la capacità dell’umanità di uscire da una situazione terribilmente difficile, che «fa tremar le vene e i polsi», e di arrivare «a riveder le stelle». Anche noi ci riusciremo, ne saremo capaci.

Scritto da Alessia Pieri - Pubblicato sul numero 8 del 2020 del "Il Corace"

IL COVID-19 D’AUTUNNO - LA RISPOSTA DELLA CITTADINANZA E LE MISURE DELL’AMMINISTRAZIONE

Nessuno di noi ha mai vissuto una pandemia. Nessuno di noi ha mai dovuto gestirla. Sono ormai otto mesi che siamo, con andamenti alterni, alle prese con un virus insidioso che mette a dura prova, oltre che la salute individuale e collettiva, la nostra socialità e la nostra economia. La nostra Comunità ha risposto bene e con adesione diffusa, alle restrizioni introdotte, dopo l’allentamento estivo, con i DPCM di ottobre e di novembre. Eppure, nonostante l’attenzione che la stragrande maggioranza di noi ha profuso per arginare la diffusione del virus, anche la nostra Comunità ha visto crescere il numero dei contagi ed ha pianto delle vittime. Un focolaio importante si è manifestato nella RSA di Cori, e la notizia delle numerose persone anziane che non ce l’hanno fatta ha colpito tutti. Oggi, a fine novembre, sembrerebbe che sul nostro territorio il trend dei contagi si sia stabilizzato. Sono convinto che questo risultato, che va assolutamente mantenuto e migliorato, sia il frutto del rispetto che ciascuno di noi ha messo nell’adottare le misure di contenimento del virus. Ma è anche il frutto di una serie di sforzi che l’Amministrazione ha profuso nel mappare le situazioni, nell’attivare azioni preventive, nel sensibilizzare la popolazione. Tra queste voglio ricordare l’attenzione riservata alla scuola, in modo particolare con l’attivazione dei drive-in dedicati alla somministrazione dei test per la popolazione scolastica: personale, studenti, famiglie. In collaborazione con la ASL LT1, finora, abbiamo realizzato due campagne di drive-in che hanno assolto un ruolo, soprattutto, di prevenzione, consentendo la rilevazione di quei positivi asintomatici che rappresentano il principale elemento di trasmissione. Questo impegno profuso per le scuole, aggiunto alle ripetute sanificazioni, all’impegno di monitoraggio e sensibilizzazione svolto dal Dirigente Scolastico e dagli insegnanti ci conforta sui livelli di sicurezza con i quali si riesce a svolgere l’attività didattica. Altra importante iniziativa è stata messa in campo grazie ai Medici di Medicina Generale di Cori che hanno dato la loro disponibilità a effettuare i tamponi messi a disposizione dalla Protezione Civile Nazionale. Per garantire un contesto sanitariamente controllato e sicuro, abbiamo messo a disposizione i locali dell’ex ospedale di Cori, dove alcune stanze verranno deputate a tale funzione. I Medici di Medicina Generale hanno risposto nella loro totalità, salvo casi di comprovata impossibilità. I test prenderanno avvio nella prima decade di dicembre e con la disponibilità di 30 test settimanali per ogni medico, si riusciranno a somministrare oltre 1.200 test nell’arco di un mese. In questa fase così complicata, siamo stati oggetto di particolari attenzioni dei media per la vicenda dei “secchi gialli” per la raccolta differenziata dei rifiuti delle persone in quarantena domiciliare. Vorrei ribadire che la corretta gestione del servizio prevede che i secchi siano tenuti in casa e consegnati solo a chiamata da parte dell’operatore addetto alla raccolta. E, probabilmente, in qualche rarissimo caso, c’è stato un difetto di comunicazione. Ma ciò che è stato scritto e che è passato sui media a tal proposito, non racconta puntualmente il servizio reso alla Città: un servizio di qualità che pone la massima attenzione alla sicurezza sanitaria di cittadini ed operatori. Nonostante tutto, sono ancora numerosi i casi di positivi in quarantena domiciliare e dobbiamo ringraziare l’associazione della Protezione Civile di Cori per il rinnovato impegno nel supporto che offrono a chi ne ha bisogno. Potrei fare ulteriori raccomandazioni, ma è evidente il prezzo che stiamo pagando, alcuni più degli altri, pertanto mi limito a ricordare a tutti di continuare a mantenere alta la guardia. 

Scritto da Mauro De Lillis Sindaco di Cori - Pubblicato sul numero 8 del 2020 del "Il Corace"

IL MISTERO DEI SECCHI GIALLI

Il Covid ha portato Cori alla ribalta delle cronache nazionali. Merito di un articolo apparso sul sito Repubblica Roma, il cui autore conosce bene il paese e ha portato alla ribalta qualcosa che i coresi notavano da tempo: quei secchi gialli dati alle persone positive al Covid, per la raccolta dei rifiuti. Questo modo di fare, pensato per tutelare gli operatori che raccolgono i rifiuti e garantire uno smaltimento diverso, è operato da una ditta esterna. Ma in un paese dove la raccolta differenziata porta a porta è ampiamente diffusa, il “secchio giallo” è diventato un modo per identificare i malati di Coronavirus, con buona pace della privacy. L’articolo uscito su Repubblica.it a firma Clemente Pistilli ha creato una polemica che ha portato il sindaco Mauro De Lillis a dover dare spiegazioni ad agenzie nazionali e persino alle telecamere della Rai. La tesi del sindaco è che non si voleva di certo fare discriminazione, ma probabilmente c’è stato un disguido tra gli operatori che raccolgono i rifiuti e i cittadini positivi. Trattandosi di un servizio a chiamata, i cittadini che si vedono consegnare i secchi gialli possono tenerli dentro casa (e non fuori) per poi consegnarli direttamente agli operatori della ditta specializzata al loro arrivo. Qualcuno probabilmente non lo ha compreso e ha lasciato il secchio giallo fuori, diventando di fatto riconoscibile. Quel che viene sottolineato da Clemente Pistilli è che ci sia chi fa “Covid-tour” per scovare positivi. Una tesi smentita dal sindaco secondo cui il caso dei secchi gialli ha riguardato tre positivi, per mero disguido. Spente le telecamere, la polemica si è spostata su Facebook: “Nessun cittadino di Cori e Giulianello ha mai sollevato osservazioni riguardo al posizionamento dei bidoni gialli fuori la porta di casa – ha scritto Mauro De Lillis – tantomeno nessun cittadino ha contattato la Rai. (…) Questa polemica in realtà non è mai esistita, anzi è stata creata ad hoc dal giornalista stesso. Sono inoltre certo che nessuno dei miei concittadini trascorra le giornate osservando dove siano posizionati i bidoni, come dichiarato nel suddetto articolo. (…) Il servizio di raccolta per i malati di Covid è un servizio di qualità che anche altri comuni hanno adottato. Inoltre, è quanto avrei voluto dire in diretta se ne avessi avuto il tempo, non ritengo assolutamente che questa cittadinanza possa essere additata come discriminatoria a causa di un giornalismo al quanto discutibile”. Tutto finito? Assolutamente no, perché Clemente Pistilli ha replicato, sempre su Facebook: “I bidoni gialli consegnati solo a Cori a quanti, contagiati dal Covid, sono in isolamento domiciliare, posti, almeno fino all’uscita del mio pezzo, fuori dalle abitazioni di quest’ultimi, indicano chiaramente chi è rimasto vittima del virus e mi sembra rappresentino una violazione della privacy. Se, come dice il sindaco, e non ho motivo di dubitare, presso tali utenze la ditta ritira i rifiuti citofonando ai cittadini in isolamento, i quali, sostiene sempre il sindaco, dovevano tenere il bidone giallo in casa, non si capisce perché è stato fornito loro un bidone di colore diverso dagli altri. Qualcosa forse è sfuggito. E, se ne faccia una ragione il sindaco, c’è chi passeggia cercando di individuare le case dei positivi al Covid osservando i bidoni gialli”. Dopo aver comunque tributato la sua stima al sindaco (stima “probabilmente non ricambiata”) per la gestione dell’emergenza, Pistilli conclude: “E magari adesso si può anche andare avanti a combattere uniti contro il Covid e senza improbabili bidoncini colorati”. Resta un mistero da risolvere: chi è che va in giro in paese a cercare i bidoni gialli?

Scritto da Eleonora Spagnolo - Pubblicato sul numero 8 del 2020 del "Il Corace"

IL CAMPO DELLA POLITICA, IL CAMPO DI MARADONA

Questo articolo lo stavamo scrivendo riflettendo sugli Stati Generali dei Cinque Stelle e sul dibattito interno alla destra, che sta vedendo Forza Italia sempre più staccata dalle posizioni intransigenti della Lega e di Fratelli d'Italia, e mentre eravamo alla tastiera è arrivata, come un fulmine a ciel sereno, la notizia della morte di Diego Armando Maradona, El Pibe de Oro e, insieme a Pelè, il più grande calciatore di tutti i tempi. 

Tutti i tg nonché i giornali italiani, argentini e del mondo hanno immediatamente, nella loro versione on line, dato notizia a pagina intera e in titoli e servizi di apertura, della scomparsa di questo mito del calcio. E lo hanno fatto con collegamenti da Napoli e dall'Argentina: le due patrie di questo ragazzino nato povero e diventato leggenda che nella sua storia, stroncata a 60 anni, ha incrociato gli altari e la polvere, la gloria del calcio e le sconfitte della vita, il bene e il male. Molti opinionisti, ma anche cittadini comuni, in modo particolare, hanno considerato eccessivo la reazione non tanto degli argentini, cosa comprensibile, ma dei partenopei. "Lo hanno fatto santo subito" sono stati alcuni dei commenti, e qualcuno di questi ci è parso molto in malafede, come se attraverso questa profonda ed intensa commozione, che sicuramente ha  avuto ed ha dei risvolti da riti pagani, si sia voluto, ancora una volta, trasformare una connessione sentimentale tra Napoli e un suo mito, in una solita sceneggiata folcloristica. Chi scrive questa nota mensile su "Il Corace" è napoletano. E lo è in modo verace essendo nato in un quartiere, quello di San Lorenzo, che è il cuore del capoluogo campano. E crediamo di avere le carte in regola per affermare che solo i napoletani possono capire cosa ha significato Diego Armando Maradona per la loro città: una speranza di riscatto, una figura carismatica, uno scugnizzo argentino che è arrivato a Napoli a fare lo scugnizzo napoletano. 



Chi non è napoletano non può capire. Gli anni nei quali il fuoriclasse argentino è stato a Napoli sono stati gli anni in cui Palazzo San Giacomo era amministrato da gente di malaffare nel vero senso della parola: da politicanti che hanno spremuto la città e i relativi finanziamenti, che dall'Europa e dal governo centrale arrivavano, come un limone. Era la Napoli della fine degli anni '80 e dei cosidetti viceré, della trimurti Di Donato-Pomicino-De Lorenzo che hanno straziato la metropoli più bella del mondo, in un connubio criminogeno con la camorra e con affaristi e speculatori della peggiore razza: era una Napoli dove "a nuttata non passava mai" nonostante Eduardo De Filippo, metaforicamente, chiudeva il suo capolavoro "Napoli Milionaria" (ambientato nel dopoguerra) con la famosa frase "adda passà a nuttata". I napoletani non credevano più nel riscatto mentre tangentopoli, che avrebbe fatto piazza pulita di questi lugubri personaggi, era ancora lontana. Maradona divenne da subito il simbolo del riscatto, l'uomo che doveva togliere lo "scuorno dalla faccia di questa città", era il Maradona del "pensaci tu ca se non succede mò nun succede più". Un riscatto civile, etico, politico, economico che passava attraverso il calcio? Certo, una grande e collettiva illusione. Ma una città che crede al miracolo del suo Santo Protettore, San Gennaro, (perché con quello ha firmato un contratto vero, come gli storici e gli studiosi di antropologia sanno), perché non avrebbero dovuto credere in un miracolo nolto più alla portata e laico, e cioè lo scudetto alla squadra del cuore? E Maradona il miracolo lo ha fatto: due scudetti, un paio di coppe, ma soprattutto un sogno e una gioia continua nel vederlo sbeffeggiare, ogni domenica, nei campi di gioco, i grandi squadroni del nord. Ma Diego è stato anche quello che accettava partite di beneficenza e quello che si faceva vedere in giro per il mondo a difendere i più deboli, ad abbracciare capi rivoluzionari e bambini poveri, il Papa e i poveri cristi. Tra questi abbracci non è riuscito ad evitare quello micidiale con la camorra e quello mortale con la droga, diretta conseguenza del primo. E poi tanti errori personali. 

Ma dire che i napoletani hanno dimenticato i suoi errori è errato. I Napoletani hanno onorato e stanno onorando il calciatore, il mito, la leggenda, colui che ha fatto sognare una intera città. Per poi riportarlo alla dimensione umana nel riconoscergli tutti i suoi torti. Quello che i cittadini stanno onorando non è Dio sulla terra, ma è un Deo pagano, secondo una tradizione che affonda nella notte dei tempi e che ha visto sempre la cultura popolare  partenopea mescolare fede e paganesimo. Ecco perché, come ha ricordato anche Roberto Saviano su "La Repubblica",  "chi non è napoletano non può capire". 

In questo articolo avremmo dovuto parlare di politica: è di oggi giovedì 26 novembre la notizia che le opposizioni hanno votato alla Camera e al Senato lo scostamento di bilancio: ha funzionato il monito di Berlusconi che su questo punto, cioè il sostegno alla manovra economica del  governo, avrebbe rotto con la coalizione se la destra non si fosse presentata compatta. Avremmo dovuto parlare dei Cinque Stelle sempre più allo sbando, ma con un Di Maio che ha ripreso il controllo del movimento, sostenuto da Fico, allontanandosi sempre di più da Di Battista e da Casaleggio, dall'ala destra e comunque anti PD dei pentastellati, avremmo dovuto discutere del PD con Zingaretti stretto tra l'esigenza oggettiva di passare da un accordo di legislatura ad un vero e proprio patto strategico con i Cinque Stelle e la consapevolezza che l'impressione generale è che le carte le stia dando Di Maio, mentre cresce la protesta della base dem. E avremmo dovuto scrivere di Conte e della sua partita in solitaria che sino ad oggi ha provato a giocarsi, anche se con l'appoggio del ministro Gualtieri (dem), ma ora sembra allo stremo. E avremmo dovuto scrivere del governo che vive di rinvii proprio su quelle decisioni che servono urgentemente ai cittadini e all'economia del paese, in una fase di riacutizzazione dei contagi covid che espone l'Italia, come tutta l'Europa, a prospettive allarmanti. E avremmo voluto occuparci anche delle elezioni americane con un Trump recalcitrante ad ammettere l'ormai scontata e riconosciuta da tutti vittoria di Biden. Una vittoria che potrebbe essere l'inizio della fine per tutti i sovranismi occidentali ed invertire la rotta aprendo nel mondo e in Europa nuove speranze. Avremmo voluto, ma abbiamo solo accennato. Perché anche per noi la precedenza e lo spazio andava a Maradona, la mano de Dios, El Pibe de Oro, lo scugnizzo argentino all'ombra del Vesuvio.

Scritto da Emilio Magliano - Pubblicato sul numero 8 del 2020 del "Il Corace"

IL NUOVO VECCHIO VOLTO DI CORI

 Il nostro Paese, Cori e Giulianello, è un entità vivente e come tale ha bisogno di cure che nel caso specifico diventano opere di manutenzione, se si vogliono scongiurare tristi rovine e garantirne nel contempo un sano e corretto sviluppo, sociale ed economico per i suoi abitanti. Sono infatti in corso cantieri in più punti dell’abitato e non solo, al fine di consentire una migliore vivibilità dello stesso e che di certo non stanno passando inosservati ai più. I tre progetti principali che hanno generato buona parte dei finanziamenti giunti nel nostro Paese sono nei fatti: il consolidamento dell’alveo del fosso della Catena, la realizzazione di una condotta per il deflusso delle acque meteoriche in via Madonna del Soccorso e l’adeguamento sismico dell’edificio Sipportica. Questi tre progetti espressi inizialmente in forma preliminare dagli uffici del nostro Comune, hanno consentito allo stesso di accedere a dei finanziamenti per la loro realizzazione e vincolati per questo fine. Come da normale sintesi politica che riassume tanto le parti di indirizzo per lo sviluppo del Paese, quanto quella di controllo dell’attività Amministrativa, abbiamo chiesto, una volta che si è passati dal progetto preliminare a quello definitivo, sia di poter conoscere gli atti tecnici definitivi al fine di fornire risposte concrete ai Cittadini circa i lavori da farsi, sia di essere partecipi alle varie riunioni che si stanno tenendo tra la stazione appaltante, il Comune, e le ditte esecutrici per seguire più da vicino l’evoluzione degli stessi anche se a tal proposito, crediamo, che sarebbe stato preferibile un approccio diverso, forse più con una nostra “vicinanza” fin dalla stesura del progetto preliminare. Tuttavia la nostra posizione ed il nostro ruolo, in seno alla assise politica del Paese, non ci consente di essere partecipi all’azione Amministrativa, che è invece pregio questo, la condivisione di intenti, solo di quelle Amministrazioni che siano coscienti e propositive verso la titolarità che la Minoranza di un Paese riveste al pari della Maggioranza seppur con compiti e responsabilità differenti ed affidatigli istituzionalmente. Ed è cosi che una volta letti gli atti diventati prima definitivi ed oggi esecutivi, non possiamo che prendere coscienza di quanto presentato in sede di offerta e li reputato pertinente alle aspettative di chi ha redatto il progetto preliminare. Assistiamo cosi a “rispolveri” di nuove vecchie idee già formulate da altre Amministrazioni Coresi come ad esempio il consolidamento del fosso della Catena iniziato negli anni 2000, che con il cambio di Amministrazione si preferì non completarne l’ultima-zione ed assistere nel corso degli anni a diverse frane venute oggi alla luce nei vari sopralluoghi, e che molto probabilmente porteranno a doversi discostare dal progetto presentato. Assistiamo ad idee informali, ed all’apparenza “innovative”, di accesso all’ex campo sportivo di Cori Monte oggi parcheggio tramite scalinate da via  del Casalotto che a ben guardare erano già presenti nei progetti sempre di altre Amministrazioni e non compiute per motivi di urgenza contingibile, (vedasi il muro a gradoni costruito urgentemente per evitare smottamenti), ma che comunque hanno assunto pienamente alla loro funzione di riqualificazione e manutenzione del luogo. Ma non vogliamo però qui soffermarci più di tanto su una semplice recriminazione di ripescaggio di nuove vecchie idee, vogliamo essere propositivi come lo siamo stati nei colloqui con chi quei progetti li ha ripensati, e rendervi partecipi per lo meno in piccola parte di cosa abbiamo suggerito a questa Maggioranza in virtù del nostro ruolo. Cosi per quanto riguarda il finanziamento maggiore giunto sul nostro territorio, ben 4,5 milioni di euro, il nostro primo interrogativo è stato quello di capire se in un opera cosi cospicua e delicata fosse stata prevista la regimazione delle acque reflue (di fogna) della zona e che oggi risultano essere in larga parte se non totalmente scaricate a dispersione ovvero direttamente nell’alveo del fosso. E la risposta a questo nostro interrogativo, certamente non di piccolo conto per ovvi motivi di sicurezza e di fruibilità dell’intero progetto, ci è giunta a convenzione firmata ed è stata quella rinvenuta dall’esame delle carte, ovvero di una somma di 120.000 €, pari cioè al 2,6% del finanziamento rintracciabile nell’offerta migliorativa della ditta e quindi neanche in fase di progetto, per la previsione di un possibile intervento che vada in questa direzione. Abbiamo invece appreso in sede di Commissione Urbanistica, ed anche in questo caso sempre a convenzione firmata, della variante rispetto al progetto iniziale riguardo il percorso della condotta in via Madonna del Soccorso, resasi necessaria a seguito del “ritrovamento a posteriori” di una rete di sottoservizi  (enel, tim...) e combinazione, non emersi nelle fasi di indagine propedeutiche alla stesura del progetto. Abbiamo pertanto chiesto in quella sede, anche da un punto di vista di normale progettualità ed operatività di queste opere, se fosse più opportuno scavare una via da entrambe i lati sinistro e destro anziché, vista anche la necessità sopraggiunta di discostarsi dal progetto, operare una regolamentazione definitiva valevole sia per le acque che per la rete di sottoservizi che però passasse al centro della via, magari con un unica galleria pluriservizi o per lo meno di un cunicolo tecnologico per i servizi al fine di una facilitazione della futura manutenzione proprio di quella Zona, ma tuttavia si è preferito  non procedere in tal senso. Infine per l’ultimo cantiere quello che forse più di tutti è il più delicato, vista la necessità di coinvolgere intere famiglie, le Sipportica, abbiamo promosso a più riprese, anche in Consiglio Comunale, una forma di tutela e di garanzia per i residenti affinché oltre il peso di una fuoriuscita da casa, luogo di mille sacrifici e ricordi, venisse stipulata una convenzione tra il Comune ed i residenti proprio a tutela di quel bene a cui tutti Noi auspichiamo e che mai nessuno vorrebbe veder compromesso anche solo parzialmente. In sintesi, come sempre fatto, abbiamo cerato di apportare il nostro contributo anche in questi casi e ben vengano i ripescaggi di vecchie nuove idee, perché oltre a sottolinearne la bontà sono la riprova che anche chi c’era prima, benché di diverso orientamento, ha cercato di curare e sviluppare il nostro Paese e pertanto magari uno sforzo in più di ascoltare l’altra parte, la Minoranza, vorrebbe dire ascoltare di più il proprio Popolo che oggi si Amministra.

Scritto dal gruppo Consiliare L’Altra Città - Pubblicato sul numero 8 del 2020 del "Il Corace"

SCONCERTANTE!

Le cronache degli ultimi tempi si sono occupate per lo più delle intercettazioni telefoniche riguardanti colloqui tra il nostro Sindaco e quello di Artena. Il nostro Sindaco ha chiesto al Sindaco di Artena come poter licenziare la Responsabile dell'Area Finanziaria dell'epoca (2019) in quanto "...ragioniera che non vale un c...o". Episodio poco edificante sotto tutti i punti di vista per il nostro Sindaco. Questo increscioso episodio ci induce a riflettere e a porci delle domande. Vuole forse essere circondato da tutti signorsì, che gli rapportino su tutto di tutti? A quanto riferiscono alcuni esponenti della maggioranza intende operare in perfetta solitudine in barba a Giunta e maggioranza stessa? La Responsabile dell'Area Finanziaria non era gradita non perché incapace, ma forse perché non era in linea contabilmente con i desiderata del Sindaco? Per questo doveva essere licenziata? Ora è comandata presso la ASL di Latina, ma sempre dipendente del Comune di Cori. Ci poniamo altre domande. Chi gestisce il Bilancio? Il Sindaco o l'Assessore preposto? L'Assessore al Bilancio era d'accordo al licenziamento della Responsabile? Perché rivolgersi per consiglio, e in quel modo secondo noi inqualificabile, al Sindaco di Artena? Ci auguriamo che il Sindaco chiarisca nel Consiglio Comunale del 30 novembre con argomenti convincenti. Per noi è importante perché l'abbiamo ritenuto sempre diverso dalla figura che emerge dalle intercettazioni. Veramente in un primo tempo credevamo che si stesse interessando per licenziare altro dipendente, ci siamo sbagliati. Potrebbe arrivare il momento. Per quella Responsabilità poi è stato dato l'incarico ad un dipendente comunale di Cat. C. L'incarico, dopo un rinnovo, scade il 30 novembre. Non avendo potuto o voluto accedere ad una graduatoria di Fondi, chi ricoprirà tale incarico dal 1° ottobre? Potrebbe essere confermato lo stesso dipendente con un'altra procedura, nella consapevolezza che ha ben figurato e, soprattutto, ha posto delle condizioni per iscritto sin dall'inizio su come avrebbe operato nell'esercizio di tale funzione. O si riprende la comandata? A proposito di Bilancio, il Comune non approverà entro il 30 novembre il cosiddetto Bilancio Consolidato 2019. Il motivo pare perché non si è dotati, nel pacchetto software di gestione dell'Ente, del modulo per la predisposizione del Bilancio Consolidato. Si incarica una ditta esterna al prezzo di € 1.000,00 + IVA. Con tale spesa non si poteva acquistare il programma idoneo e farlo fare dal Responsabile che risulta anche un esperto informatico? L'Assessore al Bilancio che dice? O in questa vicenda ci sono motivazioni esterne e confinanti al Comune di Cori? 

Nel numero scorso abbiamo riferito di un congiunto che si stava occupando nella ricerca di appartamenti nell'ambito dei lavori delle Sipportica. Ebbene siamo stati contattati dal tecnico incaricato ufficialmente per tali incombenze in qualità di supporto al RUP. Ci ha confermato che il congiunto della Vigilessa (anche lei di supporto al RUP) effettivamente stava svolgendo quel tipo di attività in quanto da lui incaricato a collaborare e da lui stesso pagato. Finalmente un po' di chiarezza. Il congiunto non è stato incaricato direttamente dal RUP. Non vorremmo pensare che la scelta del tecnico, quel tecnico, fosse stata una pensata ad hoc per occupare indirettamente il congiunto. Riteniamo che il tecnico tra quello che percepirà per detto incarico (€ 4.680,00) e quello che dovrà pagare al congiunto per la collaborazione non gli resterà molto considerando anche le ritenute fiscali. Questo tipo di episodi ci induce a pensare che per gli amici si può e si deve fare di tutto, chi trova un amico trova un tesoro. Tornando all'incarico di supporto al RUP è normale che venga assegnato ad una appartenente alla Polizia Municipale dal momento che in quel tipo di lavoro potrebbe assumere anche la funzione di controllore? Poi vorremmo conoscere gli orari destinati a tale incarico e gli orari destinati al lavoro principale. Sapere inoltre, dal momento che si sceglie una figura della Polizia Municipale, il perché non si attui una rotazione all'interno del Corpo. Dipende tutto dall'Ing. Cerbara? Allora è tutto più chiaro. Per noi è il Sindaco "ombra" del Comune, con dei modi che a volte appaiono al limite della strafottenza, noi l'abbiamo conosciuto è tutt'altra cosa. Infatti fa pensare l'interrogatorio cui è stato sottoposto riguardo il procedimento penale inerente la Lottizzazione "Collina degli Ulivi" del quale abbiamo avuto conoscenza. Estrapoliamo uno stralcio. Domanda di uno degli avvocati della difesa all'Ing. Cerbara: "Senta, lei ha mai avuto un interesse ad acquistare un lotto nel piano di lottizzazione?". Risposta: "No. No.". Domanda: "Non l'ha mai confidata a nessuno questa cosa?". Risposta: "No, no, io non ho mai detto niente a nessuno, mai chiesto niente a nessuno. Abbiamo fatto l'istruttoria e a questo... a questo prigettista lottizzante gli abbiamo fatto fare cento modifiche, per raggiungere un piano adottabile ed approvabile, alla fine. Abbiamo acquisito tutti i pareri, tutto... l'immaginabile possibile... poi lo abbiamo approvato, insomma". Domande sibilline. Comunque l'Ing. Cerbara al momento pare continui ad imperversare al Comune di Cori, e nessuno dice niente. È indagato, ma tutto tace, anzi gli viene pure tolta una sanzione disciplinare. Quali sono i motivi per cui appare inattaccabile e intoccabile da parte del Sindaco, della Giunta e della maggioranza tutta? Può essere che questa situazione stia bene a tutti? È forse tutto legato all'Edilizia Privata e ai Lavori Pubblici? Ad esempio per i Lavori Pubblici con chi si rapporta? In un modo con l'Assessore ai LL.PP. e in un altro con il Sindaco? A proposito dei lavori delle sempre più attenzionate opere pubbliche, pare non solo da noi, ci permettiamo fare delle osservazioni. Partiamo con la "Messa in sicurezza di via del Soccorso". Solo ora ci accorgiamo dell'abbattimento degli alberi in questa via. Sembra che il tutto sia stato progettato affinché i cittadini venissero messi di fronte al fatto compiuto. Il famoso RUP risulta aver dichiarato l'impossibilità di posizionare la condotta di raccolta delle acque piovane al centro della carreggiata stradale in quanto ci sono numerose interferenze dovute alla presenza degli esistenti sottoservizi. In conclusione, si abbattono gli alberi e si fa passare la tubazione al di sotto dei lati dov'erano gli alberi stessi. Perché ci si accorge solo ora di questo problema, la ditta che ha vinto l'appalto non si è accertata in sede di offerta della reale situazione? Non ci rientra più con i soldi a disposizione? Se il problema sono i sottoservizi (tubi del gas, acqua ed energia elettrica), che sarebbero aggrovigliati, quale migliore occasione sarebbe stata quella di mettere ordine ed incalanare al centro della strada con una unica maxi condotta contenente tutte le tubazioni? In sostanza decide il RUP o l'amministrazione attraverso il Sindaco e l'Assessore ai Lavori Pubblici? Il Sindaco giustifica tutto del RUP? Il Sindaco ha dichiarato che il taglio degli alberi necessita per consentire la regolamentazione del flusso delle acque bianche limitando il problema dell'allaganento di Piazza della Croce. Dubitiamo. La maggioranza che dice? E l'opposizione? E i Verdi? L'operato del RUP non si mette in dubbio? 



Passiamo all'importante intervento di "Consolidamento di via delle Rimesse e del Fosso della Catena". Notiamo con meraviglia come la ditta appaltatrice sia intervenuta tempestivamente a "scaracciare" l'intera parete che costeggia da una parte le abitazioni di via delle Rimesse e, a valle, l'alveo del Fosso. Per fortuna il tempo è stato bello, ma se fossero arrivate quelle "bombe d'acqua" come in passato? Si è considerata la eventualità che, con il dilavamento della parete, un tempo tenuta su anche dalla folta vegetazione, si possa aiutare il fenomeno dello scalzamento delle fondazioni delle abitazioni e far venire davvero giù le case? Nelle relazioni di progetto risulta che queste eventualità sono previste tanto da affermare che i lavori saranno da avviare nel periodo estivo. Allora perché rischiare ora? Ci sono problemi di ordine economico e finanziario? Non dovrebbe avere la priorità la sicurezza? Dando una scorsa veloce al progetto, non vorremmo che sia stato privilegiato l'aspetto paesaggistico e ambientale a scapito del consolidamento delle fondazioni dei fabbricati a monte. Anche perché sembrerebbe non si possano realizzare le opere di consolidamento alle abitazioni dei privati con i soldi pubblici. Se così fosse si concretizzerebbe una vera e propria disparità di trattamento con le abitazioni dei privati delle Sipportica. Che ne dicono il Sindaco, l'Assessore ai Lavori Pubblici e la maggioranza tutta? Anche in questo casio il RUP non si discute? E che ne pensano sugli incarichi, due per collaudi ed uno per supporto al RUP, conferiti dallo stesso RUP ad un tecnico che risulta indagato, unitamente al RUP medesimo, in un procedimento penale riguardante il Comune di Cori, e per il quale sono stati rinviati a giudizio? Una questione etica e morale riteniamo esista al Comune di Cori e crediamo sia giunto il momento di affrontarla, non solo a parole! Dimenticavamo, un altro fatto di cronaca è stato quello dei bidoni gialli davanti le abitazioni dei coresi contagiati dal coronavurus. Anche questo episodio ha evidenziato un modo di fare alquanto approssimativo. Colpa dell'amministrazione? Colpa della ditta incaricata (come si chiama?)? Certo che si è rischiato di aumentare i contagi nel paese con i bidoni gialli. L'unico a non avere colpa è il giornalista che ha evidenziato il serio problema. Cori si distingue anche in questo. Sconcertante!

Pubblicato sul numero 8 del 2020 del "Il Corace"

COLTELLO AFFILATO, LA FRONTIERA E IL DESTINO MANIFESTO

Il grande flusso di sbarchi migratori dal Vecchio Continente al Nuovo Mondo, portò ad un massiccio spostamento dei coloni europei verso ovest, al di là dei Monti Allegani, ovvero oltrepassando ciò che era il confine geografico originario delle prime Tredici Colonie. Le numerose alleanze indiane per respingere questa nuova invasione bianca non servirono a molto. Rimane famoso l'episodio di un capo minore di un'alleanza tra varie tribù, Falco Nero, che fu tradito, nella sua fiera resistenza, da alcuni indiani alleati per qualche dollaro e un pugno di cavalli offerti dall'esercito statunitense. Dopo la sua morte, tanta era la considerazione che i banchi avevano  degli indiani come esseri umani, il governatore dell'Iowa tenne esposto il suo scheletro nel suo ufficio. Nel 1829 Andrew Jackson divenne presidente degli Stati Uniti. Jackson era famoso tra gli indiani per le sue scorribande sulla frontiera, tanto da essere soprannominato Coltello Affilato. Tuttavia Coltello Affilato Jackson, si dimostrò incredibilmente diplomatico durante il suo mandato. Riuscì a promulgare una legge che prevedeva che gli indiani a est del Mississipi fossero trasferiti a ovest, creando di fatto un distretto indiano e una frontiera permanente. Nonostante questa frontiera dovesse garantire la pace tra indiani e bianchi e assicurare un territorio ai nativi, una nuova ondata di coloni forma dei territori oltre la frontiera. Il governo statunitense decide quindi di spostare questo confine sul 95° meridiano, costituendo una “frontiera indiana permanente” costellata di forti militari che avrebbero dovuto garantire l'ordine. Gli indiani a est della frontiera però erano ancora moltissimi. La tribù, o per meglio dire, il popolo più numeroso era quello dei Cherokee. Questa grande nazione indiana contava ancora molte migliaia di persone, che avevano resistito a guerre, malattie e persecuzioni come quelle di Coltello Affilato Jackson. Si decise perciò di “spostarli” gradualmente oltre la frontiera. Tuttavia con la scoperta dell'oro nel loro territorio, il governo decise di affrettare i tempi dello sgombero, e affidò il compito al generale Scott, il quale rinchiuse i Cherokee i grandi campi di concentramento e attuò la loro deportazione durante l'inverno. Fu ovviamente un “cammino delle lacrime” come ancora oggi viene ricordato dai nativi. Molte migliaia morirono per il freddo, la fame e lo sfinimento. Insieme ai Cherokee molte altre tribù arrivarono nel territorio degli Indiani delle Pianure come profughi dall'est. A metà degli anni quaranta dell'800, i pacifici e democratici Stati Uniti ingaggiarono guerra con il Messico. Alla fine del conflitto, nel 1847, gli Stati Uniti avevano annesso ai loro possedimenti tutta la fascia di territori che dal Texas arriva in California., territori a ovest della frontiera indiana. E quando nel 1848 fu scoperto l'oro in California, i bianchi dall'est invasero le piste di Santa Fè e dell'Oregon, riversandosi a migliaia sulle coste del Pacifico. Per giustificare una tale violazione delle leggi sulla frontiera, il governo di Washington inventò la teoria del Destino Manifesto, per cui gli europei erano destinati a governare su tutta l'America e sugli indiani essendo la razza dominante. I soli a respingere tale teoria, per ovvie ragioni, erano i bianchi della Nuova Inghilterra, dato che avevano già cacciato tutti i nativi dai loro territori. L'oro fu scoperto anche in Colorado, e migliaia di coloni bianchi e avventurieri si riversarono nelle pianure centrali, in pieno territorio indiano, istituendo nuovi stati. Quella che doveva essere la “frontiera indiana permanente” di fatto non esisteva più, e i veri americani erano costretti a racimolare da vivere in piccoli territori tra una moltitudine di avidi e bianchi guerrafondai. Agli albori della Guerra Civile americana, erano sopravvissuti circa 300 mila indiani, un terzo dall'arrivo dei primi coloni bianchi nella Nuova Inghilterra. Tre secoli dopo il 1492, molte tribù erano scomparse e altre si stavano estinguendo. Le foreste verdeggianti della costa est ammirate da Colombo (“...coperta di alberi molto verdi... nel complesso così verde che è un piacere guardarla”) erano state abbattute e ora vi regnavano campi di cotone coltivati da schiavi e deserti di sabbia abbandonati. Ai nativi sembrava che questi bianchi odiassero tutto ciò che era verde e l'intera natura. L'eredità indiana ormai viveva solo nei toponimi legati a quella grande terra un tempo verde e pacifica.

Scritto da Matteo D'Achille - Pubblicato sul numero 8 del 2020 del "Il Corace"

NATALE E ACQUISTI ONLINE: COME TUTELARSI

 Il periodo natalizio coincide con l’acquisto di regali ad amici e parenti. Un dono per esprimere il proprio pensiero l’uno all’altro. Negli ultimi anni sono cambiate di molte le nostre abitudini di acquisto. Con l’avvento di internet e dei grandi negozi online, moderni centri commerciali ove i venditori occupano spazi digitali come occuperebbero locali fisici e mettono in vetrina i loro prodotti, sempre più spesso gli acquisti passano dal web anziché dal negozio fisico. Non solo, le grandi opportunità di sconti offerti dalla vendita all’ingrosso di internet permette a intere famiglie di non dover rinunciare a fare qualche regalo per problemi di budget. Ciononostante non sempre ciò che si acquista e ciò che si riceve coincidono. Controlli, attenzione e fiducia sul venditore non sono sempre garanzia di sicurezza. 

Come difendersi allora dagli acquisti sbagliati? Come tutelarsi da possibili truffe? A cosa fare attenzione soprattutto nel periodo degli sconti folli? Il primo passo da compiere è raccogliere quante più informazioni possibili sul venditore, in particolare la verifica della partita IVA, della sede legale, del numero telefonico di riferimento e dei dati utili per contattare l’autore dell’annuncio. Se tutti questi elementi non sono disponibili probabilmente il venditore non è in buonafede. Per ricavare indizi sull’affidabilità del venditore, è sempre buona abitudine, leggere le recensioni degli acquirenti effettuando una semplice ricerca su Google o ricorrendo all’ausilio delle applicazioni che consentono di esprimere un giudizio sull’azienda o sul suo prodotto comperato. Inoltre, è sempre buona abitudine, cercare informazioni dagli altri utenti del Web, tramite le applicazioni che consentono di recensire l’azienda o il suo prodotto, da cui è possibile ricavare indizi sull’affidabilità e garanzia di chi vuol vendere prodotti online. Un secondo elemento è rappresentato dalla buona tenuta del computer. È importante utilizzare sempre un antivirus in grado di individuare siti potenzialmente dannosi, informandoci sulla pericolosità dell’accesso ad essi. Inoltre, occorre utilizzare un programma per la navigazione (browser) aggiornato e affidabile, in grado di fornirci informazioni sulle pagine Web che stiamo visitando. 

Altro elemento da tenere in considerazione, le condizioni che disciplinano la vendita riportare nella piattaforma e-commerce: 

1. termini e condizioni per il recesso, è opportuno verificare che sul sito internet siano presenti le condizioni, i termini e le procedure per esercitare il diritto di recesso; 

2. modalità e tempi di consegna, tra le condizioni di vendita deve essere indicato il termine entro il quale il venditore si impegna a consegnare il bene. Tale termine, ai sensi del Codice del Consumo, non può essere superiore a 30 giorni dalla data d’acquisto; 

3. garanzia legale di conformità ed assistenza post-vendita, in presenza di vizi di conformità, il consumatore, ha diritto, a sua scelta, alla riparazione, alla sostituzione del bene difettoso o alla riduzione del prezzo. La garanzia legale dura due anni, decorrenti dalla consegna, e deve essere fatta valere dal consumatore entro due mesi dalla scoperta del difetto. Il venditore deve indicare, se previsti, i servizi di assistenza post-vendita; 

4. risoluzione bonaria della controversia, da ultimo, il venditore deve specificare gli eventuali strumenti di risoluzione bonaria della controversia in caso di lite con l’acquirente. Se a seguito dell’acquisto online ci si accorge di essere stati vittima di una truffa contrattuale, occorre presentare querela alla polizia postale entro 90 giorni dalla data della scoperta. Inoltre, gli utenti del Web, possono anche segnalare siti sospetti alla polizia, che procederà agli accertamenti necessari ad individuare attività potenzialmente illegali. Oltre alla querela, l’acquirente ha diritto ad ottenere la restituzione di quanto pagato nonché il risarcimento degli eventuali danni patiti potendo citare, in sede civile, il venditore, per inadempimento contrattuale.

Scritto da Francesca Palleschi - Pubblicato sul numero 8 del 2020 del "Il Corace"

INFELICETTO...

Montefortino era il suo nome d’origine tramutato in Artena nel 1873, in ricordo dell’antica città dei Volsci, sulla cui area si crede sia stata fondata. Artena, terra di terribili briganti che non perdonavano il malcapitato viandante che passava da quelle parti e che ci lasciava pecunia e sovente la pelle. A pochi chilometri Cori con la sua storia finanche più datata e mitica. E quindi? Tutta questa introduzione per dire cosa? Che c’azzecca? È un artefatto preambolo per introdurre il recente rapporto che si è instaurato tra Artena e Cori e che vede come protagonisti non antagonisti i due primi cittadini. Felicetto e Primio (mi prendo sta confidenza va). Indagato e totalmente estraneo. Nessun reato da contestare ai Nostri (non ci compete). Ma il “corese” un po’ sfigato lo é stato. Nella arcinota telefonata intercorsa tra i due si è chiacchierato del come "far fuori" lecitamente una dipen-dente, secondo Primio, incapace, rispettando le regole inattaccabili del diritto. A leggere il virgolettato si può assistere ad un dialogo tra maestro e allievo. “Come devo fare e fai così”. Niente di strano mi direte. Quasi niente rispondo con levità e rispetto del diritto di opinione che difendo e che vale per tutti. Quasi niente, ribadisco. Già l'Amministra-zione De Lillis aveva concesso una licenza di vendita di frutta a verdura ad un “tipo” non proprio raccomandabile, coinvolto nella triste storia di Willy.. e vabbè. Infortunio. Legge-rezza. Distrazione. Sfortuna. Chiamatela come volete. Ma il fattaccio c’è. Transeat. Può capitare. Ma non può capitare che con tutti i consulenti del lavoro esistenti in provincia di Latina uno vada a consultare un suo omologo per chiedere consigli su come allontanare un dipendente comunale prece-dentemente assunto. O meglio.. si può consultare chiunque, ma da un politico locale presente “sulla scena” da lustri e che dovreb-be aver accumulato una conoscenza profon-dissima del funzionamento della macchina comunale, mi aspetto che i consigli possa darli anziché chiederli. La patente di incapa-cità vale per tutti. Per i dipendenti ma anche per i superiori. Non vale per i padroni. Quelli possono far tutto e il contrario di tutto. Ma il sindaco padrone non è... almeno non ancora.

Scritto da Mario Trifari - Pubblicato sul numero 8 del 2020 del "Il Corace"

A CORI, IL VERDE MUORE!

Questo mese avrei voluto onorare la festa degli alberi in altro modo, ma ahimé, questo per ora è da rimandare al prossimo anno. Ma prima, riepiloghiamo la mia riflessione sul tema degli alberi che ho condiviso con quanti di voi lettrici e lettori de “Il Corace” avete seguito lo scorso mese. La mia è stata, così come faccio mensilmente già da diverso tempo, una ennesima valutazione sul tema del verde urbano e degli alberi, e in particolare, su quanto essi rappresentino con la loro presenza, certamente la qualità della nostra vita quotidiana; e di quanto, solo per questo motivo, gli alberi andrebbero tutelati e valorizzati a prescindere, dinanzi a qualsiasi esigenza e azione urbana, attraverso lì dove solo fosse necessario, un taglio ponderato, e lì dove fosse possibile e auspicabile attraverso un progetto serio ed accurato, dettato soprattutto dalle linee indicate da un “piano del verde urbano”, che Cori ovviamente non ha, una più frequente piantumazione integrata di alberi sul tessuto urbano e periurbano del Comune. E a tale proposito, nella precedente riflessione si faceva menzione di una importante iniziativa messa in campo dalla Regione Lazio, che prende il nome di “Ossigeno”, cui principale obiettivo era e resta credo tutt’ora oggi, proprio quello di promuovere su tutto il territorio della Regione Lazio, un ambizioso programma di rimboschimento urbano e periurbano, con il fine di contrastare i cambiamenti climatici in atto, con la piantumazione di 6 milioni di nuovi alberi, uno per ogni abitante della regione. E di questo progetto, che io ne apprezzo le intenzioni, ma ad oggi, poco la sua attuazione, ho condiviso con voi la domanda se questo progetto fosse arrivato anche sul territorio di Cori e in quello di Giulianello, e se sì, quanto questo stesso progetto, attraverso anche l’asse politico Zingaretti-De Lillis, si fosse palesato realmente dentro le stanze dei bottoni del Comune di Cori, e di quanto questo, anche attraverso l’invito di qualche cittadino privato, associazione o ente locale, si fosse innestato realmente su tutto il territorio con un’azione concreta e intelligente, ma soprattutto, poco provinciale, da rispecchiare totalmente anche attraverso un piano progettuale chiaro e lungimirante, l’essenza dell’ambizioso progetto “Ossigeno”.  



Di seguito all’interrogativo posto dal nostro precedente articolo, non so se per risposta indiretta o semplice ritardo comunicativo del Comune, si è appreso con mia iniziale gioia da una testata pontina on-line, che il Comune di Cori abbia individuato le potenzialità del progetto “Ossigeno” e che anche se alla “chetichella”, ne abbia comunque ideato un progetto denominato “Il verde vive”, con il quale, a seguito di una approvazione della giunta di Cori, ha partecipato alla Manifestazione di interesse per la selezione di progetti su aree pubbliche o ad uso pubblico finalizzati alla piantumazione di nuovi alberi e arbusti nel territorio del Lazio indetta dalla Regione Lazio con il progetto “Ossigeno”. Letto alcuni dei documenti che mi sono pervenuti e che sono stati prodotti per tale partecipazione, ho lasciato il posto alla mia gioia iniziale a quella della tristezza, perché la proposta fatta dal Comune di Cori, prevede al Lago di Giulianello, oasi naturale per eccellenza, la piantumazione di sole 25 specie arboree, e rimarco solo 25, che francamente, dinanzi allo spot promosso per il progetto “Ossigeno” dal Presidente della Regione Nicola Zingaretti, il quale dichiarava che avrebbe fatto piantare un albero per ogni singolo cittadino della Regione Lazio, al Comune di Cori, se questa è la proposta avanzata dal progetto “Il verde vive”, conti alla mano, su 10.740 abitanti (31/12/2019 – Istat), tolti 25 abitanti, rispettivamente uno per ogni specie arborea prevista dal progetto, mancherebbero più o meno all’appello circa 10.715 specie arboree. Come mai? Un errore di valutazione? Mancata visione? O assenza di un vero e proprio piano infrastrutturale del verde che non fa rendere conto agli stessi ideatori del progetto, che il tema degli alberi è un tema serio, e in quanto tale, occorre che qualsiasi idea debba rispondere a delle linee guida che solo un “piano del verde” integrato ad un “piano urbano e periurbano” serio, può indicare la dritta via. Detto ciò, questa se così è, e con il cuore in mano, spero tanto di essere smentito presto con un bel progetto, sarà una ennesima occasione mancata che renderà sempre di più questo territorio chiuso e depresso, senza via di scampo per le future generazioni. Pertanto, ad oggi il progetto “Ossigeno”, non ossigena, e il verde del Comune di Cori anziché vivere, muore, per negligenza e superficialità progettuale dell’opera pubblica. Perché dinanzi anche al taglio degli alberi attuato su via del Soccorso a Cori Monte, in cui sono in corso i lavori di regimentazione delle acque bianche per poterne regolare meglio il flusso, e limitare i problemi di allagamento di piazza della Croce, per via di una variante in corso d’opera che stando a quanto dichiarato dal Sindaco è stato reso necessario adottare per motivi tecnici, ci fa ritrovare di fronte all’ennesimo intervento urbano fatto navigando a vista su un bene comune costituito dal tessuto urbano della città. Dobbiamo pertanto finirla a mio avviso di intervenire sul tessuto urbano senza una vera e propria visione di ciò che si sta andando a fare. Basta con queste azioni provinciali, perché la “res pubblica” non si deve toccare se non si è in grado di avere la capacità di guardare oltre l’ombra della propria staccionata di casa, perché si continua a fare un danno enorme ed irreversibile alle future generazioni. E soprattutto, stando fermi sul tema di queste considerazioni, gli alberi non si toccano, se prima non si è pensato di piantarne degli altri, magari non a decine, ma bensì a centinaia, o meglio ancora a migliaia su tutto il territorio, attraverso una visione unica, dettata da regole serie e ferme in linea con le sfide ambientali che il futuro ci pone dinanzi, ma che sempre puntualmente, purtroppo, si tradiscono, forse per superficialità, magari per incompetenza, sicuramente per “fottuta” chiusura politica. 

Per affrontare certi temi, bisogna avere il coraggio di volare in alto, mettendo sempre alla luce del giorno, attraverso progettazioni partecipate, le intenzioni finalizzate a migliorare la qualità urbana, nonché socio economica di tutto il territorio. Quindi in conclusione, caro Sindaco, Le scrivo francamente che non mi convince la semplicità con la quale ha giustificato il taglio degli alberi in via Madonna del Soccorso, perché se pure si fosse pensato di ripiantarli in altro modo e in altro luogo, magari in maniera ovviamente più idonea, non è per niente ammissibile che tutto ciò possa avvenire in corso d’opera, attraverso varianti che dimostrano innanzitutto quanto male si sia previsto con quell'intervento, e quanto probabilmente per tutto ciò, si dovrà ulteriormente aumentare i costi per la sua realizzazione. L’azione di una città intelligente non deve navigare a vista sul territorio, ma deve essere ben pianificata con un progetto di insieme, che per area, dovrà redigere progetti di massima da mettere al vaglio di tutta la comunità, per poi poterne fare di essi un’unica occasione per far emergere attraverso opportune indagini in sito, eventuali criticità, prima della redazione di un progetto definitivo, prima di una approvazione e prima di un inizio di realizzazione. Questo è quanto ci auspichiamo che possa avvenire già con questa realizzazione, che si deve avere il coraggio di fermare subito, rimettendo al vaglio di una più integrata e intelligente progettazione, tutta l’intenzione, al fine di poter portare in essere, anche una giusta prospettiva architettonica di qualità condivisibile con tutta la comunità, in vista anche del prossimo cinquecentenario della Madonna del Soccorso. Ridiamo seriamente ossigeno a questa città, affidando con fiducia e serietà anche al verde strutturale, la sua giusta vitalità.

Scritto da Emanuel Acciarito - Pubblicato sul numero 8 del 2020 del "Il Corace"

IL NATALE SI AVVICINA

Dall'ultimo DPCM sono passate alcune settimane e con i dati alla mano, il numero dei contagiati è fortunatamente diminuito, il trend è sceso ma la quantità di deceduti resta ancora alto. Speriamo bene... Si avvicinano le festività. Cosa deciderà il Governo in merito ancora non lo sappiamo. Quello che però mi lascia molto perplessa è la mancanza di memoria e di giudizio che popola la mente di tante persone. D'altronde viviamo in un periodo dove l'individualismo la fa da padrone. Durante l'estate c'era stata data l'occasione per fare delle vacanze usando discrezione e responsabilità. Vi ricordate com'è finita? Non è andata per niente bene e siamo stati vittime della seconda ondata del virus. Ora, considerando questo, credete sia davvero possibile riaprire per le festività natalizie? 

Ovviamente qui la politica c'entra poco. Qui la colpa è del menefreghismo, l'individualismo e le persone che sembrano del tutto fuori dalla realtà. Ma sì, riapriamo! Tanto poi alla fine se dovessero riaumentare i casi, la colpa la diamo al Governo. Esso doveva sia proteggere il popolo che farci fare cenoni e spendere soldi per comprare inutili regali di Natale. Sembra proprio che l'italiano non può vivere senza cenoni, feste interminabili, smancerie varie. Non c'è dubbio che le festività natalizie potrebbero risanare il bilancio annuale di molti imprenditori, negozianti, ristoratori. Sicuramente questi commercianti vanno aiutati, ma non bisogna camuffare il vero problema con una retorica di finto buonismo. Se a Natale fossimo tutti più buoni, penseremmo al benessere comune e non a quello individuale. E tutti quelli che misteriosamente hanno riscoperto il senso religioso del Natale? Aggrappandosi anche a questo pur di attaccare il Governo. Questa "illuminazione" sembra dettata dagli episodi già noti del capo della Lega, il caro Matteo. Anche lui si è riscoperto un bravo cattolico. Certo a me fa un po' ridere questa cosa. Coloro che da sempre lottano contro gli immigrati ma ora vogliono tutelare l'aspetto religioso del Natale. D'altronde in questo giorno si festeggia la nascita di Gesù, che in fin dei conti era un palestinese. Non ci vedete dell'ipocrisia in questa cosa? 

Per non parlare poi di coloro che si lamentano perché quest'anno non potranno andare a farsi la settimana bianca. C'è chi accusa il Governo di non fare nulla per gli operatori delle piste sciistiche e per la loro apertura con le entrate contigentate. Non vi ricorda qualcosa circa la riapertura delle discoteche di qualche mese fa? Vi ripropongo la domanda di prima, vi ricordate com'è andata a finire? Non metto in discussione che il Governo dovrebbe aiutare economicamente anche questo settore. Però le riaperture secondo me sono insostenibili. Non possiamo rischiare di mandare in fumo, nuovamente, tutte le privazioni e le restrizioni che abbiamo dovuto sostenere in questi mesi. C'è chi sostiene di avere dei diritti senza però fermarsi a pensare ai doveri che hanno nei confronti dei loro concittadini e del loro Paese. Non esiste più il concetto di comunità, di unione. Siamo solo in grado di giudicare, di polemizzare. Ormai il nostro Paese sembra diviso in due. Da una parte ci sono coloro che rispettano tutte le restrizioni e le regole, con la speranza di uscire presto da questa situazione diventata soffocante. Dall'altro, purtroppo, ci sono coloro che ignorano la gravità della situazione. Addirittura chi rinnega del tutto della sua esistenza. 

Per concludere, non so se quest'anno potremmo passare le festività con i nostri cari, però proprio perché diciamo di amarli non dovremmo rischiare di farli ammalare. Quindi sapete che vi dico? Che persistano le restrizioni così che per il nuovo anno tutto questo possa essere solo un lontano ricordo.


Scritto da Costanza Placidi - Pubblicato sul numero 8 del 2020 del "Il Corace"

sabato 31 ottobre 2020

STORIA DELLA SCUOLA Tanti modi di fare scuola: Montessori incontra Camillo Bortolato e il Reggio Emilia Approach

Cari lettori, dopo lo scorso articolo in cui abbiamo immaginato un colloquio tra Gianni Rodari e Maria Montessori, propongo ora un nuovo incontro tra persone che hanno rivoluzionato la pedagogia, ma soprattutto la didattica: Maria Montessori incontra, ora, Camillo Bertolato e, successivamente, il Reggio Emilia Approach. Maria Montessori e Camillo Bortolato hanno in comune diverse concezioni didattico/pedagogiche. In particolare, l’educazione attiva e il  concreto come base didattica d’apprendimento. Sia per Montessori che per Bortolato risulta di estrema importanza che la didattica che Bortolato chiama metodo analogico (comprensione del concetto a partire dall’oggetto concreto metodo analogico significa, infatti, che basa la comprensione dei concetti astratti sulla loro analogia con il concreto). Bortolato afferma che la montagna del sapere è formata da tre livelli: 1. alla base c’è il mondo delle cose, del concreto; 2. poco più sopra c’è il mondo delle parole; in cima c’è il mondo dei simboli scritti. Bortolato denuncia la posizione degli insegnanti, che si trovano sempre in cima alla montagna, dimenticandosi delle fondamenta: essi vengono invitati a scendere dalla cima astratta della montagna, per tornare al mondo delle cose, del concreto; è opportuno basarsi sulla comprensione attiva ed autonoma dei bambini dell’oggetto stesso tramite strumenti sensoriali concreti (molti sono stati creati da Montessori). Scarsissima centralità deve assumere astrattezza teorica e l’utilizzo delle parole, limitate il più possibile. Importante strumento è la mano, inteso come importante organo dell’intelligenza, in quanto, attraverso di essa si fa conoscenza dell’ambiente. Ed è proprio attraverso la conoscenza di tale ambiente che si può formare l’intelligenza, la quale poggia dalla comprensione concreta delle cose, dalla quale non può prescindere.  Non a caso, Bortolato realizzerà la Linea del 20, metodo che sviluppa il calcolo mentale simulando il funzionamento delle mani. Altri importanti strumenti sono quelli autocorrettivi.  Tutto ciò risulta assolutamente consustanziato da ovvie ragioni psicologiche, che vedono in tale comportamento il metodo di apprendimento più naturale e fisiologico, in quanto l’intelligenza astratta si basa su conoscenze concrete. Non a caso, ciò comporta il duplice risultato di una didattica più veloce («al volo» dice Bortolato) e più efficace.  Esempio di tale metodo è il il calcolo concreto. L’importanza dell’ordine mentale nell’apprendimento viene così descritta dallo stesso Bertolato: «I bambini che hanno successo a scuola hanno il principio della posizionalità esteso a tutto quello che dicono e pensano. Perciò mettono le informazioni, cioè i file, in cartelle e poi per non perderle costruiscono armadi e stanze e case piene di cartelle. Come una città in crescita aggiungono case ed altre case, collocando ognuna in un luogo preciso. Così, al bisogno, potranno ritrovarle». Maria Montessori ed il Reggio Emilia Approach hanno molto in comune. Prima di iniziare l’analisi, occorre ricordare che il Reggio Emilia Approach è una filosofia educativa elaborata da Loris Malaguzzi che, nel 1963, ha visto la creazione di numerosi asili comunali (sia nidi, che materne), grazie all’aiuto del Comune di Reggio Emilia. Per garantire la promozione del Reggio Emilia Approach a livello nazionale ed internazionale è sorto nel 1994 per volontà del Comune di Reggio Emilia il Reggio Children, una società pubblico-privata che ha sede al Centro Internazionale Loris Malaguzzi. Il più importante punto in comune tra questi due poli didatti è la costruzione di una educazione attiva, basata sull’osservazione dei bisogni del bambino. Osservare i bisogni del bambino è possibile solo se si costruisce un ambiente in grado permettere ai piccoli di esprimersi. Dice la Montessori: «Il metodo di osservazione è stabilito su una sola base: cioè che i bambini possano liberamente esprimersi e così rivelarci bisogni e attitudini che rimangono nascosti o repressi quando non esista un ambiente adatto per permettere la loro attività spontanea». L’ambiente, poi, verrà a sua volta modificato dai bisogni stessi dei bambini, che permetterà ad essi di esprimersi con maggiore spontaneità, in un perenne circolo virtuoso. Direttamente colle-gato a tali temi è il rispetto per la pluralità dei linguaggi con cui essi si esprimono e, dunque, comunicano i propri bisogni. Per pluralità di linguaggi si intende: pluralità di linguaggi comunicativi personali e pluralità di codici linguistici Impor-tante, dunque, risulta in tale aspetto l’impegno democratico. Esempio di tale rispetto è la poesia di Loris Malaguzzi Invece il cento c’è (con richiami rodariani alla pluralità di espressione). “Il bambino è fatto di cento. Il bambino ha cento lingue cento mani cento pensieri cento modi di pensare di giocare e di parlare cento sempre cento modi di ascoltare di stupire di amare cento allegrie per cantare e capire cento mondi da scoprire cento mondi da inventare cento mondi da sognare. Il bambino ha cento lingue (e poi cento cento cento) ma gliene rubano novantanove. Gli dicono: di pensare senza mani di fare senza testa di ascoltare e di non parlare di capire senza allegrie di amare e di stupirsi solo a Pasqua e a Natale. Gli dicono: di scoprire il mondo che già c’è e dicentogliene rubano novantanove. Gli dicono: che il gioco e il lavoro la realtà e la fantasia la scienza e l’immaginazione il cielo e la terra la ragione e il sogno sono cose che non stanno insieme. Gli dicono insomma che il cento non c’è. Il bambino dice: invece il cento c’è.” Viene proposta un’attività osservativa basata sulla documentazione dell’esperienza educativa e dei comportamenti dei bambini mediante l’utilizzo di un taccuino (un quaderno sul quale maestra annota quello che vede succedere nel quotidiano), una griglia osservativa personale e un diario di classe  (un diario in cui annotare gli eventi più importanti - anche per mezzo di una documentazione fotografica, previa liberatoria dei genitori). Tale diario potrà assumere il formato di un quadernone, di un cartellone oppure quello digitale. Nel caso dei primi due formati, si consiglia l’esposizione della documentazione, così che anche i genitori possano essere partecipi delle attività dei propri figli.

Scritto da Andrea Pontecorvi - Pubblicato sul numero 7 del 2020 del "Il Corace"

IL FICODINDIA

Pianta da secoli naturalizzata e coltivata nei Paesi del Mediterraneo che, per le sue molteplici funzioni agronomiche e produttive, è tuttora di notevole interesse colturale in molte aree difficili


Il Fico d’India, come si può dedurre dall’esame etimologico del suo nome, dovrebbe trarre le sue origini dall’India, ma poiché risulta alquanto dubbio, il ritenerlo indigeno dell’India e delle contrade asiatiche meridionali, l’origine di tale pianta va ricercata nel Continente americano e, in particolare, nel Messico. Da qui, vero-similmente, nell’antichità, il Ficodindia (Opuntia ficus-indica) si diffuse nel Centro America dove veniva coltivato e commercializzato già ai tempi degli Aztechi presso cui era considerato una pianta sacra e con forti valori simbolici: la sua immagine risulta presente sulle monete, su numerose decorazioni e sullo stemma del Messico. I remoti ascendenti degli Aztechi, peraltro, risultano essere i primi popoli che conobbero e utilizzarono il Ficodindia nell’alimentazione umana mentre la produzione di carminio (un pregiato colorante naturale), strettamente correlata alla sua coltivazione, era già diffusa tra gli Incas. Tale carminio, infatti, risulta uno dei beni allora commercializzati e menzionato dal “Codice Mendoza”. Agronomi iberici, nei loro scritti, asserivano anche che nelle Canarie veniva coltivata la Opunzia per l’acido carminico (rosso di cocciniglia) che si otteneva da insetti (Dactylopius coccus) che essa albergava. E secondo Plinio il Vecchio, era conosciuto come Opunzia perché in Grecia, nella zona di Oponzio o Oponte, vicino all’odierna Negroponte, tali piante crescevano spontanee. Fin dall’antichità, inoltre, nelle zone settentrionali dell’Africa si ha notizia di vigorosi esemplari di Ficodindia coltivati non solo per i frutti ma anche per mangime fresco fornito dai cladodi (o pale). O. ficus-indica fu introdotto in Europa probabilmente da Cristoforo Colombo che, di ritorno dalle Americhe, lo portò in Spagna da dove, successivamente, giunse in Italia ad opera di Arabi e Spagnoli che lo diffusero in Sicilia (Valle litoranea del Belice e zone di Trapani, Catania e Messina) dove le ottimali condizioni ambientali ne favoriscono anche la crescita spontanea. Tali località costituirono le pedane di lancio e di propagazione in tutta l’Italia e nelle Isole. Attualmente la specie è naturalizzata in tutti i Paesi del Mediterraneo ove è divenuto elemento caratteristico del paesaggio. Il genere Opuntia è il più noto e rappresentativo dei circa 122 generi appartenenti alla famiglia delle Cactaceae che, a sua volta, comprende più di 1.600 specie. Il Ficodindia fu descritto per la prima volta, nel 1535, da uno studioso spagnolo; fu classificato per la prima volta, nel 1753, ad opera di Linneo che includeva 22 specie nella famiglia delle Cactaceae (oggi, invece, si ritiene possano essere tra 30 e 220 generi e tra 2.100 e oltre 14.000 specie).  Miller nel 1768 definì la specie in Opuntia ficus-indica che rappresenta la denominazione tuttora ufficialmente accettata. Il Ficodindia è una pianta succulenta e arborescente, alta fino a 3-5 metri e caratterizzata dall’articolazione della parte aerea in internodi appiattiti (cladodi, pale o rami), verdi, dotati di un parenchima acquifero e rivestiti di cere. La loro forma è generalmente obovata e le dimensioni  variabili: 30-60 cm in lunghezza, 20-40 cm in larghezza e 19-28 mm di spessore. Le foglie, presenti sui giovani cladodi o sull’asse fiorale sino alla fioritura, sono effimere, avendo una durata di circa 30 giorni, di forma conica e lunghe pochi millimetri. Alla loro base compaiono le areole, gemme ascellari modificate presenti in numero costante per cladodio (in Opuntia ficus-indica 8-9 serie spiralate), il cui meristema si può evolvere in vere spine, glochidi, cladodi, fiori o radici avventizie. Le spine vere e proprie, assenti nelle specie cosiddette inermi, come in alcune cv. di Opuntia ficus-indica, sono sclerificate, di lunghezza e colore diversi. I glochidi, in genere presenti, non essendo sclerificati alla base, sono caduchi, solitamente gialli, lunghi pochi mm e sottili. I cladodi basali tendono a lignificarsi fino a formare un tronco ben definito. L’apparato radicale è piuttosto superficiale, ma nelle piante non sottoposte a coltura appare molto esteso. I fiori, che si differenziano, prevalentemente, dalle areole disposte lungo il margine superiore della corona dei cladodi di un anno, sono ermafroditi, hanno il calice e la corolla formati da sepali poco evidenti e da petali appariscenti di diverso colore, solitamente giallo-aranciato. Gli stami sono numerosi e circondano il gineceo, costituito da un pistillo sormontato da uno stigma multiplo. L’ovario è infero, uniloculare, con diversi ovuli disposti in placentazione parietale. La fioritura del Ficodindia, in ambiente mediterraneo, avviene nel periodo di maggio - giugno. L’antesi (fioritura) si compie in un arco di tempo molto breve, da 24 ore (negli ambienti aridi del Messico) a 36-48 ore (nell’Italia meridionale e insulare). L’auto-impollinazione e l’impollinazione incrociata possono coesistere e diverse specie sono caratterizzate da cleistogamia pre-antesi (fecondazione a porte chiuse), in quanto lo stigma può essere recettivo prima dell’apertura del fiore. Il frutto è una grossa bacca uniloculare, carnosa e polispermica (con molti semi). La polpa si origina dalle cellule papillari dell’epidermide dorsale dell’involucro funicolare e dal funicolo, mentre l’epidermide deriva dal ricettacolo, che è un tessuto vegetativo che circonda l’ovario. Un’elevata variabilità, nella forma, dimensioni, colore dei frutti e caratteristiche organolettiche, è spesso riscontrabile non solo tra le diverse specie e biotipi ma anche nel loro interno. I semi (acheni) sono numerosi (da 100 a 400 circa per frutto), legnosi, di forma discoidale, di diametro pari a circa 3-4 mm e caratterizzati da poliembrionia (sviluppo di più embrioni). La variabilità genetica in questa specie è elevata e l’assenza di un patrimonio varietale standardizzato ha favorito la diffusione di tipi o cloni, classificabili sulla base morfologica dei frutti e dei cladodi. Nei Paesi mediterranei le varietà maggiormente utilizzate in coltura appartengono a O. ficus-indica e, in minor misura, a O. amyclaea. In Italia si sono affermate, in modo particolare,  tre varietà: la gialla (o ‘Sulfarina’) che è la più diffusa, la bianca (o ‘Muscaredda’) e la rossa (o ‘Sanguigna’) le cui denominazioni derivano, ovviamente, dal colore del loro frutto. La maturazione dei frutti avviene solitamente in estate (agostani), ma si possono ottenere frutti  tardivi più grossi e succulenti (bastardoni) mediante la “scozzolatura” una tecnica consistente nell’eliminazione dei fiori della prima fioritura (in maggio-giugno) che consente una seconda fioritura, più abbondante e  con una maturazione più ritardata. Il Ficodindia, da secoli, ha rappresentato una notevole risorsa alimentare per l’uomo e per il bestiame. I frutti, succosi, gustosi e dissetanti, sono dotati di attività antiossidante ed antiulcerosa. Il loro valore nutritivo, dovuto soprattutto al contenuto di zuccheri (18-20%), protidi (4-6%), importanti sali minerali (Ca, K, P, Mg, Fe), vitamine (C, gruppo B, A) e fibre (7,2%), giustifica l’appellativo popolare di: “pane provvidenziale delle regioni aride” ed invita a non sottovalutarli. Che fossero ricchi di acido ascorbico, di polifenoli e flavonoidi era stato già dimostrato dai Ricercatori dell’Università di Messina (2003). Studi recenti dell’Università di Palermo confermano quanto sopra e dimostrano che il consumo di fichidindia riduce il danno ossidativo dei lipidi e migliora lo “stato antiossidante” nelle persone sottoposte al trattamento. È dimostrato, inoltre, che favorisce la diuresi, apporta minerali e vitamine e aiuta le funzioni digestive. I frutti, nei diversi continenti, vengono normalmente consumati freschi ma anche utilizzati per la produzione di numerosi prodotti dolciari come marmellate, sciroppi, gelato e gelatine nonché bevande alcoliche e non. Essiccati vengono usati per preparare conserve e marmellate nonché mostaccioli e mostarda. Uno dei prodotti tipici dell’America Latina è il queso de tuna, che si ottiene per trasformazione dei frutti. Il consumo dei frutti allo stato fresco, che è molto diffuso anche nelle nostre località, è attualmente favorito ed incrementato, non solo per le lavorazioni post-raccolta, tendenti all’eliminazione dei glochidi (spine), tramite apposite spazzolatrici, ma anche per le elaborate tecnologie di frigo-conservazione e i moderni e veloci mezzi di trasporto (treni e aerei). I diversi usi della pianta sono legati, normalmente, alla tradizione sia nei luoghi d’origine sia nelle nuove aree. La varietà d’impiego, spesso, è riferibile alla gastronomia etnica dei diversi Paesi o Regioni in cui il Ficodindia ha rivestito principalmente il ruolo di fonte alimentare sostitutiva di alimenti più ricchi. O. ficus-indica, nel Messico, è per importanza la quinta specie vegetale da cui si producono verdure (nopalitos) tramite la raccolta di giovani cladodi della lunghezza 10-15 cm. I nopalitos ottenuti da diverse specie di Opuntia, che mostrano una notevole ripresa vegetativa e attitudine alla forzatura in tunnel, vengono consumati freschi o cucinati in oltre trecento diverse modalità di preparazione e conservati sottolio o sottaceto. Dai cladodi più adulti si ottengono, per il loro contenuto in fibre, farine particolarmente ricercate per la preparazione di biscotti e composti industriali dietetici ma, vengono anche utilizzati per la preparazione di marmellate e canditi. Riguardo l’uso dell’epidermide dei frutti (buccia) e dei semi (prodotti secondari) sono state messe a punto tecnologie per l’ottenimento, rispettivamente, di canditi e di oli. L’olio estratto dai semi, presenti nei frutti, è ricco di acido oleico e linoleico. Inoltre, come accennato, il Ficodindia permette la presenza e l’alimentazione del bestiame nonché l’insediamento dell’uomo in aree estremamente aride o marginali. Infatti, i cladodi, delle specie inermi e spinose, sono particolarmente appetiti dagli animali poligastrici (bovini e ovini) e possono essere anche insilati insieme al materiale di potatura ottenuto dagli impianti destinati alla produzione frutticola. Il  Ficodindia, in Brasile, Cile, Texas e Africa, costituisce una quota importante nella razione alimentare animale, consentendo notevoli economie nei costi. Nella tradizione europea il frutto di O. ficus-indica veniva utilizzato frequentemente per l’alimentazione di animali monogastrici (suini). Un altro importante aspetto dell’utilizzo del Ficodindia, che consente la sopravvivenza di interi villaggi dell’America centrale e meridionale, è rappresentata dall’allevamento di cocciniglia (Dactylopius coccus) su alcune specie come O. coccinellifera e O. ficus-indica. Tale allevamento, possibile solo in aree con limitata piovosità e con temperature costanti, consente elevate produzioni di acido carminico, che raggiungono persino i 75 kg, ottenibili da 4 raccolte di insetti l’anno, allevati su 20.000 piante/ha. Questo acido, un pregiato colorante naturale, trova nei vari continenti un’ampia utilizzazione, soprattutto, nella cosmesi, nell’industria tessile e nell’agro-alimentare. 

A – Particolari della bellezza e dei colori riguardanti il fiore e il frutto di Opuntia ficus-indica;

B – La Sicilia, vista dalla Calabria con dei Ficodindia (‘simbolo’ della Regione) in primo piano. È . spettacolare ammirare il verde intenso, spruzzato da mille sfumature di rosso, giallo e arancio …..dei frutti, che si fonde armoniosamente con il cielo azzurro delle calde giornate estive siciliane;

C – Il Ficodindia rappresentato nello stemma del Messico, terra di origine di tale Cactaceae;

D – Frutti di Ficodindia bianchi, gialli e rossi relativi alle tre varietà coltivate più diffuse in Italia;

E – Frutti di Opuntia ficus-indica presenti sul margine della corona del cladodio (pala) della pianta.


O. ficus-indica è utilizzato dall’industria, nelle sue diverse parti, per l’estrazione delle mucillaggini, dotate di resistenza alle alte temperature, delle pectine e per la produzione di biogas e concimi organici. Dal settore farmaceutico, che ha rivolto la sua attenzione ai fiori e ai frutti, per la produzione di creme, saponi, shampoo, lozioni astringenti per il corpo e rossetti. Riguardo le proprietà medicinali, la pianta è utile per la cura delle affezioni infiammatorie, del diabete e dell’obesità. La polpa dei cladodi, infatti, grazie alla frazione polisaccaridica presente, ha la capacità di legare i grassi e gli zuccheri ingeriti che, resi non assorbibili, vengono eliminati tal quali, con risvolti positivi sul metabolismo glico-lipidico e nella sindrome metabolica. La vitamina B3, inoltre, potenzia l’azione ipoglicemizzante impedendo la trasformazione del glucosio ematico in colesterolo e favorendo la trasformazione del colesterolo LDL (dannoso) in HDL (buono), così da ridurre la colesterolemia e, di conseguenza, il rischio cardiovascolare. Le mucillagini sono in grado di controllare l’eccessiva acidità gastrica e di regolarizzare il transito intestinale. Tra i vecchi e vari rimedi della tradizione siciliana risultano menzionati: a) l’utilizzo di giovani cladodi riscaldati al forno come emollienti; b) l’applicazione diretta di ‘polpa’ di cladodi, su ferite, piaghe ed ulcere cutanee, come rimedio antiflogistico e cicatrizzante; c) il decotto di fiori con proprietà diuretiche. Pianta arido-resistente, poco esigente e adattabile a tutti i terreni O. ficus-indica è diffuso qua e là nelle nostre zone, ai margini dei campi, nei giardini e negli orti famigliari assolati ed è coltivato in Italia, soprattutto, in Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna. Il 70% circa delle coltivazioni è concentrato nell’area di San Cono (Catania), Belpasso (pendici dell’Etna), Valle del Belice e nell’Agrigentano. Metà della produzione nazionale proviene da S. Cono i cui frutti sono noti per le pregiate qualità morfologiche ed organolettiche. La coltura specializzata, che negli ultimi anni ha trovato interesse anche nell’entroterra del Palermitano, si estende su una superficie di 100 ha circa. In ambito agronomico, il Ficodindia, è spesso utilizzato come frangivento, per la difesa del suolo e per la produzione di compost ma anche come demarcazione di confini tra i fondi, per creare siepi invalicabili e per scopi ornamentali. Le Opuntie, infatti, costituiscono le essenze più rappresentative, nella realizzazione di giardini di tipo mediterraneo, con le svariate forme di cladodi  e le sgargianti fioriture, con il pregio di richiedere bassi consumi idrici e ridotte cure colturali. In nessuna altra parte del Mediterraneo, il Ficodindia, si è diffuso come in Sicilia e Malta dove, oltre a rappresentare un elemento costante nel paesaggio naturale, è divenuto anche un elemento ricorrente nelle iconografiche, fino a diventare in un certo qual modo il simbolo, e nelle  rappresentazioni letterarie: <<… erano di pietra celeste, tutti fichidindia, e quando si incontrava anima viva era un ragazzo che andava e tornava, lungo la linea, per cogliere i frutti coronati di spine che crescevano, corallo, sulla pietra … >> ( Elio Vittoriani, da Conversazione in Sicilia).

Scritto da Giovanni Conca - Pubblicato sul numero 7 del 2020 del "Il Corace"