Viviamo nella società del post.
Postmodernità, post-notizie, che sarebbero le notizie fake, cioè
false, post-comunicazione e soprattutto post-ideologie ma anche
post-categorie tradizionali del novecento, come destra, sinistra,
centro.
Forse senza rendercene conto ma tutta la narrazione della
nostra quotidianità, sia essa inerente i fatti che avvengono su
scala planetaria, sia essa la valanga di informazioni che ci viene
catapultata dai social e dalla rete, gira intorno ad un solo
obiettivo: stare sulla notizia e bruciarla, darla subito per poi
precipitare immediatamente nel disegno di improbabili scenari futuri
mentre i tg stanno ancora cercando di sapere cosa esattamente sia
accaduto. Pensiamo, in questo caso, ai sempre più frequenti
attentati terroristici.
Il concetto stesso di post vuol dire dopo: ma
nella fattispecie rientra in quell’immenso contenitore che si
definisce “post-modernità”. Il problema, che non è di poco
conto, si pone nel momento in cui, riflettendo sul concetto del “ciò
che è accaduto dopo” e quindi nel riflettere che viviamo in questa proiezione della realtà
verso non si sa quale futuro, ci si rende conto che ci troviamo
dinanzi ad una domanda: ma tutte queste voci che sono “post” per
essere tali sono state veramente risolte ed affrontate? O piuttosto
stiamo bypassando i quesiti che esse ponevano già alla fine del
secolo scorso e non sono mai stati risolti? Cosa vuol dire, per
capirci, società post-industriale? Che il lavoro per tutti è stato
assicurato e quindi siamo oltre? Non ci pare.
O forse vuol dire che
avendo sostituito il lavoro umano con quello tecnologico e
robotizzato, la società post-industriale è semplicemente la società
della precarizzazione del lavoro? E, per quanto riguarda
l’informazione, le post-notizie che vengono ascritte dai detentori
“ufficiali” dell’informazione come false, danno per scontato
che la notizia data dai media prima di essere post era veritiera?
Abbiamo giornali indipendenti in Italia e in Europa, o piuttosto
legati a potentati economici e politici molto forti? Chi controlla i
controllori?
E veniamo al superamento delle ideologie, più che
giuste
perché la Storia ha giudicato. Ma
questo superamento implica anche il superamento delle categorie
fondamentali del pensiero dalla rivoluzione francese ad oggi, come
destra e sinistra?
Il dibattito effervescente che si sta sviluppando
sui risultati delle elezioni francesi ha il suo perno su due
concetti: popolo e casta. I movimenti populisti e in modo particolare
quelli di estrema destra, come il Fronte di Le Pen, tendono a
presentarsi oltre queste categorie: hanno inventato il sovranismo dei
popoli, che sa di vecchio e di reazionario. La Storia insegna che è
proprio nelle derive plebiscitarie e in certe forme di presunta
democrazia diretta che maturano i regimi fascisti. Il loro punto di
forza è la retorica del superamento delle categorie del novecento.
Il fatto è che questa roba qui viene sostenuta anche da una buona
parte della sinistra italiana ed europea che si dichiara riformista,
e che in Italia assume le sembianze del PD renziano, per cui le cose
di sinistra sono quelle che producono lavoro e quindi consumo.
Una
logica che porta diritto a giudicare di sinistra quelle che in realtà sono
posizioni liberiste: basti pensare al Job Act e all’uso
indiscriminato che sino a poco tempo fa si faceva dei voucher. Ma
lasciamo perdere le polemiche immediate e chiediamoci: i valori della
sinistra, libertà, giustizia sociale, uguaglianza, profondamente
ancorati a quelli del 1789, sono stati realizzati oppure no?
Se
così non fosse avremmo assistito, in questi anni, in Italia e in
Europa, allo snaturamento di un Valore politico, e alla modifica del
dna di quei partiti che pure a questa tradizione o anche a questa
tradizione si richiamavano.
Non sono temi da quattro soldi; su
questo, oltre che su qualche calcolo personale che in politica ci sta
sempre, che si è verificata la scissione dem con la nascita di
Articolo Uno.
Sono i fondamentali per ripensare la politica in
occidente, ripartendo dai nodi irrisolti nel novecento. Altrimenti
la corsa al “paese che verrà”, quindi al suo futuro, si riduce
ad una narrazione fiabesca, ad un film come il Titanic con
l’orchestra che suona mentre la nave affonda.
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