lunedì 3 aprile 2017

NELL'ERA DEL POST IL FUTURO DIVORA IL PRESENTE, ANCHE IN POLITICA

Viviamo nella società del post. Postmodernità, post-notizie, che sarebbero le notizie fake, cioè false, post-comunicazione e soprattutto post-ideologie ma anche post-categorie tradizionali del novecento, come destra, sinistra, centro.

Forse senza rendercene conto ma tutta la narrazione della nostra quotidianità, sia essa inerente i fatti che avvengono su scala planetaria, sia essa la valanga di informazioni che ci viene catapultata dai social e dalla rete, gira intorno ad un solo obiettivo: stare sulla notizia e bruciarla, darla subito per poi precipitare immediatamente nel disegno di improbabili scenari futuri mentre i tg stanno ancora cercando di sapere cosa esattamente sia accaduto. Pensiamo, in questo caso, ai sempre più frequenti attentati terroristici.

Il concetto stesso di post vuol dire dopo: ma nella fattispecie rientra in quell’immenso contenitore che si definisce “post-modernità”. Il problema, che non è di poco conto, si pone nel momento in cui, riflettendo sul concetto del “ciò che è accaduto dopo” e quindi nel riflettere che viviamo in questa proiezione della realtà verso non si sa quale futuro, ci si rende conto che ci troviamo dinanzi ad una domanda: ma tutte queste voci che sono “post” per essere tali sono state veramente risolte ed affrontate? O piuttosto stiamo bypassando i quesiti che esse ponevano già alla fine del secolo scorso e non sono mai stati risolti? Cosa vuol dire, per capirci, società post-industriale? Che il lavoro per tutti è stato assicurato e quindi siamo oltre? Non ci pare.
O forse vuol dire che avendo sostituito il lavoro umano con quello tecnologico e robotizzato, la società post-industriale è semplicemente la società della precarizzazione del lavoro? E, per quanto riguarda l’informazione, le post-notizie che vengono ascritte dai detentori “ufficiali” dell’informazione come false, danno per scontato che la notizia data dai media prima di essere post era veritiera? Abbiamo giornali indipendenti in Italia e in Europa, o piuttosto legati a potentati economici e politici molto forti? Chi controlla i controllori?

E veniamo al superamento delle ideologie, più che giuste perché la Storia ha giudicato. Ma questo superamento implica anche il superamento delle categorie fondamentali del pensiero dalla rivoluzione francese ad oggi, come destra e sinistra?
Il dibattito effervescente che si sta sviluppando sui risultati delle elezioni francesi ha il suo perno su due concetti: popolo e casta. I movimenti populisti e in modo particolare quelli di estrema destra, come il Fronte di Le Pen, tendono a presentarsi oltre queste categorie: hanno inventato il sovranismo dei popoli, che sa di vecchio e di reazionario. La Storia insegna che è proprio nelle derive plebiscitarie e in certe forme di presunta democrazia diretta che maturano i regimi fascisti. Il loro punto di forza è la retorica del superamento delle categorie del novecento. Il fatto è che questa roba qui viene sostenuta anche da una buona parte della sinistra italiana ed europea che si dichiara riformista, e che in Italia assume le sembianze del PD renziano, per cui le cose di sinistra sono quelle che producono lavoro e quindi consumo.

Una logica che porta diritto a giudicare di sinistra quelle che in realtà sono posizioni liberiste: basti pensare al Job Act e all’uso indiscriminato che sino a poco tempo fa si faceva dei voucher. Ma lasciamo perdere le polemiche immediate e chiediamoci: i valori della sinistra, libertà, giustizia sociale, uguaglianza, profondamente ancorati a quelli del 1789, sono stati realizzati oppure no?
Se così non fosse avremmo assistito, in questi anni, in Italia e in Europa, allo snaturamento di un Valore politico, e alla modifica del dna di quei partiti che pure a questa tradizione o anche a questa tradizione si richiamavano.
Non sono temi da quattro soldi; su questo, oltre che su qualche calcolo personale che in politica ci sta sempre, che si è verificata la scissione dem con la nascita di Articolo Uno.
Sono i fondamentali per ripensare la politica in occidente, ripartendo dai nodi irrisolti nel novecento. Altrimenti la corsa al “paese che verrà”, quindi al suo futuro, si riduce ad una narrazione fiabesca, ad un film come il Titanic con l’orchestra che suona mentre la nave affonda.

Scritto da Emilio Magliano - Pubblicato sul numero 4 del 2017 nel "Il Corace"

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