lunedì 29 marzo 2021

#DANTE700

 Caro lettore, il Canto VI dell'Inferno – come anche il VI del Purgatorio e il VI del Paradiso – è un canto politico: tramite un climax ascendente, Dante traccia uno spaccato dapprima della città di Firenze, poi dell'Italia, infine dell'Impero. Risvegliatosi dopo lo svenimento al termine del colloquio con Paolo e Francesca (Canto V), il poeta fiorentino si accorge di essere arrivato nel III Cerchio, dov'è tormentata la schiera dei golosi: per la legge del contrappasso condannati a strisciare nel fango puzzolente, mentre incessantemente vengono colpiti da una pioggia gelida e controllati a vista da Cerbero, cane mitologico a tre teste. Ha gli occhi rossi, il muso sporco, il ventre gonfio e le zampe artigliate; graffia le anime facendole a brandelli e rintronandole coi suoi latrati. Nel bel mezzo della schiera di questi dannati ecco apparire Ciacco, un Fiorentino vissuto nel Duecento di cui si sa abbastanza poco, alzatosi in piedi per rivolgersi a Dante e chiedergli se lo riconosce, dal momento che il poeta è nato prima che lui morisse. Ma Ciacco è praticamente irriconoscibile, il suo aspetto appare stravolto (non sarà l'unico caso in cui la pena rende non identificabili i dannati o i penitenti del Purgatorio), quindi Dante gli rivolge tre domande sul destino politico di Firenze, approfittando del fatto che i dannati possono prevedere il futuro, sia pure con le limitazioni che verranno precisate in seguito da Farinata degli Uberti. 


Il poeta vuole sapere infatti cosa avverrà nella sua città, divisa in opposte fazioni; se vi sono cittadini giusti e qual è stata la causa delle discordie che lacerano Firenze. Ciacco risponde profetizzando la vittoria dei Guelfi Neri nel 1301-1302, che causerà l'esilio di Dante (è la prima di una lunga serie di profezie su questo argomento), dichiarando che a Firenze i cittadini che onorano la giustizia sono ben pochi e infine ricordando che le cause delle divisioni politiche sono superbia, invidia e avarizia, ovvero le tre disposizioni peccaminose che sono all'origine del disordine morale dell'Italia del tempo. Col discorso di Ciacco, Dante intende stigmatizzare le divisioni interne di Firenze, che tante ingiustizie e dolori causeranno e che saranno frutto della avidità di denaro. L'avarizia dei Fiorentini sarà duramente criticata anche in altri celebri passi del poema, specie nel discorso sul maladetto fiore di Folchetto di Marsiglia (Paradiso, ), nel quale la città verrà addirittura definita come il prodotto di Lucifero. Sempre in quest'ottica va letta l'altra domanda sul destino escatologico dei fiorentini illustri (quelli ch'a ben far puoser li 'ngegni), vissuti nella prima metà del XIII secolo e protagonisti di una Firenze ideale, la stessa vagheggiata dall'avo Cacciaguida nel Canto XV del Paradiso: se ebbero meriti politici, non altrettanto può dirsi di quelli morali, visto che Ciacco preannuncia la loro dannazione (Dante incontrerà Farinata tra gli eresiarchi, Tegghiaio Aldobrandi e Jacopo Rusticucci tra i sodomiti, Mosca dei Lamberti tra i seminatori di discordie). L'ultima parte del Canto riguarda il destino dei dannati dopo il Giudizio Universale, spiegato da Virgilio in base ai principi della Fisica di Aristotele e in seguito alla sua affermazione secondo cui Ciacco, ricaduto nel fango al termine del suo discorso con Dante, non si rialzerà più fino all'angelica tromba. Secondo Virgilio il maggior grado di perfezione di una creatura ne accresce la sensibilità al piacere e al dolore: quindi, anche se i dannati non saranno mai perfetti, dopo che si saranno riappropriati del corpo il loro essere sarà più completo, accrescendo di fatto le loro pene. L'accenno al Giudizio finale rimanda allo scontro tra Cristo e l'Anticristo, che dirimerà ogni divisione terrena e ristabilirà la giustizia in eterno: il primo è definito nimica podesta, il secondo è implicitamente evocato attraverso Pluto, il gran nemico che appare alla fine del canto. Buona lettura e buon #Dante700. Divina Commedia, Inferno, VI - Dante Alighieri, 1321

Scritto da Tommaso Guernacci - Pubblicato sul numero 3 del 2021 del Il Corace

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