lunedì 29 marzo 2021

ENRICO LETTA ULTIMA CHANCE DEL PARTITO DEMOCRATICO

 E venne chiamato con tutti gli onori della cronaca, come nuovo (ultimo?) salvatore della Patria in casa PD, l’esule Enrico Letta che da sette anni aveva abbandonato partito, seggio parlamentare, la sua casa romana, per  approdare sulle rive della Senna, reinventandosi come professore e direttore di un’alta scuola di politica, forte del prestigio che gli derivava quale ex Premier italiano. Letta venne sfiduciato quale capo di governo in carica dalla stragrande maggioranza (95%) dei membri della direzione del partito, su proposta dell’allora leader emergente ed emerso Matteo Renzi, che contestava l’immobilismo governativo inconcludente (e nel merito non era un’accusa del tutto infondata), e che di fatto scalpitava per prendere il posto di Premier, con i modi e i tempi ormai conosciuti dell’ex rottamatore. Famosissimo il tweet  renziano che precedette poi la sfiducia e conseguente caduta di Letta: ”Enrico stai sereno” . Famosa anche l’immagine dello scambio di consegne a Palazzo Chigi tra i due, col rituale passaggio di consegne del “campanello”, con un Renzi che non stava nella pelle nel ruolo di nuovo premier, tutto impettito e baldanzoso, e Letta imbarazzatissimo, chiaramente amareggiato, e che evitava di guardare in faccia il successore. Sette anni sono trascorsi e mai come in questi ultimi anni in politica di fatto è cambiata un’era ed è successo di tutto: e comunque, il rottamatore alla fine, dopo i primi fasti (40,8% alle Europee) e dopo alcuni risultati sicuramente buoni del suo governo, perso il referendum costituzionale, ha iniziato (grazie anche ad una indicibile  lotta intestina) un’inesorabile fase di declino, culminata poi con la fuoriuscita dal PD e la fondazione di un nuovo soggetto politico cui però manca l’ossigeno fondamentale per ogni partito, e cioè il consenso popolare, attestandosi i sondaggi tra il quasi 3 ed il 4%, cifra del tutto inadeguata alla grandeur del proprio leader. In verità va detto che Renzi il proprio ruolo nella politica italiana lo sa sempre costruire, basandosi su indubbie capacità, e su una velocità di decisione e di conseguente azione davvero considerevole: e così è grazie a Renzi che nell’estate 2019 venne stoppato Salvini che pretendeva i “pieni poteri” e costituito il governo Conte bis, con democratici e cinque stelle insieme; ed è sempre grazie a Renzi (o per colpa dello stesso, a seconda di come la si vede la cosa) che nel gennaio scorso si è posto fine al Conte bis e si è poi dato vita al governo Draghi, governissimo del supermario, con appoggio di quasi l’intero arco parlamentare, e nato sotto i migliori auspici nostrani ed internazionali. E la rottura dell’equilibrio rossoverde imperniato su Giuseppe Conte ha determinato uno tsunami sullo scenario politico nostrano complessivo, tra i partiti e le coalizioni, e all’interno dei partiti e movimenti: su tutti in casa Cinque Stelle e in casa PD. E così siamo giunti alla chiamata di Enrico Letta alla guida del PD, ed alla sua discesa in campo, con trasferimento lampo Parigi-Roma. A favorire la scelta Letta in casa PD, inutile nasconderlo, anche il convincimento che da parte del nuovo segretario non risultino certo sopiti istinti di vendetta verso l’ex rottamatore (e suoi fedelissimi – o ex fedelissimi, ancora ben presenti nel partito); ma insomma sono tante le motivazioni che hanno spinto l’ultimo rappresentante della ditta che fu  (Zingaretti) a farsi da parte, e la stragrande maggioranza del partito (98%) ad affidarsi ad una leadership certamente dalla cifra più moderata e riformista di prima e meno incline ai facili entusiasmi verso un fronte comune con i pentastellati a guida Conte. Il Letta punto due emerso in questi giorni è apparso certamente più decisionista di quello precedente e d'altronde la situazione delicata del partito ed anche il modo col quale ci si è affidati a lui giustificano un piglio molto personalizzato alla guida del partito, dove bisogna arginare lo strapotere correntizio e la logica di gestione che hanno caratterizzato soprattutto gli ultimi anni. Positiva mi è parsa soprattutto una scelta: quella di indicare a vicesegretaria vicaria Irene Tinagli, eurodeputata competente, economista, accademica, molto addentrata in UE (dove è Presidente di Commissione), dal profilo marcatamente riformista e di impostazione moderata (nel passato militò anche in Scelta Civica). I prossimi mesi ci diranno in che direzione andrà il PD di Letta: personalmente credo (e auspico) che proprio a lui spetterà, del tutto serenamente, dialogare su un progetto riformista nuovo con varie forze di centrosinistra ma, e su tutte, per affinità che non possono (né devono) cancellarsi o ignorarsi, con la formazione politica di Matteo Renzi. I due fratelli nemici, divisi da un campanello di troppo, a mio avviso (ed anche per un discorso di comune radici) potrebbero anche riservare sorprese, a dimostrazione di come in politica odi e rivalità tra personaggi non siano perenni, e qui soccorre la lunga vicenda politica democristiana del dopoguerra, dove esponenti di primissimo piano (penso a Fanfani e Moro; Moro e Andreotti, Cossiga e Andreotti, ecc.), diversi e che tra loro non si amavano di certo, sono però riusciti in tante occasioni a convivere insieme.

Scritto da Antonio Belliazzi - Pubblicato sul numero 3 del 2021 del Il Corace

Nessun commento:

Posta un commento