lunedì 29 marzo 2021

LO SMART WORKING E' DAVVERO COSI' SMART?

 A distanza di oltre un anno dall’inizio della pandemia sorge spontanea una domanda: lo smart working ha davvero facilitato la nostra vita lavorativa, oppure nasconde dei rischi per il nostro benessere? La pandemia lo sappiamo, ha cambiato le nostre vite anche dal punto di vista professionale e per molti la casa è diventata quanto di più simile ad un’aula scolastica o ad un ufficio. Se prima uscivamo di casa di corsa per raggiungere scuola o ufficio, ora ci ritroviamo in simultanea ad avviare pc, tablet e macchinetta del caffè, senza magari esserci ancora finiti di vestire: spazio e tempo sono condivisi con familiari, coinquilini e figli in DAD. Allo smart working che riguarda il lavoro dei dipendenti, che appunto rimangono a lavorare a casa, dobbiamo necessariamente sommare tutti coloro che svolgono attività di telelavoro portando presso il proprio domicilio orari e ritmi aziendali, e i liberi professionisti che in questo periodo, per scelta o necessità, lavorano da casa. 



Lo stesso presidente del CNOP (Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi), David Lazzari afferma come siamo di fronte ad una vera e propria rivoluzione dell’organizzazione del lavoro, a cui il Covid-19 ha dato una forte accelerata, e che non si vedeva forse dai tempi della rivoluzione industriale. Verrebbe forse da dire allora, che forse sarebbe il caso di avere una sorta di kit di istruzioni per adattarsi a questo grande cambiamento. Già perché quello che preme sottolineare è proprio il fatto che i lavoratori sono stati lasciati fondamentalmente soli a dover riorganizzare regole, tempi e spazi di lavoro, senza indicazioni e confini precisi. Soprattutto nelle prime fasi della pandemia e del lockdown, il problema della gestione dello spazio fisico e delle connessioni, si è fatto particolarmente sentire, e ancora oggi, col permanere della situazione attuale, appare solo parzialmente arginato e gestito. Non dimentichiamo poi che il lavoro da casa, e la didattica da casa, di fatto ha fatto sì che emergessero differenze di ordine sociale ed economico, tra chi ha potuto agevolmente organizzarsi e chi, ancora oggi, fa fatica a trovare soluzioni in tal senso, senza dimenticare la difficoltà di quanti, meno avvezzi all’uso della tecnologia, in questo momento si sono trovati non poco svantaggiati. Inoltre, come sarà stato possibile constatare da parte dei più, il lavoro da remoto, quindi mediato dalla tecnologia, segue le naturali caratteristiche della stessa, tra cui la dilatazione dei tempi di lavoro. In sostanza, in casa si lavora di più! La carenza di risorse e mezzi tecnologici e delle connessioni, la difficoltà di gestire gli spazi, le lunghe ore trascorse seduti su una sedia all’interno delle mura domestiche davanti ad un monitor, l’impossibilità del contatto fisico e dell’interazione con i colleghi o compagni di scuola, la presenza dei componenti della propria famiglia a loro volta alle prese con le loro necessità organizzative, chi scolastiche, chi lavorative, chi di organizzazione del quotidiano, la dilatazione degli stessi tempi di lavoro, di fatto genera un forte accumulo di stress che grava sull’assetto esistenziale di tutti noi in questo momento. Sempre più spesso si sente parlare di “diritto alla disconnessione”: se infatti almeno il lavoro in ufficio, si fermava una volta messo piede fuori dallo stesso, adesso si rischia, e di fatto si verifica che non è più così: riunioni che si prolungano, e-mail che vengono inviate e lette dopo l’orario di lavoro, compiti che vengono caricati sui registri online anche ore dopo la fine della lezione tenendo gli studenti in uno stati di allarme e attenzione costante, sono solo alcuni esempi di ciò. I lavoratori, e gli studenti hanno diritto, e per certi aspetti devono, trovare il loro tempi di disconnessione, al fine di evitare che questa condizione di sovraccarico informativo e di iperconnessione nella quale viviamo, possa incidere in maniera ancora più significativa sul nostro benessere esistenziale. In fondo, per lavorare, e anche per rendere meglio nello studio, occorre imparare a staccare, a concedersi delle pause, a concedersi delle disconnessioni.

Scritto da Francesca De Rinaldis - Pubblicato sul numero 3 del 2021 del Il Corace

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