Sono quasi 30 anni che il modo in cui
ragioniamo e il modo in cui prendiamo decisioni in campo economico e
finanziario sono diventati oggetto di studio da parte della
psicologia e delle neuroscienze. Grazie a questo approccio oggi
conosciamo i punti di contatto tra i comportamenti economici, i
meccanismi cognitivi e le funzioni celebrali.
Sappiamo cosa muove le
nostre scelte, quali emozioni proviamo e quali motivazioni ci
spingono. Almeno dal punto di vista accademico è ormai patrimonio
acquisito il principio secondo il quale il solo calcolo
utilitaristico non è che una (e una delle più rare) ragioni di
scelta. A governare le scelte ci sono le nostre emozioni, le
valutazioni che facciamo e gli atteggiamenti che ne discendono.
Non
so quanti di voi abbiamo letto saggi e articoli scientifici in tema o
siano consapevoli delle conseguenze di queste scoperte. Si tratta,
tuttavia, di un patrimonio di conoscenza che vale oro per chi vive sulle nostre
scelte finanziarie.
Immaginate ad esempio chi deve venderci un conto
corrente, un servizio, un prestito o un investimento … C’è
qualcuno che ci studia e ci conosce molto meglio di come ci
conosciamo noi, per così dire. Tutti i giorni prendiamo decisioni in
condizioni di incertezza, siamo vittime inconsapevoli di meccanismi
mentali spontanei che rischiano di diventare nemici dei nostri
risparmi. Come quando proviamo fiducia in modo ingiustificato verso
qualcuno (“in banca ne sapranno sicuramente più di me”) e
diffidiamo, apparentemente senza ragioni, di fenomeni e persone
perché sono nuovi, ad esempio (“Mai investirei i miei soldi in
quella società! Non ne ho mai sentito parlare prima”).
Talvolta
restiamo affascinati da particolari irrilevanti ma che catturano la
nostra attenzione e ignoriamo di ascoltare l’aspetto principale: le
nostre emozioni. Al centro delle nostre scelte c’è soprattutto un sentimento, la
fiducia: verso gli altri e verso se stessi. Si confida negli altri o
nelle proprie possibilità e questo produce un sentimento di
sicurezza e di tranquillità.
Se mi fido del mio consulente o della
banca che frequento cambia il mio atteggiamento e il livello di
attenzione che metto nei loro confronti si abbassa. Purtroppo - lo
hanno dimostrato molti studi - quando ci sono di mezzo i soldi si
verificano effetti distorsivi sulla fiducia.
Le persone, infatti,
soffrono di un ‘eccesso di fiducia’ e questo eccesso le tradisce
proprio quando mentre stanno affrontando scelte in situazioni di
incertezza. Per essere più precisi sono due eccessi di fiducia che
ci colpiscono: un eccesso verso le nostre conoscenze (quello che gli
americani chiamano overconfidence, diffuso, ad esempio, tra gli
esperti finanziari) e un eccesso verso gli altri (che gli inglesi
chiamano trust), tipico dell’atteggiamento dei clienti verso i
consulenti.
La maggior parte di noi ha troppo trust
verso il proprio consulente e quest’ultimo ha bisogno di dimostrare
(o spesso ha) troppa confidence nella propria capacità di fare
valutazioni.
Come comportarsi allora quando facciamo previsioni su
ciò che accadrà ai nostri investimenti?
Ciò che conta non è tanto
quante cose sappiamo ma la capacità di coltivare il dubbio. Non la
fiducia ma il dubbio verso il proprio giudizio. Molti studi hanno
dimostrato che fanno previsioni più corrette coloro che sono cauti e
umili perché prendono in considerazione un numero di variabili
maggiori e talvolta pensano male (“… che a pensar male…”).
La
capacità di dubitare e di imparare dal passato. Dagli errori propri
e altrui. La capacità di diffidare dai pregiudizi, di non farsi
influenzare dagli altri: tutto ciò fa di noi migliori ‘supervisori’
e investitori più efficienti. Diffidiamo sempre da chi ci vende
certezze.
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