sabato 31 ottobre 2020

EDUCARE AL RISPETTO E NON ALLA PAURA

La differenza tra l’educare al rispetto e l’educare all’obbedienza, è fondamentale per la creazione di una relazione armonica tra genitori e figli e tra questi ultimi e la società. L’obbedienza infatti può creare una barriera tra genitori e figli e produrre difficoltà di adattamento per i figli in futuro. L’obbedienza si realizza attraverso l’esecuzione di ordini dati da un’altra persona considerata come “superiore”, in questo caso il genitore. L’obbedienza si caratterizza per l’assenza di spiegazioni, un esempio tipico è: “fallo perché lo dico io!”. Tale tipologia di imposizione che implica la sola azione dell’obbedienza in assenza di qualsiasi spiegazione o motivazione, può facilmente creare una barriera comunicativa: in assenza di spiegazioni, un figlio non comprende le ragioni per cui è obbligato a fare o a non fare una determinata azione. 



I figli infatti per sviluppare una sana autostima e una sana capacità relazionale, hanno bisogno di guide sicure, che sappiano spiegare e motivare le loro azioni, i loro atteggiamenti, per poter offrire quel rispecchiamento sereno che permetta la formazione di un modello affidabile di comportamento. Hanno bisogno di sapere che i genitori credono in loro, che li accettano per quello che sono, che si fidano di loro anche se qualche volta gli rimproverano “difetti” e atteggiamenti sbagliati, hanno bisogno di sapere che sono orgogliosi di loro per ciò che sono, non solo per ciò che fanno, per le loro prestazioni scolastiche, sportive e relazionali. Il rischio maggiore invece, di una forma di educazione basata sull’obbedienza, è che da adulto un figlio possa sviluppare una scarsa coscienza di sé e un atteggiamento passivo, proprio perché l’obbedienza è stata determinata e ottenuta, attraverso punizioni e imposizioni, e quindi paura: “Se non farò ciò che mi viene chiesto, ciò che ci si aspetta da me, non sarò più amato!”, può essere una possibile forma di pensiero caratterizzata da paura, che un figlio può sviluppare e che lo porta ad obbedire piuttosto che a riflettere e a scegliere. Ben diversa è invece l’educazione al rispetto. 

Ogni genitore desidera che i propri figli prestino attenzione alle loro richieste, indicazioni, suggerimenti, ma per ottenere ciò è essenziale che i figli comprendano il senso di quanto suggerito e trasmesso, in modo da poter sviluppare la capacità di saper agire nel rispetto dell’altro. È necessario infatti che il genitore sappia spiegare e motivare la ragione per la quale avanza una richiesta al figlio, oppure chiede al figlio di non eseguire qualcosa o di non compiere determinate azioni. La spiegazione infatti filtrata dal genitore, permette al figlio di sviluppare una riflessione sullo stesso e di scegliere come agire nel rispetto dei pensieri e dei bisogni altrui. Al tempo stesso tale riflessione consente al figlio di poter prendere contezza anche dei propri bisogni e delle proprie motivazioni a compiere o meno un’azione, di comprenderne i significati e i confini relativamente al rispetto dell’altro: in questa maniera un figlio potrà andare incontro ad un sano e adeguato sviluppo della capacità di agire in modo spontaneo e consapevole. Facciamo un esempio: dire “stai zitto e fermo perché mi dai fastidio”, e dire “puoi stare in silenzio per favore? La mamma ora è al telefono”, non è certamente la stessa cosa. La spiegazione data nella seconda frase e soprattutto il tono empatico che la caratterizza, permette al figlio di comprendere quanto richiesto, di riflettere sul proprio comportamento e regolare i propri stati emotivi, apprendendo pertanto una modalità corretta, e rispettosa, di agire.

Scritto da Francesca De Rinaldis - Pubblicato sul numero 7 del 2020 del "Il Corace"

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