venerdì 10 aprile 2020

L'ANGOLO DELLA POESIA: CORI SE RERIZZA

Cori, massacrata dalla guera,
costritti alla montagna a reparàcci,
scanzènno bombe, da matina a sera,
co’ le case reddutte a caucinacci.

Cori, co’ le maneche ‘ffociate,
s’è rerizzata da tutto chiglio pianto
co’  ‘na fierezza a tutti dimostrata,
degna dell’antica stirpe a vanto.

Mo,’nvece, ‘sto paese se retrova
confuso, sperduto, stralunato,
co’ la paura de ‘na ‘nfluenza nova,
‘no virus che la morte è semenato.

No’ gira più niciuno, è ‘no deserto,
ca tutto po’ venì’ contaminato,
remane sulo no remméddio certo:
chiglio de stasse ‘n casa rentatano.

Ci salutimo tenènnoci lontani,
portènno puro le ‘mmascare alla faccia,
senza potécci stregne’ più le mani,
se fiacca o’ core, te cadeno le raccia.

Ma da guere, miserie, patimenti,
ci simo, nù coresi, rerizzatti,
facènno fede ai tanti ‘nsegnamenti
che i saggi padri nostri c’èo lassati.

‘Sta bestia che o’ paese è ‘ttanagliato
c’è da trovà’ più uniti e più temprati;
sentàmo ‘n core j’abbraccio distanziato,
‘sta comunanza ci rènne renfrancati.

La stirpe nostra non s’è mai avilita,
puro ‘sta ota nescimo vittoriusi,
senza facci straccà’ da ‘sta salita,
pe’ regustà’, de più, i quotidiani usi.

E Cori, po, tè’ sempre ‘na certezza,
‘n cima a cheste case abbarbicate
sentimo sempre,lieve, la carezza
de chi le sofferenze c’è alleviate:

la nostra cara Madre de o’ Zoccorso
che ‘sto paese de più proteggerà:
faciàmo ancora a Essa, mo, ricorso
pe’ po’ de pace e de serenità.

E’ chesta, allora, la nostra bona stella,
no’ ne spannàmo più tristezza ‘n giro,
perché la vita è sempre ancora bella,
mora ‘mmazzato ‘sso “coronaviro”!

Tonino Cicinelli

Pubblicato sul numero 3 del 2020 del Il Corace

LA LINGUA DI CORI

Mucchiétto, sm, diminutivo di mucchio. Il termine indica un gioco d'azzardo con le carte. Il cartaro, detentore del gioco, dopo avere mischiato le carte taglia il mazzo in tanti mazzetti (mucchiétti) tenendo per se l'ultimo. I giocatori puntano una posta, da un minimo a un massimo concordati, su ciascun mazzetto escluso quello del cartaro. Alla fine questi rigira il suo mucchio e via via tutti gli altri. Il cartaro paga l'equivalente della posta a chi ha una carta superiore alla sua e paga a tutti gli altri. Se un giocatore ha un re diventa cartaro. Se ci sono più re diventa cartaro quello del mucchio scoperto per primo. Anche mazzétto.

Nérbatura, sf, muscolatura, nervatura, fermezza di carattere (nt'è la nerbatura giusta, non ha il carattere appropriato), struttura portante (so ffenita la nérbatura lla capanna, ho terminato la intelaiatura portante della capanna).

Requastà, v, disfare, smagliare una maglia e raccogliere la lana in un gomitolo, riguastare, guastare di nuovo i rapporti, (co lla lana della maglia sso requastata ci faccio do petalinucci, con la lana proveniente dalla maglia che ho disfatto ci farò due piccoli calzini; Pèppe e Lina sao requastati e sao lassati n'ara òta, Peppe e Lina hanno di nuovo guastati i rapporti tra loro e si sono lasciati un'altra volta). Anche reguastà.

Fémménélla, sf, asta di ferro con una finestrina all'estremità che si infila in una analoga finestra di un braccio di ferro che corrisponde ad analoga finestra di una delle due ante di cui è fatta la porta. Girando la chiave nella finestrina si inserisce una barra interna alle due ante che chiude la porta.

Appóntà, v, fare uno spuntino, fermare il senso di fame con un po' di cibo; fissare con l'ago o una spilla; appuntire; imbastire, immobilizzare qualcuno addosso a qualcosa (j'appónté a nn'arbiro de liva, lo immobilizzai addosso a un albero d'olivo); curvare, incurvare la schiena (appónta ca nu sardimo, tu curva la schiena che noi ti saltiamo); puntellare (appónta ssa porta, puntella codesta porta). In quest'ultimo significato è sinonimo di appóntéllà. Anche ppóntà.

Póstaréglio, sm, luogo tranquillo, posto di lavoro modesto (saccio no postaréglio ndo se sta bbè, conosco un posto tranquillo dove si sta bene, so ttrovato no postaréglio, ho trovato un lavoro anche se non molto retribuito); diminutivo di pósto.

Dal dizionario Corese-Italiano di Pietro Vitelli

Pubblicato sul numero 3 del 2020 del Il Corace

OLIO EXTRAVERGINE D’OLIVA, ANCORA UNA LODE!

… noto già per le sue virtù salutari, per uno dei suoi composti (idrossitirosolo) e per una recente ricerca, adesso è anche un alimento anti-invecchiamento del cervello, soprattutto negli  anziani. 

È davvero una “panacea”, l’olio extravergine d’oliva è un alimento anti-invecchiamento del cervello, la cui conferma ci giunge da un recente studio dell’Istituto di biochimica e di biologia cellulare del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr-Ibbc), pubblicato all’inizio dello scorso febbraio su “FASEB Journal”, cioè una rivista scientifica relativa alle bioscienze sperimentali, che promuove il progresso scientifico e l’istruzione, ed è pubblicata dalla Federation of American Societies for Experimental Biology, fondata nel 1912 da 3 società (ad oggi circa 30) attive nel settore della ricerca biologica e medica.
Tale evidenza, per la sua importanza, rappresenta un’altra lode ad uno dei tradizionali e fondamentali prodotti dell’agricoltura mediterranea nonché alimento naturale e condimento universale, già molto apprezzato per le diverse benefiche proprietà a sostegno della salute umana.  


Proprio per questo, sembra utile ed opportuno ricordare che l’olio d’oliva, come già noto, è l’unico prodotto che non deve subire trasformazione alcuna né aggiunta di additivi per poter essere utilizzato. Deve, semplicemente, essere estratto dalle olive in cui è contenuto, senza alterarne le peculiari caratteristiche naturali, cioè mediante quelle operazioni (o tecniche) conosciute come:  frangitura dei frutti (polpa e nocciolo), gramolatura (che è un continuo rimpasto), spremitura (divisione del mosto dalla sansa) e separazione (divisione dell’olio dall’acqua di vegetazione). Tale prodotto, come sappiamo, si forma naturalmente nell’oliva, definita botanicamente drupa, la quale è composta dall’epicarpo (buccia) e dal mesocarpo (polpa) per il 75-80% circa, dall’endocarpo (nocciolo) e dall’endosperma (seme) per il restante 20-25%. Per quanto concerne la composizione chimica dell’oliva si può sicuramente asserire che essa contiene circa il 40-50% di acqua, il 22-28% di olio, il 20% di carboidrati, il 5-6% di cellulosa, 1-2% di proteina greggia ed 1-2% di ceneri.  

L’olio delle olive, detto anche ”l’oro verde”, per il suo particolare valore, è ritenuto altresì prodotto nutra-ceutico (da nutrizione e farmaceutica, correlato ai principi nutritivi contenuti negli alimenti) per i suoi importantissimi effetti benefici che svolge per la salute dell’Uomo, grazie ai suoi componenti di elevato valore biologico. I suoi grassi (chimicamente esteri) sono rappresentati prevalentemente da acidi grassi monoinsaturi (85,7%) di cui il 75,7% di oleico, da quelli polinsaturi l’8,7% (linoleico 8,1 e linolenico 0,6), da quelli saturi (14,3%) e da piccole quantità di fosfolipidi e glicolipidi. L’olio d’oliva, peraltro, alla luce delle attuali conoscenze, rappresenta una straordinaria risorsa per l’uomo e non solo per il suo contenuto energetico ma anche per gli acidi grassi essenziali, per il beta-carotene (provitamina A), per i tocoferoli (vitamina E) e per la dotazione di antiossidanti naturali (polifenoli), importanti sia per la conservazione dello stesso olio sia quali antagonisti dei radicali liberi nonché per il contenuto di  fitosteroli efficaci per la riduzione del colesterolo, per la prevenzione delle malattie cardio-vascolari e dell’invecchiamento in generale.  

Sappiamo anche che il termine “olio di oliva” viene usato, comunemente, in maniera generica per indicare o definire tutti gli oli derivanti dalla lavorazione delle olive. Tale termine, in realtà, comprende tuttavia una gamma di prodotti diversi per qualità e per le caratteristiche organolettiche.  
L’olio extra vergine di oliva, invece, è l’olio di categoria superiore, ottenuto direttamente dalle olive, unicamente mediante procedimenti meccanici e secondo specifico disciplinare di produzione.
Ad ogni modo, l’interessante ed importante studio condotto dai ricercatori del CNR dimostra appunto che l’olio extravergine d’oliva, per uno dei suoi composti denominato  “idrossitirosolo”, risulta un “toccasana” per il cervello, soprattutto per quello degli anziani; ciò in quanto in grado di invertire il processo d’invecchiamento neurale e di aggiungere, verosimilmente, altro valore notevole a un già tanto apprezzato prodotto o alimento naturale quale è l’olio da olive.  

L’olio delle olive, pertanto, è un importante alleato del cervello e gli anziani peraltro sono le persone che ragionevolmente possono trarne i maggiori benefici, anche dai componenti della dieta mediterranea che è un modello nutrizionale ispirato, come già noto, ai modelli alimentari solitamente diffusi in alcuni Paesi del bacino mediterraneo e riconosciuta, tra l’altro, dall’UNESCO.        
In particolare, l’accennata ed importante ricerca, che risulta effettuata da un team di studiosi guidati dal Dott. Felice Tirone ed in collaborazione con la Dott.ssa Laura Micheli, il Dott. Giorgio D’Andrea e la Dott.ssa Manuela Ceccarelli, dell’Istituto di biochimica e biologia cellulare del Consiglio Nazionale Ricerche (Cnr-Ibbcc), ha consentito di dimostrare, in un modello animale anziano, che l’idrossitirosolo [un composto chimico vegetale naturalmente presente nell’olio extravergine di oliva, sotto forma del suo estere con l’acido elenolico (oleuropeina)] possiede  notevoli proprietà antiossidanti ed è in grado di invertire il processo di invecchiamento neurale.    
Tale studio che, come già accennato, è stato pubblicato su “FASEB Journal”, dimostra peraltro che nel cervello dei mammiferi e particolarmente nell’ippocampo (che è quella parte importante del nostro cervello, situato nella regione interna del lobo temporale), vengono prodotti nell’arco di tutta la vita i nuovi neuroni (vale a dire le cellule nervose che costituiscono il tessuto nervoso e che formano altresì il sistema nervoso) e questo processo, denominato neurogenesi (cioè il processo per la formazione delle nuove cellule nervose derivanti da quelle staminali neurali o da cellule progenitrici), è indispensabile per la formazione della memoria episodica. Peraltro, così come dimostrato da altre recenti ricerche, abbiamo anche conoscenza del fatto che i nuovi neuroni dell’ippocampo vengono generati a partire dalle cellule staminali. Tuttavia, durante l’invecchiamento, come è a tutti noto, si verifica comunque un calo progressivo di entrambe che, purtroppo, risulta all’origine ed è causa, pertanto, di una drastica riduzione della memoria episodica  (quella di tutti gli avvenimenti della nostra vita ed è un tipo di memoria a lungo termine).

Ad ogni modo, risulta che l’assunzione orale di idrossitirosolo per un mese conserva in vita i nuovi neuroni prodotti durante tale periodo sia nell’adulto che, ancor più, nell’anziano nel quale stimola anche la proliferazione delle cellule staminali, dalle quali vengono generati i neuroni - spiega così il Dottor Tirone -. Inoltre, grazie alla sua attività antiossidante, l’idrossitirosolo riesce a “ripulire” le cellule nervose, perché determina altresì una riduzione di alcuni marcatori dell’invecchiamento, come le lipofuscine, che sono accumuli di detriti nelle cellule neuronali.
Abbiamo poi verificato, grazie ad un marcatore dell’attività neuronale (c-fos) - continua così invece la Dott.ssa Micheli - che i nuovi neuroni prodotti in eccesso nell’anziano vengono effettivamente inseriti nei circuiti neuronali, indicando così che l’effetto dell’idrossitirosolo si traduce, realmente, in un aumento di funzionalità dell’ippocampo. La dose utilizzata o assunta quotidianamente durante la sperimentazione è equivalente alle dosi che un uomo potrebbe assumere peraltro con una dieta arricchita e/o con integratori (circa 500 mg/die per persona).   
L’assunzione di idrossitirosolo, comunque, può avere un’efficacia anche maggiore se avvenisse mediante il consumo di un alimento funzionale quale è l’olio di oliva. Questi risultati confermano peraltro gli importanti effetti benefici della dieta mediterranea, in particolare per l’anziano, ed aprono ad un potenziale risvolto ecologico. Infatti, i residui della lavorazione delle olive, ritenuti molto inquinanti, contengono anche una grande quantità di idrossitirosolo per cui migliorare le procedure di separazione delle componenti buone nella lavorazione delle olive consentirebbe non solo di ottenere dell’idrossitirosolo ma anche di ridurre l’impatto nocivo, conclude così il Dott. Tirone. Si evidenzia che a tale studio hanno partecipato anche i ricercatori dell’Università della Tuscia: Carla Caruso del Dipartimento di scienze ecologiche e biologiche ed un team del Dipartimento di scienze agrarie e forestali composto da Roberta Bernini, da Luca Santi e da Mariangela Clemente, che ha sintetizzato l’idrossitirosolo con una nuova procedura brevettata. 
Diversi studi scientifici, ad ogni modo, confermano gli effetti benefici dell’idrossitirosolo e quello pubblicato nel 2015, dall’UOC (Universitat Oberta de Catalunya), risulta così intitolato: “Idrossitirosolo, il miglior antiossidante naturale e il meno conosciuto”. Uno studio, così come spiega il portale di Humanitas (rinomato polo ospedaliero nel Milanese), riguardante la parte caratterizzante l’amaro ed il piccante dell’olio extravergine di oliva che, con l’oleocantale e l’oleuropeina, lo fanno uno tra i migliori prodotti dotati di importanti virtù salutari, anche per la dieta mediterranea. Sostanze tutte che, tra l’altro, rappresentano i cosiddetti  “polifenoli da olivo”.   

A – L’idrossitirosolo, presente nell’olio extravergine d’oliva è, soprattutto, per gli anziani, un valore aggiunto per gli effetti benefici a favore del processo della neurogenesi; la dieta mediterranea, oltre ad essere un salutare stile di vita, è un modo naturale (e sicuramente gradevole)  per assumerlo.


Così, l’idrossitirosolo presente nell’olio extravergine d’oliva rappresenta una risorsa di  antiossidanti ed un alleato dell’attività cellulare ma ci offre anche la consapevolezza che ogni tipo relativo alla sua assunzione, dieta inclusa, è in grado di stimolare la già citata neurogenesi adulta.  
A tal fine, la dieta mediterranea, modello nutrizionale ispirato ai modelli alimentari diffusi in alcuni Paesi del bacino mediterraneo, è quella riconosciuta dall’UNESCO quale bene protetto ed inserito (nel 2010) nella lista dei patrimoni orali e immateriali dell’umanità. Tale regime alimentare si fonda su alimenti il cui consumo è abituale in Paesi del bacino mediterraneo, in una proporzione che privilegia cereali, frutta, verdura, semi ed olio di oliva (grasso insaturo), rispetto ad un più raro uso di carni rosse e di grassi animali (saturi), mentre presenta un consumo moderato di pesce, di carne bianca (pollame), legumi, uova, latticini, vino rosso e dolci. Già alcuni medici dietologi, come  il francese Paul Carton o lo svizzero Maximilian Bircher-Benner, avevano avanzato alcune ipotesi sugli effetti di un regime alimentare con limitato consumo di alimenti di origine animale come latticini, carne e uova. Però, il concetto di dieta mediterranea fu introdotto e studiato inizialmente dal fisiologo statunitense Ancel Keys, il quale ne indagò gli effetti sull’incidenza epidemiologica di malattie cardiovascolari e proprio in una celebre ricerca su sette nazioni,  la Seven Countries Study.   
Fu così che, negli anni cinquanta e per la prima volta, tale moderno modello alimentare venne studiato in maniera sistematica in alcuni Paesi del bacino mediterraneo (dall’epidemiologo e fisiologo Ancel Keys) e in una situazione di notevole difficoltà economica e di limitazione delle risorse, a causa della Seconda guerra mondiale. Queste condizioni, associate ad un basso livello della tecnologia, favorirono uno stile di vita fisicamente attivo e frugale, con una predominanza di diversificati prodotti vegetali e di una scarsità, invece, di prodotti di origine animale nella dieta. 

La dieta mediterranea, nota e consigliata ormai dai vari esperti e caratterizzata dall’uso dei diversi ed abbondanti alimenti di origine vegetale, stagionali, freschi e al naturale e di origine locale o autoctona, unitamente all’olio extravergine d’oliva (suo vero “principe”) rappresenta la migliore soluzione per proteggerci dai tumori, dalle malattie cardiovascolari e da quelle neurodegenerative!  

Scritto da Giovanni Conca

Pubblicato sul numero 3 del 2020 del Il Corace

RUBRICA L'AVVOCATO RISPONDE

Egregio Avvocato, vista l’emergenza che stiamo vivendo per il coronavirus e dato che si avvicina il periodo in cui dovrò recarmi presso l’ufficio postale del mio Paese per il ritiro della pensione, Le chiedo se posso tranquillamente spostarmi senza essere multato, come ho sentito dai telegiornali. La ringrazio.

Sul sito del Ministero della Salute (www.salute.gov.it) si può leggere che i coronavirus (CoV), chiamati così per le punte a forma di corona che sono presenti sulla loro superficie, sono un’ampia famiglia di virus respiratori che possono causare dal comune raffreddore a sindromi respiratorie come la MERS (sindrome respiratoria mediorientale) e la SARS (sindrome respiratoria acuta grave). Il coronavirus denominato 2019-nCoV, cd. "Sindrome respiratoria acuta grave - coronavirus 2", non è mai stato precedentemente identificato nell’uomo prima di essere segnalato a Wuhan (Cina). I sintomi più comuni di un’infezione da coronavirus nell’uomo includono febbre, tosse, difficoltà respiratorie. Nei casi più gravi, l'infezione può causare polmonite, sindrome respiratoria acuta grave, insufficienza renale e persino la morte. Tale nuovo coronavirus è un virus respiratorio che si diffonde principalmente attraverso il contatto con le goccioline del respiro delle persone infette, tramite la saliva, tossendo e starnutendo; tramite i contatti diretti personali; tramite il contatto delle mani contaminate (non ancora lavate) con bocca, naso od occhi. Secondo i dati attualmente disponibili, le persone sintomatiche sono la causa più frequente di diffusione del virus. Stiamo vivendo un periodo di confusione ed informazioni spesso non accurate in relazione agli effetti ed agli obblighi da rispettare in relazione all’epidemia da COVID-19 (coronavirus). Le notizie di questi giorni, dopo l’approvazione del decreto “io resto a casa”, confermano che non tutti sono a conoscenza di cosa si rischia spostandosi senza un reale motivo di necessità. Allo scopo di evitare il diffondersi del COVID-19, e tenuto conto del carattere particolarmente diffusivo dell'epidemia e dell'incremento dei casi anche sul territorio nazionale, il Consiglio dei Ministri ha approvato il Decreto Legge 23 febbraio 2020, n. 6, un atto avente forza di legge emanato dal Governo che introduce misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica e che ha avuto attuazione attraverso l’emissione del decreto del presidente del Consiglio dei ministri – DPCM. In particolare, tra le misure adottate, vi è il divieto di allontanamento e quello di accesso al Comune o all’area interessata dal contagio; la sospensione di manifestazioni, eventi e di ogni forma di riunione in luogo pubblico o privato; la sospensione dei servizi educativi dell’infanzia e delle scuole e dei viaggi di istruzione; la sospensione dell’apertura al pubblico dei musei; la sospensione delle procedure concorsuali e delle attività degli uffici pubblici, fatta salva l’erogazione dei servizi essenziali e di pubblica utilità; l’applicazione della quarantena con sorveglianza attiva a chi ha avuto contatti stretti con persone affette dal virus e la previsione dell’obbligo per chi fatto ingresso in Italia da zone a rischio epidemiologico di comunicarlo al Dipartimento di prevenzione dell’azienda sanitaria competente, per l’adozione della misura di permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva; la sospensione dell’attività lavorativa per alcune tipologie di impresa e la chiusura di alcune tipologie di attività commerciale; la possibilità che l’accesso ai servizi pubblici essenziali e agli esercizi commerciali per l’acquisto di beni di prima necessità sia condizionato all’utilizzo di dispositivi di protezione individuale; la limitazione all’accesso o la sospensione dei servizi del trasporto di merci e di persone, salvo specifiche deroghe; la facoltà, per le autorità competenti, di adottare ulteriori misure di contenimento, al fine di prevenire la diffusione del virus anche fuori dai casi già elencati. Per il contenimento e la gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 su tutto il territorio nazionale, dal 9 marzo 2020 l’Italia è blindata da stringenti misure destinate al contenimento del virus. Il Decreto Legge n. 06/2020, così come ribadito dal DPCM 08/03/2020, prevede che, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui al medesimo decreto è punito ai sensi dell’art. 650 c.p.: si tratta di una contravvenzione (inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità), per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica o d’ordine pubblico o d’igiene, che punisce l’autore del fatto, anche se prodotto solo con negligenza e imperizia, con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino ad euro 206,00. È importante sottolineare che si tratta comunque di un reato, con conseguente condanna “penale”: le Forze dell’Ordine invieranno il fascicolo con la notizia di reato presso la competente Procura della Repubblica e si verrà iscritti nel registro indagati. La sanzione può giungere attraverso un decreto penale di condanna o in seguito alla celebrazione di un processo penale. L’eventuale condanna definitiva verrà iscritta nel casellario giudiziale (cd. “fedina penale”). L’art. 650 c.p. punisce soltanto l’inosservanza della disposizione dell’Autorità e non gli effetti che l’inosservanza stessa eventualmente produce: se, con consapevolezza, si trasgredisce al DPCM e si infettano due o più persone, non sapendo di aver contratto il virus, si potrebbe rispondere del delitto contro la salute pubblica previsto dall’art. 452 c.p.; mentre, se si è consapevoli di aver contratto il COVID-19 e si esce di casa infettando altre persone, si potrebbe rispondere del più grave reato di epidemia (diffusione di germi patogeni) previsto dall’art. 438 c.p., punibile addirittura con la pena dell’ergastolo. L’art. 650 c.p. deve essere letto confrontando anche l’art. 260 del R.D. n. 1265/1934 (Testo Unico delle leggi sanitarie), che punisce con l’arresto fino a sei mesi e con l’ammenda chiunque non osserva un ordine legalmente dato per impedire l’invasione o la diffusione di una malattia infettiva dell’uomo. Quello che in particolare ci interessa sono le disposizioni relative all’obbligo di restare a casa e non uscire, salvo, ovviamente, nuove disposizioni ad horas. Sono tuttavia previste delle eccezioni: si può uscire per comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità (es. acquisto di beni alimentari), motivi di salute e rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza (cfr. https://www.interno.gov.it/sites/default/files/possomuovermi.pdf). È però previsto il “divieto assoluto” di uscire da casa per chi è sottoposto a quarantena o risulti positivo al virus. Come oramai ben noto, l’onere di dimostrare la sussistenza delle situazioni che consentono la possibilità di spostamento grava sull’interessato, il quale dovrà produrre la c.d. “autodichiarazione” (Direttiva del Ministro dell’Interno del 08/03/2020), sulla quale dovranno essere inserite informazioni veritiere, pena la punizione in base all’art. 483 c.p., per il quale chiunque dovesse attestare al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a due anni. A tal riguardo, i servizi bancari e quelli postali sono garantiti, ma dovrà trattarsi di operazioni che hanno il carattere di urgenza ed inderogabilità previsti, come valide motivazioni di uscita dal proprio domicilio, dal Decreto governativo vigente. Alle Poste Italiane ci si potrà recare solo se necessario, per motivi urgenti ed inderogabili, pena la punibilità ex art. 650 c.p. con la multa di 206 euro e relativa denuncia penale. Ad esempio, ci si può recare allo sportello per ritirare la pensione se non si possiede il bancoposta; possono essere ritirate raccomandate o altra corrispondenza in giacenza presso gli uffici; si possono spedire corrispondenza e pacchi urgenti. E’ invece vietato pagare bollette che hanno una scadenza non prossima e recarsi agli sportelli postali per avere informazioni su prodotti finanziari. E comunque, nel dubbio, meglio telefonare prima all’ufficio postale per capire se il servizio richiesto può essere rimandato o soddisfatto online. Ovviamente le persone anziane, che più difficilmente riescono ad attivare servizi online, riscontrano maggiori difficoltà. Ma si tratta anche delle persone più vulnerabili di fronte al rischio di contagio da Coronavirus. E Per questo devono limitare gli spostamenti. Non esistendo un trattamento specifico per la malattia, attualmente l’unico modo possibile per ridurre il rischio di infezione, proteggendo se stessi e gli altri, ed evitare la diffusione del COVID-19 è seguire le principali norme di igiene, di isolamento e quarantena in caso di contagio, e le indicazioni delle autorità sanitarie. Per questo si consiglia di stare in casa.

Scritto da Emanuele Vari

Pubblicato sul numero 3 del 2020 del Il Corace

L’INIZIO DELLA GRANDE INVASIONE BIANCA (OVVERO IL VIAGGIO DI BJARNI)

“Ad ovest v’è una terra misteriosa e bellissima, dove gli alberi toccano il cielo e fitte foreste giungono fino al mare. Ivi bianche sponde lasciano spazio a verdi piane che non hanno fine”. Queste potrebbero essere state le prime parole che un certo Bjarni Herjolfsson rivolse al padre una volta ritornato in Groenlandia dopo che una tempesta lo aveva spinto troppo ad occidente nel lontano 986. Quella terra misteriosa era il continente americano, e Bjarni è universalmente riconosciuto come il primo europeo ad aver avvistato il Nuovo Mondo. Questo racconto è presente nella “Saga dei groenlandesi” (Groenlandinga saga) scritta due secoli più tardi dei fatti narrati. Anni dopo la scoperta da parte di Bjarni, verso il 1000, il figlio del ben più noto condottiero norreno Erik il Rosso, Leif, affascinato da quei racconti decise di salpare verso ovest e raggiungere quelle terre. Leif giunse nell’attuale isola di Baffin che chiamerà Helluland (terra delle pietre piatte) per poi approdare nel Markland (terra dei boschi) ovvero l’attuale Labrador. Navigando ancora verso ovest si stabilì in una nuova terra a svernare, tanto era rimasto colpito dal suo clima mite (“il clima di quella terra era così buono che il bestiame non avrebbe avuto bisogno di essere foraggiato in inverno…”). Quella splendida terra sarà chiamata Vinland (terra del vino, o terra dei pascoli, a seconda dell’interpretazione della parola “vin”) e da quei luoghi infatti Leif riportò in patria molti grappoli d’uva. 


Le seguenti spedizioni nel Vinland fecero incontrare per la prima volta le popolazioni indigene americane, che i vichinghi chiamarono “skraeling” (ovvero contorti), e gli “ospiti” europei. Il primo incontro tra questi due popoli fu disastroso. I vichinghi guidati da Thorvald, fratello di Leif, uccisero diversi nativi (probabilmente della grande tribù dei Naskapi) e poi ripartirono per la Groenlandia dopo circa un anno. Nelle successive spedizioni i vichinghi iniziarono a intrattenere dei proficui rapporti commerciali con questi popoli che durarono per tutto il medioevo creando un importante scalo commerciale a Gardhar, l’odierna Igaliku sita nella parte meridionale della Groenlandia, sotto il naso dei grandi sovrani europei che ancora cercavano una via più veloce e sicura verso le Indie. 

La sete di scoperta, la prospettiva d ricchezza, la gloria eterna e il bisogno di affermarsi su popoli tanto diversi e lontani furono le cause e le conseguenze di questo primo contatto tra americani ed europei. È proprio da qui che vorrebbe iniziare la mia riflessione su quella che poi diverrà nei secoli successivi quella massiccia migrazione oltreoceano degli uomini europei, che vedevano nel nuovo continente una terra di opportunità e ricchezze. I sovrani d’Europa, benedetti e legittimati dai pontefici, iniziarono dopo la fatidica data del 1492 a finanziare spedizioni verso quelle che credevano fossero le Indie, ingaggiando alcuni tra i più avventurosi e intrepidi esploratori del tempo. Il Vecchio Mondo iniziava ad andare stretto all’uomo moderno, il quale veniva da un periodo frenetico nel quale scoperte tecnologiche e un nuovo modo di porsi in rapporto all’Universo dava una esagerata considerazione delle proprie forze e delle proprie ragioni. E forse per questo l’uomo bianco desiderava plasmare il mondo a sua immagine e somiglianza, e quale migliore luogo di una terra vergine abitata solamente da “selvaggi” pronti da addomesticare per iniziare questo folle ma convinto progetto. Creare in definitiva un mondo per soli bianchi. La Grande Invasione Bianca poteva iniziare.

Scritto da Matteo D'Achille

Pubblicato sul numero 3 del 2020 del Il Corace

L'AMICO DEGLI ANIMALI: CAVALLO MUSTANG

Origini:
In questo periodo di confinamento e ristrettezze legato all’emergenza sanitaria, con il desiderio che tutto ciò termini presto, parliamo ed immaginiamo una razza di cavallo che inneggia alla libertà, alla corsa, alla spensieratezza: IL CAVALLO MUSTANG.


Il simbolo della Libertà, della bellezza e della storia americana.
Le origini de Mustang non sono ben definite, considerando  il fatto che si tratta di una razza equina da sempre vissuta in libertà, sopravvissuta a linciaggi e territori inospitali, e che ancora oggi non riesce a trovare un proprio “spazio”.
Il nome Mustang deriva dallo spagnolo mesteño (mestengo nella versione messicana) che significa “non domato”, appellativo datogli dai coloni spagnoli che arrivarono in Messico intorno al 1500. All'epoca i progenitori della razza erano molto diffusi nella zona dell'attuale Messico, della California e del Texas, ma esistevano anche altri branchi diffusi e liberi su tutto il territorio degli Stati Uniti. 
Durante la prima colonizzazione americana ad opera degli Spagnoli, si ebbero i primi incroci con i cavalli autoctoni, che vivevano allo stato brado e i cavalli europei, prettamente Arabi, Berberi e Andalusi, che scappavano dalle mandrie oppure venivano catturati dagli indiani.
Dal 1500, le fattrici locali cominciarono ad incrociarsi con i cavalli fuggiti o sequestrati agli Spagnoli: si diffusero così i primi geni che condussero alla definizione della razza Mustang. Nel 1800, però, a seguito dell'arrivo in America dei pionieri, coloni in cerca di terre, i cavalli autoctoni si incrociarono con quelli importati da varie parti d'Europa: infatti era consuetudine che i fattori lasciassero liberi i propri cavalli durante la stagione fredda di modo che potessero pascolare in piena libertà, salvo poi riprenderseli in primavera, quando ricominciava il lavoro nei campi. Durante queste catture dei cavalli lasciati liberi, capitava spesso che venissero presi al lazo anche i Mustang. 
All'inizio del 900 si poteva contare una popolazione di Mustang pari a circa un milione di esemplari in libertà, concentrati nella zona del Nord America. Questo cavallo rappresentava, quindi, una vera e propria risorsa, in quanto venivano catturati e utilizzati per vari scopi, tra cui la macellazione, usi militari e per l’allevamento dai cowboy.

Il cavallo Mustang è il cavallo indomabile per eccellenza: coraggio, indipendenza e testa dura sono le sue caratteristiche più marcate, il che lo rende un cavallo ingestibile, per niente adatto all'allevamento e utilizzato soprattutto nei rodei per la monta selvaggia. Essendo frutto di incroci non controllati, il Mustang può avere praticamente ogni varietà di colore del proprio mantello, da quello normalmente sauro fino a quello a “fiocchi di neve” passando per alcune sfumature e armonie cromatiche davvero inusuali.
Ha un'altezza al garrese che può oscillare fra i 140 e i 150 centimetri, mentre il peso può variare dai 400 ai 500 chilogrammi. La testa si presenta piccola anche se armoniosa, con orecchie un po' piccole. Il profilo è rettilineo, con narici piuttosto aperte. Il corpo è arrotondato e massiccio, con arti corti e zoccolo durissimo. 
Se domato, è utilizzato anche come cavallo da sella, anche se, soprattutto durante il periodo dei pionieri nel 1800, il Mustang venne utilizzato soprattutto dai cowboy.

La razza
I Mustang liberi vivono all'interno di gruppi di circa 10 – 15 cavalli, dove è lo stallone dominante a difendere il gruppo dagli attacchi di puma e coyote o da altri eventuali stalloni che mirano a impadronirsi del branco. Pur essendo, una volta addomesticato, un validissimo compagno per l'uomo nella cura delle mandrie, la razza dei cavalli Mustang è da sempre stata considerata come libera e selvaggia, indomabile e quindi poco “utile” all'uomo. Tutte queste caratteristiche hanno fatto si che si creassero delle leggi ostili nei confronti di questo cavallo, rinchiudendo intere mandrie in aree specifiche chiamate riserve. 
É il Bureau of Land Management che si occupa di gestire la situazione dei Mustang, anche catturando i cavalli che poi verranno offerti in “adozione”. Purtroppo le leggi in merito, nonché i comportamenti poco etici di alcuni soggetti, stanno mettendo sempre più in difficoltà la sopravvivenza di questa razza e, proprio per questo, sono tantissimi i movimenti attivi che avanzano idee, proposte ed azioni al fine di ridare dignità al Mustang.
La storia rispetto al passato ha subito qualche cambiamento, se cosi si può dire....drammatico. I cavalli mustang, fino agli inizi del Novecento erano considerati appunto una vera e propria risorsa. Oggigiorno, questi cavalli sono visti come un fastidio poiché mangiano e rovinano i pascoli che dovrebbero essere, secondo gli allevatori di bestiame, ad uso esclusivo dei propri animali. Così è incominciata una vera e propria mattanza dei Mustang, alcuni dei quali ridotti a vivere in una riserva del Nevada nonostante le proteste di molti. Le stime contano una popolazione quasi minima, compresa fra i 40.000 e i 100.000 capi, la metà dei quali concentrata proprio nello stato del Nevada. Nell'Alberta e nella Columbia Britannica, in Canada, vivono ancora diversi esemplari allo stato brado.
Può considerarsi una razza storica americana che porta nella sua genetica la storia dell’America e delle sue colonizzazioni ,per questo va tutelata come bene dell’umanità.
Addirittura la casa automobilistica Ford ha dedicato a questa razza la produzione di una macchina, appunto una delle più potenti e belle al mondo.


Vedere un Mustang è come vedere la libertà in corsa, che in quanto tale va ammirata e tutelata.
SALUTI DALL’AMBULATORIO VETERINARIO SAN VALENTINO

ambvetsanvalentino@virgilio.it

Scritto da Stefano Moroni

Pubblicato sul numero 3 del 2020 del Il Corace

CARA COSTANZA...

Gentile redazione, dato l'argomento, mi sento in dovere di chiedere ancora spazio sulle vostre pagine per rispondere all'articolo "CARO MATTEO..."
Cara Costanza, premesso che non voterei Salvini proprio perchè si è espresso in difesa della L.194, anche se non ai livelli di estremismo abortista di Zingaretti, vorrei farti riflettere su quello che hai scritto. Se per una donna abortire significa portarsi dietro il "trauma per tutta la vita" bisognerebbe impedirglelo sempre! In realtà, le leggi abortiste che "garantirebbero" la libertà delle donne sono leggi volgarmente maschiliste che lasciano la donna ancora più sola...
Ma vorrei andare oltre e arrivare al cuore della verità... "Esaminare il fenomeno laicamente" significa distorcere ideologicamente la realtà! Quando Papa Francesco ha parlato dell'aborto come il NAZISMO DAI GUANTI BIANCHI non parlava con "pregiudizi religiosi", bensî con pragmatica ed amara verità... Per farti capire di cosa stiamo parlando rispondimi a questa domanda: -I nazisti bruciavano negli inceneritori i corpi dei deportati uccisi nelle camere a gas...
I corpicini dei bambini abortiti legalmente e costituzionalmente negli ospedali delle moderne democrazie che fine fanno?
Rifiuti organici o speciali?
Ludovico De Santis

Salve signor Ludovico, innanzitutto la ringrazio per l'attenzione riservata verso un mio articolo.
Comincio con il dirle che a livello politico il caro Salvini è molto incoerente a volte e, pertanto, anche se un giorno è pro aborto quello dopo accusa le donne, soprattutto immigrate, proprio per questo. Politica a parte, mi permetta di dirle che le donne hanno lottato anni per ottenere questo diritto di scelta, proprio perché esistono persone nella nostra società che non credono che codesto diritto debba essere reso tale. Come già detto nel mio articolo, per molte donne non è una passeggiata, ma non per questo bisogna impedire loro di avvalersi di tale possibilità. Quando si arriva a tale scelta, le posso garantire, che è stata ponderata a lungo, si cerca di trovare altre vie da intraprendere, perché spesso non ce ne sono. Prenda per esempio una donna vittima di violenza, se decide di prendere la strada dell'aborto, casomai non lo fa perché non vuole un figlio, ma non vuole il "frutto di una violenza". O casomai ragazze giovani o giovanissime, che si ritrovano da sole a dover affrontare una scelta del genere in grado di cambiare la loro vita per sempre. Come ha detto lei, le donne sono spesso lasciate da sole, ma la colpa non è della Legge sull'aborto che, a suo dire, è maschilista, ma della società. Una società ignorante che giudica senza comprendere, che punta il dito senza capire il perché una donna arriva ad una tale scelta. Non sono laica, sia chiaro. Però ritengo di essere una persona che riesce a vedere con lucidità le varie vicende della vita. Credo che Dio ci guardi, ci comprenda molto meglio di come fanno le persone, ricordiamoci che gli uomini giudicano ma Dio no. Lui ci sta vicino, ci aiuta a superare momenti complicati e fare le scelte giuste.  
I bambini sono la cosa più bella del mondo e per questo dovrebbero vivere sempre nell'amore e circondati da genitori che li vogliono e che li amano incondizionatamente. E proprio per questo la scelta di avere un figlio deve essere ben ponderata non può essere presa alla leggera. Pensi a tutti quei genitori che maltrattano i loro figli, li struprano, li vendono, li fanno vivere in situazioni precarie, e alle volte, purtroppo, addirittura arrivano a ucciderli, o abbandonarli dentro i cassonetti gettati via come immondizia. Questo non deve essere fatto. Concludo dicendole la mia visione della vita. Non credo che nella vita tutti siamo perfetti, la perfezione non esiste. Ognuno di noi cerca di fare del suo meglio. Ognuno di noi prova a prendere le decisioni migliori. Ognuno di noi deve rispettare e non giudicare.

Ricevuto e pubblicato sul numero 3 del 2020 del Il Corace

RUBRICA SESSUALITÀ E AFFETTIVÀ

Gentile Dottore,
sono una donna di 30 anni, sposata da 6 con u n uomo serio, affidabile, ma estremamente razionale e "assennato"... e da quasi 1 anno ho una relazione sessualmente travolgente e passionale con un mio ex di tanti anni fa che è single e del quale sono innamorata.
Le scrivo proprio perché sto cercando di comprendere le dinamiche psicologiche del mio amante che stanno alla base di alcuni suoi comportamenti sessuali e soprattutto fantasie nei miei riguardi.
Premesso che abbiamo una straordinaria intesa sessuale, posso dire che il mio amante mi conosce meglio di qualsiasi altro e che con lui mi sento pienamente me stessa, dentro e fuori dal letto.
Questa grande intesa sessuale ci ha portato a confidarci anche sulle nostre reciproche fantasie sessuali e mi ha confessato che dall'inizio lui si è sempre eccitato all'idea che io facessi sesso con mio marito, dominandolo, e ricavandone piacere pensando al mio amante.
Io sono rimasta sconvolta inizialmente, perché lui sapeva benissimo che io raramente intrattenevo rapporti sessuali con mio marito e che non mi piacevano. E poi mi ha sorpreso che abbia questa visione di me così erotizzata.
Da quel momento mi ha spinto a provare questo gioco perverso, dove io dovevo fare sesso con mio marito e poi raccontargli tutto. Inizialmente sono stata al suo gioco (enfatizzavo parecchio i miei racconti) per vedere fino a che punto lui arrivasse. In effetti, lui si eccitava parecchio, ma poi la cosa è andata oltre, perché è arrivato al punto di chiedermi un video di un rapporto sessuale tra me e mio marito, per vedere che approccio avessi io nei suoi confronti...a quel punto mi sono ribellata e il mio rifiuto di assecondarlo è stato cocente per lui tanto che è stato un susseguirsi di tensioni che ci ha fatto chiudere la storia per qualche mese. Ma non riusciamo a stare lontani, e siamo tornati insieme con più passione di prima.
Adesso sembra aver messo da parte queste fantasie che riguardano me e mio marito, ma le ha sostituite con altre.
C'è da dire che lui ha avuto una giovinezza travagliata. Non so quanto direttamente possa influire la sua passata esperienza sul nostro rapporto, però è evidente che il suo modo di volermi è contorto. Io ho tentato di fargli capire che la nostra relazione può crescere e andare al di là della semplice condivisione passionale, ma lui mi ha manifestato più volte il suo timore di non potermi offrire quella profondità e quella stabilità che cerco nel nostro stare insieme.
Lei che ne pensa?
Grazie.
Loretta

Gentile Loretta,
da quello che scrive in queste sue righe emerge una certa consapevolezza della situazione che sta attraversando e delle dinamiche ad essa sottostanti.
Alla luce della storia che sta vivendo con quest’uomo, è verosimile pensare che accanto alla bella intesa sessuale che come amanti state sperimentando, siano presenti altri fattori che riguardano aspetti personali di quest’uomo e che prescindono da lei in quanto donna/amante.
Sembra, infatti, che, mentre lei in modo maturo parla di intesa/intimità sessuale, di possibilità di essere capita nei suoi desideri sessuali e di sperimentare alcune sue fantasie, quest’uomo introduce invece un piano diverso, in cui aspetti come il controllo ed una certa ossessività verso le sue esigenze sessuali hanno un ruolo predominante. Certamente è appagante e piacevole confrontarsi con un partner così interessato alle proprie esigenze e alla propria soddisfazione sessuale ma, come lei stessa scrive, questo aspetto sembra assumere caratteristiche piuttosto pressanti.
Alla luce di quanto detto, la domanda forse più importante da porsi sarebbe quella che la condurrebbe a capire meglio cosa lei desidera realmente per sé e per la sua vita e fino a quale limite sia disposta ad arrivare con un uomo che, come lui stesso dice, non può darle qualcosa di diverso da ciò che state vivendo.
Sperando di aver risposto in maniera esaustiva alla sua richiesta le ricordo che al numero 0645540806 è attivo il servizio di consulenza telefonica anonimo e gratuito, dove esperti psico-sessuologi potranno ascoltarla.
Un cordiale saluto

Scritto da Gaetano Gambino

Società Italiana di Sessuologia e Psicologia (SISP)
Ogni mese diversi esperti risponderanno alle vostre domande su qualsiasi tematica legata alla sessualità e all’affettività, che potranno essere inviate all’indirizzo e-mail: corace@sisponline.it.

Pubblicato sul numero 3 del 2020 del Il Corace


POSSO SEMPRE RINUNCIARE AD UN'EREDITÀ?

L’eredità è la successione a titolo universale nel patrimonio e in genere nei rapporti attivi (crediti) e passivi (debiti) di un defunto.

All’apertura della successione (ovvero alla morte del defunto) gli eredi non subentrano automaticamente, affinché ciò accada è necessario accettare l’eredità, in modo espresso o tacito: nel primo caso occorre un atto scritto nel quale emerga chiaramente l’intenzione di accettare la parte di eredità spettante; il secondo modo si concreta in un comportamento che inequivocabilmente manifesti l’intenzione di diventare eredi, come ad esempio nel conferimento di una procura per vendere i beni ereditari, o ancora nella riscossione di un assegno intestato al defunto.

Tuttavia se non si vuole acquisire tale onere, se non si ha intenzione di subentrare ai debiti contratti dal proprio parente, qualora questi superino i crediti, si può operare la rinuncia all’eredità, la quale permette, fin tanto che non si esercita, anche la tutela del proprio patrimonio dai creditori del defunto. Una volta acquisita l’eredità, infatti, i creditori del defunto potranno indistintamente rifarsi sia sul patrimonio del defunto sia sul patrimonio personale dell’erede (ad esempio la sua casa, il suo conto corrente, la sua pensione, ecc ...). Solo con la rinuncia si impedisce che i creditori del defunto possano pignorare i beni del chiamato all’eredità.
La rinuncia all’eredità, art. 519 c.c., è una dichiarazione che si fa davanti al notaio oppure nel tribunale del territorio in cui è aperta la pratica di successione, in cui si dichiara di rifiutare il patrimonio lasciato dal defunto, entro dieci anni dall’apertura della successione.

Ma essa è sempre possibile? Si ma con dei limiti.
La rinuncia all’eredità non può innanzitutto contenere: 1) alcuna condizione, non si può condizionare la rinuncia ad un determinato evento, ad esempio la rinuncia da parte degli altri eredi; 2) alcun termine, non si può quindi rinunciare all’eredità per un paio di anni e dire poi vedremo; 3) alcuna limitazione, non si può rinunciare ad una sola parte del patrimonio del defunto, deve riguardare l’intera eredità. Ad esempio: non di può accettare la Ferrari e il conto corrente e rinunciare all’azienda che il defunto ha lasciato, con i suoi dipendenti e la sua gestione. In concetto è: o tutto o niente.
La rinuncia che contiene uno di questi elementi è nulla e non produce alcun effetto (art. 520 c.c.).
In secondo luogo, se la rinuncia viene fatta dietro il pagamento di un corrispettivo o se viene fatta in favore di qualcuno degli eredi ad esclusione di altri equivale ad accettazione dell’eredità. Ad esempio: 1)Tizio, Caio e Sempronio sono eredi di Mevio; se Tizio rinuncia all’eredità di Mevio dietro il pagamento di una somma da parte di Caio la sua rinuncia viene intesa come accettazione; 2)se invece Tizio rinuncia all’eredità gratuitamente ma solo a favore di Caio (quindi vuole che la sua quota si devolva a favore di Caio) ad esclusione di Sempronio la sua rinuncia equivale ad accettazione dell’eredità.
Secondo l’art. 521 c.c., dunque, colui che rinuncia all’eredità è come se non vi fosse mai stato chiamato, tuttavia la rinuncia all’eredità non comporta la rinuncia alla donazione fatta in vita dal defunto; la perdita del legato e la perdita del diritto di abitazione e di uso sull’immobile adibito a casa coniugale. Essi infatti non fanno parte del patrimonio ereditario e pertanto sono svincolati dalle conseguenze della rinuncia.

Scritto da Francesca Palleschi

Pubblicato sul numero 3 del 2020 del "Il Corace"

LA DOLCE NONNA DI TUTTI

In luogo d’incanto, al centro di un oscuro e tetro bosco, trovava spazio una casa di campagna molto grande, circondata da un giardino pieno di fiori profumatissimi e di mille colori, tra cui giocavano spensierati dei gattini dal pelo morbido e curato. Oltre ai fiori e ai gattini giocosi, nel giardino c’erano degli alberi di mele, ciliegie e pesche, che davano alla luce degli squisitissimi frutti, inoltre, sempre nel verdeggiante giardino, si trovavano dei giochi per bambini, quali potevano essere scivoli e altalene. In tutto ciò, la casa fatta esternamente in legno dipinto di bianco lucente, con diverse finestre con il contorno azzurrino e le tendine rosse ricamate e con più di un comignolo sul tetto, dai quali fuoriusciva sempre un po’ di fumo; aveva una recinsione di legno, lungo tutta la parte esterna del giardino sempre colorata di bianco, interrotta solamente nel luogo di accesso dove incominciava una stradina sterrata che portava fino alla porta di legno marrone, la quale dava sull’ingresso di casa; ma anche la porta era particolare, poiché essa aveva un pomello d’oro luccicante, ma non possedeva una serratura per la chiave, seppur in questa condizione, sembrava ugualmente sigillata. All’interno, la casa, era arredata con antichi mobili di tutti i tipi e una tappezzeria che dava l’impressione di essere un luogo vissuto, con molti quadri e fotografie che rappresentavano persone particolari e luoghi inesistenti, in un mondo come il nostro.

L’unica abitante di questa casa era una dolcissima ma al contempo strana vecchietta, che tutti i giorni aspettava ai margini del bosco i bambini del paesino confinante che uscivano da scuola e che stavano tornando nelle proprie abitazioni, cosicché andassero nella sua casa a mangiare la torta, che la nonnina stessa, ogni dì preparava appositamente per loro. Dopo che i bambini finivano di mangiare tutte le leccornie che l’anziana preparava riempiendo così il loro stomaco, andavano a divertirsi con i giochi all’esterno e con i gattini della nonnina e quando faceva quasi buio, salutavano la dolce signora con un bacino, e tornavano nelle proprie case, sapendo che non avrebbero dovuto far sapere nulla agli adulti, perché altrimenti avrebbero vietato loro di tornare in quella casa nel bosco, e specialmente di stare a contatto con una sconosciuta, seppur innocua persona. 

Dopo un po’ di tempo, era diventato normale fare questo giro per i ragazzi, tanto che parlavano anche a scuola della famosa signora che si faceva chiamare nonna da tutti i bambini. Ad un certo punto, il maestro di scuola, origliando le conversazioni dei fanciulli, scoprì il loro segreto e avvertì tutti i genitori dei ragazzi che, infuriati com’erano, impedirono ai loro figli di tornare dalla vecchia signora e li misero in punizione, senza farli più uscire. Però poiché il desiderio era più forte, anche con la punizione, i bambini tornarono lo stesso dalla nonna, scaturendo l’ira dei genitori che, il giorno dopo, andarono personalmente, accompagnati dai figli, a fare quattro chiacchiere con la padrona di casa; ma quando arrivarono nel solito luogo appresero una notizia sconcertante per i loro occhi, infatti videro che nella zona solita che i bambini frequentavano quotidianamente, c’era solo una catapecchia che in passato, forse fu una casa, circondata da frammenti di staccionata e priva di qualsiasi forma di vita, sia animale, sia vegetale. Per cercare di capirci qualcosa in più, i genitori andarono dentro al rudere, con alcuni dei bambini i quali, nel vedere lo stato della casa anche all’interno, rimasero scossi. Uno dei giovani però, vide appesa al muro una foto che rappresentava l’anziana signora; in quel momento ai genitori presenti si illuminarono gli occhi e guardando ancora la foto, scoppiarono in lacrime, come se l’oggetto rievocasse in loro un ricordo passato gioioso. Subito dopo dissero: “Abbiamo capito cosa è successo! Ma ve lo spiegheremo quando sarete più grandi”. Lasciando la curiosità nel cuore dei pargoli, fecero promettere loro, questa volta seriamente, di non tornare più i quel luogo, perché la nonna era tornata a casa sua, questa volta quella vera!

Scritto da Natalino Pistilli

Pubblicato sul numero 3 del 2020 del "Il Corace"

IL GIALLO PASOLINI

Caro lettore, sono le 06:30 del 2 novembre 1975 quando il corpo martoriato e senza vita di Pier Paolo Pasolini viene ritrovato da una donna sulla spiaggia dell'Idroscalo di Ostia. Un delitto, quello dello scrittore friulano, ancora con tanti, troppi punti interrogativi. Dell'omicidio fu accusato e condannato in primo grado l'allora diciassettenne (oggi deceduto anche lui) Pino Pelosi, detto “la rana”. Il caso fu chiuso abbastanza in fretta, come a volersi liberare di una verità parecchio scomoda a tanti. Pelosi raccontò di non voler uccidere Pasolini, ma che fu “costretto” a seguito di una lite dopo diverse insistenze sessuali dello stesso intellettuale e cineasta. Quindi Pino la rana salì a bordo dell'auto dello scrittore e travolse più volte con le ruote il corpo provocandone la morte. Ma davvero un solo uomo, per di più gracilino e malmesso, avrebbe potuto commettere un così brutale assassinio nei confronti di una persona agile e forte come era Pasolini? Possibile che Pelosi quella sera fosse solo? Davvero tutto quanto può ridursi a un semplice incidente, a un semplice episodio di “ragazzi di vita”, o c'è dell'altro dietro? A queste e a tante altre domande cerca di rispondere il romanzo di Massimo Lugli pubblicato recentemente: Il giallo Pasolini. Il romanzo di un delitto italiano.


- Marco Corvino, giovane giornalista in prova di Paese Sera e grande ammiratore di Pasolini, si lancia all'arrembaggio in un'inchiesta solitaria e non autorizzata che lo porterà a scoprire i tanti lati oscuri della vicenda e le incongruenze della versione ufficiale. In una Roma nuda e cruda degli anni '70, l'indagine di Corvino si snoda tra gli ambienti dei marchettari e spacciatori della Stazione Termini e le baracche di Ostia, tra la redazione di Paese Sera e lo studio dell'avvocato Nino Marazzita. Individui poco raccomandabili come Jonny lo zingaro, Scaracchio e Braciola diventano le principali fonti dalle quali reperire informazioni preziose riguardo l'assassinio. Oriana Fallaci, alter ego femminile di Pasolini, una preziosa alleata che per prima, tramite le pagine de L'Europeo, ha sposato sin da subito la tesi del duplice omicidio. Pasolini era un personaggio scomodo, questo è chiaro. Petrolio, il romanzo incompiuto che stava cercando di terminare e pubblicato postumo nel 1992, avrebbe messo a nudo diverse verità sul mondo Eni e le varie multinazionali petrolifere. Verità che qualcuno voleva nascondere mettendo a tacere per sempre lo stesso Pasolini. Ecco allora che il romanzo di Lugli tenta di riportare a galla proprio quelle verità, riconsegnando (almeno in parte) alla Storia i fatti reali sulla sua tragica morte e ciò che realmente è accaduto quella notte del 2 novembre 1975.
Buona lettura.

Il giallo Pasolini. Il romanzo di un delitto italiano – Massimo Lugli, 2019

Scritto da Tommaso Guernacci

Pubblicato sul numero 3 del 2020 del "Il Corace"

BODYBUILDING A CASA: CONSIGLI PRATICI

Nell'ambito del fitness, una delle domande più frequenti - ad esempio a causa di reclusione obbligatoria come la quarantena – è: "Posso allenarmi a casa (home fitness) ed ottenere gli stessi risultati che ottengo in palestra?".
Iniziamo rispondendo che, se trattasi di cause di forza maggiore, a prescindere dall'entità dei risultati, è necessario comunque adeguarsi e "restare a casa!".
Gli atleti che hanno obiettivi specifici e di livello elevato, che non possono ovviamente esercitare la propria disciplina specifica - ad esempio nuotatori, canottieri, ecc - ma anche chi pratica resistance training (allenamento contro resistenza) con pesi davvero importanti, sfrutteranno questo periodo come fase di scarico attivo, mantenendo e consolidando i progressi raggiunti fino ad ora, in attesa di ripristinare le normali abitudini quotidiane.

Lo stesso non si può certo dire per:

-chi pratica callistenia;
-chi ha un livello medio o basso - maggior parte dei frequentatori delle palestre o dei centri fitness;
-chi intende iniziare ad allenarsi proprio in virtù della maggior disponibilità di tempo.

Allenarsi a casa può infatti essere semplice ed efficacie, basta - si fa per dire - sapere "cosa" e "come fare".

La lista di attrezzi essenziali per allenarsi a casa è breve ed economica


-Corda spessa per saltare (non è per forza necessario acquistare l'attrezzo specifico);
-In alternativa alla corda per saltare, stepper meccanico semplice (due piccole pedane snodate);
-Elastico di resistenza media;
-TRX;
-Un bilanciere (normale o olimpico) componibile;
-Due manubri componibili;
-Panca multifunzione regolabile (meglio se con power rack o castello squat);
-Dischi in ghisa suddivisi in 10, 5 e 2,5 kg (in tutto, per un uomo possono essere sufficienti 40 kg, mentre per una donna circa la metà);
-Eventualmente, una barra per trazioni (pull-up);
-Eventualmente, una fitball;
-Eventualmente, kettlebell (ma in tal caso si devono già conoscere i movimenti fondamentali come, ad esempio, lo swing).

Se siete all'inizio, ciò potrà bastarvi per almeno 12 settimane (forse più). Gli stessi potrebbero addirittura essere sufficienti anche per il mantenimento di un soggetto mediamente allenato.

Nota: acquistando una panca con castello squat (power rack) sarà possibile eseguire l'accosciata in tutta sicurezza ed evitare la sbarra per trazioni, perché già incorporata. Con questa attrezzatura non è nemmeno necessario disporre di molto spazio, tranne che per l'eventuale castello squat che occuperà circa 1,5 m2.

Scritto da Andrea Pistilli – Istruttore FIF e Personal Trainer

Pubblicato sul numero 3 del 2020 del "Il Corace"

LEGGI E BALISTICA VENATORIA: POSSESSO DI ARMI DA FUOCO

POSSESSO DI ARMI DA FUOCO: IN VIGORE LA NUOVA LEGGE.
DECRETO LEGISLATIVO 10 agosto 2018, n. 104. Attuazione della direttiva (UE) 2017/853 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 maggio 2017, che modifica la direttiva 91/477/CEE del Consiglio, relativa al controllo dell'acquisizione e della detenzione di armi. (18G00127) (GU Serie Generale n.209 del 08-09-2018). Entrata in vigore del provvedimento: 14/09/2018.

L’Italia aveva già una legge sul possesso delle armi da fuoco e, con il recepimento della Direttiva Europea, ha provveduto alla modifica di alcune sue disposizioni. Tra le principali novità introdotte dalla nuova legge sulle armi, una nuova regolamentazione riguarda il rilascio e la durata della licenza: acquistare e detenere un’arma in casa è oggi più facile, visto che la direttiva comunitaria sulla detenzione delle armi è meno restrittiva rispetto alla normativa precedente.
Più nel dettaglio, il limite di armi sportive che si possono detenere in casa è stato elevato da 6 a 12, mentre per le armi lunghe e corte i nuovi massimi di colpi consentiti nei caricatori passano rispettivamente a 10 (prima 5) e 20 (prima 10). Ed ancora alcune novità: è stato ridotto il termine di validità del “porto d’armi” per la caccia e l’uso sportivo, da 6 a 5 anni; la denuncia di detenzione di un’arma, entro e non oltre le 72 ore successive all’acquisizione, potrà essere presentata ai Carabinieri o alla Questura anche online, tramite e-mail da un portale certificato (PEC); è stato previsto l’obbligo di attestare mediante autocertificazione di aver informato i propri conviventi del possesso di un’arma da fuoco; è stata introdotta la categoria dei “tiratori sportivi”, che devono essere iscritti a sezioni del Tiro a Segno Nazionale o a federazioni sportive riconosciute dal CONI, ai quali è anche consentito l’acquisto, la detenzione e l’uso di armi di categoria A6 (demilitarizzate) ed A7 (percussione centrale con caricatore superiore a 10 e 20 colpi). 

Inoltre, chiunque detiene armi comuni da sparo senza essere in possesso di alcuna licenza di porto d’armi in corso di validità, è tenuto a presentare ogni cinque anni la certificazione medica. Sono esentati da tale obbligo i collezionisti di armi antiche e chi è titolare di “licenza di porto di armi”.
Per la concessione del “porto d’armi” il certificato di idoneità psicofisica potrà essere rilasciato esclusivamente da specialisti in medicina legale delle Aziende Sanitarie Locali, o da medici militari, della Polizia di Stato o del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco.

Scritto da Renato Bologna e Emanuele Vari

Pubblicato sul numero 3 del 2020 del "Il Corace"

IL TEMPO DI AVERE TEMPO

"Non ho tempo.." quante volte abbiamo pronunciato questa frase! "Lo farò domani"... e poi quel domani è diventato un giorno unico e interminabile che porta il nome di quarantena. Privati improvvisamente di quella forte parola chiamata LIBERTÀ, liberi DI fare, liberi DA tutti, liberi PER poter decidere, in un batter d'orologio siamo passati da non avere tempo ad avere troppo tempo. Tempo per pensare alle persone care che possiamo sentire solo telefonicamente, tempo per riflettere se tutto questo ha un senso, tempo per capire se vale veramente la pena mettere in ballo ciò che realmente ci rende felici per sostituirlo con una mondanità più  frivola e leggera, tipica dei nostri giorni moderni. Tempo per riflettere.. ma a quanto sembra a molte persone questo tempo ancora non basta: si vedono ancora troppe persone in giro, persone che sottovalutano il problema. si sentono ancora "liberi di" decidere sulla vita futura di intere comunità. 

Stare a casa è difficile per tutti, per bambini, anziani, genitori.. ma farlo significa dimostrare di voler bene a sè stessi e agli altri. Tutti viviamo sulla stessa barca e da tutti i nostri comportamenti ne deriva la possibilità di far attraccare questa barca ad un porto sicuro; a volte però termini filosofici non convincono molto e allora è meglio usare un linguaggio più diretto, aspro e crudo. Siamo tutti potenziali diffusori del virus così come siamo tutti in grado di contrarlo, nessuno è escluso da questa fatalità. Se non si inizia a rinunciare alle nostre belle passeggiate, alle nostre sedute in piazza, se si continua in una linea di forte egoismo, potremmo vivere il dramma di molte persone del nord Italia. Potremmo trovarci a vivere situazioni di lontananza dai nostri cari, dai nostri affetti, dai nostri amici. Molte sono le persone che da un momento all'altro si sono ritrovate attaccate ad un macchinario per poter respirare, in una stanza di ospedale vuota e sterile, da soli a combattere perché a nessuno è permesso di far visita; molti si sono trovati nella peggiore delle condizioni umane, al cosiddetto bivio tra la vita e la morte, da soli, senza nessuno... 

E chissà quanti pensieri nelle loro teste, quante cose che avrebbero voluto dire ma non hanno potuto farlo, quante sensazioni indescrivibili che nessuno racconterà mai. Vivere con la consapevolezza che basta poco per non esserci più, con la paura di aver sfiorato con mano la morte; morire da soli, in un modo crudele, senza salutare per l'ultima volta una persona cara che possa essere la propria moglie, il proprio marito, i nipoti, i figli o chiunque altro.. questo potrebbe essere uno dei tanti pensieri che hanno attraversato tutte quelle persone che si sono trovate a perdere questa battaglia senza armi. E solo questo pensiero mi fa più paura del virus in sé; solo questo tipo di pensiero dovrebbe svegliare le masse convincendole che " la propria libertà finisce dove inizia quella dell'altro". Sì, voglio tornare libera, voglio avere la possibilità di rivivere la mia vecchia vita, di poter decidere, di poter scegliere; ma voglio tornare a farlo IO, e come me molte altre persone. Ma tutto ciò ci sarà negato fin quando qualcuno continuerà ad essere egoista, incosciente presuntuoso e ignaro di tutto ciò.

Sandra Mondaini avrebbe detto: "Che vita amara!"... tutto ci sembra superfluo fino a quando non ci viene negato, tutto è circoscritto in una lamentela fin quando le nostre routine non vengono stravolte e sconvolte. Impieghiamolo questo tempo a riflettere, a pensare; impieghiamolo questo tempo a capire che l'uomo è nato come essere sociale, che ha bisogno dell'altro per vivere, che ha bisogno di comunicare e sentirsi in contatto, prova ne sono i tanti flash mob di questi giorni che, oltre a portare una nota colorata in queste giornate, ci fanno capire che quando quello che chiamiamo normalità (come una canzone) ci viene negata, si trova sempre l'alternativa perché fa parte di noi, della nostra indole, del nostro modo umano di vivere. Pensiamo allora, in questo tempo dove le lancette dell'orologio sembrano ferme che, quell'Inno d'Italia, tanto acclamato in questi giorni, è stato frutto di chi ha combattuto una guerra diversa dalla nostra, in trincea, con bombe e cadaveri vicino; noi siamo stati più fortunati, stiamo combattendo seduti sul divano, nelle nostre case e con tutti i nostri confort e opportunità; quell'Inno non è solo legato ai nostalgici mondiali di calcio, ma ci è stato tramandato da chi nella costruzione della nostra Italia ci ha creduto fermamente tanto da lasciarcela bella e invidiata da mezzo mondo; a noi è stato chiesto un piccolo sacrificio, di continuare a cantare quell'Inno per creare italiani coscienziosi e uniti; ci è stato chiesto di crederci ancora per difenderci da un nemico invisibile, ci è stato chiesto di ricominciare intelligentemente, prima o poi....#iorestoacasa.

Lucia Pocci

Ricevuto e pubblicato sul numero 3 del 2020 del "Il Corace"

LA PAURA E LA GESTIONE DELLO STRESS DURANTE L'EMERGENZA CORONAVIRUS

La paura è un’emozione primaria, non solo potente, ma anche utile. Infatti, ha permesso l’evoluzione della specie umana agendo in funzione di prevenire i pericoli e quindi di evitarli. La paura però, è funzionale solo quando essa è proporzionata ai pericoli. Una gestione più concreta di ciò è sicuramente possibile quando l’uomo, posto davanti ad un pericolo concreto, può decidere volontariamente se affrontarlo o meno. Oggi ciò è reso meno possibile in funzione del fatto che molti pericoli ai quali siamo esposti non dipendono dalle nostre esperienze dirette: ne veniamo principalmente a conoscenza dai mezzi di informazione mass mediatica e virtuale che spesso non si limitano a descrive, ma possono esagerare ed ingigantire fatti e fenomeni descritti, col rischio di amplificazione della percezione del pericolo, e quindi, anche del rischio da parte del destinatario e quindi, di noi tutti.  Si ha più paura soprattutto dei fenomeni sconosciuti, rari e nuovi, e la diffusione del Coronavirus ha proprio queste caratteristiche.

Accade così che la paura diviene eccessiva rispetto ai rischi oggettivi relativi a determinati pericoli e in questi casi la paura, trasformandosi in panico, finisce per danneggiarci. Avere invece quella che potremmo definire la “giusta” paura non solo è normale ma ci protegge dal pericolo di essere contagiati e contagiare, spingendoci dunque ad attuare tutte le misure preventive e cautelative che il Governo ci ha invitato ad intraprendere.

In questi giorni in cui siamo costretti a restare in casa, unitamente ad emozioni connesse alla paura e all’angoscia connessa all’emergenza sanitaria, si può essere maggiormente esposti allo stress, le cui ricadute rischiano anche di compromettere non solo il benessere del “qui ed ora” dell’esperienza quotidiana, ma anche la nostra capacità progettuale verso il futuro e la fine dell’emergenza stessa.

Alcuni suggerimenti per salvaguardare il benessere:
- Sviluppare la resilienza: la resilienza è la capacità di far fronte in maniera positiva a eventi negativi e per svilupparla occorre adottare un atteggiamento costruttivo, organizzarsi restando sensibili ed aperti alle opportunità che la vita può offrire in ogni situazione, anche negativa: ad esempio la nostra casa piuttosto che una prigione potrebbe essere come rifugio e il tempo trascorso al suo interno, come un tempo ritrovato piuttosto che perso.
- Riscoprire le proprie risorse: semplicemente rilassandoci e provando a riorganizzare in maniera diversa la nostra quotidianità godendoci momenti che magari prima erano vissuti velocemente o messi da parte come leggere un libro, fare colazione, stare a tavola con i nostri affetti, dialogare con loro.
- Gestire le emozioni negative: è facile in questo momento essere invasi da emozioni negative come la paura e la tristezza. Occorre accettare questi stati d’animo, prenderne coscienza senza rinnegarli, per poter poi andare oltre concentrando il pensiero su attività e ci permettano di rilassarci e costruire significato nel qui ed ora della nostra giornata. A tale scopo è utile agevolare la capacità di aprire la nostra mente all’altro, ossia di condividere con le persone che abbiamo vicino, o con quelle con le quali siamo in contatto anche solo per via telematica, le nostre emozioni e i nostri stati d’animo, tenendo conto che possono facilmente appartenere a tutti noi in questo momento. Ma non solo, accanto agli stati d’animo negativi è bene condividere anche progetti e intenti per il futuro.
- Limitare l’attività di ricerca di notizie e in formazioni: evitare di guardare compulsivamente il cellulare o il pc alla ricerca di informazioni o notizie sul momento di emergenza sanitaria onde evitare di appesantire il carico cognitivo con la conseguente sensazione di essere continuamente sotto pressione. È meglio limitarsi ad aggiornarsi una, due volte al giorno attingendo a fonti ufficiali.
- Dedicare tempo a chi amiamo: approfittiamo di questo spazio e di questo tempo per parlare con i nostri figli, bambini o adolescenti per ascoltare anche i loro pensieri e le loro emozioni; dedichiamo tempo alla coppia, ai nostri genitori, ai nostri nonni, ai nostri amici vicini o lontani che siano. In questo caso la tecnologia può fornire ai nostri giorni un valido aiuto, basti pensare alle piattaforme social e alla possibilità di effettuare video chiamate.
- Curare il corpo e l’alimentazione.
- Fare progetti per il futuro, quando l’emergenza sarà terminata: pianifichiamo ad esempio un’attività, un viaggio, la frequentazione di un corso che troppe volte abbiamo rimandato, la visita ad una persona cara che è lontana, investiamo dunque le nostre energie e canalizziamo i nostri pensieri verso progetti costruttivi e creativi.

Scritto da Francesca De Rinaldis

Pubblicato sul numero 3 del 2020 del "Il Corace"

SENZA UN OSPEDALE, SARÀ SEMPRE UNA GUERRA PERSA!

Mi chiamo Giovanni, sono un manager, e per lavoro giro molto per lungo e per largo l’Italia. Tra la metà del mese di gennaio e quella del mese di febbraio sono stato per lavoro, più di una volta a Milano, Bergamo e Brescia, per poi tornare sempre ogni fine settimana nel mio bel paese pontino, che è anche il mio paese natale; perché a Cori fino a quando non chiusero l’ospedale, si poteva nascere ancora. Cori è un paese che amo tanto, da non perdere occasione di citare orgogliosamente e di vantare negli incontri che ho con i miei colleghi, tra un meeting e l’altro.

Questa volta però il mio ritorno è stato diverso, un po’ di ansia devo dire il vero me la sentivo, ma non sapevo bene da cosa derivasse. D’altra parte, gli affari in quel territorio d’oro della Lombardia, erano andati bene in questi primi giorni dell’anno, pertanto, non avevo motivo di sentirmi strano in quella maniera. Sta di fatto che però non appena rientrato dalla Lombardia il 21 Febbraio, neanche dopo un paio di giorni, ho iniziato ad accusare qualche piccolo malessere, quelli tipici della stagione invernale, dove, per uno come me che è sempre molto attento a tutto e super attivo, basta un “Vivin C” per tornare subito in forma.

Ma questa volta i sintomi erano diversi, ma tutti mi dicevano la stessa cosa: “sono i classici sintomi di una semplice influenza”. Allora pur non sentendomi bene come sempre, ho comunque continuato a fare tutto quello che facevo solitamente quando tornavo a trascorrere il weekend a casa. Il sabato mattina corsetta in città con i miei amici più sportivi, caffettino al bar con i “vecchietti” del paese, pranzo a casa con il mio “amore”, pomeriggio all’oratorio, e alle 18.00 l’immancabile aperitivo con i miei amici di sempre, quelli compagnoni, quelli che ti difenderebbero a dorso nudo dal freddo che c’è in inverno, ma anche da quel sogno maledetto che il freddo te lo fa sentire doppio.
E quello che mi è accaduto successivamente è paragonabile proprio ad un brutto sogno. Durante quella stessa notte, infatti, alcuni brividi di freddo, mi preannunciarono la febbre in ascesa, la respirazione si fece sempre più affannata, uno stato di spossatezza ormai mi pervadeva su tutto il corpo, la diarrea e la congestione nasale non mi facevano chiudere occhio.

Nel frattempo, su tutti i telegiornali nazionali della notte, si iniziava a parlare di quel paesino della Lombardia, che fino a quel momento io non conoscevo neanche, ma che invece, avrei imparato a conoscere bene, perché da lì a qualche ora, sarebbe stato chiuso preventivamente dentro una zona rossa, perché ritenuto essere con la presenza di un paziente zero contagiato dal coronavirus, un primo focolaio da tenere sotto controllo sul nostro territorio nazionale.

Il paese era Codogno, e il paziente zero era Mattia. E i sintomi erano gli stessi di quelli che io iniziavo ad avvertire. Ma non capendo la gravità, in quella notte apparentemente tranquilla trascorsa nella mia casa del mio piccolo comune di provincia di circa 10.000 abitanti, stava covando in me un virus che non poteva essere più considerato come una semplice influenza. 
E proprio perché non era una influenza, il mio naso continuava a gocciolare, il respiro diventava sempre più affannoso e quella sensazione di “fame d’aria” iniziava ad essere sempre più preoccupante. Mia moglie allertata chiamò al telefono il medico curante, che dopo un’ora mi visitò e decise che era meglio che mi fossi rivolto al Pronto Soccorso per una lastra di verifica. Ma il primo pronto soccorso più vicino alla mia città dopo la chiusura del suo pronto soccorso era quello della città di Latina, distante da Cori circa trenta minuti. Tra mezz’ora di attesa dell’ambulanza e altrettanta di viaggio per recarsi al nosocomio del Santa Maria Goretti, dopo un triage durato sei ore, finalmente mi fanno entrare e dopo altre quattro ore mi danno il responso: positivo al Covid-19. Resto allibito e penso subito a tutte quelle tante persone che avevo incontrato in quelle ore precedenti nel mio bel paesino, dove fino al giorno prima avevo girato con il virus in latenza. Ma nemmeno un istante dopo che ho appreso la notizia della mia positività, che già i primi casi vennero alla luce e le paure tra i miei concittadini non tardarono a farsi sentire, visto la celerità con la quale il virus riuscì a mia insaputa, a contagiare chiunque fosse venuto a contatto con me in quelle ore. Dopo due giorni viene ricoverata mia moglie, poi i miei amici e poi di seguito il Sindaco, il parroco e il medico di famiglia, da far incominciare un via vai continuo di ambulanze che da Cori iniziarono a portare i pazienti all’Ospedale di Latina, ma ben presto non ci furono più ambulanze e il tempo era sempre più ridotto al minimo. Tra il trasporto di un paziente, la sanificazione dell’ambulanza e dei suoi operatori e il viaggio di andata e ritorno, non si faceva più in tempo a salvare vite.

Per fortuna, tutta questa vicenda non è altro che un brutto sogno inventato, così come è ovviamente inventato il nome del protagonista del racconto e della storia che questo ha vissuto per noi, per consentirci di fare un punto focale sull’importanza che avrebbe la struttura ospedaliera di Cori, in un momento sanitario così critico, per tutta la nazione, per farci superare questo momento difficile, con molta meno angoscia di quella che invece stiamo vivendo, sapendo che, quella porta di quel ospedale di Cori, è ancora chiusa.

“Per combattere un’epidemia sono indispensabili rapidità e strategia. Più si tarda, più si rischia la sconfitta”. Questo è quanto ha affermato qualche mese fa Roberto Burioni, noto medico, professore ordinario di Microbiologia e Virologia presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. Parole che pesano quanto i massi di un muro ciclopico che la città di Cori conosce molto bene, a cui non può fare ammenda, per convincersi che non può esistere nella nostra epoca, una città senza un proprio ospedale. 
Perché per una città in guerra senza un ospedale, sarà sempre una guerra persa.

Scritto da Emanuel Acciarito

Pubblicato sul numero 3 del 2020 del "Il Corace"

giovedì 9 aprile 2020

COVID-19: UN “VACCINO” PER L'AMBIENTE?

Cari lettori, quello che stiamo attraversando nell’ultimo mese è il più grave periodo di emergenza che l’Italia non ricordava dal 1945, coinciso con la fine dell’ultimo conflitto bellico, la seconda guerra mondiale, e dove al posto dei cannoni, delle bombe, delle artiglierie, c’è un nemico invisibile, centinaia di volte più piccolo di un globulo rosso, che sta mettendo a dura prova tutti noi, e che purtroppo ci sta lasciando anche tante vite spezzate, numeri che crescono di giorno in giorno, una guerra silente e maledetta. Non è intenzione, esprimere qui fra queste righe, il mio pensiero sul dire se si poteva o non si poteva evitare questa infezione o contenere molto più rapidamente , se c'è o non c'è un colpevole, ma un pensiero va a tutti coloro che incessantemente stanno lottando giorno dopo giorno per far sì che possiamo uscirne il prima possibile vittoriosi, ed un grazie infinito va a medici, infermieri, volontari, forze dell’ordine, protezione civile e tutti i coordinatori di questa emergenza compreso chi opera nel nostro comune. 

Da architetto paesaggista e legato a tematiche ambientali, volevo concentrarmi sul come il nostro pianeta ne stia risentendo di questo lungo periodo iniziato prima in Cina ed ora spostatosi nella maggior parte dei paesi occidentali. Tutti voi avranno letto in questi giorni, come la nostra quarantena forzata, il limitare gli spostamenti, la chiusura di poli ed attività industriali, ma anche di parchi, giardini, ville storiche, spiagge… stiano recando benefici all’ambiente, un paradosso se si pensa alle condizioni di salute critiche in cui versa la Terra in questo secolo.
In poche parole la natura si sta riappropriando dei suoi spazi, ma se da un lato dobbiamo stare attenti a evitare l’effetto “rimbalzo” una volta finita la crisi, dall’altro dobbiamo prendere coscienza che cambiare è possibile, sia individualmente che collettivamente. Abbiamo visto tutti in questi giorni rimbalzare sui social le foto e i video dei fenicotteri e dei cigni a Milano, dei delfini a Cagliari, dei pesci che nuotano nelle limpide acque dei canali veneziani. Immagini suggestive che mostrano come potrebbero essere le nostre città se solo non fossimo così invasivi. 


«La natura si riappropria dei suoi spazi» è il commento più diffuso, ed è vero, ma quali sono i reali benefici di questa situazione per l’ambiente, e soprattutto quanto dureranno? Il ritorno di animali selvatici in centri abitati di solito molto popolati, rumorosi ed inquinati è solo una delle conseguenze dello stop forzato imposto dall’emergenza coronavirus. Dalle osservazioni satellitari realizzate nelle ultime settimane dall’Agenzia Spaziale Europea (ESA), emerge infatti come le emissioni di biossido di azoto (NO2) uno dei principali gas inquinanti siano notevolmente diminuite in particolare nell’Italia settentrionale. In altre parole in una delle aree più inquinate del Paese ovvero la pianura padana, la concentrazione di NO2 è calata del 10% da metà febbraio a oggi. Un dato che fa ben sperare, ma che va contestualizzato per capire quanto può davvero impattare sul riscaldamento globale. L’inquinamento dell’aria, infatti, non dipende solo dalle emissioni, ma anche da fattori meteorologici. L’improvvisa e continuata riduzione del traffico ha certamente un effetto sulla qualità dell’aria, ma bisogna tenere conto che i mesi di gennaio e febbraio, un po’ per via delle maggiori emissioni da riscaldamento, un po’ per le condizioni generali (velocità del vento, stabilità atmosferica, ecc.) mediamente più sfavorevoli, sono sempre caratterizzati da maggiori concentrazioni di NO2 e PM10, destinate a calare in primavera.
Insomma, poche settimane non bastano: se nell’immediato la riduzione del traffico e lo stop di molte attività hanno un (lieve) impatto positivo sull’ambiente, nel lungo periodo l’effetto è ancora così ridotto da risultare addirittura meno significativo di quello causato dall’aumento delle temperature per motivi stagionali. E questo si sta verificando anche in altre aree del mondo, una tra tante la Cina dove tutto è iniziato, nella nazione piu inquinata della Terra, dove ora i cieli sono azzurri e limpidi e la qualità dell’aria ha avuto un miglioramento che non si registrava da tanti anni. Insomma paradossalmente si può dire che il coronavirus è attualmente un “vaccino” involontario per il nostro ecosistema, in attesa di trovare un vaccino per noi in grado di contrastarlo. 

In conclusione cosa possiamo fare una volta passata la crisi? Cigni, fenicotteri, delfini e acque limpide sono dunque solo un miraggio? Affatto. Sono un monito e una presa di coscienza. Il primo è far sì che questi “effetti collaterali” non abbiano la durata di un post sui social: qualora l’emergenza coronavirus andasse avanti ancora per molto e con essa la riduzione delle emissioni, dovremo fare in modo di evitare il “rimbalzo” delle stesse una volta superata la crisi. La differenza la faranno le risposte che il mondo politico e finanziario metteranno sul tavolo per fronteggiare la crisi economica che si intravvede all’orizzonte. La seconda è che modificare le nostre abitudini, anche in maniera improvvisa e radicale, è possibile sia individualmente che collettivamente. Tutti speriamo che il coronavirus venga debellato il prima possibile, e quando avverrà ci porteremo a casa non solo un senso di sollievo, ma anche di consapevolezza che in caso di pericolo imminente siamo in grado di reagire, di adottare misure drastiche, di unire le forze per un intento comune. Come quello di arginare le conseguenze dei cambiamenti climatici. Non si tratta di un’ipotesi astratta, ma di una possibilità concreta. L’introduzione forzata dello smart working, fino a poche settimane fa baluardo di modernità e privilegio di poche aziende “illuminate”, è un esempio perfetto: il lavoro agile non solo abbatte i costi per il datore di lavoro, ma riduce sensibilmente il traffico quotidiano. Perché abbandonarlo una volta terminata la crisi? 

Scritto da Fernando Bernardi 

Pubblicato sul numero 3 del 2020 del "Il Corace"

QUALE FUTURO?

Analizzando il quadro generale, la maggior parte delle persone sono in quarantena e non lavorano; altri lottano contro questo orrendo virus ed altri aiutano queste persone malate a lottare ed altri ancora lavorano per cercare di mandare avanti il Paese. Questa è la nostra suddivisione sommaria. La gente esce di casa solo per la spesa o per situazioni di necessità o per lavoro, gli altri a casa. Grandi contraddizioni nelle decisioni del Governo (Non mi riferisco all'orientamento politico, ma ad alcune scelte fatte), molta confusione e poco appoggio agli imprenditori. Ripeto, non ne sto facendo una questione politica, solo analitica. Da cittadina italiana vorrei più tutela, più aiuti, più controllo..razionalmente capisco che sono cose non facili da realizzare o da gestire, non siamo pochi e le sfaccettature di ogni aspetto sono molteplici. Alcune cose potevano essere sistemate prima, a prescindere dal periodo che stiamo vivendo attualmente, perché magari erano importanti anche in tempo non sospetti. Pensiamo ad esempio agli ospedali chiusi ed alla scarsità delle attrezzature mediche, qualunque esse siano.

Si poteva pensare ad un sistema di tutela dei titolari di partita Iva, non dandoli mai per scontati; alle imprese, che magari sceglievano di pagare gli stipendi piuttosto che una scadenza fiscale, confidando in tempi migliori. Per i lavoratori dipendenti, tutela e sostegno, più interventi utili a sostegno dei diritti, invece che escamotage. Tutto questo attualmente si aggiunge all'emergenza medica che viviamo. La popolazione risente della chiusura degli ospedali, in quanto ora ė importante avere un piccolo punto dove rivolgersi in caso di emergenza, non solo da Covid-19, perché la gente può farsi male mentre lavora, può non sentirsi bene e potrebbe avere patologie da tempo che necessitano di cure ed assistenza; ai medici sarebbe utile ora avere strumenti necessari per svolgere il loro lavoro, in sicurezza ed in modo efficiente; ai titolari di partita Iva potrebbero sentirsi meno soli e più tutelati. 
I lavoratori dipendenti meno sfruttati e non in balia di leggi ambigue. Le conseguenze di tutto ciò, nei vari ambiti ed applicazioni, implicano dei comportamenti e delle situazioni che non sto qui ad elencare, poiché credo siamo lampanti e scontati. Nessuno poteva immaginare la venuta di questo orrendo virus e la devastazione generale che ha portato con sé, ma potevamo essere più efficienti a prescindere da questo. 

È facile pensare che va sempre tutto bene e quindi, umanamente, siamo portati a pensare che una cosa non serve, di un'altra non ne abbiamo bisogno, quella cosa si può ridurre.. Non dovrebbe essere così a prescindere. Ogni scelta a qualsiasi livello venga presa, che sia in famiglia od a livello nazionale, ha le sue conseguenze, presto o tardi presenta il conto. Non mi sto riferendo solo od in gran parte dalla Sanità; le scelte “rilassate" riguardano tutti gli aspetti che ci circondano la qualsiasi livello di analisi. Oggi ci sentiamo più italiani, più vicini, più combattenti, più uniti.. dovevamo esserlo a prescindere. Nel rispetto di tutto e tutti, per il principio che se una cosa non riguarda me non significa che non interessi nessuno. Dobbiamo essere uniti oggi, per combattere insieme questo periodo ed uscirne al più presto possibile, ma dobbiamo continuare ad esserlo. 

Scritto da Eleonora Angelini

Pubblicato sul numero 3 del 2020 del "Il Corace"