giovedì 9 aprile 2020

QUELLA SPECIE DI QUARANTENA SULL'ISOLA

In questi giorni di smarrimento e angoscia, dovuti alla pandemia che sta affliggendo il mondo intero, rileggere e riscoprire alcuni classici ci aiutano a capire meglio l’uomo e la sua solitudine perfino nella collettività. Ne è un esempio lo scrittore britannico William Golding, che nel 1983 vince il premio Nobel con la seguente motivazione: “per la capacità di descrivere efficacemente la condizione umana nel mondo contemporaneo, grazie ad una chiarezza narrativa realistica e all’universalità del mito.” È probabile che molti di voi non lo avranno sentito mai nominare prima d’ora ma, poco male, perché William Golding, in realtà, è ricordato in particolar modo per un libro intitolato Il Signore delle mosche. 
Questo libro, che inizialmente fu rifiutato, come spesso accade, da moltissimi editori, fu pubblicato nel 1954 dalla casa editrice Faber & Faber, diretta dal poeta e scrittore Eliot. Fu un successo immediato, tanto che tutta la carriera di Golding venne segnata da questo libro, oscurando, se vogliamo, tutti i suoi lavori successivi e creando non poco imbarazzo all’autore che amava anche molto il teatro e la poesia. Ma perché questo libro è così importante ed ebbe un successo così planetario? Golding, nello scrivere questo libro, in realtà fece un esperimento molto semplice. Prima di dedicarsi interamente alla scrittura, era anche un’insegnante, e delle volte si dilettava a separare la sua classe in due fazioni, o meglio gruppi, e poneva ad entrambi un interrogativo, un argomento su cui discutere. Così i bambini cominciavano a dibattere tra di loro, facendo ognuno valere le proprie idee e i propri punti di vista. Si accorse che, quando queste discussioni avvenivano senza l’intervento di un moderatore, e quindi senza che Golding stesso s’imponesse nel passare la parola o nel far restare composti i bambini, questi erano tendenti a giungere perfino alle mani. 
Da qui l’idea del romanzo, ambientato nel bel mezzo di una non specificata guerra nucleare e che vede come protagonisti, appunto dei bambini, che si ritrovano su un’isola a causa di un incidente aereo. Qui, senza la presenza di adulti, sono volti a dover sopravvivere, a fare gruppo, ad autodisciplinarsi e crearsi delle regole da rispettare. Eppure, come scrive lo stesso Golding in una frase cardine del libro e che meglio riassume la sua poetica: «Gli uomini producono il male come le api producono il miele». Ed è così che si scoprirà, durante la lettura del libro, quanto questo male sia radicato in fondo anche nei bambini e che il desiderio a voler predominare sull’altro, e quindi ad acquisire i pieni poteri lì dove vige una comunità, sia un’indole prettamente umana. 
Questo romanzo è indubbiamente, come disse lo scrittore e critico Emanuele Trevi, un’opera spartiacque. Sì, perché senza l’opera del romanziere britannico, sarebbe difficile immaginare oggi telefilm come Lost, ad esempio, che lo ricalca in pieno sin dall’inizio della trama filmica. E la conferma ci viene da quella scena in cui Sawyer legge, su uno dei sedili dell’aeroplano precipitato su un’isola e utilizzato come poltrona, esattamente Il Signore delle Mosche.
Lungi da far diventare, oggidì, le mura domestiche e i confini nazionali come una grande, sperduta isola.

Scritto da Fabio Appetito

Pubblicato sul numero 3 del 2020 del "Il Corace"

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