giovedì 9 aprile 2020

NOI E IL VIRUS

Il filosofo inglese David Hume, massima espressione dell'empirismo scettico, cioè della scienza e dei suoi limiti, ebbe a dire "il fatto che il sole sia sorto sino all'alba di oggi non vuol dire che sorgerà anche domani". Volendo intendere, con tale affermazione, che per quanto la scienza, fondata appunto sull'esperienza (empirismo) possa ampliare sempre di più le sue ricerche e le sue scoperte, le cose che non sappiamo e non sapremo, saranno sempre di più rispetto a quanto riusciremo a scoprire, per il semplice fatto che, non conoscendole, le ignoriamo. Ovviamente la metafora del sole è un estremizzazione ma rende bene l'idea che le cose, la realtà, possono cambiare da un momento all'altro in modo imprevedibile. Questo importante filosofo ci è ritornato alla mente nella circostanza che stiamo vivendo. 

Il Coronavirus è l'incognita, è "il ciò che non sappiamo" che improvvisamente ha invaso la nostra esistenza. Di tutto il pianeta, e quindi dell'intera umanità. Una pandemia. Nella storia del mondo e dei popoli di pandemie ne abbiamo avute, ma questa è la prima dell'epoca post moderna. Cioè del nuovo millennio nel quale siamo entrati vaccinati a tutto, con alle spalle "L'uomo che è andato sulla luna", e che forse andrà su Marte, i trapianti di cuore che ormai da decenni sono bazzecole, l'invenzione delle tecnologie, le diavolerie di internet. Insomma, un'umanità, soprattutto occidentale, ad un passo dalla (presunta) immortalità, padrona (ancor più presunta) della natura, sino a mortificarla, stuprarla, devastarla. Popolazione di un nuovo millennio con distanze siderali ridotte a qualche giorno di viaggio, che improvvisamente si scopre debole, impotente, pietrificata dinanzi ad un virus i cui portatori non sono né insetti, né animali, né aria, né cibo, ma siamo noi stessi. 

L'infezione siamo noi. L'infezione se c'è, è dentro di noi. Questa è la realtà dei fatti. Dentro questa realtà c'è tutto quanto sta accadendo: le nostre vite cambiate, il mondo sospeso nella sua quotidianietà, l'economia che va a farsi benedire (ma l'espressione sarebbe più verace ma evitiamo), la nostra presunzione e la nostra superbia ridicolizzate da una mascherina, le stesse mani con le quali, in molti o in tanti, hanno trafficato affari illeciti sporcandole di illegalità, ora vanno lavate decine di volte al giorno: magari lo si potesse fare anche con la coscienza. Siamo chiusi in casa, ai domiciliari; alla fine ognuno di noi ha una pena morale da scontare perché "chi è senza peccato scagli la prima pietra". Un virus purificatore? No, lasciamo queste stolte teorie ai fanatici oscurantisti. Al contrario: un virus nemico che va sconfitto al più presto. E su questo un fronte di straordinaria professionalità e solidarietà che va dai medici alla protezione civile, alle forze dell'ordine, alla moltitudine che sta ogni giorno ed ogni ora mettendo a repentaglio la propria vita al servizio del  dovere e della vita degli altri, si sta mobilitando, ed ogni parola di gratitudine sembra insufficiente, dinanzi alle vittime che si registrano anche su questo fronte. Ma il nostro domicilio coatto ci costringe però a riflettere, a pensare a noi stessi, alla nostra esistenza, al suo senso, al significato e alla direzione di marcia che sinora le abbiamo dato. Ci porta o ci dovrebbe portare, a rimodulare la nostra scala di valori, in base alla quale abbiamo stabilito le priorità: ciò che viene prima da ciò che viene dopo. Se per caso abbiamo deciso, in questo nostro percorso, che la vita serve a fare soldi e non viceversa correggiamo: i soldi servono a vivere, non ad accumulare altri soldi. Se per caso abbiamo "confuso" il mezzo con il fine, è arrivato il momento di rimettere le cose a posto. La vita non è solo quantità, è soprattutto qualità.

Questo silenzio surreale che ci a ccompagna ogni giorno, interrotto solo dagli altoparlanti delle forze dell'ordine che ci ammoniscono a non uscire di casa, ci può essere di aiuto nel raccogliere un poco di idee che prima avevamo confuse, e per le quali, sino a qualche mese fa, non trovavamo spazio e tempo per metterle a fuoco e verificarne la giustezza, presi come eravamo dal nostro correre quotidiano, spesso "per andare dove dovevamo andare" (cit. Totò): già, ma dove? E perché? Ora il tempo ci sta.

E non solo per noi: anche per la Politica. Sempre impantanata nelle risse da cortile, incapace di volare alto, lontana con le sue diatribe incomprensibili e ridicole distante milioni di anni luce dai problemi veri del paese e dei cittadini, ora, questa politica, si sta misurando con la madre di tutti le questioni: la vita e la morte, l'emergenza e la malattia, il contagio e la pandemia. In una sola parola: la sopravvivenza.
I grandi temi dell'umanità, le grandi domande che sinora erano relegate alla scienza, alla letteratura, alla filosofia, alle tecnologie. E che ora sono le vere ed uniche priorità. E qui si misura il confine tra chi è dentro il suo ruolo istituzionale e chi invece resta, anche nella tragedia, un comiziante che se prima era patetico, in questa circostanza non ha più attenuanti: è un miserabile. E non è piu tempo di egoismi. Finalmente lo stanno capendo anche quelli che in Europa contano, dopo le sbandate dei primi momenti sulle quali meglio stendere un velo pietoso.

E chiudiamo con chi conta di più: la scienza.
Il mondo intero guarda agli scienziati, ai ricercatori, alla ricerca. L'Italia si sta facendo onore con le proprie eccellenze, e da Napoli arrivano segnali importanti. Ma la scienza è globale. Guai a dividersi. La Cina dove tutto è nato e tutto sta per finire, ci sta aiutando inviando qui i suoi esperti e tanto materiale, ed anche Cuba ha inviato una sua equipe. Non è il momento delle divisioni nel campo scientifico; è il momento della massima unità. Lo ha ricordato giustamente anche il Presidente Mattarella.
Poi ci siamo noi, i cittadini. Rispetto ad altri paesi stiamo dando un buon esempio di disciplina. Ma ancora con troppi "disubbidienti". Siamo un popolo per natura indisciplinato. Non possiamo più esserlo. Bello il ritrovarsi in uno spirito solidale a cantare l'Inno nazionale e a sventolare il tricolore. Ci siamo riscoperti italiani, ma senza disciplina non è sufficiente. Non ci chiedono di andare in guerra a morire, come ai nostri padri e ai nostri nonni: ci chiedono di restare in casa per vivere e per far vivere gli altri. Si può fare, si deve fare.

Scritto da Emilio Magliano

Pubblicato sul numero 3 del 2020 del "Il Corace"

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