sabato 30 maggio 2020

L'AMICO DEGLI ANIMALI: AMERICAN PAINT HORSE

Continuando il nostro tour negli Stati Uniti di America, conosciamo oggi in questo numero il Paint Horse, una razza equina americana molto cara al popolo statunitense e soprattutto agli Indiani di America. Fra i cavalli portati dagli Spagnoli nel Nuovo Mondo, ve ne erano alcuni pezzati che, diventati selvatici (i mustang), si diffusero rapidamente in tutto il continente. Ne furono affascinate le popolazioni indigene, in particolare i Comanches, abilissimi cavalieri, che ne apprezzarono la velocità e la tenacia. Nel 1519 l’esploratore spagnolo Hernando Cortes navigò alla volta del continente Nord Americano per cercare fama e fortuna. Con il suo entourage di conquistatori, egli portò dei cavalli per favorire il suo viaggio. Secondo lo storico spagnolo Diaz del Castello che viaggiò con la spedizione, uno di questi primi 16 cavalli che Cortes portò al suo seguito era con grandi pezzature bianche sul ventre. Questo cavallo macchiato fu incrociato con i cavalli nativi Mustang Americani e posò le fondamenta per quello che oggi è l’American Paint Horse. Agli inizi del 1800 le pianure occidentali furono generosamente popolate da mandrie di cavalli e quelle mandrie includevano questo particolare cavallo pezzato. A causa del loro colore e delle loro prestazioni, questi cavalli vistosi e colorati diventarono presto i preferiti dagli Indiani Americani. Gli Indiani Comanche considerati, da molti studiosi i più fieri cavalieri delle pianure, preferivano questi cavalli colorati e forti e ne ebbero molti tra le loro immense mandrie. La prova di questo amore verso questi cavalli si riscontra nei disegni trovati sulle toghe di bufalo dipinte dai Comanche. È infatti risaputo che questi indiani furono i primi selezionatori della razza e raggiunsero un elevato standard qualitativo dei soggetti da loro allevati. Molta parte di questo immenso patrimonio genetico andò purtroppo disperso a causa delle persecuzioni subite dai nativi americani. Nell'800 i cowboy, partendo dai mustang, selezionarono il Quarter horse per i lavori con le mandrie, e, a metà '900 ne istituirono il Registro genealogico. Tuttavia l’American Quarter Horse Association (AQHA) per molti anni si rifiutò di registrare come Quarter Horses cavalli dal mantello pezzato, seppure questi fossero la progenie di cavalli registrati nello stud book. Gli allevatori e gli amanti di questi cavalli pezzati, pertanto costituirono, nel 1962, la American Paint Horse Association (APHA) e cominciarono a registrare cavalli scartati dall'AQHA. Quindi il Paint Horse non è altro che un Quarter Horse dal mantello pezzato. I cavalli di razza Paint Horse si distinguono dalla maggior parte delle razze per la caratteristica del mantello colorato. I colori base dei mantelli sono i medesimi conosciuti, differenziati unicamente da una sovrapposizione di macchie.

I tre mantelli riconosciuti dalla Associazione Paint (APHA) sono:


TOBIANO



Il mantello Tobiano è caratterizzato da zoccoli e arti bianchi, testa con percentuale di bianco non superiore a quella di un cavallo non macchiato, le macchie bianche attraversano la linea superiore del corpo tra le orecchie e la coda. Le macchie del Tobiano sono ben definite e sono posizionate verticalmente sul corpo del cavallo e solitamente hanno occhi scuri. Possono essere molto scuri con pochissime macchie bianche o essere quasi completamente bianchi con pochissimo scuro. Altra caratteristica molto importante è il margine tra il bianco e le aree colorate scure, la pelle di questa zona è pigmentata e non rosa, ricoperta da peli bianchi dando origine così ad una colorazione bluastra quasi come un'ombra. Il mantello di alcuni Tobiani si distingue anche dalla presenza di piccole macchie rotonde dette “ink Spots” ovvero, macchie di inchiostro.


 OVERO



Il termine Overo comprende 3 diversi tipi di mantello: Overo Frame, Sabino Overo e Splash White Overo.
Overo Frame: Il nome Frame si riferisce alla presentazione di macchie bianche centrate sul corpo e sul collo e incorniciate dalle zone scure. La disposizione delle macchie bianche è orizzontale e non attraversano la linea della schiena (Topline) come invece troviamo nel Tobiano. Solitamente, la testa ha ampie macchie bianche e gli occhi sono prevalentemente blu. I piedi e gli arti normalmente sono scuri anche se possiamo trovare del bianco anche in queste zone. Le macchie bianche nel Frame Overo sono molto nitide e ben delineate e alcuni possono presentare il “bordo blu”.

Overo Sabino: La parola Sabino in spagnolo viene tradotta come pallido e maculato. In Europa e negli Stati Uniti, Sabino indica un disegno unico e molto interessante dei mantelli. Normalmente i cavalli con questo mantello hanno quattro piedi e arti bianchi con un disegno molto frastagliato che dal basso si estende verso l’alto. La testa è generalmente piuttosto bianca e gli occhi possono essere blu o parzialmente blu o marroni. Molti cavalli Sabino possono avere chiazze e zone roane non così ben definite come invece troviamo nei Frame Overo.

Overo Splash: La Splash White Overo è il mantello meno comune da trovare anche se negli ultimi anni molti allevatori hanno inserito l’allevamento di cavalli con questo disegno. I cavalli con questa caratteristica danno l’impressione di essere stati immersi nella vernice bianca di solito, le gambe sono bianche come la pancia e la testa e gli occhi prevalentemente blu. I bordi del bianco sono molto nitidi con un contrasto molto accentuato, dalla coda alle orecchie generalmente il mantello è scuro, ma occasionalmente il bianco attraversa la linea dorsale.

TOVERO



Il mantello Tovero è un combinazione di macchie dovuta all’incrocio di un cavallo Tobiano e un Overo. La caratteristica tipica di questo mantello è la pigmentazione scura intorno alle orecchie fino alla linea degli occhi comprendendoli a volte. Uno o entrambi gli occhi sono blu, pigmentazione scura intorno alla bocca che può continuare fino ai lati della testa formando macchie. Il petto ha zone scure che occasionalmente possono estendersi fino al collo, i fianchi hanno macchie estese o meno che si protraggono anche verso la groppa. La base della coda è colorata.
Non è difficile vedere cavalli del genere nella nostra regione in quanto cavalli belli, docili e molto resistenti. Non a caso gli Indiani d’America li scelsero come compagni di caccia e di vita. È una razza resistente al freddo, tanto che può essere allevata allo stato brado o semibrado, infatti i più grandi allevamenti di questa razza in Italia si trovano in Abruzzo poco sotto il Gran Sasso. Insomma un cavallo resistente, mesomorfo, forte, ma con l’animo mansueto e pacato, adatto anche a cavalieri poco esperti. Con la speranza che se ne vedano sempre di più a spasso nel nostro paese.

SALUTI DALL’AMBULATORIO VETERINARIO SAN VALENTINO
ambvetsanvalentino@virgilio.it


Scritto da Stefano Moroni - Pubblicato sul numero 4 del 2020 del "Il Corace"

STORIA DELLA SCUOLA : MAESTRI E PROFESSORI

Maestri e Professori: gli anni che precedono la Riforma Gentile

Cari lettori, ci eravamo lasciati nell’ultimo articolo con delle considerazioni da fare relative alla situazione di Maestri e Professori tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento.
Oltre a dare una panoramica su quanto detto, introdurremo il quadro storico e sociale in cui sarà protagonista una delle Riforme più importanti nel panorama della scuola italiana: la Riforma Gentile.
Nella scuola secondaria moltissimi professori erano privi del titolo di studio previsto dalla legge Casati. Con la diffusione della scolarizzazione, l’insegnante venne rivalutato poiché fino ad allora l’insegnamento non era considerato un vero lavoro. Molte ragioni spingevano a credere che l’insegnamento fosse più adatto alle donne che agli uomini. Per le classi dirigenti le donne insegnanti erano maggiormente convenienti poiché erano più disposte ad accettare le sedi più scomode, non si intendevano di politica, avevano uno stipendio più basso, conducevano una vita moralmente “sana” rispetto agli uomini, si sottomettevano più facilmente alle decisioni dei superiori. Quella dell’insegnante comunque era considerata una situazione vantaggiosa: le ragazze che divenivano maestre difficilmente avrebbero potuto aspirare a lavorare senza questa occasione (provenendo da strati sociali umili). Inoltre, fare la maestra significava imparare a leggere e scrivere (attività dalle quali le donne erano sempre state escluse). Vi erano diverse caratteristiche che differenziavano i maestri dai professori: il professore, insegnando nei ginnasi e nei licei, era il rappresentante di quei gruppi sociali aristocratici che avviavano i figli all’istruzione classica (aveva prestigio). Egli sentiva depositario di un sapere alto. Gli alunni del maestro di scuola elementare provenivano soprattutto dai ceti popolari, perché l’aristocrazia curava in famiglia la prima istruzione dei figli. Fra gli ultimi decenni dell’800 e i primi del 900 i maestri si stavano organizzando in associazioni a carattere professionale e sindacale e rivendicavano i propri diritti: il maestro elementare acquisisce importanza anche se non ha ancora lo stesso valore del professore di liceo. A seguito di una petizione firmata da più di diecimila maestri (lanciata dal “Corriere delle Maestre” nei primi mesi del 1900) nel 1901 nacque l’Unione Magistrale Nazionale, come simbolo del processo di affermazione dell’identità nazionale del maestro italiano, cui il primo presidente fu Luigi Credaro.
L’iniziativa dell’UMN portò nel 1903: a) all’approvazione della legge Nasi, che diede ai maestri stabilità d’impiego; b) all’approvazione della riforma del Monte pensioni e del Testo Unico (che raccoglieva le indicazioni riguardanti le retribuzioni di maestri e direttori didattici). L’UMN acquisì atteggiamenti anticlericali schierandosi per l’avocazione della scuola elementare allo Stato: ciò portò i maestri cattolici a fondare una propria associazione intitolata a Niccolò Tommaseo. L’UMN e la Tommaseo entrarono in competizione dato che quest’ultima era contraria all’avocazione della scuola elementare allo Stato. Nel 1911 si ottenne l’avocazione della scuola elementare allo Stato. Anche gli insegnanti della scuola secondaria a partire al 1901 ebbero una propria associazione: la FNISM. Tutte queste associazioni riuscirono a dar voce agli insegnanti.
Il dopoguerra è caratterizzato da uno scontro sociale fra il movimento operaio e contadino e le organizzazioni padronali. Giolitti tornò a presiedere un breve governo dal 1920 al 1921 mentre si verificava la rivolta operaia (Biennio Rosso). Nel 1920 gli operai organizzarono i primi grandi scioperi e vennero occupate 170 fabbriche: essi chiedevano il rinnovo dei contratti e condizioni di lavoro umane. Scioperarono anche circa un milione di contadini, che erano organizzati in leghe bianche e leghe rosse; la loro protesta consisteva nel raccogliere i frutti della terra solo per loro stessi. Questo impegno politico da parte dei contadini è supportato dai politici di sinistra ma non da quelli di destra: essi vedevano come un pericolo questa politicizzazione, questo scontento, questo rivendicare i propri diritti. Nel 1921 nasceva il Partito comunista e si scatenava la reazione fascista. Mussolini si inserisce in questo contesto facendo leva sullo scontento e sulla paura delle classi borghesi dominanti: egli organizza le squadre d’azione, reclutando ex galeotti (o anche rappresentanti della borghesia), per picchiare e massacrare i rappresentanti di movimenti operai e contadini. Alle elezioni del 1919 il Partito fascista aveva ottenuto pochi voti mentre avevano vinto i partiti di sinistra: il Partito socialista e il Partito popolare (fondato da Don Sturzo) - ciò porterà difficoltà ai diversi gruppi dirigenti liberali che erano stati alla guida del paese fino ad allora. Mussolini rispose a questa sconfitta organizzando nel 1922 la marcia su Roma: fu così che il re gli diede l’incarico di formare il governo. Mussolini era un accentratore e per questo eliminò gli enti periferici non controllati dallo Stato. Il Partito fascista si presentava come una formazione politica spinta da ideali nazionalisti, repubblicani, dannunziani e fiumani. Si opponevano al Parlamento, allo Stato liberale, a Giolitti, al socialismo, al movimento operaio e all’idea di democrazia. Mussolini deve guadagnarsi il consenso di vasta parte della popolazione: aveva dalla sua la classe dominante (che temeva i movimenti di sinistra e i contadini) ma non aveva l’appoggio degli intellettuali; decise di reclutare Giovanni Gentile (grande filosofo ed esponente del neorealismo italiano) il quale nel 1923 fece una riforma classista autoritaria e gerarchica.
- classista: ad ogni classe sociale la sua scuola;
- gerarchica: una formazione culturale diversa a seconda della classe sociale di appartenenza.
- autoritaria: da un grande potere di controllo ai presidi sui docenti per punire ogni comportamento contro il regime.
Si tratta di un’opera ben articolata con la quale il governo Mussolini cerca di cogliere più risultati:
1. portare alla collaborazione tra il governo e gli intellettuali, capaci di incidere negli ambienti della scuola e nel mondo della cultura;
2. assicurarsi il favore degli insegnanti;
3. proseguire l’opera di avvicinamento tra Stato e Chiesa (la legge prevedeva l’obbligo dell’insegnamento della religione cattolica alle scuole elementari e venne istituito l’esame di stato).
Nel prossimo articolo cercheremo di fare una sintesi sulla struttura e gli obiettivi della Riforma Gentile.

Scritto da Andrea Pontecorvi - Pubblicato sul numero 4 del 2020 del "Il Corace"

SESSUALITÀ E AFFETTIVITÀ

Salve,
ho 20 anni e ho sempre sofferto di fimosi. Circa 8 mesi fa ho subito un intervento e mi sono fatto circoncidere.
Fino ad allora ho sempre avuto problemi durante i rapporti sessuali con la mia compagna. Raggiungevo l' orgasmo subito (e per subito intendo qualche secondo!).
Ho sempre pensato che dipendesse dal problema della fimosi. Invece dopo l'operazione è cambiato poco o niente. Purtroppo quando sono con la mia ragazza anche sforzandomi il più possibile è per me impossibile durare più di qualche secondo.
Sto con lei da molto tempo (3 anni) ed è veramente ora che affrontiamo il problema in maniera seria. Ho sentito che esistono anche dei farmaci che aiutano in questi casi, ma vorrei saperne di più e soprattutto vorrei sapere se c'è un modo per allenarsi "psicologicamente".
Saluti

Gentile lettore,
l'eiaculazione precoce è una difficoltà che si riscontra piuttosto frequentemente all'interno della popolazione maschile e che, come lei ha avuto modo di notare, affonda le sue radici in aspetti di natura psicologica ed emotiva. Le cause alla base di questa problematica possono essere molteplici ed hanno a che fare con aspetti più generali della persona (es., livelli di ansia elevati, attenzione alla prestazione, preoccupazione verso le relazionali, etc.). Nel suo caso, la presenza di una buona relazione di coppia e di una certa complicità nel voler affrontare la difficoltà, rappresentano certamente un fattore positivo verso la risoluzione del sintomo stesso, dal momento che la sessualità umana è un aspetto della vita di ogni individuo ricchissima di componenti relazionali.
In quest'ottica, un percorso psico-sessuologico di coppia potrebbe aiutarla a capire meglio le cause della difficoltà e a sviluppare modalità di affrontare la relazione sessuo-affettiva in maniera più soddisfacente. I farmaci a cui lei fa riferimento, al momento, non garantiscono una remissione del sintomo; inoltre, avendo tale difficoltà una natura psicologica se non vengono comprese a fondo le cause emotive che ne stanno alla base questa tenderà a ripresentarsi.
Sperando di aver risposto in maniera esaustiva alla sua richiesta le ricordo che al numero 0645540806 è attivo il servizio di consulenza telefonica anonimo e gratuito, dove esperti psico-sessuologi potranno ascoltarla.
Un cordiale saluto
Gaetano Gambino
Società Italiana di Sessuologia e Psicologia (SISP)
Ogni mese diversi esperti risponderanno alle vostre domande su qualsiasi tematica legata alla sessualità e all’affettività, che potranno essere inviate all’indirizzo e-mail: corace@sisponline.it.

Pubblicato sul numero 4 del 2020 del "Il Corace"

UN GIORNO NON PROPRIO COME GLI ALTRI

Intervista ad una persona che ha avuto un’esperienza molto strana e particolare, a tratti molto astratta ma con una base di verità sicura: Quel giorno di aprile inoltrato sembrava che dovesse piovere, non era proprio il giorno adatto per celebrare la “Pasquetta” di quell’anno. Ormai però avevo promesso ad alcune mie amiche che sarei andato con loro e non mi trovavo più la possibilità di rifiutare. Arrivammo nel luogo stabilito, un appezzamento di terra di una di loro, che avremmo dovuto usare come luogo per festeggiare questo giorno. Il cielo rimase nuvoloso tutto il tempo e io, dopo circa un’oretta, cominciai ad avvertire un alone di divertimento lieve nell’aria, che sembrava quasi spaccare le nuvole e che pareva non interrompersi mai. Tutto questo divertimento era dato dalla spiccata capacità di una delle mie coetanee, nel saper fare battute anche quando la situazione sembrasse inopportuna. Tutto questo ridere pareva dare vita a quel luogo che, cupo come era, sembrava isolato dal resto del mondo. Decisi allora di fare una passeggiata quando era oramai dopo pranzo, nell’intenzione di scoprire quante bellezze potesse nascondere una zona così poco frequentata. Io perlomeno, sapevo dove ci trovavamo bene o male: quella era la vecchia stazione dei treni in disuso che partivano dal nostro paese. Ormai diventata un rudere, quella stazione avrebbe dovuto conservare alcune delle fermate che la componevano e, guarda caso, noi abbiamo avuto la sfortuna di averne avuta una ad un centinaio di metri di distanza dal posto in cui eravamo. All’inizio, non feci nemmeno caso a quella specie di casupola quasi dentro la strada, e quando me ne accorsi, chiesi alla mia amica, proprietaria di quel appezzamento di terra in cui eravamo, cosa fosse quella struttura, ella rispose con tono sospetto che non lo sapeva. Capii subito che lei stesse mentendo, ma non capivo il perché lo stesse facendo e la costrinsi con delle belle parole a raccontarmi cosa fosse pur non avevo idea del grande sbaglio che stessi commettendo. Lei mi raccontò appunto, che quella era una vecchia fermata del treno abbandonata dove passava la ex ferrovia. Aggiunse anche che non avremmo dovuto avvicinarci in quel luogo per alcun motivo, perché in quel punto, nell’erba alta vicino a quella casupola, c’era un pozzo senza il bordo rialzato e quindi un singolo passo falso avrebbe potuto segnare la nostra sorte. Spiegò anche che, alcune di queste casupole erano il covo di persone sospette, che la notte facevano uso di sostanze stupefacenti e che per non essere scoperti si nascondevano in alcune di queste, oramai baracche, per evitare di essere arrestati dalle autorità competenti. Quindi sconsigliò esplicitamente di avvicinarsi a quelle strutture. Passava il tempo e la curiosità dei giovani non può essere fermata con alcune semplici parole. Convinsi anche le altre a seguirmi presso la fermata abbandonata, e spudoratamente decidemmo di entrare nell’erba che circondava la casupola, anche perché, in realtà, non credevo alla storia del pozzo. Presi a quel punto un bastone che mi sarebbe servito a toccare la terra nel caso in cui avessi incontrato il pozzo di cui tanto si parlava. All’inizio non trovai niente, ma poi avvertii col bastone che in un punto circoscritto mancava la terra e fu allora che trovai il pozzo di cui tanto si parlava. Non era tanto grande, anche se nei primi istanti in cui lo guardai pareva immenso; era della grandezza adatta ad un pozzo, seppure più che un pozzo poteva essere considerato una buca, molto profonda sì, ma pur sempre una buca. Dopo essermi ripreso del tutto dopo questa scoperta, decisi di non essere ancora soddisfatto. Dunque mi avvicinai alla casupola, ormai senza porta, ma chiusa lo stesso da una grossa trave di ferro piena di ruggine e da radici di piante rampicanti. Insieme, provammo più volte a spostare la trave, ma era come se non volesse farci entrare. Provammo più volte, ma niente. Mentre avevamo già preso la strada per tornare al nostro punto di festeggiamento, sentimmo dopo qualche istante un rumore di ferro pesante cadere su una superficie dura, dunque tornammo di corsa a quella casupola semidistrutta e vedemmo che la grande trave di ferro era effettivamente caduta. Rimanemmo per qualche minuto tutti in silenzio, e lo stesso silenzio sembrava portare di nuovo allo stato cupo e solitario solito di quella campagna. Decisi di farmi forza ed entrare, ma nel momento in cui misi piede in quell’edificio, avvertii un alone negativo penetrare nei piedi ed arrivare fino la testa. All’interno si presentava come un edificio a due piani, il cui secondo era crollato, proprio questo spiegava la grande quantità di macerie a terra e dei pezzi di solaio spuntare dal muro; i muri di cui era composto erano coperti da rampicanti che facevano intravvedere alcune parole scritte sui muri, la stanza non era particolarmente grande circa tre metri per tre; inoltre, non appena entrati, avvertii più freddo di quanto ne facesse fuori. La curiosità mi costrinse ad impugnare di nuovo quel bastone di prima, così scrollai dal muro a destra della porta le prime piante e trovai una scritta a dir poco raccapricciante: “Sono qui da 18 giorni”. Solo questa scritta mi fece accorgere quale sbaglio avessimo commesso ad entrare. Ma oramai eravamo lì, non potevamo e non dovevamo tornare indietro. Sotto la scritta, c’era una freccia che puntava il muro di fronte all’ingresso, così, con paura, decisi di togliere anche lì le radici e trovammo un ciondolo rotondo, che aveva diversi colori: di base era dorato e aveva delle gemme sia rosse che blu incastonate e perfettamente posizionate, aveva un gancetto dorato, al quale non era collocata la catenella che sarebbe servita per metterlo al collo. A malincuore, decisi di lasciare dove era il ciondolo. Continuando, vidi che c’era un’altra freccia, questa volta puntava il muro a sinistra dell’ingresso, vicino il quale, togliendo i rampicanti spuntò fuori un mobiletto dall’aria antica, fatto di legno intarsiato, composto da tre cassetti, due dei quali mancavano, c’era solo quello più in alto. Spinti dalla voglia di vederne il contenuto, lo aprimmo. All’interno vi era presente solamente un bigliettino che recitava una lugubre strofa: “tra maledizioni e malocchi, tra fantasia e realtà, il Demonio in questa rosa per sempre resterà”. A quel punto tutti impauriti, emettemmo un grido che sembrava spezzare per un attimo il freddo in quella casupola degli orrori. Appena calmati, vedemmo un’altra freccia vicino il mobile che, indicava un lavandino con due lavelli che avevamo già visto prima, ma stavolta, nel punto in cui si poggiano i piatti da far asciugare era comparsa una rosa rossa come il sangue, che sembrava vera a tutti gli effetti. Non era ancora sbocciata quando la vedemmo, così cercando di dimenticare l’accaduto e facendo tesoro di questa esperienza, tornammo dove saremmo dovuti restare. Tentammo di cancellare dalle nostre menti ciò che era successo giocando a palla ma ad un certo punto, iniziai a sentirmi osservato e continuavo a sentire rumori improvvisi e avvertii di nuovo lo stesso alone negativo della casupola che a malapena vedevamo all’orizzonte. La situazione durò circa un’oretta, quando collegai il fatto con la casupola e così decisi di tornare là. Quando raggiunsi il luogo, vidi che la rosa era sbocciata e che vicino aveva la catenella che mancava al ciondolo. In quel momento ero a corto di idee quando un raggio di sole che penetrò le nuvole, illuminò i sassi a terra e dirottò il mio sguardo verso un altro pezzettino di carta nascosto tra le pietre su cui c’era scritto: “Vattene o Oscuro mi devi lasciare con questa rima ti voglio cacciare”. Da quel momento non percepii più alcun cattivo presentimento, e nello stesso momento sbucò il Sole che nel corso della giornata era sempre mancato. Da quel giorno la mia vita è cambiata, smisi di credere che il soprannaturale fosse una finzione ed incominciai a portare rispetto anche per quello che non si può vedere col solo ausilio della vista. Quanto successo ha lasciato il protagonista molto sconcertato. Ognuno è libero di credere o meno, l’importante è portare rispetto seppur ci si ritiene scettici sull’argomento che per quanto strano, è pur sempre delicato.

Scritto da Natalino Pistilli - Pubblicato sul numero 4 del 2020 del "Il Corace"

RIPRENDERE L’ALLENAMENTO IN PALESTRA DOPO IL LOCKDOWN

Dopo questo brutto periodo di allenamenti improvvisati a casa è ormai giunto il momento di tornare ad allenarsi. Dal 25 maggio è possibile tornare in palestra, ovviamente con le dovute precauzioni e i dovuti accorgimenti da parte di tutti! Purtroppo in tre mesi di stop si rischia di aver perso gran parte di quello che con tanta fatica e sudore si era conquistato nel lungo e buon inverno. Il grosso problema è ripartire e farlo in modo razionale e produttivo affinché il nuovo inizio porti i suoi frutti e vi prepari al meglio per l’estate. Sicuramente il primo consiglio è di ripartire piano, con la giusta calma e la giusta intensità, gli apparati che ad prima della “pandemia” erano ben allenati ora si sono "arrugginiti" e una partenza troppo intensa porterebbe solo problemi e forse traumi. La situazione ideale sarebbe quella di ripartire con la scheda del principiante, ma capisco che per chi si allena da un po' vedersi retrocesso sia uno smacco non da poco. A tal proposito propongo una scheda in cui ognuno decide che esercizi fare a seconda della voglia che si ha il giorno in cui ci si allena. In questo articolo riporto una scheda in cui si useranno solo esercizi base, perché sono ad alta sinergia muscolare, perché sono più educativi dal punto di vista propriocettivo e coordinativo e perché ben si adattano, quindi, ad una scheda di ripresa full-body. Senza dimenticare la fondamentale fase di riscaldamento fatta con una leggera attività aerobica, la parte centrale si eseguirà scegliendo per ogni gruppo muscolare un esercizio base ed eseguendo tre serie da 10/12/15 (a seconda del proprio grado di allenamento) ripetizioni con un minuto di recupero.



PRINCIPALI ESERCIZI BASE PER DISTRETTO MUSCOLARE
PETTORALI: Panca piana o inclinata con bilanciere o manubri o multipower, chest press.
DELTOIDI: Lento dietro o avanti con manubri o bilanciere, shoulder press, tirate al mento.
BICIPITI: Curl con bilanciere o manubri in piedi.
POLPACCI: Calf machine in piedi, calf al multipower, calf alla pressa.
FEMORALI: Stacco da terra, leg press a 90°
QUADRICIPITI: Leg press, squat, squat multipower, affondi frontali.
DORSALI: Trazioni alla sbarra qualunque presa (larga, media, inversa), rematore con bilanciere, pulley, t- bar, rowing machine impugnatura stretta all'addome.
DELTOIDI POSTERIORI: Rowing machine con impugnatura larga al torace, pulley asta al torace.
TRICIPITI: French press steso su panca, spinte su panca orizzontale impugnatura stretta, tricipiti alle parallele.
Consiglio questa scheda per le prime due settimane con una cadenza di allenamento di tre volte a settimana. A quel punto l'apparato muscolare, che si dice abbia una certa memoria, si sarà tolto di dosso la ruggine e sarà pronto a qualcosa di più serio. Buona ripresa a tutti!

Scritto da Andrea Pistilli – Istruttore FIF e Personal Trainer - Pubblicato sul numero 4 del 2020 del "Il Corace"

CORONAVIRUS: DAL COMUNE QUASI NIENTE!

Mentre scriviamo il Governo Nazionale sta dettando le regole per passare alla fase 2 dell’Emergenza Covid-19. Dopo più di due mesi di “Quarantena Sociale” si sta cercando di far ripartire l’attività economica e soprattutto far tornare alla “Normalità” tutti i cittadini che in questo periodo si sono visti costretti a limitare la propria libertà individuale e la propria vita. Limitazioni necessarie per combattere l’espansione dei contagi che a Cori nonostante qualche allarme iniziale si è riusciti poi a contenere, come è successo in quasi tutta la nostra Provincia.
Purtroppo per evitare l’espansione del Covid-19 si è dovuto di fatto bloccare l’Economia Italiana e di riflesso ne hanno risentito purtroppo anche le Economie dei Comuni come il nostro. La quasi totalità delle Attività Commerciali è stata costretta ad una serrata forzata per due mesi abbondanti. I nostri commercianti, le nostre imprese sono state fortemente danneggiate da questa quarantena e sappiamo bene che sarà difficile anche la ripartenza. Visto anche che gli interventi del governo 5 Stelle – PD non sono stati sufficienti a coprire il deficit economico creato da questa Pandemia in questi mesi perché è mancata secondo noi una vera e propria strategia politica.
Nonostante anche la Politica locale si sia fermata per la Pandemia, “L’Altra Città” ha chiesto sin da subito l’istituzione di un gruppo di Lavoro per la gestione dell’Emergenza, gruppo che dobbiamo dire purtroppo è stato convocato pochissime volte. I consiglieri di minoranza sono stati sempre tenuti fuori dalle scelte fatte dal Sindaco, non siamo quasi mai stati informati sulla situazione ed abbiamo spesso appreso dai video o dai comunicati lo sviluppo della situazione locale. Ma nonostante ciò ci siamo messi a disposizione con responsabilità per qualsiasi evenienza. Siamo stati attivi in questi giorni di “emergenza” e presenti nella nostra sede per la raccolta delle domande per la richiesta dei buoni spesa, aiutando i Cittadini a compilare e inviare le domande. Ma crediamo sia giunto il momento anche di riaprire alla Politica quindi chiediamo alla Maggioranza di tornare a riaprire il “Palazzo” per permettere anche a Noi di svolgere il nostro compito di controllo sugli atti amministrativi.
Già ad Aprile abbiamo presentato, anticipando anche il Governo centrale, la richiesta di individuare provvedimenti che possano dare sostegno alle imprese e all’intera Comunità di Cori e Giulianello.
Abbiamo proposto la riduzione dell’aliquota addizionale dell’IRPEF, la cancellazione per quest’anno dell’IMU sui capannoni delle attività produttive e sulla seconda casa la sospensione della TARI sui rifiuti, per le imprese e attività commerciali e liberi professionisti almeno fino a giugno. La sospensione della TOSAP la tassa per il suolo pubblico per tutte le attività che ne possono usufruire visto anche le norme per il rispetto della “Distanza Sociale”. In passato l’esenzione della TOSAP è stata adottata diciamo così soltanto per alcuni “gestori Amici” vediamo se adesso può essere estesa anche agli altri. Crediamo che sia necessario estendere l’esenzione dal pagamento della TARI alle ditte, alle imprese individuali, ai liberi professionisti alle utenze domestiche e a tutti i soggetti tenuti al pagamento della tassa rifiuti con una riduzione di almeno due dodicesimi della tassa annuale. Crediamo anche che ci sia bisogno di un ulteriore e capillare controllo dei pagamenti dell’IMU sulle aree edificabili sia delle numerose Lottizzazioni Private (vale anche per quelle bloccate) e delle Aree di Sviluppo Agricolo (Agriturismi e Trasformazioni di prodotti agricoli), per intenderci quelle colorate di azzurro sul PRG e per l’ottenimento delle quali vennero formulate “vibranti richieste” in particolare da qualche Amministrazione precedente? È sufficiente ricordare che ci sono all’incirca 50 lotti edificabili sull’intero territorio di Cori e Giulianello ed, ipotizzando per essi la cifra media di circa 1.550€-2.000€ l’anno di IMU, si avrebbe un’entrata di circa 75.000€-100.000€/anno. E che un mancato pagamento potrebbe causare un danno erariale, invitiamo quindi l’Amministrazione ad una verifica sugli accertamenti sull’evasione altrimenti ci vedremo costretti ad informare gli organi competenti. Oppure nella logica dell’amministrazione targatissima P.D., prevale la “simpatia” e l’orientamento politico dei proprietari delle Lottizzazioni come sembra peraltro avvenire nei confronti dei destinatari delle quote degli Allevamenti di bestiame in Montagna?
Chiediamo quindi all’amministrazione di prendere in considerazione tutte le misure necessarie che possano dare sollievo alla Città ma anche una maggiore lotta all’evasione visto la scarsa disponibilità di risorse economiche auspicando che questa Maggioranza faccia l’interesse di tutta la Comunità di Cori e Giulianello e non solo quella mirata a raccogliere consensi elettorali perché crediamo che il momento del Bilancio Previsionale sia una opportunità che non si può perdere.


Scritto da Il Gruppo Consiliare de L’Altra Città - Pubblicato sul numero 4 del 2020 del "Il Corace"

ESSERE GENITORI: L'IMPORTANZA DI ESSERE AFFIDABILI E NON PERFETTI

Una frase di Elbert Hubbard, filosofo e scrittore statunitense, recita così: “Quando i genitori fanno troppo per i figli, va a finire che i figli non faranno abbastanza per loro stessi”. Del resto si sa, ogni genitore vorrebbe sempre dare il massimo ai propri figli, preservandoli da pericoli e malessere di qualsiasi genere. Tale atteggiamento ha anche la funzione di proteggere il genitore da eventuali sensi di colpa che potrebbero insorgere se, davanti alla constatazione di un malessere più o meno transitorio del figlio, potesse sentirsi impotente o inadeguato nel tentativo di risoluzione dello stesso malessere.
Quante volte un genitore può sentirsi sotto pressione o semplicemente inadeguato nel suo ruolo perché gli sembra di non riuscire a fare tutte quelle cose che, invece, sembrano riuscire benissimo agli altri, ai “bravi genitori” cui sembra andare sempre tutto per il verso giusto?
Diciamoci la verità, essere genitori è difficile e troppe volte vengono proposti standard di perfezione, complice la televisione, i social network, che sono falsati, in realtà irraggiungibili, col rischio di aumentare il livello di stress sperimentato dalle mamme e dai papà.
È allora importante ricordare, e ribadire, il principio per il quale i figli non hanno bisogno di genitori perfetti, semmai, di genitori affidabili. L’importante per un genitore non è “non sbagliare mai”, ma essere consapevole di certe dinamiche e delle loro conseguenze, riconoscere i propri errori e riuscire a riparare con i figli.
Tale affermazione legittima quindi anche il diritto del genitore ad essere imperfetto, a perdonare, in alcuni casi, questa sua imperfezione.
Infatti, per quanto si cerchi di seguire certe “linee educative”, nei momenti di stanchezza e stress può essere difficile fare la scelta giusta e si cede naturalmente all’emotività del momento, cadendo nel circuito degli scontri, delle urla e delle punizioni.
Il problema non è certo quelli di perdere qualche volta la pazienza: i genitori non possono, e non devono, fare sempre la cosa giusta al momento giusto. L’errore è normale, sbagliare fa parte dell’esperienza genitoriale di crescita insieme e accanto ai propri figli. Anzi, nell’errore è insita la possibilità della riflessione e dell’emancipazione, perché è proprio dalle situazioni più critiche che può nascere la messa in discussione personale e come figura di riferimento genitoriale.
La messa in discussione certamente passa attraverso l’analisi e l’espressione delle emozioni connesse all’esperienza negativa. Ciò che nuoce infatti alla relazione genitoriale è il timore di riflettere sui propri comportamenti, prendere coscienza anche dell’errore e tenere magari di chiedere scusa per paura di perdere agli occhi del figlio, il proprio ruolo, la propria autorità.
Invece, attivare una comunicazione aperta sulle emozioni che una situazione difficile, critica, ha attivato, ed eventualmente anche il chiedere scusa da parte di un genitore al figlio, significa riuscire a fare l’analisi delle proprie azioni, a rispettare l’altro. Il genitore che riesce ad entrare in contatto con le proprie emozioni, attua comportamenti che hanno una forte valenza educativa: il figlio attraverso l’esempio del genitore apprende che non solo è normale, ma anche sano confrontare e comunicare autenticamente i propri stati d’animo all’altro all’interno di una relazione significativa, proprio come quella familiare. Ciò comporta un’implementazione del senso di fiducia reciproca e soprattutto, da parte del figlio, la percezione dell’affidabilità del genitore, che rafforza ancora di più la sua funzione di punto di riferimento.

Scritto da Francesca De Rinaldis - Pubblicato sul numero 4 del 2020 del "Il Corace"

BILANCIAMENTO DEI DIRITTI

Diritti fondamentali, diritti inviolabili e bilanciamento dei diritti. Tante volte usiamo tali termini e tante volte li sentiamo pronunciare, ma cosa significano? Cos’è il bilanciamento di diritti costituzionalmente garantiti e quando si profila l’illegittimità dei provvedimenti che ledono tale principio?
Nell’uso corrente, “diritti umani”, “diritti inviolabili”, “diritti costituzionali” e “diritti fondamentali” sono termini utilizzati in modo misto ed equivalente, e stanno ad indicare diritti che sono riconosciuti ad ogni individuo in quanto tale. Il riconoscimento dei diritti fondamentali da parte della Costituzione è uno degli elementi caratterizzanti lo Stato di diritto: essi trovano le loro garanzie nella “rigidità” della Costituzione e nel controllo di costituzionalità delle leggi affidato alla Corte costituzionale. I diritti fondamentali non solo costituiscono, infatti, i principi supremi dell’ordinamento costituzionale, ma qualificano altresì la stessa struttura democratica dello Stato, la quale verrebbe sovvertita qualora questi fossero diminuiti, decurtati o violati. L’art. 2 della Costituzione enuncia il principio “personalista” per cui l’individuo è il centro dell’organizzazione sociale e politica, titolare di diritti anteriori allo Stato. Evidenza, dunque, la precedenza sostanziale della persona, intesa nella componente dei suoi valori e bisogni, non solo materiali ma anche spirituali, rispetto allo Stato e la destinazione di questo al servizio di quella. La Costituzione enuncia i diritti e le libertà in forma di principi assoluti, ovvero dettando norme giuridiche che presentano i caratteri di genericità e astrattezza. Tuttavia, è possibile che l’applicazione concreta di una norma generi dei conflitti circa i differenti interessi costituzionalmente garantiti da tutelare. Si pensi, ad esempio, al rapporto tra diritto alla privacy e diritto di cronaca. Per risolvere le questioni in cui si registri un contrasto tra diritti o interessi diversi, la Corte costituzionale ricorre alla tecnica del bilanciamento dei diritti. Seguendo questo principio, viene indicato quale diritto o interesse deve recedere rispetto all’altro nel caso di specie, senza che ciò significhi, però, un suo annullamento. La Corte, quindi, cerca la soluzione che, accordando tutela a un interesse, comporti meno limitazioni all’interesse contrastante.
L’utilizzo della tecnica del bilanciamento dei diritti deve rispettare alcune regole generali:
- la compressione di un diritto o interesse deve essere congrua rispetto al fine che la legge si prefigge, altrimenti la disciplina che la prevede si configura come irragionevole;
- la compressione di un diritto o interesse deve essere proporzionata, ossia deve rappresentare il minor sacrificio possibile;
- il diritto o interesse sacrificato deve essere, comunque, tutelato e l’operatività minima di tale diritto deve essere garantita.
Questo perché la nostra Costituzione non prevede, a differenza di altre, il cosiddetto “stato d’eccezione”, pertanto anche nelle crisi valgono i principi di sempre, ma ciò non vuol dire che non si debba tener conto delle circostanze e delle loro peculiarità. È quindi prevista la possibilità di limitare alcuni diritti costituzionali per ragioni di sanità o di incolumità pubblica purché siano decise con legge (c.d. riserva di legge) e riguardino categorie generali di cittadini (per es. tutta la popolazione), tenendo conto, in questo quadro che è riconosciuto, sia dalla dottrina sia dalla giurisprudenza un particolare valore al diritto alla salute che la Costituzione definisce (da notare che è riferito al solo diritto alla salute) espressamente "fondamentale" (art. 32 Cost.). Non esistono quindi nella nostra Costituzione norme speciali per regolare le opposte esigenze, tuttavia la corte costituzionali ha più volte specificato che si possono modulare i principi sulla base dei dati di realtà e dei diversi contesti, tenendo conto che quanto più la compressione di un diritto o di un principio costituzionale è severa, più è necessario che sia circoscritta nel tempo. La Costituzione, inoltre, indica le ragioni che possono giustificare limitazioni dei diritti e gli strumenti con cui tali limitazioni si possono imporre. Le limitazioni si giudicano secondo il test di proporzionalità che risponde a queste domande: si sta perseguendo uno scopo legittimo? La misura è necessaria per quello scopo? Si è usato il mezzo meno restrittivo tra i vari possibili? Nel suo insieme, la norma limitativa è proporzionata alla situazione? La risposta a tali domande da la misurazione della legittimità del provvedimento adotto.

Scritto da Francesca Palleschi - Pubblicato sul numero 4 del 2020 del "Il Corace"

L'AVVOCATO RISPONDE

Egregio Avvocato,
a causa della emergenza epidemiologica da COVID-19, ho perso il lavoro e per tale motivo, purtroppo, non sono riuscito a pagare le rate del mutuo acceso per l’acquisto della casa dove abito con la mia famiglia. Ho il timore che la Banca possa agire nei miei confronti. Esiste una soluzione per evitare che mi venga pignorata la casa?
La ringrazio.

Egregio Signore,
tra le varie misure di emergenza emanate per contenere gli effetti negativi che il COVID-19 sta producendo sul tessuto socio-economico nazionale, sono state introdotte una serie di norme allo scopo di tutelare i debitori che non riescono a far fronte ai propri impegni, in particolare per i mutui contratti per l’acquisto della propria casa.
In sede di conversione del Decreto Legge “Cura Italia” (cfr. D.L. 17 marzo 2020 n. 18), il legislatore, attraverso la Legge 24 aprile 2020 n. 27, ha introdotto importanti misure di sostegno alle famiglie e di tutela dei debitori in difficoltà e dell’abitazione principale.
In primo luogo, tra le prime misure d’urgenza introdotte, è stata prevista la possibilità di richiedere al proprio Istituto di credito la sospensione del pagamento delle rate del mutuo stipulato, per un tempo massimo di 18 mesi.
Ulteriori provvedimenti normativi sono stati successivamente introdotti, anche per evitare azioni esecutive contro l’abitazione principale.
Nel contesto del decreto è prevista una disposizione eccezionale di sospensione delle esecuzioni per rilascio dell’immobile, prevista nella originaria formulazione dall’art. 103, comma 6, attualmente differita alla data del 1° settembre 2020.
Inoltre, all’art. 54 ter, rubricato “Sospensione delle procedure esecutive sulla prima casa”, è prevista una sospensione, per la durata di sei mesi, di ogni procedura esecutiva immobiliare sull’abitazione principale del debitore: Al fine di contenere gli effetti negativi dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, in tutto il territorio nazionale è sospesa, per la durata di sei mesi a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ogni procedura esecutiva per il pignoramento immobiliare di cui all’art. 555 del c.p.c. che abbia ad oggetto l’abitazione principale del debitore”.
Si tratta, in sostanza, di un provvedimento eccezionale di emergenza, circoscritto nel tempo (sei mesi), che prevede una radicale sospensione del procedimento espropriativo immobiliare nella sua interezza, al fine di evitare che una eventuale perdita dell’abitazione peggiori la già difficile posizione del debitore.
Il blocco delle procedure esecutive riguarda esclusivamente il bene immobile identificato come “abitazione principale”, cioè la “prima casa”, non altri eventuali immobili pignorati o beni diversi.
Per “abitazione principale” si intende quella nella quale la persona fisica, che la possiede a titolo di proprietà o altro diritto reale, o i suoi familiari, dimorano abitualmente (ai sensi del Testo Unico delle imposte sui redditi); quella destinazione stabile, effettiva e durevole, dell’immobile ad abitazione del debitore, a dimora abituale dello stesso (secondo la definizione di “residenza” dell’art. 43 C.c.).
Tale circostanza deve sussistere già prima del processo esecutivo e deve necessariamente essere ancora esistente al momento dell’entrata in vigore della Legge n. 27/2020.
Inoltre, il bene immobile deve essere ubicato nel territorio del Comune in cui l’acquirente ha o stabilisca entro 18 mesi dall’acquisto la propria residenza;  l’acquirente, nell’atto di acquisto, deve aver dichiarato di non essere titolare di diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del Comune ove è ubicato l’immobile acquistato;  l’acquirente, nell’atto di acquisto, deve aver dichiarato di non essere titolare su tutto il territorio nazionale di diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata; che l’immobile abbia goduto delle agevolazioni prima casa.
Ciò precisato, resta fermo che tale sospensione ha carattere necessario, dovendo il giudice dell’esecuzione, ricorrendo i presupposti di legge, dichiarare la sospensione, con la decorrenza e la durata nella misura stabilita dalla legge (ovvero sei mesi dal 30 aprile 2020), provvedendo ad indicare anche la nuova data per la prosecuzione della procedura.
Da ciò conseguirà la illegittimità, deducibile con il rimedio dell’opposizione, di atti di esecuzione compiuti dopo il 30 aprile 2020, sia per l’avvio di azioni esecutive che per le espropriazioni immobiliari già instaurate.
Non tutti gli atti dell’espropriazione immobiliare, però, sono colpiti dalla sospensione.
In caso aggiudicazione del bene immobile occupato dal debitore, i decreti di trasferimento non verranno emessi, salvo richiesta espressa dell’aggiudicatario.
Al contrario, la fase di distribuzione del ricavato dalla vendita non potrà essere oggetto di sospensione: in tale fase, infatti, non risulterebbero pregiudicati i diritti del debitore, ormai privo della propria “abitazione principale”, già trasferita all’aggiudicatario.
In relazione alle Sue preoccupazioni, non essendo stata ancora attivata la procedura esecutiva e non essendo stato notificato il pignoramento immobiliare, potrà usufruire di tale misura di tutela, con l’avvertimento che, trascorsi i sei mesi concessi dalla legge, dovrà provvedere al pagamento di quanto dovuto, per evitare una espropriazione immobiliare da parte dell’Istituto di credito.

Scritto da Emanuele Vari - Pubblicato sul numero 4 del 2020 del "Il Corace"

DIDATTICA A DISTANZA: LA SITUAZIONE NEL LAZIO

Lo scorso mese Cittadinanzattiva Lazio ha condotto un’indagine tra genitori, insegnanti e studenti per capire come sta andando la cosiddetta 'Didattica a Distanza' durante l’emergenza Covid-19: l’86% delle scuole ha attivato video lezioni e quasi l’80% di quanti hanno risposto, ha detto di avere una buona connessione. Anche se restano diversi lati oscuri che riguardano la qualità della connessione a Internet, l’organizzazione delle scuole e anche il coordinamento tra insegnanti di uno stesso istituto.
Il sondaggio condotto dal movimento di partecipazione civica non ha alcuna pretesa statistica, ma è comunque interessante. Si basa sulle risposte di 564 persone (per il 69,6% un genitore o parente; per il 28,2% un insegnante; per il 2,7% un alunno), oltre la metà delle quali residenti a Roma.




Oltre metà delle risposte (53%) riguardano le scuole elementari, quasi il 33% le medie inferiori, ma c’è anche quasi il 17% di scuole dell’infanzia (erano possibili più risposte). Insomma, l’indagine riguarda soprattutto il campione più delicato, quello dei bambini e ragazzi fino a 14 anni.
L’86% delle scuole ha attivato le videolezioni, il resto no. “L’avvio della 'DAD' è stato frammentato e non omogeneo - dice Cittadinanzattiva. Alcune scuole sono partite nel mese di marzo, altre dopo tre settimane, altre ancora ad aprile. E all’interno degli stessi istituti vi sono state classi che hanno fatto orario quasi normale e altre con orario molto ridotto. Insomma, avanti in ordine sparso”.
Zoom è la piattaforma più utilizzata, seguita da Classroom e WeSchool. La gran parte dei docenti di una stessa classe o scuola usano la stessa piattaforma (il 71%), ma c’è comunque un 30% di casi in cui il sistema cambia, cosa che certamente complica anche la vita ai ragazzi.
Le lezioni online sono efficaci o efficienti secondo il 65% delle persone che hanno risposto, ma resta comunque un’area grigia piuttosto ampia.E anche sulla frequenza delle lezioni, c’è una certa disomogeneità. “Abbiamo dati che dovrebbero indurre alla riflessione”, dice il report di Cittadinanzattiva. - Nel 54,8% delle risposte si fanno da due a cinque lezioni a settimana (media di una lezione al giorno); sostanzialmente vicine le altre tre opzioni: 17,4% da sei a dieci lezioni a settimana (media massima di due lezioni al giorno); 16,2% oltre dieci lezioni a settimana e infine 14,7% una”.



Altro problema evidente, oltre una persona su cinque dice di avere serie difficoltà ad accedere a Internet. E poi, c’è la questione dei dispositivi a disposizione delle famiglie. Chi ha un pc o un tablet per ogni membro della famiglia è una minoranza, quindi c’è il rischio di doversi dividere gli strumenti per fare lezione e lavorare a distanza. E dunque, la grande maggioranza gli intervistati dicono che per fare le lezioni online serve una connessione che funzioni ma anche dispositivi, magari in comodato d’uso da parte delle scuole.
Ma c’è anche il problema di non abbandonare davanti allo schermo i bambini più piccoli, che non scrivono (quelli delle scuole materne) o che hanno appena imparato (per esempio, quelli in prima elementare) e quelli per cui comunque scrivere su un pc o un tablet è ancora complicato. Per loro servono necessariamente i libri fisici, per esempio, oltre all’aiuto dei genitori.

Scritto da Roberta Adolfi - Pubblicato sul numero 4 del 2020 del "Il Corace"

SOGNARE UN PO'

I giorni procedono incessantemente, tutti uguali verso una non definita destinazione. Procedono tutti uguali nella loro diversità. Tutti cercano di riprendere il classico tran-tran, non tutti però ci riescono. Questo nemico invisibile sembra non aver cambiato nulla, ma alla fine tutto cambierà.
Il sole comincia a splendere alto nel cielo, sembra che sia stato sempre li. In effetti lo è sempre stato, forse lontano dai nostri occhi. Una nuvola lo ha coperto, forse deve solo emergere. Deve dire la sua. Forse i suoi raggi non troppo filtrati di un’estate da ricordare. Già. Da ricordare. Eppure, forse vorrei dimenticare tutto di questo blocco incredibile, di questo nemico invisibile. Un nemico che sembra sparito, ma invece è li attento dietro l’angolo, pronto a saltarti addosso come il più scaltro dei rapinatori. Si, ti rapina della tua salute per un semplice gioco. Il gioco di fare più punti. Chi è in grado di infettare tutti. Solo lui, lui deve essere il vincitore. Lui vuole essere il vincitore. L’uomo ha paura di lui, lui ha paura dell’uomo che studia. Che studia come annientarlo. Forse un uomo lo debellerà per mezzo di un vaccino, o forse tutti saranno debellati. Non lo so, però confido in voi. Ore 18.30 mi viene voglia di un aperitivo. Che fare? Beh, in effetti i regolamenti sono diventati più permissivi. Diciamo che è quasi tutto riaperto. Almeno ci si prova. Mi siedo al mio bel tavolinetto, c’è un po’ più di distanza tra i tavoli rispetto al solito. Il locale è quasi pieno. Le mascherine sono poco gettonate, in effetti per bere e mangiare non sono il massimo. Potrebbero filtrare un buon the. Attendo l’ordinazione a distanza di sicurezza. Noto che si sono evoluti all’uso di un dispositivo elettronico. Non vedo più scrivere la comanda. Dopo un po’ arrivano le ordinazioni. Vengono posate diligentemente ad un angolo del tavolo. Poi ognuno prende le sue. Non sono soddisfatto. C’è qualcosa che non va. Forse sono un attimo sovrappensiero. Mi osservo intorno e sembra che non riconosca nulla di quello che mi circonda. Ad un tratto mi sembra tutto sfocato, forse si sta facendo buio. Però ora che ci penso non è passato molto tempo da quando sono arrivato. Che sta accadendo? Sinceramente non lo so. I tavolini intorno a me li vedo sempre più sfocati e lontani. Si, sembra che si stiano allontanando. Non è che invece sono io ad allontanarmi? Cerco di stare calmo e concentrato. Io sono fermo, ne sono sicuro. Ora vedo meglio, gli altri tavolini si sono sollevati da terra e cominciano a roteare. Strano, che sia una tromba d’aria? No, vento non ce n’è. Osservo qualche volto. La cosa si fa ancora più strana. Non so cosa pensare. Le facce delle altre persone sono distese. Sembrano incuranti di quello che sta accadendo. Speriamo bene. Anzi, le loro facce sembrano inspirare tranquillità. Sembra di essere all’interno di una magia, ed invece no. Questi ruotano calmi ed instancabilmente verso l’alto. Speriamo bene. Qualcuno li cerca e li sta portando a se. Arriva una nuvola che oscura parzialmente il sole. Alzo un attimo lo sguardo per capire meglio, ma realizzo che all’origine del cono d’ombra non c’è la nuvola che avevo immaginato. Continua…


Scritto da Antonio Moroni - Pubblicato sul numero 4 del 2020 del "Il Corace"

UN LIBRO, UNA CANZONE, UN FILM E ALTRE STORIE: ALESSANDRO MAGNO

Caro lettore, sin dall'antichità attorno alla figura di Alessandro Magno ruotano diversi aneddoti, alcuni leggendari altri reali, a testimonianza di quanto il celebre condottiero macedone seppe creare su di sé un'immagine da vera e propria “divinità”, facendosi riconoscere addirittura come semidio dall'oracolo di Ammone, in Egitto. Semplice delirio di onnipotenza o c'è dell'altro? Nel 342 a.C., a soli 14 anni, Alessandro riuscì a domare un maestoso cavallo che il padre Filippo acquistò per la cifra di 13 talenti d'argento. Forse tra gli esemplari di una delle più antiche razze equine del mondo, Bucefalo – questo il nome del cavallo – inizialmente non voleva saperne di farsi montare. Notando che il cavallo era agitato perché spaventato dalla sua stessa ombra, Alessandro pensò bene di rivolgergli il muso verso il sole, facendolo calmare. Da lì in poi i due divennero inseparabili: Bucefalo accompagnò il re macedone in tutte le sue conquiste, tanto che quando morì venne fondata la città di Bucefala, nell'attuale Pakistan.




Una volta divenuto re, nel 336 a.C, per affermare la sua autorità, Alessandro Magno tentò di associare sé stesso al mondo divino. A tal proposito, un aneddoto dello storico Plutarco rende bene l'idea: «Volle consultare il dio e venne a Delfi; il caso volle che fossero giorni infausti, nei quali non è consentito dare responsi. Per prima cosa egli mandò a chiamare la sacerdotessa, la quale non voleva venire; allora ci andò di persona e la trasse a forza al tempio, ed ella, come sopraffatta dal suo ardore, disse: “Ma tu sei invincibile, ragazzo!”. A quelle parole Alessandro disse di non aver più bisogno di alcun vaticinio, perché aveva saputo da lei ciò che desiderava». Un altro aneddoto, stavolta dello storico Curzio Rufo, racconta di come nel maggio del 334 a.C., giunto nella cittadina frigia di Gordio, in Asia, il condottiero macedone si imbatté nel tempio di Zeus, dove vi trovò un carro che secondo la tradizione aveva trasportato il primo re mitologico della Frigia, Gordio per l'appunto. Secondo un'antica leggenda, chiunque fosse stato in grado di sciogliere il nodo che teneva ben saldo il giogo del carro sacro a Zeus, sarebbe diventato il nuovo padrone dell'Asia. Curzio Rufo racconta in merito: «La sfilza dei legacci si presentava infatti tanto ingarbugliata che né ragionandoci né aguzzando la vista era possibile stabilire dove cominciasse o dove s'andasse a cacciare ciascun nodo. Alessandro, dopo essersi cimentato a lungo con quei nodi occulti, alla fine esclamò: “Non importa in che modo vengano sciolti!”, e – tranciato con un sol fendente di spada il viluppo delle cinghie – per un verso riuscì a eludere, per l'altro a realizzare la profezia dell'oracolo». Tutti questi aneddoti portano con sé forti segnali di propaganda politica: Alessandro, infatti, stava affermando di poter legittimamente regnare sui Greci, sugli Egizi e sull'intero Impero persiano come una “divinità” comune a molti popoli. Consapevole delle proprie capacità e della propria indole da conquistatore, Alessandro Magno riuscì in pochi anni a espandere l'Impero macedone sino ai confini del mondo allora conosciuto, divenendo autore di un'impresa immensa, titanica, quasi impensabile ai più, e consegnando il suo nome e quello della Macedonia alla Storia e alla gloria eterna.

Scritto da Tommaso Guernacci - Pubblicato sul numero 4 del 2020 del "Il Corace"
 

UNA PREGHIERA DI COLORI PER UNA PANDEMIA INARRESTABILE

Quando tre mesi fa, l'Italia ha conosciuto prima la pericolosità del “coronavirus” e poi la vita in quarantena, molti concittadini hanno pensato bene di darsi un appuntamento quotidiano, ognuno sul proprio balcone di casa, per cantare e ballare allegramente tutti quanti insieme, in nome di un senso di comunità da ritrovare, proprio in un momento in cui la comunità era stata invitata a far tenere ad ognuno di quelli appartenenti alla stessa, le giuste distanze l’uno dall’altro. E allora, se tutti quanti eravamo stati invitati a stare in casa, fisicamente lontani l’uno dall’altro perché il fatto si presentava essere più serio del previsto, mi sono chiesto fin da subito cosa ci fosse stato di così bello a ritrovarsi ognuno sul proprio balcone di casa, a cantare e ballare tutti quanti insieme, in un momento così difficile per tutta l'Italia. Cantare e ballare mentre in Italia iniziavano a morire centinaia di persone al giorno, lo trovai pertanto da subito molto irrispettoso, sia per le vittime che per tutti i cari di quelle stesse vittime, che per via del tipo di malattia, non potevano neanche accompagnare il proprio caro defunto al cimitero. Al contempo però mi sono anche domandato quale potesse essere un’alternativa valida a quei canti e a quelle ballate, fatte inconsciamente dai miei vicini di casa, di quartiere, di città ma anche di regione, se senza distinzione geografica, volessimo inquadrare il problema dentro l’intero confine della nostra casa Italia. Ma purtroppo, non sono riuscito a pensare a qualcosa di migliore di un urlo collettivo, che avrei preferito si fosse manifestato in ognuno di noi come sfogo, per esprimere nella nostra intimità, tutto il disappunto, ma anche tutte le paure che ognuno di noi, anche inconsciamente, in quelle prime ore di chiusura iniziava seriamente ad avvertire, perché il problema si stava palesemente manifestando su tutto il territorio nazionale in una forma inarrestabile, anche lì dove non c’era più un ospedale aperto come a Cori. E allora, il mio unico pensiero che continuavo ad alimentare dentro di me in quelle ore, era solo quello di aver voluto, se mai ne avessi avuto veramente la forza di farlo, di invitare tutti quanti ad urlare insieme a me, contro chi irresponsabilmente in questi anni aveva chiuso con semplicità gli ospedali su molti territori, e poi, con altrettanta semplicità, ci aveva illusi che ciò che stava arrivando era solo una semplice influenza di stagione. Perché ciò non lo era affatto. In questa cornice sociale, pur non riconoscendomi in quei balli, ho pensato anche che sia la forma dell’arte che la figura dell’artista non potevano mancare in questo scenario epocale. Infatti in ogni epoca è richiesto all’artista uno sforzo maggiore nell’andare a riconoscere nel proprio animo sensibile, l’essenza della guida spirituale per una meditazione da scalfire nelle menti di tutti quanti sono, come in questo caso ad oggi, in quello stato di attesa di un ritorno alla normalità più totale che piano piano stiamo cercando di riprendere.


Pandemia mondiale di un nemico invisibile
di Alberto Bastianelli

A tale riguardo, quando ho ricevuto proprio in quelle settimane l'immagine del quadro di Alberto Bastianelli, pittore autodidatta di Velletri, ho avuto la conferma che l’arte, mai come in questo momento, può avere un ruolo molto importante in questa condizione epocale in cui una intera umanità è chiamata a resistere, e forte di questo sentimento, ho ritrovato nella sua opera “Pandemia mondiale di un nemico invisibile”, quella migliore risposta che andavo ricercando da dare a quei balconi festanti, con i quali abbiamo iniziato questa quarantena globale che fosse in ugual misura rispettosa, meditativa, ma nello stesso tempo sacrale, ma anche lapidaria. Perché il punto di incontro di tutti, in questo momento doveva per forza di cose essere ricercato dentro una immagine figlia di una creazione artistica, che come in ogni guerra, fosse in grado di creare intorno a se quella imparzialità necessaria per avviare una giusta e pagata riflessione su quanto stava accadendo. L’opera creata da Alberto Bastianelli è una composizione che a mio avviso incarna perfettamente il luogo ideale ricercato dove poter deporre, grazie alla sua sacralità espressa, le nostre preghiere, ma anche tutti i messaggi di gratitudine, stima e vicinanza che ognuno di noi si sente in dovere di manifestare nei confronti di tutte quelle figure del mondo sanitario, che oggi più di ieri siamo in molti a percepire, per il loro estenuante impegno dimostrato in questi mesi come angeli ed eroi. E Alberto, con il suo animo sensibile e creativo che conosco molto bene, è riuscito nella sua “crudezza espressiva” a rendere nel migliore dei modi questo sacrale omaggio a queste universali creature, che tutti quanti ricorderemo una volta finita questa apocalisse epidemiologica, come coloro che combatterono una guerra senza armi, con dedizione e perseveranza fin quando l’ultimo dei pazienti non fu riuscito ad essere strappato alla morte. E allora ecco che nella composizione di Alberto, un intero globo diventa l’altare dove poter far rivolgere le proprie preghiere ma anche, nello stesso tempo, quella stessa crosta terrestre del pianeta diventa la più comune tenda di una qualsiasi camera intensiva di un ospedale attrezzato per le operazioni Covid-19, dalla quale, dopo un lavoro paragonabile ad una missione militare, un operatore sanitario esce e si mostra al fedele in preghiera, e nonostante la fatica è orgogliosamente soddisfatto del proprio sforzo e allo stesso tempo, rassicurante e ottimista a tal punto da riuscire a trasmettere anche senza pronunciarlo mai perché stanco, che alla fine “andrà tutto bene”. Ed io sono convinto che tutto andrà bene anche in questo momento in cui ognuno di noi cerca di ripartire. E la stessa cosa la fa trasparire anche Alberto attraverso la cromaticità dei colori che lui ha usato per dipingere la sua riflessione, che se pure in alcuni tratti i colori sono trascinati con durezza sulla tela, non lo sono mai per un presagio negativo del futuro ma bensì per una forza vitale che lui stesso, attraverso l’azione del suo gesto pittorico, vuole contribuire ad alimentare per permettere a tutti di resistere in questo momento di resistenza ma anche di ripartenza, che in ugual misura risulta essere difficile per tutto il pianeta. L’operatore sanitario e il tricolore sono pertanto le immagini con le quali Alberto fa cromaticamente trainare la comunicazione dell’intera opera, per poi lasciare alla stessa scena principale la giusta contemplazione in un più pacato universo in cui, come è ben noto, per sua natura, tutto scorre con un tempo ciclico molto lento e diverso da quello frenetico presente sulla Terra, che lo farà restare sempre e comunque ignaro e incurante anche per colpa di quella distanza che intercorre tra la Terra e tutti i punti del resto dell’universo, di ciò che accade sotto quella tenda terrestre che invece, mai come in questo caso, è inconsciamente per l’artista la sintesi perfetta dell’anticamera che c’è tra l’inferno che tutti quanti stiamo vivendo e quella del paradiso terrestre, che tutti quanti noi ci auspichiamo di tornare ad abitare il prima possibile e soprattutto, nel miglior modo possibile.
La speranza e l’auspicio che andrà tutto bene sono affidate a quelle pennellate in alto a sinistra del quadro, che nella loro semplicità stilistica raffigurano, nella quarantena trascorsa in piena quaresima, il volto pacato di Cristo che a debita distanza e in una forma umile e mimetizzata con lo sfondo del tempo del cosmo, si manifesta con il solo intento di rassicurarci tutti e di farci capire anche che tutte le nostre preghiere, recitate nel sacrato composto da Alberto, non andranno a vuoto, perché quella entità che è lì, pacata e tranquilla ci guarda, ci protegge e ci aiuterà nonostante noi possiamo vivere momentaneamente una situazione incandescente, quanto quella rappresentata nello stesso quadro con i colori incandescenti costituenti un tappeto immaginario su cui ad oggi è adagiato l’intero altare di questa opera. Perché sarà obiettivo di questa entità continuare a dare forza e coraggio attraverso le nostre preghiere, a tutti quei dottori e infermieri che hanno il compito di farci riprendere tutti quanti per mano, affinché tutti quanti insieme, si possa tornare presto ad intraprendere il viaggio dell’esistenza, quella che per ora, abbiamo dovuto bruscamente rallentare, solo per permettere a ciascuno di noi di poter salvare ognuno in questa esistenza, la propria vita.

Scritto da Emanuel Acciarito - Pubblicato sul numero 4 del 2020 del "Il Corace"

GIARDINI VERTICALI: IL FUTURO?

Cari lettori, stiamo per entrare nella stagione estiva, le prime giornate afose le stiamo vivendo in questi giorni, e la vegetazione è sicuramente un nostro alleato per trascorrere delle belle giornate all’aria aperta e nel frattempo goderci ore di relax all’ombra sotto un bosco o sotto un semplice albero, che ci protegge dai diretti e intensi raggi del sole ed aumenti il comfort ambientale di dove ci troviamo. Ma se volessimo che la vegetazione fosse nostra alleata anche tra le mura domestiche, che protegga e non solo dalla calura estiva le nostre abitazioni, le nostre città e quindi portare nelle nostre case veri e propri “boschi”, con i tanti vantaggi che scopriremo fra poco, ecco che si sente sempre più spesso parlare di giardini verticali, verde pensile, boschi verticali, città verdi… ma di cosa stiamo parlando esattamente, e quali sono i vantaggi di queste nuove visioni? Innanzitutto partiamo dalla definizione di giardini verticali: sono l'elemento di arredo vegetale che cresce sulle facciate delle costruzioni urbane, simbolo di ecosostenibilità e modernità contemporanea. L’approccio sostenibile dell’architettura verso la natura ha seguito sviluppi notevoli nell’era della sensibilità sul tema ambientale, raggiungendo la condizione limite durante la costruzione di edifici, che ispirati ai processi della vita vegetale tentano di far parte della natura stessa. L’elemento chiave dell’incontro tra l’artificiosità di un edificio e la dominante natura è stata l’inserimento di porzioni o superfici tecnicamente adatte ad ospitare la crescita di arbusti o piante rampicanti lungo la facciata dell’edificio, note come Pareti Verdi. Numerosi sono gli esempi spontanei di questa tecnologia a partire dall’edera che domina i castelli medievali o le pareti esterne di costruzioni campestri isolate dall’urbanità, dove il clima umido e ricco d’acqua permette la crescita dell’elemento vegetale verso la direzione verticale, trovando un aggancio nelle porzioni di malta crollata o sporgenze nella roccia.

Parte LUMSA Roma (foto Fernando Bernardi)


Ma come è possibile portare la vegetazione verticale in un contesto urbano? Patrick Blanc, botanico francese e padre di questa tecnologia, a partire dagli anni ’90 inizia a sperimentare questa tecnica compositiva attraverso un incontro di conoscenze botaniche e tecniche diverse, riuscendo così ad ottenere un giardino verticale che attraverso un sistema di vasche e filtraggi d’acqua copre un’intera superficie libera di un palazzo adiacente al Caixa Forum di Madrid. La composizione prevede l’inserimento di differenti tipologie di piante con colorazione e crescita differenti che nel loro accostamento producono un sistema verde compatto rigoglioso, come un quadro dagli infiniti scenari e prospettive. Il giardino verticale di Blanc, dopo la sua inaugurazione, produsse notevole interesse tra i progettisti e i critici che iniziarono a domandarsi quali siano gli svantaggi di questo sistema costruttivo e sulla sua effettiva sostenibilità nel campo tecnico ed energetico. Ciò nonostante l’attività di Patrick Blanc aprì le porte e numerose committenze e occasioni di sperimentazioni su questa tecnologia proclamandolo padre dei giardini verticali. Le pareti verdi sono un sistema tecnico di inverdimento verticale utilizzato nell’architettura contemporanea per migliorare l’estetica degli edifici e aumentare la coibentazione delle pareti riducendo in questo modo la dispersione del calore. Il sistema costruttivo prevede l’ancoraggio alle pareti di una successione di vasche e supporti dove la vegetazione possa crescere ed essere alimentata da un impianto di irrigazione distanziato dalle pareti per evitare infiltrazioni. Il sistema dei giardini verticali è ancor oggi in via di sperimentazione ed è oggetto di analisi sotto l’aspetto tecnologico di vantaggi e svantaggi. I vantaggi di un sistema di verde verticale sono chiari, coibentazione del pacchetto parete che filtra il salto termico tra interno ed esterno e isolamento acustico degli spazi interni; riduzione delle polveri sottili disperse dai dispositivi inquinanti e abbassamento della CO2, migliorando la qualità dell’aria negli spazi aperti; ritenzione delle acque meteoriche con assorbimento e raccolta nei vasi delle piante, riducendo la portata d’acqua che raggiunge le fognature e gli spazi pubblici. I vantaggi in termini di comfort degli spazi interni sono evidenziati dai risultati in termini di isolamento termico e protezione della facciata dal sole. Conseguentemente a questi vantaggi le tecnologie dimostrano, dal punto di vista energetico, risultati inferiori (svantaggi) rispetto all’isolamento a cappotto o ai sistemi integrati al pacchetto parete. Inoltre sono evidenti le problematiche legate alla progettazione di un buon sistema di vasche e di irrigazione e l’esigenza di una costosa manutenzione e gestione.


Patrick Blanc Palazzo vicino al Caixa Forum Madrid anni ‘90

Vi sono 3 tipologie costruttive e quelle più in uso oggi prevedono differenti sistemi di assemblaggio e composizione delle facciate vegetali. Le prime sono Le Green Facade, delle superfici in cui nel sistema tecnico strutturale sono integrati dei vasi a differenti quote destinati alla crescita delle piante che andranno a salire seguendo un graticcio verticale. I Living Walls invece sono tecnologie che prevedono l’assemblaggio di moduli in policarbonato che ospitano il terreno e il sistema di irrigazione. Il sistema verde viene coltivato precedentemente per poi essere montato sulla facciata dell’edificio dove avrà vita grazie ai sistemi interni. Infine il Muro Vegetale: questo segue una tecnica artigianale dove una successione di vasche per le piante vengono sovrapposte creando una superficie unica e attiva nella crescita e nella formazione di un microclima interno. Le pareti verdi sono in questo modo divenute un’innovazione volta a coniugare sostenibilità ed estetica sostenibile, due entità diverse che negli ultimi anni trovano incontro nella pubblicizzazione e nel business dell’edilizia. La sostenibilità intesa come soddisfacimento del bisogno energetico di un edificio con una produzione energetica autonoma e con sistema di protezione contro la dispersione di quest’energia. L’estetica sostenibile è messaggio mediatico di architettura attenta all’ambiente che riduce la produzione di materiale nocivo e il disboscamento, idea irreale per la condizione dell’architettura stessa come prodotto dell’uomo che interviene su un territorio naturale. Bisognerebbe invece considerare il fare architettura come una pratica artificiale che, tramite un’attenzione particolare nella scelta dei materiali costruttivi e nelle tecnologie costruttive, possa realmente ridurre il consumo di energia esterna e possa sostenersi in modo autonomo attraverso sistemi sostenibili di protezione e produzione dell’energia. Anche nella nostra capitale Roma, si iniziano a vedere sempre più spesso la creazione di giardini verticali, e proprio l’ultimo in ordine di tempo è la facciata dell’Università LUMSA (marzo 2020) e se volete toccare con mano una parete verde verticale o semplicemente incuriosirvi, vi consiglio di fare due passi nel cuore del quartiere Prati, in via Pompeo Magno 22. Che il futuro abbia inizio?

Scritto da Fernando Bernardi - Pubblicato sul numero 4 del 2020 del "Il Corace"