Una
frase di Elbert Hubbard, filosofo e scrittore statunitense, recita
così: “Quando
i genitori fanno troppo per i figli, va a finire che i figli non
faranno abbastanza per loro stessi”.
Del resto si sa, ogni genitore vorrebbe sempre dare il massimo ai
propri figli, preservandoli da pericoli e malessere di qualsiasi
genere. Tale atteggiamento ha anche la funzione di proteggere il
genitore da eventuali sensi di colpa che potrebbero insorgere se,
davanti alla constatazione di un malessere più o meno transitorio
del figlio, potesse sentirsi impotente o inadeguato nel tentativo di
risoluzione dello stesso malessere.
Quante
volte un genitore può sentirsi sotto pressione o semplicemente
inadeguato nel suo ruolo perché gli sembra di non riuscire a fare
tutte quelle cose che, invece, sembrano riuscire benissimo agli
altri, ai “bravi genitori” cui sembra andare sempre tutto
per il verso giusto?
Diciamoci
la verità, essere genitori è difficile e troppe volte vengono
proposti standard di perfezione, complice la televisione, i social
network, che sono falsati, in realtà irraggiungibili, col rischio di
aumentare il livello di stress sperimentato dalle mamme e dai papà.
È
allora importante ricordare, e ribadire, il principio per il quale i
figli non hanno bisogno di genitori perfetti, semmai, di genitori
affidabili. L’importante per un genitore non è “non sbagliare
mai”, ma essere consapevole di certe dinamiche e delle loro
conseguenze, riconoscere i propri errori e riuscire a riparare con i
figli.
Tale
affermazione legittima quindi anche il diritto del genitore ad essere
imperfetto, a perdonare, in alcuni casi, questa sua imperfezione.
Infatti,
per quanto si cerchi di seguire certe “linee educative”, nei
momenti di stanchezza e stress può essere difficile fare la scelta
giusta e si cede naturalmente all’emotività del momento, cadendo
nel circuito degli scontri, delle urla e delle punizioni.
Il
problema non è certo quelli di perdere qualche volta la pazienza: i
genitori non possono, e non devono, fare sempre la cosa giusta al
momento giusto. L’errore è normale, sbagliare fa parte
dell’esperienza genitoriale di crescita insieme e accanto ai propri
figli. Anzi, nell’errore è insita la possibilità della
riflessione e dell’emancipazione, perché è proprio dalle
situazioni più critiche che può nascere la messa in discussione
personale e come figura di riferimento genitoriale.
La
messa in discussione certamente passa attraverso l’analisi e
l’espressione delle emozioni connesse all’esperienza negativa.
Ciò che nuoce infatti alla relazione genitoriale è il timore di
riflettere sui propri comportamenti, prendere coscienza anche
dell’errore e tenere magari di chiedere scusa per paura di perdere
agli occhi del figlio, il proprio ruolo, la propria autorità.
Invece,
attivare una comunicazione aperta sulle emozioni che una situazione
difficile, critica, ha attivato, ed eventualmente anche il chiedere
scusa da parte di un genitore al figlio, significa riuscire a fare
l’analisi delle proprie azioni, a rispettare l’altro. Il genitore
che riesce ad entrare in contatto con le proprie emozioni, attua
comportamenti che hanno una forte valenza educativa: il figlio
attraverso l’esempio del genitore apprende che non solo è normale,
ma anche sano confrontare e comunicare autenticamente i propri stati
d’animo all’altro all’interno di una relazione significativa,
proprio come quella familiare. Ciò comporta un’implementazione del
senso di fiducia reciproca e soprattutto, da parte del figlio, la
percezione dell’affidabilità del genitore, che rafforza ancora di
più la sua funzione di punto di riferimento.
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