sabato 30 maggio 2020

COVID, COLOMBO E L’INQUIETUDINE DELL’IGNORANZA

Cari lettori, il giorno prima del cosiddetto lockdown (quanto ci piace dare nomi esotici a cose nostrane, dato che in sostanza questo "confinamento" a quelle latitudini non è stato per nulla applicato) ricevetti una proposta di lavoro in un negozio del paese. Accettai di buon grado dato che altrimenti sarei dovuto restare comunque a casa per chissà quanto tempo a girarmi i pollici in attesa di un qualche miglioramento della situazione, sperando in un chimerico aiuto statale per tirare avanti. Prima della quarantena avevo scritto, per questo giornale, il primo di una serie di articoli incentrati sulla migrazione dell'uomo bianco alla conquista del mondo. Come tutti gli articoli, anche questi necessitano un minimo di ricerca e studio, ed ero fiducioso nel fatto che avrei avuto, seppur lavorando, tempo per queste ricerche. Immaginavo che con una quarantena imposta, non facoltativa, il lavoro non avrebbe avuto così tanto peso sull'economia del mio tempo. Meno si può uscire, meno si può comprare, meno sarà il lavoro in negozio. Un sillogismo che a mio avviso non fa una piega. Tuttavia il lavoro incredibilmente è aumentato in maniera esponenziale, per stessa ammissione del mio datore. E anche il mio fisico è la mia lucidità ne hanno risentito. Ritornavo a casa la sera con la speranza di poter concludere qualcosa ma, ahimè, mi ritrovavo tra le braccia di Morfeo in un amen. Preso atto della situazione, ho capito che poche erano le possibilità di poter continuare quella rubrica, almeno per il momento. Ma questo articolo doveva uscire, lo spazio doveva essere riempito. Allora mi sono detto "perché non scrivere un 'articolo sfogo'?". Mi dispiace per Colombo, che avrebbe dovuto essere il protagonista di questo numero, ma dovrà pazientare un po', come fece sulla caravella nell'autunno del 1492 prima di avvistare terra al di là dell'oceano. E qui siamo al terzo punto. L'ignoranza. Si dice di puntare il dito contro il peccato, non contro il peccatore. Baggianate. Non riesco proprio a comprendere alcuni soggetti. Tutti i giorni, alcuni giorni due o più volte, necessitano di qualche bene di prima necessità. Escono di casa e vanno: fregandosene delle regole, sprovvisti di ogni presidio medico e di ogni briciola di buon senso, se ne stanno in giro a creare assembramenti espellendo e fagocitando chissà quanti milioni di microbi. Non hanno cura del bene comune. Mantengono un atteggiamento arrogante anche quando gli fai notare la loro idiozia, e potrei andare avanti con l'elencare difetti e scorrettezze fino al 2021. Ma quello che mi fa più dubitare e inquietare del genere umano è che qui non si è capita la gravità della situazione. Una pandemia come questa non lascia spazio a egoismi, non dovrebbe. Ognuno, compresi i capi di stato, ragiona per conto proprio: il nostro è addirittura diventato un ‘meme’ (immaginate quanto vengano prese seriamente le sue ovvietà). Più attenti alle apparenze, attenti a dare una falsa e ridente immagine del proprio paese. Verità nascoste per creare un alone di invincibilità, un falso senso di sicurezza. Balle colossali che puzzano di megalomania da un chilometro, e subito smentite (senza scuse ovviamente). I morti non si contano, gli infetti sicuramente avranno uno o due zeri in più in fondo alle stime ufficiali. E nulla sarebbe stato più adatto per aprire gli occhi a qualcuno che raccontare come proprio lo sbarco di Colombo diede inizio a uno sterminio batteriologico per via dei contagi tra americani ed europei. Si sentono le opinioni di mille esperti e non, di gente indottrinata 5 minuti prima della messa in onda di uno dei tanti speciali televisivi, ma nessuno sembra ci stia capendo nulla. Potrebbe sembrare una pessimistica visione della realtà, ma la realtà è pessima, e le infiorettature non servono. Servono solo coscienza e altruismo. Buona fortuna a tutti.


Scritto da Matteo D'Achille - Pubblicato sul numero 4 del 2020 del "Il Corace"

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