Intervista
ad una persona che ha avuto un’esperienza molto strana e
particolare, a tratti molto astratta ma con una base di verità
sicura: Quel giorno di aprile inoltrato sembrava che dovesse piovere,
non era proprio il giorno adatto per celebrare la “Pasquetta” di
quell’anno. Ormai però avevo promesso ad alcune mie amiche che
sarei andato con loro e non mi trovavo più la possibilità di
rifiutare. Arrivammo nel luogo stabilito, un appezzamento di terra di
una di loro, che avremmo dovuto usare come luogo per festeggiare
questo giorno. Il cielo rimase nuvoloso tutto il tempo e io, dopo
circa un’oretta, cominciai ad avvertire un alone di divertimento
lieve nell’aria, che sembrava quasi spaccare le nuvole e che pareva
non interrompersi mai. Tutto questo divertimento era dato dalla
spiccata capacità di una delle mie coetanee, nel saper fare battute
anche quando la situazione sembrasse inopportuna. Tutto questo ridere
pareva dare vita a quel luogo che, cupo come era, sembrava isolato
dal resto del mondo. Decisi allora di fare una passeggiata quando era
oramai dopo pranzo, nell’intenzione di scoprire quante bellezze
potesse nascondere una zona così poco frequentata. Io perlomeno,
sapevo dove ci trovavamo bene o male: quella era la vecchia stazione
dei treni in disuso che partivano dal nostro paese. Ormai diventata
un rudere, quella stazione avrebbe dovuto conservare alcune delle
fermate che la componevano e, guarda caso, noi abbiamo avuto la
sfortuna di averne avuta una ad un centinaio di metri di distanza dal
posto in cui eravamo. All’inizio, non feci nemmeno caso a quella
specie di casupola quasi dentro la strada, e quando me ne accorsi,
chiesi alla mia amica, proprietaria di quel appezzamento di terra in
cui eravamo, cosa fosse quella struttura, ella rispose con tono
sospetto che non lo sapeva. Capii subito che lei stesse mentendo, ma
non capivo il perché lo stesse facendo e la costrinsi con delle
belle parole a raccontarmi cosa fosse pur non avevo idea del grande
sbaglio che stessi commettendo. Lei mi raccontò appunto, che quella
era una vecchia fermata del treno abbandonata dove passava la ex
ferrovia. Aggiunse anche che non avremmo dovuto avvicinarci in quel
luogo per alcun motivo, perché in quel punto, nell’erba alta
vicino a quella casupola, c’era un pozzo senza il bordo rialzato e
quindi un singolo passo falso avrebbe potuto segnare la nostra sorte.
Spiegò anche che, alcune di queste casupole erano il covo di persone
sospette, che la notte facevano uso di sostanze stupefacenti e che
per non essere scoperti si nascondevano in alcune di queste, oramai
baracche, per evitare di essere arrestati dalle autorità competenti.
Quindi sconsigliò esplicitamente di avvicinarsi a quelle strutture.
Passava il tempo e la curiosità dei giovani non può essere fermata
con alcune semplici parole. Convinsi anche le altre a seguirmi presso
la fermata abbandonata, e spudoratamente decidemmo di entrare
nell’erba che circondava la casupola, anche perché, in realtà,
non credevo alla storia del pozzo. Presi a quel punto un bastone che
mi sarebbe servito a toccare la terra nel caso in cui avessi
incontrato il pozzo di cui tanto si parlava. All’inizio non trovai
niente, ma poi avvertii col bastone che in un punto circoscritto
mancava la terra e fu allora che trovai il pozzo di cui tanto si
parlava. Non era tanto grande, anche se nei primi istanti in cui lo
guardai pareva immenso; era della grandezza adatta ad un pozzo,
seppure più che un pozzo poteva essere considerato una buca, molto
profonda sì, ma pur sempre una buca. Dopo essermi ripreso del tutto
dopo questa scoperta, decisi di non essere ancora soddisfatto. Dunque
mi avvicinai alla casupola, ormai senza porta, ma chiusa lo stesso da
una grossa trave di ferro piena di ruggine e da radici di piante
rampicanti. Insieme, provammo più volte a spostare la trave, ma era
come se non volesse farci entrare. Provammo più volte, ma niente.
Mentre avevamo già preso la strada per tornare al nostro punto di
festeggiamento, sentimmo dopo qualche istante un rumore di ferro
pesante cadere su una superficie dura, dunque tornammo di corsa a
quella casupola semidistrutta e vedemmo che la grande trave di ferro
era effettivamente caduta. Rimanemmo per qualche minuto tutti in
silenzio, e lo stesso silenzio sembrava portare di nuovo allo stato
cupo e solitario solito di quella campagna. Decisi di farmi forza ed
entrare, ma nel momento in cui misi piede in quell’edificio,
avvertii un alone negativo penetrare nei piedi ed arrivare fino la
testa. All’interno si presentava come un edificio a due piani, il
cui secondo era crollato, proprio questo spiegava la grande quantità
di macerie a terra e dei pezzi di solaio spuntare dal muro; i muri di
cui era composto erano coperti da rampicanti che facevano
intravvedere alcune parole scritte sui muri, la stanza non era
particolarmente grande circa tre metri per tre; inoltre, non appena
entrati, avvertii più freddo di quanto ne facesse fuori. La
curiosità mi costrinse ad impugnare di nuovo quel bastone di prima,
così scrollai dal muro a destra della porta le prime piante e trovai
una scritta a dir poco raccapricciante: “Sono qui da 18 giorni”.
Solo questa scritta mi fece accorgere quale sbaglio avessimo commesso
ad entrare. Ma oramai eravamo lì, non potevamo e non dovevamo
tornare indietro. Sotto la scritta, c’era una freccia che puntava
il muro di fronte all’ingresso, così, con paura, decisi di
togliere anche lì le radici e trovammo un ciondolo rotondo, che
aveva diversi colori: di base era dorato e aveva delle gemme sia
rosse che blu incastonate e perfettamente posizionate, aveva un
gancetto dorato, al quale non era collocata la catenella che sarebbe
servita per metterlo al collo. A malincuore, decisi di lasciare dove
era il ciondolo. Continuando, vidi che c’era un’altra freccia,
questa volta puntava il muro a sinistra dell’ingresso, vicino il
quale, togliendo i rampicanti spuntò fuori un mobiletto dall’aria
antica, fatto di legno intarsiato, composto da tre cassetti, due dei
quali mancavano, c’era solo quello più in alto. Spinti dalla
voglia di vederne il contenuto, lo aprimmo. All’interno vi era
presente solamente un bigliettino che recitava una lugubre strofa:
“tra maledizioni e malocchi, tra fantasia e realtà, il Demonio in
questa rosa per sempre resterà”. A quel punto tutti impauriti,
emettemmo un grido che sembrava spezzare per un attimo il freddo in
quella casupola degli orrori. Appena calmati, vedemmo un’altra
freccia vicino il mobile che, indicava un lavandino con due lavelli
che avevamo già visto prima, ma stavolta, nel punto in cui si
poggiano i piatti da far asciugare era comparsa una rosa rossa come
il sangue, che sembrava vera a tutti gli effetti. Non era ancora
sbocciata quando la vedemmo, così cercando di dimenticare l’accaduto
e facendo tesoro di questa esperienza, tornammo dove saremmo dovuti
restare. Tentammo di cancellare dalle nostre menti ciò che era
successo giocando a palla ma ad un certo punto, iniziai a sentirmi
osservato e continuavo a sentire rumori improvvisi e avvertii di
nuovo lo stesso alone negativo della casupola che a malapena vedevamo
all’orizzonte. La situazione durò circa un’oretta, quando
collegai il fatto con la casupola e così decisi di tornare là.
Quando raggiunsi il luogo, vidi che la rosa era sbocciata e che
vicino aveva la catenella che mancava al ciondolo. In quel momento
ero a corto di idee quando un raggio di sole che penetrò le nuvole,
illuminò i sassi a terra e dirottò il mio sguardo verso un altro
pezzettino di carta nascosto tra le pietre su cui c’era scritto:
“Vattene o Oscuro mi devi lasciare con questa rima ti voglio
cacciare”. Da quel momento non percepii più alcun cattivo
presentimento, e nello stesso momento sbucò il Sole che nel corso
della giornata era sempre mancato. Da quel giorno la mia vita è
cambiata, smisi di credere che il soprannaturale fosse una finzione
ed incominciai a portare rispetto anche per quello che non si può
vedere col solo ausilio della vista. Quanto
successo ha lasciato il protagonista molto sconcertato. Ognuno è
libero di credere o meno, l’importante è portare rispetto seppur
ci si ritiene scettici sull’argomento che per quanto strano, è pur
sempre delicato.
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