sabato 30 maggio 2020

UN GIORNO NON PROPRIO COME GLI ALTRI

Intervista ad una persona che ha avuto un’esperienza molto strana e particolare, a tratti molto astratta ma con una base di verità sicura: Quel giorno di aprile inoltrato sembrava che dovesse piovere, non era proprio il giorno adatto per celebrare la “Pasquetta” di quell’anno. Ormai però avevo promesso ad alcune mie amiche che sarei andato con loro e non mi trovavo più la possibilità di rifiutare. Arrivammo nel luogo stabilito, un appezzamento di terra di una di loro, che avremmo dovuto usare come luogo per festeggiare questo giorno. Il cielo rimase nuvoloso tutto il tempo e io, dopo circa un’oretta, cominciai ad avvertire un alone di divertimento lieve nell’aria, che sembrava quasi spaccare le nuvole e che pareva non interrompersi mai. Tutto questo divertimento era dato dalla spiccata capacità di una delle mie coetanee, nel saper fare battute anche quando la situazione sembrasse inopportuna. Tutto questo ridere pareva dare vita a quel luogo che, cupo come era, sembrava isolato dal resto del mondo. Decisi allora di fare una passeggiata quando era oramai dopo pranzo, nell’intenzione di scoprire quante bellezze potesse nascondere una zona così poco frequentata. Io perlomeno, sapevo dove ci trovavamo bene o male: quella era la vecchia stazione dei treni in disuso che partivano dal nostro paese. Ormai diventata un rudere, quella stazione avrebbe dovuto conservare alcune delle fermate che la componevano e, guarda caso, noi abbiamo avuto la sfortuna di averne avuta una ad un centinaio di metri di distanza dal posto in cui eravamo. All’inizio, non feci nemmeno caso a quella specie di casupola quasi dentro la strada, e quando me ne accorsi, chiesi alla mia amica, proprietaria di quel appezzamento di terra in cui eravamo, cosa fosse quella struttura, ella rispose con tono sospetto che non lo sapeva. Capii subito che lei stesse mentendo, ma non capivo il perché lo stesse facendo e la costrinsi con delle belle parole a raccontarmi cosa fosse pur non avevo idea del grande sbaglio che stessi commettendo. Lei mi raccontò appunto, che quella era una vecchia fermata del treno abbandonata dove passava la ex ferrovia. Aggiunse anche che non avremmo dovuto avvicinarci in quel luogo per alcun motivo, perché in quel punto, nell’erba alta vicino a quella casupola, c’era un pozzo senza il bordo rialzato e quindi un singolo passo falso avrebbe potuto segnare la nostra sorte. Spiegò anche che, alcune di queste casupole erano il covo di persone sospette, che la notte facevano uso di sostanze stupefacenti e che per non essere scoperti si nascondevano in alcune di queste, oramai baracche, per evitare di essere arrestati dalle autorità competenti. Quindi sconsigliò esplicitamente di avvicinarsi a quelle strutture. Passava il tempo e la curiosità dei giovani non può essere fermata con alcune semplici parole. Convinsi anche le altre a seguirmi presso la fermata abbandonata, e spudoratamente decidemmo di entrare nell’erba che circondava la casupola, anche perché, in realtà, non credevo alla storia del pozzo. Presi a quel punto un bastone che mi sarebbe servito a toccare la terra nel caso in cui avessi incontrato il pozzo di cui tanto si parlava. All’inizio non trovai niente, ma poi avvertii col bastone che in un punto circoscritto mancava la terra e fu allora che trovai il pozzo di cui tanto si parlava. Non era tanto grande, anche se nei primi istanti in cui lo guardai pareva immenso; era della grandezza adatta ad un pozzo, seppure più che un pozzo poteva essere considerato una buca, molto profonda sì, ma pur sempre una buca. Dopo essermi ripreso del tutto dopo questa scoperta, decisi di non essere ancora soddisfatto. Dunque mi avvicinai alla casupola, ormai senza porta, ma chiusa lo stesso da una grossa trave di ferro piena di ruggine e da radici di piante rampicanti. Insieme, provammo più volte a spostare la trave, ma era come se non volesse farci entrare. Provammo più volte, ma niente. Mentre avevamo già preso la strada per tornare al nostro punto di festeggiamento, sentimmo dopo qualche istante un rumore di ferro pesante cadere su una superficie dura, dunque tornammo di corsa a quella casupola semidistrutta e vedemmo che la grande trave di ferro era effettivamente caduta. Rimanemmo per qualche minuto tutti in silenzio, e lo stesso silenzio sembrava portare di nuovo allo stato cupo e solitario solito di quella campagna. Decisi di farmi forza ed entrare, ma nel momento in cui misi piede in quell’edificio, avvertii un alone negativo penetrare nei piedi ed arrivare fino la testa. All’interno si presentava come un edificio a due piani, il cui secondo era crollato, proprio questo spiegava la grande quantità di macerie a terra e dei pezzi di solaio spuntare dal muro; i muri di cui era composto erano coperti da rampicanti che facevano intravvedere alcune parole scritte sui muri, la stanza non era particolarmente grande circa tre metri per tre; inoltre, non appena entrati, avvertii più freddo di quanto ne facesse fuori. La curiosità mi costrinse ad impugnare di nuovo quel bastone di prima, così scrollai dal muro a destra della porta le prime piante e trovai una scritta a dir poco raccapricciante: “Sono qui da 18 giorni”. Solo questa scritta mi fece accorgere quale sbaglio avessimo commesso ad entrare. Ma oramai eravamo lì, non potevamo e non dovevamo tornare indietro. Sotto la scritta, c’era una freccia che puntava il muro di fronte all’ingresso, così, con paura, decisi di togliere anche lì le radici e trovammo un ciondolo rotondo, che aveva diversi colori: di base era dorato e aveva delle gemme sia rosse che blu incastonate e perfettamente posizionate, aveva un gancetto dorato, al quale non era collocata la catenella che sarebbe servita per metterlo al collo. A malincuore, decisi di lasciare dove era il ciondolo. Continuando, vidi che c’era un’altra freccia, questa volta puntava il muro a sinistra dell’ingresso, vicino il quale, togliendo i rampicanti spuntò fuori un mobiletto dall’aria antica, fatto di legno intarsiato, composto da tre cassetti, due dei quali mancavano, c’era solo quello più in alto. Spinti dalla voglia di vederne il contenuto, lo aprimmo. All’interno vi era presente solamente un bigliettino che recitava una lugubre strofa: “tra maledizioni e malocchi, tra fantasia e realtà, il Demonio in questa rosa per sempre resterà”. A quel punto tutti impauriti, emettemmo un grido che sembrava spezzare per un attimo il freddo in quella casupola degli orrori. Appena calmati, vedemmo un’altra freccia vicino il mobile che, indicava un lavandino con due lavelli che avevamo già visto prima, ma stavolta, nel punto in cui si poggiano i piatti da far asciugare era comparsa una rosa rossa come il sangue, che sembrava vera a tutti gli effetti. Non era ancora sbocciata quando la vedemmo, così cercando di dimenticare l’accaduto e facendo tesoro di questa esperienza, tornammo dove saremmo dovuti restare. Tentammo di cancellare dalle nostre menti ciò che era successo giocando a palla ma ad un certo punto, iniziai a sentirmi osservato e continuavo a sentire rumori improvvisi e avvertii di nuovo lo stesso alone negativo della casupola che a malapena vedevamo all’orizzonte. La situazione durò circa un’oretta, quando collegai il fatto con la casupola e così decisi di tornare là. Quando raggiunsi il luogo, vidi che la rosa era sbocciata e che vicino aveva la catenella che mancava al ciondolo. In quel momento ero a corto di idee quando un raggio di sole che penetrò le nuvole, illuminò i sassi a terra e dirottò il mio sguardo verso un altro pezzettino di carta nascosto tra le pietre su cui c’era scritto: “Vattene o Oscuro mi devi lasciare con questa rima ti voglio cacciare”. Da quel momento non percepii più alcun cattivo presentimento, e nello stesso momento sbucò il Sole che nel corso della giornata era sempre mancato. Da quel giorno la mia vita è cambiata, smisi di credere che il soprannaturale fosse una finzione ed incominciai a portare rispetto anche per quello che non si può vedere col solo ausilio della vista. Quanto successo ha lasciato il protagonista molto sconcertato. Ognuno è libero di credere o meno, l’importante è portare rispetto seppur ci si ritiene scettici sull’argomento che per quanto strano, è pur sempre delicato.

Scritto da Natalino Pistilli - Pubblicato sul numero 4 del 2020 del "Il Corace"

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