sabato 30 maggio 2020

UN OMAGGIO A EZIO BOSSO

C’è una notte stellata stasera. La vedo nella semioscurità della mia stanza, mentre siedo davanti al pianoforte e rimpiango, rimpiango lei, la notte intendo, e tutto ciò che mi ha portato via mentre l’ho inseguita tra le note scalmanate che nella mia testa hanno rimbombato e rimbombano come i tamburi dei vecchi nativi americani, come tutte le cose che cerchi di afferrare ma non riesci, non trattieni perché troppo veloci, troppo fuori tempo. Il tempo è importante, il sincrono, il metronomo di tutte le cose sono aspetti importanti, regolano la vita e l’ordine naturale di qualsiasi essere vivente. Questo è il più grande insegnamento che la musica mi ha dato. Suonare mi esce facile, è vivere che mi esce difficile, quasi assurdo. Mi sono rintanato in casa e ho perso la concezione del tempo che sta trascorrendo. Ho dolore dappertutto, ai piedi, alla testa, sugli occhi, nelle piccole ossa che costituiscono le mie mani. Il terrore più grande è sempre stato questo, di non poter più poggiare i polpastrelli su questo intervallo armonioso di tasti neri e bianchi.


Di tutti i mali che potevano impossessarsi di me, la vita mi ha regalato quello più farabutto, vigliacco che ha attaccato il corpo. Provo stanchezza nel fare tutto, per questo delle volte poggio la testa sui tasti del pianoforte e resto in silenzio, quasi il pianoforte fosse la pancia di un grosso gigante addormentato e io restassi in attesa che il suo ventre si muova, mi riveli qualcosa. Cerco di recuperare quel poco di forza che mi serve per mettere una nota dietro l’altra, per lasciarmi andare alla melodia improvvisata come quando Dio improvvisò il mondo, dietro a queste dita anarchiche, sopra i tasti ogni giorno più duri, ed è allora che combatto il dolore, la fatica della malattia e cerco di ribellarmi. Non ho cura di appuntare nessuna nota, di compilare nessuno spartito. Tutto prende forma così, dal niente e al niente deve ritornare. Ogni tanto mi esce un mugolio, un suono gutturale, ed è quelle volte che il gigante addormentato si sveglia e mi porta con sé, verso la notte stellata, e ancora più su.

Scritto da Fabio Appetito - Pubblicato sul numero 4 del 2020 del "Il Corace"

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