Quando tre mesi fa,
l'Italia ha conosciuto prima la pericolosità del “coronavirus”
e poi la vita in quarantena, molti concittadini hanno pensato bene di
darsi un appuntamento quotidiano, ognuno sul proprio balcone di casa,
per cantare e ballare allegramente tutti quanti insieme, in nome di
un senso di comunità da ritrovare, proprio in un momento in cui la
comunità era stata invitata a far tenere ad ognuno di quelli
appartenenti alla stessa, le giuste distanze l’uno dall’altro. E
allora, se tutti quanti eravamo stati invitati a stare in casa,
fisicamente lontani l’uno dall’altro perché il fatto si
presentava essere più serio del previsto, mi sono chiesto fin da
subito cosa ci fosse stato di così bello a ritrovarsi ognuno sul
proprio balcone di casa, a cantare e ballare tutti quanti insieme, in
un momento così difficile per tutta l'Italia. Cantare e ballare
mentre in Italia iniziavano a morire centinaia di persone al giorno,
lo trovai pertanto da subito molto irrispettoso, sia per le vittime
che per tutti i cari di quelle stesse vittime, che per via del tipo
di malattia, non potevano neanche accompagnare il proprio caro
defunto al cimitero. Al contempo però mi sono
anche domandato quale potesse essere un’alternativa valida a quei
canti e a quelle ballate, fatte inconsciamente dai miei vicini di
casa, di quartiere, di città ma anche di regione, se senza
distinzione geografica, volessimo inquadrare il problema dentro
l’intero confine della nostra casa Italia. Ma purtroppo, non
sono riuscito a pensare a qualcosa di migliore di un urlo collettivo,
che avrei preferito si fosse manifestato in ognuno di noi come sfogo,
per esprimere nella nostra intimità, tutto il disappunto, ma anche
tutte le paure che ognuno di noi, anche inconsciamente, in quelle
prime ore di chiusura iniziava seriamente ad avvertire, perché il
problema si stava palesemente manifestando su tutto il territorio
nazionale in una forma inarrestabile, anche lì dove non c’era più
un ospedale aperto come a Cori. E allora, il mio unico pensiero che
continuavo ad alimentare dentro di me in quelle ore, era solo quello
di aver voluto, se mai ne avessi avuto veramente la forza di farlo,
di invitare tutti quanti ad urlare insieme a me, contro chi
irresponsabilmente in questi anni aveva chiuso con semplicità gli
ospedali su molti territori, e poi, con altrettanta semplicità, ci
aveva illusi che ciò che stava arrivando era solo una semplice
influenza di stagione. Perché ciò non lo era affatto. In questa
cornice sociale, pur non riconoscendomi in quei balli, ho pensato
anche che sia la forma dell’arte che la figura dell’artista non
potevano mancare in questo scenario epocale. Infatti in ogni epoca è
richiesto all’artista uno sforzo maggiore nell’andare a
riconoscere nel proprio animo sensibile, l’essenza della guida
spirituale per una meditazione da scalfire nelle menti di tutti
quanti sono, come in questo caso ad oggi, in quello stato di attesa
di un ritorno alla normalità più totale che piano piano stiamo
cercando di riprendere.
Pandemia mondiale di un nemico invisibile
di Alberto Bastianelli
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A
tale riguardo, quando ho ricevuto proprio in quelle settimane
l'immagine del quadro di Alberto Bastianelli, pittore autodidatta di
Velletri, ho avuto la conferma che l’arte, mai come in questo
momento, può avere un ruolo molto importante in questa condizione
epocale in cui una intera umanità è chiamata a resistere, e forte
di questo sentimento, ho ritrovato nella sua opera “Pandemia
mondiale di un nemico invisibile”, quella migliore risposta che
andavo ricercando da dare a quei balconi festanti, con i quali
abbiamo iniziato questa quarantena globale che fosse in ugual misura
rispettosa, meditativa, ma nello stesso tempo sacrale, ma anche
lapidaria. Perché il punto di incontro di tutti, in questo momento
doveva per forza di cose essere ricercato dentro una immagine figlia
di una creazione artistica, che come in ogni guerra, fosse in grado
di creare intorno a se quella imparzialità necessaria per avviare
una giusta e pagata riflessione su quanto stava accadendo. L’opera
creata da Alberto Bastianelli è una composizione che a mio avviso
incarna perfettamente il luogo ideale ricercato dove poter deporre,
grazie alla sua sacralità espressa, le nostre preghiere, ma anche
tutti i messaggi di gratitudine, stima e vicinanza che ognuno di noi
si sente in dovere di manifestare nei confronti di tutte quelle
figure del mondo sanitario, che oggi più di ieri siamo in molti a
percepire, per il loro estenuante impegno dimostrato in questi mesi
come angeli ed eroi. E Alberto, con il suo animo sensibile e creativo
che conosco molto bene, è riuscito nella sua “crudezza espressiva”
a rendere nel migliore dei modi questo sacrale omaggio a queste
universali creature, che tutti quanti ricorderemo una volta finita
questa apocalisse epidemiologica, come coloro che combatterono una
guerra senza armi, con dedizione e perseveranza fin quando l’ultimo
dei pazienti non fu riuscito ad essere strappato alla morte. E allora
ecco che nella composizione di Alberto, un intero globo diventa
l’altare dove poter far rivolgere le proprie preghiere ma anche,
nello stesso tempo, quella stessa crosta terrestre del pianeta
diventa la più comune tenda di una qualsiasi camera intensiva di un
ospedale attrezzato per le operazioni Covid-19, dalla quale, dopo un
lavoro paragonabile ad una missione militare, un operatore sanitario
esce e si mostra al fedele in preghiera, e nonostante la fatica è
orgogliosamente soddisfatto del proprio sforzo e allo stesso tempo,
rassicurante e ottimista a tal punto da riuscire a trasmettere anche
senza pronunciarlo mai perché stanco, che alla fine “andrà tutto
bene”. Ed io sono convinto che tutto andrà bene anche in questo
momento in cui ognuno di noi cerca di ripartire. E la stessa cosa la
fa trasparire anche Alberto attraverso la cromaticità dei colori che
lui ha usato per dipingere la sua riflessione, che se pure in alcuni
tratti i colori sono trascinati con durezza sulla tela, non lo sono
mai per un presagio negativo del futuro ma bensì per una forza
vitale che lui stesso, attraverso l’azione del suo gesto pittorico,
vuole contribuire ad alimentare per permettere a tutti di resistere
in questo momento di resistenza ma anche di ripartenza, che in ugual
misura risulta essere difficile per tutto il pianeta. L’operatore
sanitario e il tricolore sono pertanto le immagini con le quali
Alberto fa cromaticamente trainare la comunicazione dell’intera
opera, per poi lasciare alla stessa scena principale la giusta
contemplazione in un più pacato universo in cui, come è ben noto,
per sua natura, tutto scorre con un tempo ciclico molto lento e
diverso da quello frenetico presente sulla Terra, che lo farà
restare sempre e comunque ignaro e incurante anche per colpa di
quella distanza che intercorre tra la Terra e tutti i punti del resto
dell’universo, di ciò che accade sotto quella tenda terrestre che
invece, mai come in questo caso, è inconsciamente per l’artista la
sintesi perfetta dell’anticamera che c’è tra l’inferno che
tutti quanti stiamo vivendo e quella del paradiso terrestre, che
tutti quanti noi ci auspichiamo di tornare ad abitare il prima
possibile e soprattutto, nel miglior modo possibile.
La speranza e l’auspicio
che andrà tutto bene sono affidate a quelle pennellate in alto a
sinistra del quadro, che nella loro semplicità stilistica
raffigurano, nella quarantena trascorsa in piena quaresima, il volto
pacato di Cristo che a debita distanza e in una forma umile e
mimetizzata con lo sfondo del tempo del cosmo, si manifesta con il
solo intento di rassicurarci tutti e di farci capire anche che tutte
le nostre preghiere, recitate nel sacrato composto da Alberto, non
andranno a vuoto, perché quella entità che è lì, pacata e
tranquilla ci guarda, ci protegge e ci aiuterà nonostante noi
possiamo vivere momentaneamente una situazione incandescente, quanto
quella rappresentata nello stesso quadro con i colori incandescenti
costituenti un tappeto immaginario su cui ad oggi è adagiato
l’intero altare di questa opera. Perché sarà obiettivo di questa
entità continuare a dare forza e coraggio attraverso le nostre
preghiere, a tutti quei dottori e infermieri che hanno il compito di
farci riprendere tutti quanti per mano, affinché tutti quanti
insieme, si possa tornare presto ad intraprendere il viaggio
dell’esistenza, quella che per ora, abbiamo dovuto bruscamente
rallentare, solo per permettere a ciascuno di noi di poter salvare
ognuno in questa esistenza, la propria vita.
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