sabato 30 maggio 2020

UNA PREGHIERA DI COLORI PER UNA PANDEMIA INARRESTABILE

Quando tre mesi fa, l'Italia ha conosciuto prima la pericolosità del “coronavirus” e poi la vita in quarantena, molti concittadini hanno pensato bene di darsi un appuntamento quotidiano, ognuno sul proprio balcone di casa, per cantare e ballare allegramente tutti quanti insieme, in nome di un senso di comunità da ritrovare, proprio in un momento in cui la comunità era stata invitata a far tenere ad ognuno di quelli appartenenti alla stessa, le giuste distanze l’uno dall’altro. E allora, se tutti quanti eravamo stati invitati a stare in casa, fisicamente lontani l’uno dall’altro perché il fatto si presentava essere più serio del previsto, mi sono chiesto fin da subito cosa ci fosse stato di così bello a ritrovarsi ognuno sul proprio balcone di casa, a cantare e ballare tutti quanti insieme, in un momento così difficile per tutta l'Italia. Cantare e ballare mentre in Italia iniziavano a morire centinaia di persone al giorno, lo trovai pertanto da subito molto irrispettoso, sia per le vittime che per tutti i cari di quelle stesse vittime, che per via del tipo di malattia, non potevano neanche accompagnare il proprio caro defunto al cimitero. Al contempo però mi sono anche domandato quale potesse essere un’alternativa valida a quei canti e a quelle ballate, fatte inconsciamente dai miei vicini di casa, di quartiere, di città ma anche di regione, se senza distinzione geografica, volessimo inquadrare il problema dentro l’intero confine della nostra casa Italia. Ma purtroppo, non sono riuscito a pensare a qualcosa di migliore di un urlo collettivo, che avrei preferito si fosse manifestato in ognuno di noi come sfogo, per esprimere nella nostra intimità, tutto il disappunto, ma anche tutte le paure che ognuno di noi, anche inconsciamente, in quelle prime ore di chiusura iniziava seriamente ad avvertire, perché il problema si stava palesemente manifestando su tutto il territorio nazionale in una forma inarrestabile, anche lì dove non c’era più un ospedale aperto come a Cori. E allora, il mio unico pensiero che continuavo ad alimentare dentro di me in quelle ore, era solo quello di aver voluto, se mai ne avessi avuto veramente la forza di farlo, di invitare tutti quanti ad urlare insieme a me, contro chi irresponsabilmente in questi anni aveva chiuso con semplicità gli ospedali su molti territori, e poi, con altrettanta semplicità, ci aveva illusi che ciò che stava arrivando era solo una semplice influenza di stagione. Perché ciò non lo era affatto. In questa cornice sociale, pur non riconoscendomi in quei balli, ho pensato anche che sia la forma dell’arte che la figura dell’artista non potevano mancare in questo scenario epocale. Infatti in ogni epoca è richiesto all’artista uno sforzo maggiore nell’andare a riconoscere nel proprio animo sensibile, l’essenza della guida spirituale per una meditazione da scalfire nelle menti di tutti quanti sono, come in questo caso ad oggi, in quello stato di attesa di un ritorno alla normalità più totale che piano piano stiamo cercando di riprendere.


Pandemia mondiale di un nemico invisibile
di Alberto Bastianelli

A tale riguardo, quando ho ricevuto proprio in quelle settimane l'immagine del quadro di Alberto Bastianelli, pittore autodidatta di Velletri, ho avuto la conferma che l’arte, mai come in questo momento, può avere un ruolo molto importante in questa condizione epocale in cui una intera umanità è chiamata a resistere, e forte di questo sentimento, ho ritrovato nella sua opera “Pandemia mondiale di un nemico invisibile”, quella migliore risposta che andavo ricercando da dare a quei balconi festanti, con i quali abbiamo iniziato questa quarantena globale che fosse in ugual misura rispettosa, meditativa, ma nello stesso tempo sacrale, ma anche lapidaria. Perché il punto di incontro di tutti, in questo momento doveva per forza di cose essere ricercato dentro una immagine figlia di una creazione artistica, che come in ogni guerra, fosse in grado di creare intorno a se quella imparzialità necessaria per avviare una giusta e pagata riflessione su quanto stava accadendo. L’opera creata da Alberto Bastianelli è una composizione che a mio avviso incarna perfettamente il luogo ideale ricercato dove poter deporre, grazie alla sua sacralità espressa, le nostre preghiere, ma anche tutti i messaggi di gratitudine, stima e vicinanza che ognuno di noi si sente in dovere di manifestare nei confronti di tutte quelle figure del mondo sanitario, che oggi più di ieri siamo in molti a percepire, per il loro estenuante impegno dimostrato in questi mesi come angeli ed eroi. E Alberto, con il suo animo sensibile e creativo che conosco molto bene, è riuscito nella sua “crudezza espressiva” a rendere nel migliore dei modi questo sacrale omaggio a queste universali creature, che tutti quanti ricorderemo una volta finita questa apocalisse epidemiologica, come coloro che combatterono una guerra senza armi, con dedizione e perseveranza fin quando l’ultimo dei pazienti non fu riuscito ad essere strappato alla morte. E allora ecco che nella composizione di Alberto, un intero globo diventa l’altare dove poter far rivolgere le proprie preghiere ma anche, nello stesso tempo, quella stessa crosta terrestre del pianeta diventa la più comune tenda di una qualsiasi camera intensiva di un ospedale attrezzato per le operazioni Covid-19, dalla quale, dopo un lavoro paragonabile ad una missione militare, un operatore sanitario esce e si mostra al fedele in preghiera, e nonostante la fatica è orgogliosamente soddisfatto del proprio sforzo e allo stesso tempo, rassicurante e ottimista a tal punto da riuscire a trasmettere anche senza pronunciarlo mai perché stanco, che alla fine “andrà tutto bene”. Ed io sono convinto che tutto andrà bene anche in questo momento in cui ognuno di noi cerca di ripartire. E la stessa cosa la fa trasparire anche Alberto attraverso la cromaticità dei colori che lui ha usato per dipingere la sua riflessione, che se pure in alcuni tratti i colori sono trascinati con durezza sulla tela, non lo sono mai per un presagio negativo del futuro ma bensì per una forza vitale che lui stesso, attraverso l’azione del suo gesto pittorico, vuole contribuire ad alimentare per permettere a tutti di resistere in questo momento di resistenza ma anche di ripartenza, che in ugual misura risulta essere difficile per tutto il pianeta. L’operatore sanitario e il tricolore sono pertanto le immagini con le quali Alberto fa cromaticamente trainare la comunicazione dell’intera opera, per poi lasciare alla stessa scena principale la giusta contemplazione in un più pacato universo in cui, come è ben noto, per sua natura, tutto scorre con un tempo ciclico molto lento e diverso da quello frenetico presente sulla Terra, che lo farà restare sempre e comunque ignaro e incurante anche per colpa di quella distanza che intercorre tra la Terra e tutti i punti del resto dell’universo, di ciò che accade sotto quella tenda terrestre che invece, mai come in questo caso, è inconsciamente per l’artista la sintesi perfetta dell’anticamera che c’è tra l’inferno che tutti quanti stiamo vivendo e quella del paradiso terrestre, che tutti quanti noi ci auspichiamo di tornare ad abitare il prima possibile e soprattutto, nel miglior modo possibile.
La speranza e l’auspicio che andrà tutto bene sono affidate a quelle pennellate in alto a sinistra del quadro, che nella loro semplicità stilistica raffigurano, nella quarantena trascorsa in piena quaresima, il volto pacato di Cristo che a debita distanza e in una forma umile e mimetizzata con lo sfondo del tempo del cosmo, si manifesta con il solo intento di rassicurarci tutti e di farci capire anche che tutte le nostre preghiere, recitate nel sacrato composto da Alberto, non andranno a vuoto, perché quella entità che è lì, pacata e tranquilla ci guarda, ci protegge e ci aiuterà nonostante noi possiamo vivere momentaneamente una situazione incandescente, quanto quella rappresentata nello stesso quadro con i colori incandescenti costituenti un tappeto immaginario su cui ad oggi è adagiato l’intero altare di questa opera. Perché sarà obiettivo di questa entità continuare a dare forza e coraggio attraverso le nostre preghiere, a tutti quei dottori e infermieri che hanno il compito di farci riprendere tutti quanti per mano, affinché tutti quanti insieme, si possa tornare presto ad intraprendere il viaggio dell’esistenza, quella che per ora, abbiamo dovuto bruscamente rallentare, solo per permettere a ciascuno di noi di poter salvare ognuno in questa esistenza, la propria vita.

Scritto da Emanuel Acciarito - Pubblicato sul numero 4 del 2020 del "Il Corace"

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