mercoledì 6 ottobre 2021

#DANTE700

Caro lettore, il Canto XVI del Purgatorio ha argomento prevalentemente politico, prendendo le mosse da un dubbio di Dante che si ricollega alle parole con cui Guido del Duca nel Canto XV aveva criticato la decadenza morale della sua Romagna e quella politica della Toscana, mentre qui le accuse del protagonista Marco Lombardo sono rivolte contro la Lombardia. Quella di Marco è una voce che Dante ascolta nel buio della Cornice, in cui procede come un cieco appoggiato a Virgilio: è chiaro il contrappasso della pena (l'ira acceca la mente e porta ad atti inconsulti), così come la necessità di seguire strettamente la ragione, simboleggiata in questo caso dal poeta latino. L'oscurità del fumo è descritta attraverso una serie di similitudini per contrasto. Dante sente solo le voci degli iracondi, che intonano le prime parole dell'Agnus Dei, che ben si adatta alla loro espiazione, dal momento che Cristo è invocato come esempio supremo di mansuetudine e prontezza al sacrificio. 

L'incontro con Marco Lombardo dà modo a Dante di affrontare un complesso e delicato discorso politico e dottrinale, che il poeta affida a un personaggio di scarso spessore biografico: di lui si sa solo che fu un uomo di corte del nord Italia molto saggio e valente, citato in alcuni racconti del Novellino, e che secondo diversi commentatori ebbe una condizione simile a quella di Dante durante l'esilio, costretto a diventare anch'egli cortigiano presso i signori di Lombardia e Romagna. Dante ha un dubbio che lo tormenta, se cioè tale declino morale sia da imputare alla condotta umana o a quelle influenze celesti che la dottrina cristiana ammetteva: Marco spiega che gli influssi astrali esistono, ma non sono certo tali da determinare le azioni umane, il ché renderebbe ingiusto premiare la virtù e punire il peccato. Dante segue strettamente l'interpretazione tomistica della questione, riconducendo tutto alla libera scelta dell'uomo, che è perfettamente in grado di distinguere tra bene e male, per cui sbaglia chi attribuisce agli influssi celesti una responsabilità che essi non hanno. A conferma di ciò, Marco affronta poi il delicato problema del rapporto tra potere spirituale e temporale: l'uomo è naturalmente portato a ricercare il proprio bene e ciò spesso lo porta a peccare, per cui è necessario che vi siano le leggi che lo tengano a freno e correggano la sua condotta. 

Doré - Marco Lombardo

Nella visione dantesca le leggi devono essere applicate dal potere politico, ovvero dall'imperatore, ma la sede imperiale in Italia è vacante dalla morte di Federico II di Svevia, per cui le leggi ci sono ma nessuno le fa rispettare, come già aveva duramente affermato nei Canti VI e VII. La responsabilità di ciò è attribuita al papa, reo di volersi arrogare il diritto di governare politicamente l'Italia in assenza del potere imperiale, e in particolare è condannato l'atteggiamento teocratico di Bonifacio VIII, che con la bolla Unam Sanctam del 1302 aveva affermato sostanzialmente questo principio e aveva unito il pastorale con la spada, il potere spirituale con quello temporale. Ciò è causa, per Dante, dei guasti politici dell'Italia del tempo e di quel disordine morale contro cui il poema si scaglia a mo' di denuncia. Dante si rifà qui anche alla teoria dei «due soli» espressa in termini lievemente diversi nel De Monarchia: il papa e l'imperatore brillano di luce propria e le loro autorità derivano entrambi da Dio. Nella visione di Dante diverso è il fine delle due autorità, dal momento che il papa deve guidare i fedeli alla felicità eterna, mentre l'imperatore deve applicare le leggi e assicurare a tutti la giustizia: ciò può avvenire solo se le due autorità sono distinte e indipendenti, reciprocamente autonome, non se il papa pretende di governare senza averne le capacità. Il tema è di importanza centrale e sarà più ampiamente affrontato nel Canto XIX del Paradiso. Solo tre personaggi dimostrano le antiche virtù e rimproverano il declino morale del presente: tre vecchi che sono esempio della cortesia rimpianta e destinata a scomparire. Si è molto discusso sull'effettivo valore morale di questi tre personaggi, di cui Dante tace o ignora alcuni misfatti politici, ma è chiaro che qui prevale l'ammirazione per l'esercizio delle virtù cavalleresche in cui essi si distinsero. In particolare, Gherardo da Camino ebbe rapporti con Corso Donati, ciò spiega lo stupore di Marco alla domanda di Dante che mostra di non conoscerlo. Marco lo indica come il padre di una certa Gaia, una giovane citata da alcuni commentatori come esempio di corruzione: se così fosse, le parole di Marco vorrebbero sottolineare il contrasto tra passato glorioso e presente misero, come anche il fatto che il valore dei padri non è stato ereditato dai figli.

Buona lettura e buon #Dante700. 

Divina Commedia, Purgatorio, XVI - Dante Alighieri, 1321

Scritto da Tommaso Guernacci - Pubblicato sul numero 7 del 2021 del "Il Corace"

IL ROMANTICISMO INGLESE E JOHN KEATS

Il movimento del Romanticismo caratterizza l'intera cultura europea dell'Ottocento: le sue idee hanno lasciato il segno non solo nella letteratura ma anche nelle arti visive e nella musica, tanto che si è parlato di “Cultura Romantica” per descrivere l'intero Ottocento. I disordini diffusi e un bisogno generale di rinnovamento, soprattutto contro l'Illuminismo, sono alla base del Romanticismo. Partendo dalla Germania, il Romanticismo si radica rapidamente in Inghilterra. Qui le Lyrical Ballads di William Wordsworth e Samuel Taylor Coleridge sono fondamentali perché i due autori annunciano nella prefazione delle rispettive opere il programma di questo nuovo poema, che deve esprimere in un linguaggio schietto e immediato il mondo soprannaturale delle credenze popolari e soprattutto il potere dell'immaginazione. 

John Keats nacque a Londra nel 1795. Fu sempre affascinato dalla cultura classica e, mentre studiava medicina, coltivò sempre più la sua passione letteraria. Una volta terminati gli studi di medicina, abbandonò completamente il suo percorso e si dedicò interamente alla letteratura. In seguito iniziò a frequentare e incontrare persone come l'altrettanto famoso poeta Percy B. Shelley con il quale stabilì anche un buon rapporto. Durante tutta la sua vita non fu molto apprezzato come poeta, motivo probabilmente legato alla sua condizione economica generale che non è mai stata molto buona. Solo pochi autori, come Shelley e Byron, hanno potuto apprezzare il suo stile di scrittura. Durante i suoi viaggi tra Inghilterra e Scozia, suo fratello si ammalò di tubercolosi, malattia che presto avrebbe avuto e che lo avrebbe costretto a interrompere i suoi viaggi. Non ha mai smesso di scrivere, anche quando era particolarmente depresso per l'impossibilità di sposare Fanny, la donna che amava. 

John Keats

Nel 1819 scrisse diverse poesie come La Belle Dame Sans Merci, che parla di una donna bella ma crudele che addormenta gli uomini che incontra e che gli toglie l'anima. Quest'anno era detto annus mirabilis di Keats, in cui ha prodotto la maggior parte delle opere più importanti. Accadde poi nel 1821 a Roma, nella casa dove si trova l'attuale Keats and Shelley Museum, dove arrivò dopo aver appena iniziato il Grand Tour, che morì in povertà e sulla sua tomba non venne scritto il suo nome ma solo un epitaffio che dice: "Qui giace uno il cui nome è stato scritto nell'acqua".

Scritto da Natalino Pistilli - Pubblicato sul numero 7 del 2021 del "Il Corace"

RICOMINCIO DA TE

Sono qui, ti penso, la mia mente spazia in quel tempo lontano, lontano da noi e lontano da tutti. L’estate è ormai finita, quest’anno mi sembra sia stata più breve del solito. Non so perché. Il tempo, già, questo strano elemento, che scorre e non si ferma mai. A volte sembra dilatarsi all’infinito, altre volte sembra che le ore corrano come le lancette dei secondi di un orologio. Un orologio del tuo tempo. Un orologio personalizzato con il tempo sincronizzato sugli eventi. È strano, è difficile da comprendere. Eppure, è sempre li che scorre inesorabile. 

Che ne pensate? Qual è il vostro tempo? Siete sicuri di conoscerlo? Io no, lo vedo lo subisco, ma non lo conosco. Forse adesso ho imparato, ma in effetti è una storia forse troppo complicata per essere raccontata. Sì, ok avete ragione. Cosa posso dirvi ancora? Vi vedo qui davanti a me, sì tutti proprio di fronte. Oramai si rientra tutti a lavoro in presenza. Il lavoro da casa sta ormai volgendo al termine. Occorre, serve, è necessario, forse indispensabile un ritorno alla normalità. Una normalità distorta dalle idee. Dalle idee di non sapere cosa fare. Di pensare ad un domani come ieri, ma diverso da oggi. 

Sarà mai possibile? Sì, ne sono sicuro, in effetti tra qualche giorno avremo tutti necessità del lasciapassare obbligatorio. Il lasciapassare. Servirà sempre per più cose. Gli irriducibili dovranno fare qualcosa. Forse alla fine si adegueranno tutti? Tutti uguali ed allineati ad un qualcosa che non si conosce, o che forse si conosce fin troppo bene. Poco, anzi molto poco è lasciato all’immaginazione. Voi che ne dite? Si riuscirà mai a trovare una quadra? Sinceramente non penso, ma in fondo diciamo di sì. La massa. La massa, questa sconosciuta, con il più alto grado di potere, un potere che esercita senza saperlo, un potere che non esercita e forse consapevolmente rimette nelle mani di qualcun altro. Chi è questo qualcun altro? Qualcuno che passa le giornate a vedere cosa fai. A vedere come può convincerti a fare quello che lui vuole. Non so. Quello che vi posso dire è solo una cosa: fate attenzione. Forse non è tutto come sembra, forse non è tutto quello che voi vedete. 

Siete pronti? Alla fine, c’è poco da fare. Pieno di benzina e si parte. Si parte all’avventura di un cambio, di un ritorno, di un futuro, di un presente senza il passato. D’altronde almeno per il momento un altro metodo non c’è. Io non riesco a vederlo, se voi ci riuscite o avete un piccolo spunto fatevi avanti. Fatevi avanti con le vostre idee, idee sensate per un futuro migliore. Ne avete? Condividetele. Quello che vedo, quello che ascolto in effetti sono le poche idee di pochi, rilanciate da molti. Con un tam, tam chiaro e forte. Forse siamo tutti uguali, forse non lo siamo. Forse proviamo soltanto ad esserlo. Vi ricordate la quadra? Ecco, secondo me non la troveremo mai. Si avvicina la mezzanotte. È ora di andare a dormire. È ora di addormentarsi immaginando un risveglio migliore. Io ne sono sicuro. Pian piano lo capiremo, pian piano ci arriveremo. Domani è un altro giorno.

Scritto da Antonio Moroni - Pubblicato sul numero 7 del 2021 del "Il Corace"

“Un po’ profeti, un po’ veggenti, sicuramente combattenti” - Intervista a Gianfranco Catena, già Sindaco di Filettino

“Moro aveva intuito le potenzialità di noi giovani. La sua fede, il suo impegno, il coraggio al servizio della nostra generazione”. 

EZIO - Ciao Gianfranco, è passato molto tempo dalle piacevoli serate in cui si    dibatteva di argomenti riguardanti la nostra generazione e sul vivere il cristianesimo. 

GIANFRANCO – Non sbagli, avevamo 20 anni ed eravamo una generazione in cammino che ricercava espressioni proprie, alternative, nuove. La nostra partecipazione al movimento giovanile fu nell’ambito di una rivoluzione alla tradizione, alle regole in un fermento di nuova cristianità. 

EZIO - Una rinascita. 

GIANFRANCO – Nei nostri incontri quotidiani o in qualche vigna di Velletri, spesso quella di mio padre con te e altri, sentivamo il bisogno di trasmettere il senso vero del Vangelo vissuto giorno per giorno e di coniugarlo all’ideologia di sinistra. Noi, figli di contadini, operai, piccoli borghesi, ci rendevamo conto della necessità di mettere in risalto la realtà del mondo e del suo cambiamento, dalla civiltà operaia e contadina (Pasolini), al nuovo sistema tecnologico produttivo e terziario. Da ciò la nascita della “comunità”. Fu un continuo dibattere, con donne, insegnanti, studenti, operai nella convivialità di serate improvvisate in cui si spartivano pane e idee, acquisendo stima in noi stessi e fiducia negli altri. 

EZIO – Siamo cresciuti nell’immagine di spezzare il pane. Alcuni dei partecipanti: il preside Cavallo e il prof. Di Falco erano assidui poi Don Gino, Don Eugenio e ancora, Adriana, Graziella, Giuseppe e molti altri. Anche Alfredo, tuo padre ne fu conquistato. 

GIANFRANCO – Sì lo “spartire la cena”, il nostro modo di essere. Eravamo alla ricerca di una libertà fuori da vincoli e pregiudizi. Incertezze e contraddizioni si affrontavano insieme. 

EZIO – L’unità ci infondeva coraggio. Mi preme ancora rievocare Alfredo che modulava le parole come canto rinascimentale. Lui che imparò a leggere sui versi de “La Gerusalemme Liberata” e dell’”Orlando Furioso” mentre sulle montagne di Filettino badava al gregge o quando nella transumanza, lungo il tratturo del Gargano, conduceva le mandrie. Nella sua bisaccia, pane, companatico e libro. Dalla sua figura traspariva una sapienza omerica; barattava pelli d’agnello con libri cedutigli dai pellai. 

GIANFRANCO – La curiosità era la nostra vela e quel vento libero ci spingeva verso “il mistero della vita”. Clamorosa fu la serata del sabato Santo, quando con azione repentina aiutammo dei bisognosi o quando andammo a cogliere anemoni per distribuirli all’uscita della messa.  

EZIO – Certo e ci fu anche l’incontro con un povero delle baracche dell’acquedotto Felice di Roma che ci parlò dell’esperienza di Don Roberto Sardelli e “della scuola 725” sul recupero dei ragazzi disagiati della suburra. Precedentemente in “Lettera a una Professoressa” la denuncia verso la scuola che escludeva gli alunni: l’esperienza di Barbiana di Don Milani raccontata dai suoi ragazzi.  Gli offrimmo il pranzo con i pochi soldi della “comune”. 

GIANFRANCO – Obiettivo la conoscenza. Studiare, conoscere con impegno partecipato, entusiasta. Dalla nostra parte avevamo la cultura degli oratori e il metodo degli insegnamenti di S. Filippo Neri, di S. Giovanni Bosco. 

EZIO – Possedevamo una marcia in più e fu così che con Don Gino e altri organizzammo 2anni di Scuola Media serale gratuita per adulti presso i locali di un piccolo istituto di campagna alle 4° miglia di Velletri, eravamo tutti volontari (1970). Mi preme ricordare alcuni di noi, Giuliana, Eliana, Dario. Fu il nostro battesimo all’insegnamento. Un’ impresa memorabile; gli esami in una delle sedi più tradizionali della città. Il primo anno li preparammo alla prima e seconda media, con esame finale.  Il secondo anno alla terza.  Tutti furono “Licenziati”. 

GIANFRANCO – In seguito i sindacati istituirono corsi studio di 150 ore. 

EZIO - Eravamo attenti alle necessità, anticipavamo i tempi.  Un po’ profeti, un po’ veggenti sicuramente combattenti con la voglia di costruire, di esserci. La riflessione biblica ci aiutava a intuire i fini.  Nel nostro circolo, il S. Filippo Neri, con Don Gino da ottobre si ragionava sul tema conduttore del Presepio di Natale. Poi le idee si traducevano in scenografia e ai primi di dicembre iniziavamo la realizzazione dello stesso. Anche lì concepimmo immagini d’avanguardia. Il primo contro la guerra fu tratto da brani del Vangelo: Isaia, Giovan Battista, Gesù. Avevamo negli occhi le immagini del conflitto nel Vietnam. L’anno successivo approfondimmo il tema del mistero dell’Incarnazione di Cristo con al centro, la Maternità di Maria. Maria madre che allatta il figlio. L’umana donna che nutre il Divino, che lo fa crescere. Nell’iconografia cristiana era rappresentata dalla Madonna del latte. Per l’evento fu realizzata una statua della Sacra Famiglia ad altezza naturale, con Giuseppe che si protende a proteggerli. 

GIANFRANCO - In quel periodo, fondamentale fu l’esperienza del teatro. Stimolante la rappresentazione nella Chiesa di San Clemente di un passo del Vangelo “La guarigione del cieco nato” organizzata insieme al preside Cavallo. L’azione scenica avveniva nei banchi, tra i fedeli, nel transetto, dal pulpito, dalla cripta. I fedeli sorpresi dall’improvviso cambio di punto di vista muovevano la testa ora qua, ora là colti dai repentini movimenti, dalle frasi scandite, dalla musica. Inusuale per il periodo. Poi l’impegno Universitario.  La mia strada proseguì con la scelta della facoltà di Scienze Politiche dove fui studente del maestro Aldo Moro apprendendo e studiando l’insegnamento morale, civile, sociale delle sue idee che si esprimevamo anche con ricerche sul campo. Seguirono sopralluoghi nei centri di detenzione del territorio. Drammatica la visita al manicomio criminale di Aversa dove, dopo vari incontri, obbligammo la direzione ad aprire i reparti sotterranei in cui trovammo uomini sporchi e malnutriti legati ai letti di contenzione. Pieno di tensione lo scontro con il Direttore. L’allora Ministro Aldo Moro prese provvedimenti clamorosi. Il responsabile carcerario travolto dallo scandalo non resse agli eventi. Allo statista che aveva compreso l’esigenza di trasformazione dal passato per attuare una società basata su autentici valori cristiani di fratellanza, eguaglianza e libertà e che si proponeva di coinvolgere più forze sociali, anche non cattoliche, non fu concessa la realizzazione del suo progetto politico, venne barbaramente ucciso dalle B.R.. 

L’On. Prof. Aldo Moro fra gli studenti del Corso di Scienze Politiche. Università La Sapienza Roma.
(Foto inedita: arch.v C. Filettino)

EZIO – Triste e dolorosa la fine dell’uomo che in una delle sue ultime lettere previde anche la confusa situazione odierna. Intanto le nostre strade iniziarono a dividersi presi dall’incarico politico, tu come Sindaco a Filettino ed io come Assessore a Cori. 

GIANFRANCO – Fu la logica conseguenza ai nostri impegni. Oggi, in un mondo sempre più complesso assistiamo all’ impoverimento del linguaggio. È la dialettica di chi tiene il potere della parola e la strumentalizza per mantenere nell’ignoranza la gente. Moro lo scrisse dalla “prigione del popolo”. Ezio, ti cimentasti anche in Cori nella realizzazione di un ‘Presepio Vivente’, una drammatizzazione biblica che aveva come tema centrale il concetto di: “La Terra è di Dio”. 

EZIO – Vero, i ragazzi provavano le battute in piazza, sopra gli “astrechigli”, tipiche scale esterne con ballatoio, al mercato; il contatto con pubblico eterogeneo gli permise di superare blocchi interiori. Fu una spettacolazione straordinaria e i contadini vi riconobbero “la loro storia”. Recitando, imparavano in modo diverso. Rammento che con Domenico, studente di 3° Media, organizzammo anche “I Focuni” tradizione locale desueta in cui le persone, per la festa dell’Ascensione, ballavano, cantavano e facevano grandi salti su “enormi” falò. I ricordi furono ampliati sul testo di James Frazer, “Il Ramo D’oro”.  Riuscì molto bene e la gente rivisse quella pagina dimenticata. Domenico continuò i suoi studi, lo rincontrai Direttore del Museo di Cori. 

GIANFRANCO - Ah, a proposito, sai chi capì e apprezzò le tue scelte? Non lo crederai. L’ho saputo da Gianni Mattiacci che partecipò ad una riunione in cui Don Luigi Nardini parroco di S. Pietro e Paolo a Cori Monte si espresse positivamente sulle tue attività.  Ammirava i “Campi Scuola” e ciò che organizzavi nell’interesse dei ragazzi, a suo dire eri la quarta gamba della Chiesa nel contrasto alla droga e al disagio giovanile che iniziava a radicarsi nel paese. 

EZIO – Ne sono lusingato, non immaginavo.  Chi sembrava nemico era in realtà amico e chi era amico…mah la vita, un mistero. Grazie Gianfranco per la tua collaborazione e disponibilità, a presto.

Scritto da Ezio Cecinelli  - Pubblicato sul numero 7 del 2021 del "Il Corace"

IL PICCOLO PADRE, DONEHOGAWA DEGLI IROCHESI

Nel 1868, i capi indiani delle nazioni Sioux, Cheyenne settentrionali e Brulè Lakota, che risiedevano nella valle del fiume Platte (nello stato dell'odierno Nebraska), avevano firmato un trattato di pace con il governo degli Stati Uniti dopo aver vinto una dura guerra. Nel trattato veniva concordato che i forti militari in quel territorio sarebbero stati dismessi, ma che le tribù Sioux stanziate in quei luoghi avrebbero dovuto trasferirsi a 500 km da lì, sul fiume Missouri, presso la loro agenzia commerciale. Tuttavia il capo dei Sioux Nuvola Rossa aveva firmato un altro accordo, o meglio, gli interpreti gli avevano fatto credere che nel documento sottoscritto fosse inteso che la sua tribù avrebbe potuto commerciare con l'agenzia situata a Laramie, nel suo territorio, esattamente come egli stesso aveva richiesto. Dopo che ebbe, con una dimostrazione di forza, ottenuto il permesso di commerciare comunque a Fort Laramie per quella stagione, seppe che i più miti Brulè di Coda Chiazzata avevano acconsentito a trasferirsi sul Missouri. Giunse notizia in quei giorni, inoltre, di un massacro di Piedi Neri nel territorio del Montana, tenuto nascosto dall'esercito statunitense. 

Nonostante i Piedi Neri fossero nemici dei Sioux, la notizia di un gratuito attacco ad un insediamento indiano metteva in agitazione tutte le tribù, e presto la situazione sarebbe divenuta incandescente nell'ovest. Fortunatamente, nel 1869 venne eletto presidente degli USA Ulysses Grant, l'eroe della Guerra Civile, che da lungo tempo era amico di un Irochese, Donehogawa. Questi aveva cambiato il suo nome in Ely Parker, dopo aver vissuto un'intera giovinezza di discriminazioni a causa del suo nome indiano. La sua grande esperienza di ingegnere civile e la sua padronanza dell'inglese scritto (aveva inutilmente tentato di iscriversi all'ordine degli avvocati di New York, respinto perché nonostante il nome inglese aveva la “pelle rossa”), gli consentirono di servire nell'esercito unionista proprio al fianco del suo amico Grant, e di redigere di suo stesso pugno il trattato di pace dopo la vittoria sul generale confederato Lee. Lo stesso Grant poi, una volta presidente, pensò che fosse più utile avere come Commissario agli Affari indiani un indiano appunto, piuttosto che un bianco che non capiva i sentimenti e le ragioni di quei popoli. E così si sparse la voce che, come a Washington esisteva un Grande Padre (il presidente USA per i nativi), ora esisteva anche un Piccolo Padre solo per gli indiani. 

Ely Parker (Donehogawa)

La notizia giunse entusiasticamente alle orecchie delle tribù nell'ovest, ma Nuvola Rossa era titubante. E quando la verità sul massacro dei Piedi Neri arrivò anche nell'ufficio del nuovo Commissario agli Affari indiani, Parker prese subito in mano la situazione e, per spegnere l'incendio sul nascere, invitò a Washington Nuvola Rossa affinché parlasse allo stesso Grant e gli mostrasse le sue rivendicazioni. Nuvola Rossa accettò con riluttanza (e qui si potrebbe aprire un altro intero capitolo sul viaggio di questi indigeni verso l'Est civilizzato e industrializzato, i quali utilizzarono il loro grande nemico “il cavallo di ferro”, come essi chiamavano il treno, che li portò in grandi metropoli dal nome indiano come Omaha o Chicago, che di indiano però non avevano nulla; sulla loro diffidenza verso le usanze bianche, verso i loro vestiti “stretti e scomodi”; sull'impressione che fecero loro le mille candele accese nella sala del ricevimento e dei palazzi che toccavano il cielo). Una volta a Washington, il capo dei Sioux incontrò di persona Parker, e allora credette che il Grande Spirito aveva realmente concesso a un indiano la capacità di leggere e scrivere in inglese. 

All'incontro con il Consiglio organizzato per discutere le richieste di Nuvola Rossa partecipò anche Coda Chiazzata, capo dei Brulè, che da buongustaio osservò con ironia che le prelibatezze servitegli nella “casa del Grande Padre” non assomigliavano affatto alla robaccia che veniva inviata loro nell'ovest. Fu letto e discusso ciò che era scritto nel trattato originale del 1868, nel quale effettivamente si prevedeva lo spostamento dei Sioux sulle rive del Missouri. Nuvola Rossa contestò quel contenuto, affermando che fosse la prima volta che sentiva tali cose. Dopo una lunga discussione e un toccante e profondo discorso del capo Sioux, nel quale rivendicava l'appartenenza del suo popolo alla sua terra e raccontava della miseria che si era riversata sui Brulè che si erano trasferiti a est sul Missouri, la sessione terminò, con nessuna promessa da parte dei funzionari bianchi. Il giorno dopo, grazie all'ottima azione diplomatica di Parker che mediò le parti, si raggiunse un nuovo accordo e si evitò un'altra inutile guerra: i Sioux avrebbero avuto un'agenzia commerciale a circa 50 km dal loro insediamento sul Platte. Nuvola Rossa poté ripartire per l'ovest con una mezza vittoria per il suo popolo, più di quanto una guerra gli avrebbe concesso e meno di quanto una guerra sarebbe costata ai bianchi: <<Quando giunsi a Washington, il Grande Padre mi spiegò cosa prevedeva il trattato, e mi fece capire che gli interpreti mi avevano ingannato. Tutto ciò che voglio è giusto ed equo. Ho cercato di ottenere dal Grande Padre ciò che è giusto ed equo. Non ci sono riuscito del tutto>>. Parker, nonostante avesse avuto la forza e la scaltrezza di far ragionare e scendere a trattative due popoli cocciuti come gli indiani e gli statunitensi, uscì da quell'incontro con la carriera finita. Fu  processato per frode per aver mandato provviste agli indiani prima dell'uscita del bando ufficiale a un prezzo di comodo, allo scopo di placare l'aria di rivolta nell'ovest (non solo venne assolto dalla corte, ma il suo operato fu osannato dai giudici); fu ostracizzato dai suoi avversari politici, colpiti nei loro affari dalle sue riforme a favore dei popoli indigeni; ma soprattutto fu isolato dal mancato supporto dei suoi alleati al Campidoglio nel momento del bisogno. 

Era solo “un indiano appena uscito dalla barbarie” dopotutto. Fu un abile diplomatico, Donehogawa, che per la prima volta nella storia riuscì a imporre le ragioni indiane sul governo americano; portò una delegazione di nativi a Washington, a parlamentare direttamente con il presidente e impedì una ennesima azione militare dettata dalla politica bellicista dei generali di stanza nell'ovest. Si ritirò dalla vita pubblica, divenne un ricco uomo d'affari della costa est, si spogliò di Parker e rimase Donehogawa, uomo degli Irochesi.

Scritto da Matteo D'Achille - Pubblicato sul numero 7 del 2021 del "Il Corace"

TRITTICO DELL'ASSURDO

Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce. Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino, per amore del suo nome. Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza. Davanti a me tu prepari una mensa sotto gli occhi dei miei nemici; cospargi di olio il mio capo. Il mio calice trabocca. Felicità e grazia mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita, e abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni. 

Del Salmo 23 della Bibbia, Bergson sosteneva che la lettura gli procurasse molta più speranza che non centinaia di altri libri letti nella sua vita. E a quel salmo si appella in una scena il protagonista del film “The Elephant Man”, di David Lynch, ossia il deforme Joseph Merrick, ribattezzato dai più “l’uomo elefante”, per via dell’aspetto del suo volto che è costretto a coprire indossando un sacco bucato cucito a sua volta a un cappello. Il suo caso è preso a cuore dalla Regina Vittoria e dall’alta borghesia, per via del carattere sensibile e sofisticato di Merrick. 

Tuttavia queste differenze non bastano in realtà a tramutarlo in un essere umano quale lui rivendica di essere. Sia nei buoni salotti che nei bassi vicoli dell’alcool e della prostituzione, egli viene sempre considerato un fenomeno da baraccone, alla stregua di un animale da circo da mostrare. Lasciamo un attimo in sospeso il destino di Merrick nel film del 1980 e spostiamoci su un’altra vicenda altrettanto assurda nella sua verità. È il caso di Big Mary, un’elefantessa indiana di 5 tonnellate uccisa il 13 settembre del 1916 a Erwin, nel Tennessee. Il singolare caso ha la sua genesi nella sera precedente la morte del pachiderma. Red Eldridge, un giovane operaio del circo, vedendo che l’elefante si attarda nel raccogliere una fetta di cocomero da terra, lo pungola, a detta di alcuni testimoni, con un gancio. Big Mary, infuriata, lo afferra con la proboscide e lo scaglia poco lontano, quindi lo raggiunge e con una zampa gli schiaccia la testa: così riportano le cronache dell’epoca. Il fatto è sulle bocche di tutti e, malgrado i tentativi di cambiare nome all’elefante per nasconderlo all’opinione pubblica, i giornali la ribattezzarono Mary l’Omicida. Il proprietario del circo si vede costretto ad abbatterla. Si pensano a metodi come avvelenamento, elettrocuzione, ma nel Tennessee all’epoca mancava sufficiente elettricità per uccidere un elefante. Si opta infine per l’impiccagione, ricorrendo a una gru e a una catena e fallendo il primo tentativo che costò a Big Mary la rottura dell’anca. 


Di questa storia resta una macabra foto e forse il fossile ricordo di Big Mary seppellita accanto ai binari nei pressi della ferrovia di Clinchfield. Torniamo alla finzione del film di Lynch “The Elephant Man”: il deforme Merrick, così incompreso e non accettato dalla società, decide infine di suicidarsi soffocando nella notte. Sarà infine la madre, nell’ultima scena, ad accogliere la sua anima citando il monologo del poeta Tennyson “Niente muore”. L’ultimo tassello di assurdità è però recente: è il 27 luglio 2016. Nello zoo di rabat in Marocco un elefante scaglia una pietra in aria. La parabola fatale termina sulla testa di una bimba di 7 anni sulle spalle del padre, una famiglia in visita allo zoo. Né i visitatori, né l’elefante sembrano aver commesso alcuna violazione dei rispettivi spazi. Salvo la tragica e assurda fatalità del tutto che non conosce né regole né spazi, e questa puntata è dedicata a quella bimba che non sapremo mai quale splendida persona sarebbe potuta diventare.

Scritto da Fabio Appetito - Pubblicato sul numero 7 del 2021 del "Il Corace"

GESTIONE BIBLIOTECA E ARCHIVIO STORICO DI CORI, AVVISO BOCCIATO DA AIB

“Risus abundat in ore stultorum” . Così Umberto Eco, nel Nome della Rosa, ci ricorda che l’accesso ai libri, spesso non è ben visto dal potere! In particolare il romanzo di Eco rimanda metaforicamente al secondo libro della Poetica di Aristotele, dedicato alla Commedia e quindi al “riso” (volume che, se mai sia esistito, non ci è pervenuto) che esalterebbe il potere eversivo del “ridere”, potere che nella trama del romanzo, era inviso alla Chiesa perché l’irrisione può scardinare qualsiasi potere!!! Così la Biblioteca Civica Elio Filippo Accrocca e l’Archivio storico Pierluigi De Rossi di Cori sono chiusi da più di un anno. Di certo colpa del Covid!!!! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! (ridiamo!). 

Biblioteca civica di Cori

Però, con Determinazione n. 490 dell’8 giugno 2021, la Responsabile dell’Area Cultura e Servizi Sociali del comune di Cori, dott.ssa Elena Merluzzi, ha pubblicato l’avviso per la procedura comparativa rivolta ad organizzazioni di volontariato e di promozione sociale per stipulare una convenzione per la gestione della Biblioteca e dell’Archivio Comunale. L’avviso pubblico prevede che la gestione sia affidata per tre anni con contributo annuo di Euro 30.000 per un totale di ben € 90.000,00. Nell’avviso è aperto solamente ad associazioni di volontariato o di promozione sociale, quindi esclude cooperative, associazioni culturali, etc. Per giustificare questa scelta viene usato l’art. 56 del D. Lgs n. 117/2017 che recita: “le amministrazioni pubbliche possono sottoscrivere con le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale, iscritte da almeno sei mesi nel Registro unico nazionale del Terzo Settore, convenzioni finalizzate allo svolgimento in favore di terzi di attività o servizi sociali di interesse generale, se più favorevoli rispetto al ricorso del mercato”. Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! (ridiamo!). 

Il 3 agosto 2021 , l’AIB – Associazione Italiana Biblioteche – la principale associazione di rappresentanza professionale in ogni ambito culturale, scientifico, tecnico, giuridico e legislativo, per tutto quanto può concernere l’esercizio della professione bibliotecaria e l’organizzazione dei servizi bibliotecari e di documentazione, indirizza una lettera al Settore Cultura del Comune di Cori, alla senatrice Margherita Corrado che fa parte della Commissione permanente Istruzione pubblica e beni culturali e all’ANAC. In questa lettera l’AIB prende in esame il bando del comune di Cori e sottolinea che l’art. 56 del D.Lgs n. 117/2017, invocato per assegnare la gestione della biblioteca e dell’archivio storico SOLO ad associazioni di volontariato, non PUÒ ESSERE APPLICATO perché “non corrisponde alla specificità tecnica del servizio di biblioteca di ente locale, in quanto servizio pubblico di tipo culturale rivolto all’intera popolazione e non un servizio sociale a favore di terzi”. Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! (ridiamo!). 

Inoltre l’AIB rileva che l’avviso è stato scritto ad arte, in quanto non richiede i requisiti di professionalità indicati nel D.M. 244/2019 (Procedura per la formazione degli elenchi nazionali di archeologi, archivisti, bibliotecari, …. in possesso dei requisiti individuati ai sensi della legge 22 luglio 2014, n. 110” e nel Codice dei beni culturali, art. 9-bis per la gestione di biblioteche, secondo cui “gli interventi operativi di tutela, protezione e conservazione dei beni culturali nonché quelli relativi alla valorizzazione e alla fruizione dei beni stessi, …., sono affidati alla responsabilità e all’attuazione, secondo le rispettive competenze, di archeologi, archivisti, bibliotecari,_…. _in possesso di adeguata formazione ed esperienza professionale”. Secondo il Settore Cultura del Comune di Cori, invece, per gestire una biblioteca ed un archivio storico basta essere volontari e avere un’adeguata attitudine a … che cosa? In buona sostanza, sottolinea l’AIB, ma anche la legge, “il ricorso al volontariato nell’ambito della gestione delle biblioteche dovrebbe rispondere a requisiti di complementarietà rispetto a una gestione professionale dei servizi”, e “anche nel caso in cui si ammettesse l’affidamento in gestione dei servizi oggetto del presente bando a enti del terzo settore, questi dovrebbero assicurare una giusta remunerazione ai professionisti reclutati a tal fine, non senza averne prima valutato il curriculum”. 

Insomma, si potrebbe dare in gestione biblioteca ed archivio ad un’associazione di volontariato che, come dice la parola stessa è composta da volontari che NON POSSONO ESSERE PAGATI, ma possono ricevere SOLO rimborsi spese. Rimborsi spese per € 90.000,00????? L’associazione di volontariato dovrebbe comunque assumere dei professionisti da retribuire in modo adeguato. Allora perché il bando non si rivolge direttamente a professionisti? Invece di cercare un’associazione che fa da intermediario? Ora, tutti i cittadini di Cori, gli studiosi che hanno fatto accesso alla Biblioteca Civica Elio Filippo Accrocca ed all’Archivio Storico, sanno che le due istituzioni sono state per anni fiore all’occhiello del comune di Cori nel panorama provinciale e non solo. Ma ci chiediamo: perché il bando è stato scritto così? Per incompetenza del responsabile del settore cultura del comune? Per favorire qualche associazione di volontariato o APS amica con € 90.000 a fronte di attività di volontariato? Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! (ridiamo!). Ci auguriamo che il Sindaco tenga conto delle severe osservazioni dell’AIB, e che non ci sia quindi bisogno dell’intervento della Commissione e permanente Istruzione pubblica e beni culturali e dell’ANAC.

Pubblicato sul numero 7 del 2021 del "Il Corace"

I BORGHI PIU' BELLI D'ITALIA, UN CLUB ESCLUSIVO!

Cari lettori, siamo quasi nel mese di ottobre, l’estate volge al termine, inizia una nuova stagione di letture qui sul Corace, e quest’anno vorrei iniziare con un articolo che vi porti alla scoperta dei borghi più belli d’Italia, o meglio al processo ed ai requisiti che un borgo deve avere per entrare in questo prestigioso club. Durante l’estate passata, sicuramente molti di voi che hanno avuto un momento libero, per una vacanza o semplicemente per una passeggiata in qualche bella località italiana, avranno visitato un borgo, nel quale al suo ingresso c’era un cartello con un logo rosso e con scritto “I Borghi più belli d’Italia”. 

L’insegna I Borghi più belli d’Italia - Foto di Fernando Bernardi

Cosa significa, perché alcuni borghi possono vantare tale riconoscimento? Innanzitutto l’Associazione de I Borghi più belli d’Italia su impulso della Consulta del Turismo dell’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (ANCI), nasce nel marzo del 2001. Lo scopo di questa Associazione è l’esigenza di valorizzare il grande patrimonio di storia, arte, cultura, ambiente e tradizioni presente nei piccoli centri italiani che sono, per la grande parte, emarginati dai flussi dei visitatori e dei turisti. Centinaia di piccoli “borghi d’Italia” rischiano lo spopolamento ed il conseguente degrado a causa di una situazione di marginalità rispetto agli interessi economici che gravitano intorno al movimento turistico e commerciale. 

Quindi l’Associazione si prefigge di garantire, attraverso la tutela, il recupero e la valorizzazione, il mantenimento di un patrimonio di monumenti e di memorie che altrimenti andrebbe irrimediabilmente perduto, e riportare sempre più numerose persone, a vivere nei piccoli centri storici ed i visitatori che sono interessati a conoscerli, dove possano trovare quelle atmosfere, quegli odori e quei sapori che fanno diventare “la tipicità” un modello di vita che vale la pena di “gustare” con tutti i sensi. Pensate che nella nostra provincia, gli unici comuni che possono vantare di questo riconoscimento sono San Felice Circeo, Sperlonga e Gaeta Medievale. Molti di voi si staranno chiedendo, eppure ci sono borghi altrettanto belli se non più belli che abbiamo qui nelle nostre zone, come mai non sono in questa lista? Perché devono rispettare dei “severi” requisiti, che possono portare all’ammissione, come all’ esclusione, infatti la lista può cambiare nel corso degli anni. 

Quando un comune fa richiesta per entrare in questo circuito, un Comitato Scientifico composto da diversi esperti del settore, nel sopralluogo di un borgo, si attiene a questi parametri: avere una popolazione che nel Borgo antico o Centro Storico del Comune o nella Frazione indicata non superi i duemila abitanti; nel Comune non si possono superare i 15.000 abitanti (+ il 10% su valutazione del Comitato Scientifico); il Borgo deve avere una presenza di almeno il 70% di edifici storici anteriore al 1939; deve possedere una elevata qualità urbanistica ovvero, qualità degli accessi al Borgo, compattezza e omogeneità della massa costruita, preservazione del legame tra microsistema urbano storicamente determinato e ambiente naturale circostante; un elevata qualità architettonica, con armonia dei volumi costruiti, armonia e omogeneità dei materiali delle facciate e dei tetti, dei colori delle facciate, delle aperture (portoni, finestre, porte, luci…), presenza di elementi decorativi simbolici come frontoni, insegne, stucchi… 

Il centro storico di Vitorchiano - Foto di Fernando Bernardi

A questi requisiti prettamente estetici poi si aggiungono quelli delle politiche e di valorizzazione, sviluppo, promozione e animazione del proprio patrimonio e tra queste la chiusura permanente o temporanea del borgo alla circolazione veicolare, organizzazione di parcheggi esterni, trattamento estetico ovvero mimetizzazione delle linee elettriche e telefoniche, e dei servizi di rete, rinnovamento e abbellimento facciate, arredo urbano con studio particolare dell’illuminazione pubblica, delle insegne pubblicitarie, degli spazi pubblici e della cura del verde pubblico. Poi requisiti inerenti lo sviluppo ovvero, conoscenza della frequentazione turistica, di un offerta di alloggio, ristorazione e attività ludiche, sportive e culturali, esistenza di artigiani d’arte o servizi, promozione con un punto informativo, organizzazione di visite guidate, esistenza di una segnaletica direzionale informativa, edizioni di guide o opuscoli promozionali, siti web e strumenti di comunicazione anche in forma digitale. Infine l’animazione con esistenza di spazi e strutture per le feste al coperto o all’aperto, organizzazione di eventi originali e di qualità, di manifestazioni permanenti o temporanee. Insomma abbiamo visto i parametri più importanti che ogni Comune deve avere per essere ammesso alla selezione. 

Ho profonda ammirazione verso in primis i cittadini che abitano questi borghi, per la cura che hanno del verde e dei loro spazi in generale, e delle amministrazioni comunali che continuano far diventare realtà questi progetti importanti, valorizzando questi luoghi ed a credere nel concetto di bello e vivibilità. Nel visitare durante l’estate alcuni borghi della regione Marche ed Abruzzo che sono tra I Borghi più belli d’Italia, sono partito da qualche giorno alla scoperta dei 22 borghi selezionati nella regione Lazio, tutti estremamente bellissimi, con caratteristiche simili, ma con storie e tradizioni diverse. Se siete curiosi ogni giovedì sui miei profili social Instagram e Facebook (kaiserfernando), ve li farò scoprire, anche se visitarli fisicamente, sarà per voi la vera scoperta. Si inizia giovedì 23 settembre con Vitorchiano!

Scritto da Fernando Bernardi - Pubblicato sul numero 7 del 2021 del "Il Corace"

martedì 5 ottobre 2021

IL BAMBINO E IL PENSIERO SCIENTIFICO

La presenza della scienza e della tecnologia nel mondo di oggi rendono attuale la questione dell’educazione scientifica. Già 100 anni fa, in Francia e Germania si poneva il problema. In Francia nel 1882 entra in vigore una legge che rende obbligatoria nell’istruzione infantile, sia maschile che femminile, l’educazione alle scienze fisiche, matematiche e naturali. La scuola primaria si sarebbe così avvicinata alla secondaria in cui le scienze erano più importanti delle lettere. Doppio fine: scienze avrebbero esplicitato carattere laico dell’istruzione promuovendo libertà di pensiero e avrebbero formato persone capaci di lavorare e costruire lo sviluppo industriale ed economico. Oggi il secondo fine ha preso il sopravvento, tuttavia non c’è più entusiasmo per ciò che riguarda le materie scientifiche, la causa è l’ostilità nei confronti delle scienze e della matematica, soprattutto da parte del sesso femminile. Gli studi avanzati nel settore scientifico sono in crisi, sempre meno iscritti nel settore STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics). Il problema però è molto maggiore nei paesi occidentali, in Russia, India e Cina il problema sembra non esistere, dando loro un netto vantaggio competitivo rispetto all’Europa e agli USA. Tutti quindi, per un aspetto o per l’altro, investono per incoraggiare i giovani a scegliere di proseguire gli studi nel campo scientifico. 


Vengono scelte tre strade attuate già nella primaria, poiché lì avviene il primo incontro vero e proprio con i numeri: sviluppare metodi di valutazione oggettiva per poter confrontarsi a livello internazionale, motivare gli studenti a migliorare il loro atteggiamento nei confronti delle scienze e lo si fa attraverso mostre, festival, gare, eventi, infine innovare il modo in cui si propone la scienza a scuola. La scienza, da tradizione, è sempre stata parte integrante degli studi umanistici, faceva infatti parte della filosofia, sia nel mondo greco che in quello ebraico-cristiano, viene separata dal sapere letterario solo alla fine del 1800, prima faceva parte della paideia, cioè dell’ideale formativo e culturale umanistico fondamentale. Questo ideale ha il merito di aver fatto sviluppare la scienza come la conosciamo oggi attraverso la Rivoluzione scientifica e di aver agevolato il passaggio dalla tecnica alla tecnologia, la capacità quindi di progettare macchie, sistemi e strutture sfruttando le conoscenze chimiche e fisiche. Nella scuola primaria si impara a far di conto, oltre che a scrivere e leggere, ma proprio l’alfabetizzazione numerica rappresenta un tasto dolente per molti paesi. I ragazzi cominciano a collezionare fallimenti e paure con tutti gli inevitabili errori in cui incorrono dovendosi districare tra formule e simboli. Già in Grecia, nel VI sec a.C., si insegnava ai bambini a numerare, così come a Roma, era l’inizio dell’istruzione minima per la vita di tutti i giorni, solo in seguito gli educatori si sarebbero preoccupati di insegnare la grammatica e l’oratoria. A Roma molti andavano da un maestro di calcolo, poiché ai funzionari di stato si richiedeva la padronanza di operazioni e proporzioni. In Grecia e a Roma i numeri erano riportati con lettere, nei paesi islamici invece si numerava usando cifre indiane, con solo 9 simboli più lo zero si poteva scrivere qualsiasi numero. Fibonacci viene a conoscenza del sistema arabo grazie a un trattato tradotto in latino e si rende conto dell’importanza pratica che questa tecnica di scrittura avrebbe avuto. Le città italiane del 1200 erano in pieno sviluppo economico, c’era bisogno di un metodo puntuale per tenere i conti, e fondarono scuole di calcolo. 

In queste scuole si affrontavano anche compiti pratici, ciò che poteva essere utile nella vita di ogni giorno e le cose che venivano insegnate sono le stesse che si insegnano oggi ai bambini in tutto il mondo. I maestri perfezionarono la tecnica di insegnamento, dai problemi più semplici a quelli più difficile, crearono dei manuali che con l’avvento della stampa furono stampati, questi però erano rivolti agli adulti e solo in seguito vennero creati manuali per allievi ancora giovani. Nel 1600 gli istituti religiosi inclusero il far di conto agli insegnamenti. Leggere, scrivere e far di conto diventano gli strumenti di emancipazione delle classi popolari. Alla fine del 1700 l’Assemblea nazionale della Francia rivoluzionaria presentò il primo progetto di istruzione pubblica in un paese europeo inserendo anche un programma di aritmetica volto all’emancipazione della classe povera. Nel 1800 la matematica teorica prende il sopravvento, si voleva trasmettere il gusto per la ricerca, in Francia chi si dedicava alla filosofia naturale godeva di grande considerazione ed era chiamato savant (saggio), in seguito si coniò il termine scienziato. Verso la fine del 1700 si inventò una geometria elementare, intuitiva e manuale, basata sul disegno e l’uso di strumenti come riga e compasso, per le scuole popolari. Nel 1835 la geometria viene inserita come insegnamento nella scuola primaria francese. Pestalozzi fu un grande sostenitore della geometria, credeva infatti che i bambini piccoli avessero una forte intuizione per le forme, che poteva essere sviluppata attraverso disegni e piccoli esercizi. In Gran Bretagna ci si approcciò alle scienze in maniera più pratica, il paese era infatti in piena Rivoluzione industriale. Tuttavia, la geometria era percepita come una scienza propria delle classi più abbienti e molti conservatori tentarono di limitarne l’insegnamento. Tuttavia, nel 1882 la spinta innovatrice è quanto mai evidente e si vuole promuovere una scuola laica, in cui le scienze potessero sostituire la religione. Si pone il problema di come insegnare in maniera efficace argomenti che sarebbero potuti risultare difficili per dei bambini. 

L’insegnamento della matematica, che si basava sull’imparare a memoria, senza dare spazio a una reale comprensione, non aveva subito grandi cambiamenti dall’antica Grecia. Nella seconda metà del 1800 la stampa facilitò il rinnovamento dell’insegnamento delle scienze attraverso la pubblicazione di romanzi di fantascienza (Jules Verne), collane di divulgazione scientifica, anche a scopo ricreativo (William Clifford, inglese, scrive un libro sui principi delle scienze matematiche rivolto ai non matematici usando un linguaggio semplice e chiaro) e la nascita della letteratura per l’infanzia, che pone l’accento sulla “lezione delle cose”, il bambino impara facendo, come aveva già sostenuto Rousseau nell’Emilio. Tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900 Laisant farà dell’educazione scientifica ai bambini la sua battaglia, convinto che l’unico modo per riformare la società passasse dalla scuola primaria a cui tutti avevano accesso, i suoi scritti avranno molto successo, pubblicati da Hachette verranno poi tradotti in moltissime lingue. Anche la Montessori propone la matematica ai più̀ piccoli ispirandosi però alle proposte di Séguin (progettazione di materiali come aste o mattoncini del tutto estranei all’uso pratico in modo che i bambini si potessero concentrare su questi). Molte donne scriveranno su come favorire l’apprendimento delle scienze nei bambini come Mary Everest Boole. Il bambino deve fare le sue scoperte in totale autonomia, è bene che i genitori prestabiliscano un luogo in cui il piccolo possa essere libero di sperimentare senza essere disturbato e da solo metta in relazione i vari accadimenti, senza essere suggestionato e condizionato dalle nozioni che l’insegnante o i libri gli hanno inculcato. Le risorse utilizzate devono essere il più lontano possibile dall’idea che si stia facendo qualcosa per l’istruzione del bambino, in modo tale che quest’ultimo possa percepire la scoperta come un gioco. Bisognerebbe lasciare i bambini trascorrere del tempo con persone che per hobby o lavoro hanno a che fare con la scienza, come un fotografo, un collezionista di alghe o insetti, persone che vivono in campagna e anche fabbri e maniscalchi. Per nessuna ragione, durante la contemplazione dei fenomeni o della natura, il bambino deve essere distratto dall’adulto, tanto più se questi vuole fornirgli spiegazione di ciò che sta osservando. 

Un buon libro di testo non dovrebbe dare nulla per scontato, il rischio è la perdita dell’istinto naturale all’osservazione, ma dovrebbe anzi spiegare tutto passo dopo passo. Per quanto riguarda la geometria bisogna far osservare al bambino le forme presenti in natura e solo in seguito raggrupparle e dare loro il nome che verrà poi utilizzato dal maestro. È, inoltre, necessario utilizzare con cura i termini scientifici oppure non utilizzarli affatto. Prima di proporre al bambino, per esempio, di confezionare un vestito per una bambola, il piccolo dovrà aver acquisito in precedenza dimestichezza con le forbici. Le nuove idee devono essere apprese per mezzo di azioni che sono naturali. Allo stesso modo la matematica non dovrà essergli proposta prima che abbia capito che 10 gettoni bianchi possono essere sostituiti da uno rosso o che una lunghezza possa essere divisa in parti minime e parti massime uguali. L’educazione implica l’addestramento dell’alunno, è perciò inevitabile che alcuni lavori diventino meccanici, l’insegnamento però serve a prevenire che la meccanicità diventi un ostacolo per il progresso. La Everest propone di far capire ai bambini il sistema decimale attraverso i gettoni e le scatole, bisognerebbe mettere in ogni scatola 10 gettoni bianchi e poi sostituire le scatole con un gettone rosso, prendere 10 gettoni rossi e sostituirli con uno verde e così via. Sarebbe poi auspicabile che i bambini, fin quando non abbiano capito e reso meccanico il modo per fare addizioni e sottrazioni, utilizzassero i gettoni per aiutarsi per un periodo di tempo ragionevole. Le tabelline vanno fatte imparare alla vecchia maniera, ma dev’essere il bambino a scriverle e a impararle su ciò che ha scritto. Quando avrà capito le tabelline si potrà dare al bambino la tavola dei logaritmi. I bambini piccoli, non appena sono in grado di afferrare gli oggetti, devono poter giocare con forme geometriche appositamente create, bisogna che prendano confidenza con le forme perché la geometria diventi per loro semplice. Si dovrebbe fare utilizzo, nell’insegnamento, dello studio delle ombre per quanto riguarda la geometria. Perché i bambini abbiano una relazione positiva con le scienze e perché le possano davvero capire è necessario che non si pongano loro limiti e soprattutto che non si rimproverino ogni volta che fanno domande. Si deve insegnare ai bambini la concentrazione e ciò si può fare intorno ai 2-3 anni, chiedendo al piccolo di recapitare oralmente un messaggio; bisogna fargli cessare l’attività che sta facendo, chiedergli se gli va di portare un messaggio da parte vostra e riferirgli la breve frase che deve riportare, fargliela ripetere e dirgli di non distrarsi mentre va dal destinatario perché potrebbe scordare qualcosa. 

Quando torna, dopo essersi accertati che il messaggio sia stato recapitato correttamente, altrimenti si deve chiedere al bambino di riprovare, gli si può dire di ritornare al gioco che stava facendo precedentemente. Ciò deve diventare routine, perché il bambino si abitui a compiere correttamente un dovere e si deve poi chiedergli di fare un resoconto orale sulle sue azioni, in modo che si abitui alla concatenazione delle azioni e all’esposizione orale. Non è tanto la lezione frontale quanto il dogmatismo scientifico oggi proposto nelle aule ad essere dannoso per i bambini. La concezione che i bambini debbano imparare da soli è del tutto errata, come anche la Everest sosteneva, nessuno può infatti imparare da solo tutto ciò che c’è da sapere, ma ha bisogno di qualcuno che lo indirizzi e che si tenga costantemente aggiornato. L’insegnante guida la riflessione del bambino, la sintesi e il silenzio necessari perché quanto osservato sia appreso. Per la Everest, attraverso ago, filo e cartoncino forato, si possono presentare ai bambini argomenti molto avanzati, senza però dargliene un insegnamento formale, in questo modo si preparano ad affrontare ciò che sarà lo studio futuro di rette e tangenti. Il metodo è stato proposto in una quinta di una scuola primaria di Frascati, ogni argomento veniva introdotto da una favola che aveva il compito di far immedesimare i bambini. Esempio del coniglio, del cane e della tana: il coniglio mangia vicino alla tana, il cane lo vede e vuole mangiarlo, quali sono i movimenti che compiranno il cane e il coniglio? Quali le distanze che dovranno percorrere? Come viene rappresentato in un disegno il cambio di direzione del cane che segue il coniglio? Si è visto che il cane, nonostante i bimbi avessero disegnato solo linee rette, percorreva una curva; ai bimbi è poi stato chiesto di rappresentare la storia. Viene poi chiesto ai bambini di disegnare delle figure geometriche, segnare dei punti e far passare per questi un ago con un filo colorato, attraverso le linee rette si ottenevano effettivamente curve.


Scritto da Andrea Pontecorvi - Pubblicato sul numero 7 del 2021 del "Il Corace"

RIMEDI ANTI-MOSCA DOPO IL DIMETOATO

bisognerà comunque combattere l’insidioso insetto attuando un tempestivo monitoraggio con eco-trappole e con interventi a base di rame e polveri di roccia come zeolite, bentonite e caolino


La UE, come già noto, con la messa al bando del dimetoato, il cui utilizzo risulta vietato già dalla fine di giugno 2020, la nota arma chimica efficace e più diffusa per contrastare la famigerata mosca olearia non potrà essere, pertanto, più utilizzato come fitofarmaco nei nostri diversi oliveti. Così, alla fine della “carriera” del rinomato insetticida, ufficializzata con regolamento UE, non corrisponde, tuttavia, una nuova vera alternativa o efficace strategia di lotta contro tale temibile insetto per cui gli olivicoltori si trovano disarmati nella lotta al più insidioso nemico, senza una arma collaudata. Infatti, è la situazione di numerosi olivicoltori che, peraltro, come risulta anche da AgroNotizie, hanno partecipato al convegno tecnico organizzato da CIA Imperia nell’ambito di OliOliva laddove hanno potuto ufficialmente apprendere che ormai la lotta contro Bactrocera oleae (il dannoso parassita) non potrà essere più effettuata con il Rogor, così spiega il Presidente Stefano Roggerone: Dovevamo essere più pronti, invece ci ritroviamo senza strumenti. Era un prodotto studiato e collaudato nel tempo (da oltre 50 anni) che praticamente non aveva più segreti ed il suo utilizzo con i dosaggi, le precauzioni ed i tempi di carenza prescritti non davano problemi. Peraltro, nei paesi extra UE questi prodotti verranno, probabilmente, ancora utilizzati. Occorre quindi lavorare per poter impostare un sistema di lotta complessivo, compreso il biologico – spiega invece il tecnico Pasquale Restuccia - con prodotti che siano registrati anche per i nostri oliveti. I principi attivi che rimangono disponibili non sono ben sondati e verificati, non si conosce tra l’altro l’entità del residuo ed a differenza del dimetoato potrebbero risultare anche liposolubili! Attualmente, tuttavia, l’impiego di caolino, di bentonite e di zeoliti sta diventando una pratica ricorrente o consueta poiché oltre a difendere le nostre produzioni olivicole dalla micidiale mosca, favorisce anche l’attività fotosintetica delle piante e la produzione si può addirittura incrementare. La mosca delle olive, come già sappiamo, è il parassita più pericoloso delle produzioni olivicole e danneggia gravemente la quantità e la qualità dell’olio d’oliva prodotto. Le aziende biologiche hanno peraltro pochi strumenti contro questo parassita e sono costantemente alla ricerca di prodotti efficaci e sostenibili; per le aziende convenzionali, inoltre, il divieto suddetto, relativamente all’utilizzo del dimetoato in Europa, ha reso la difesa contro tale insetto comunque più difficile. In questo contesto, dunque, risulta che l’utilizzo di zeoliti, applicati come film di particelle, ha iniziato a prendere “piede”. Poiché il film di particelle copre le foglie, gli organi responsabili degli scambi gassosi, è stato condotto dal CNR anche uno studio sulle risposte delle piante al rivestimento fogliare di zeolite, misurando i tassi di fotosintesi da luglio ad ottobre (raccolta) in due frutteti situati a San Lazzaro di Savena e Montiano, nella Regione Emilia Romagna (Italia), rispettivamente in agricoltura biologica e in quella convenzionale. La risposta delle piante al trattamento fogliare è stata valutata altresì misurando la quantità di olio nelle drupe (cioè delle olive). 

Lo strato di pellicola particellare che ricopre foglie e frutti riduce l’attrattività degli stimoli visivi ed impedisce agli insetti di riconoscere e di trovare le parti della pianta su cui deporre le uova: sono stati determinati anche i composti organici volatili VOC (Volatile Organic Compound) emessi sia dalle foglie che dalle olive che potrebbero agire come favorenti l’ovideposizione. Infine, sono state effettuate analisi chimiche e sensoriali sugli oli di oliva ottenuti. Nel frutteto di San Lazzaro i trattamenti testati sono stati: zeolite naturale (NZ), zeolite naturale arricchita con ammonio (EZ) e Spyntor Fly (SF), un’esca proteica a base di spinosad per combattere l’adulto di B. oleae. Nel frutteto di Montiano i trattamenti sono stati: dimetoato (DM), un insetticida organofosfato, zeolite naturale con una dose ridotta di dimetoato (ZN-DM) e controllo negativo (Test). L’attività fotosintetica delle piante trattate con zeolitite naturale arricchita con ammonio è stata superiore agli altri due trattamenti in tutte le date, mentre nessuna differenza nel tasso fotosintetico è stata trovata tra Spintor Fly e zeolite naturale. Nel frutteto di Montiano una leggera riduzione del tasso di fotosintesi è stata riscontrata solo nelle ultime due date. Risulta pertanto che trattando gli olivi con zeolite arricchita con ammonio è realmente possibile ottenere una buona protezione da un attacco della mosca olearia ed interessanti benefici fisiologici. Si può così sostenere che le polveri di roccia (forse ancora poco conosciute da numerosi agricoltori) trovano un ampio utilizzo in agricoltura, soprattutto in quella biologica, laddove costituiscono anche una valida alternativa ai fitofarmaci (fungicidi ed insetticidi) per l’olivicoltura, per diversi frutteti nonché per coltivazioni orticole. Sembra opportuno precisare che tali differenti polveri (o farine) non sono altro che dei minerali o rocce rese meccanicamente fini e che funzionano come una sorta di ostacolo fisico-meccanico all’azione dannosa di vari pericolosi e nefasti parassiti, senza peraltro provocare effetti negativi collaterali sull’ambiente ed è per questo che risultano utilizzati e apprezzati nell’ottica di una coltivazione naturale e/o sostenibile. Sembra, quindi, realmente importante conoscere, sebbene in maniera sintetica, le più note farine di roccia accreditate ed indicate nell’ambito agricolo e quali siano le possibili e più opportune modalità di impiego per ottenere il massimo tornaconto dai nostri diversificati frutteti biologici oltre che dalle varie coltivazioni orticole

Possiamo così brevemente considerare il caolino, la zeolite e la bentonite che rappresentano le polveri minerali più interessanti oltre che sperimentate e più note. Circa il caolino, infatti, è una polvere d’argilla che sembra stia entrando prepotentemente nella gestione agronomica e fitopatologia degli oliveti, in particolare di quelli biologici, per la lotta contro il micidiale nemico delle nostre diverse olive ovvero la mosca delle olive. Esso, come già accennato, è un minerale di origine sedimentaria che si disperde facilmente nell’acqua, risulta composto soprattutto di alluminio e di silicio, ha l’aspetto di polvere bianca ed è chimicamente inerte. Sospeso nell’acqua ed irrorato sulle piante, il caolino funziona come repellente verso molti parassiti in quanto, una volta che la sospensione si asciuga, forma una patina biancastra uniforme sulla vegetazione tale da rendere più difficoltoso ai parassiti riconoscere la pianta. Comunque, anche se gli insetti la riconoscessero e vi si avvicinassero, i loro movimenti, l’attività trofica e l’ovideposizione ne risulterebbero ostacolati o compromessi e in pratica, pertanto, la loro possibilità di danneggiare risulterà ridotta. I dosaggi di impiego di tale prodotto risultano variabili per cui oscillano da 2 kg a 5 kg di farina di roccia per ogni ettolitro (100 litri di acqua) che, nei casi di piccole superfici o di poche piante da trattare, si traducono in 20-50 grammi per ogni litro d’acqua o, se si preferisce, avendo come riferimento o disponibile una pompa a spalla di capacità media, 300-750 grammi in 15 litri. Sembra peraltro opportuno precisare che la copertura del fogliame con il caolino non impedisce sostanzialmente la fotosintesi clorofilliana, riflette la luce ed offre un ulteriore vantaggio di ridurre la temperatura tra le chiome. 

Tutto questo preserva le piante dall’insolazione eccessiva: un vantaggio che si riscontra, ad esempio, sui peperoni molto soggetti alle scottature da sole e per i quali è possibile usare, a tale scopo, appositamente il caolino. La zeolite, con il cui termine si fa riferimento ad un minerale di origine vulcanica che ha una struttura cristallina e microporosa, è ritenuta anch’essa utile per prevenire i dannosi attacchi della mosca olearia; miscelata con l’acqua e distribuita sulla pianta, determina una barriera protettiva che impedisce al famigerato parassita di attaccare le olive. È composto soprattutto da ossido di silicio e da ossido di alluminio e si estrae dai giacimenti naturali. Di zeoliti ne esistono diverse tipologie e per questo parlandone in generale sarebbe più corretto usare il plurale (vale a dire zeoliti). La caratteristica principale che le accomuna è la presenza di moltissimi spazi vuoti nella struttura granulare e cristallina micro-porosa, che consentono un buono scambio cationico e l’assorbimento di una importante quantità di acqua. Questo aspetto può essere sfruttato, nei trattamenti sulle piante, per ridurre l’umidità presente e per creare un microambiente sfavorevole all’insediarsi di vari patogeni fungini. In pratica il velo d’acqua che resta sulle piante per la pioggia o per la rugiada viene asciugato più rapidamente. Inoltre, le zeoliti favoriscono la cicatrizzazione delle microferite dei vegetali, che sono verosimilmente siti preferenziali di ingresso da parte di molti entità biologiche patogene. Ci sono particolari famiglie di zeoliti chiamate Chabasiti che formano una barriera fisico-meccanica che protegge altresì da vari insetti nocivi; con questi prodotti la protezione delle colture è quindi più ampia e completa. I prodotti commerciali a base di zeoliti, così come la zeolite cubana Solabiol, sono farine di roccia molto micronizzata e pertanto tali da consentire una completa bagnatura delle piante durante la somministrazione o trattamento. I trattamenti normalmente consigliati sono ovviamente liquidi con dosaggi variabili a seconda delle diverse colture; indicativamente le dosi per trattare gli ortaggi sono 0,5-08 hg di farina per 100 litri di acqua. Per le piccole estensioni, come quelle riferite agli orti e frutteti amatoriali, i trattamenti di solito vengono eseguiti con pompe a spalla ed in questo caso è importante premunirsi per l’utilizzo di un certo numero di ugelli metallici, perché le zeoliti possono avere un effetto abrasivo sugli ugelli in plastica per cui possono verosimilmente risultare occlusi. Sembra opportuno evidenziare altresì che, comunque, l’impiego delle zeoliti non si limita solo alla difesa fitosanitaria in quanto risultano valide e utilizzabili anche nella concimazione del suolo, quale fertilizzante minerale naturale, da spargere a manciate nell’orto, nelle buche di trapianto di piante da frutto e nei compost. Le zeoliti, grazie ai loro preziosi micronutrienti (ferro, magnesio, manganese ecc.) concorrono ad una equilibrata riserva di micro-elementi nel suolo, premessa per una opportuna e promettente attività vegetativa e produttiva delle piante coltivate. Le zeoliti,  inoltre, sono anche un potente antimicrobico ed antimicotico naturale ad ampio spettro. Essi agiscono sulle diverse ferite, contro alcuni batteri e/o virus. In generale, le zeoliti sono utilizzate come corroboranti per ottimizzare le difese naturali delle piante e come ammendante atte a migliorare la fertilità e le caratteristiche fisiche e chimiche del terreno agrario

Riguardo la bentonite si può dire che è un fillosilicato, così indicato per la struttura a strati a simmetria tetraedrica in cui ogni tetraedro tende a legarsi con altri tre tramite ponti ad ossigeno. I membri di questa famiglia possiedono, generalmente, un aspetto lamellare o scaglioso, con sfaldature ben definite o un minerale argilloso composto per lo più da montmorillonite, calcio o sodio. Si trova in terreni vulcanici come prodotto della decomposizione della cenere vulcanica. Sotto il nome di bentonite rientrano invece varie argille di composizione variabile, comunque tutte di origine vulcanica particolarmente ricche di microelementi e con la caratteristica di assorbire l’acqua. La bentonite si può utilizzare anche sulla vite sia da sola sia in miscela con lo zolfo per la lotta contro la muffa grigia (Botritis cinerea) che colpisce anche fragole, lamponi e varie altre specie da orto e da frutto. Sulla vite i trattamenti con questo minerale polverizzato devono comunque essere eseguiti prima della chiusura del grappolo, meglio se in forma polverulenta (cioè non diluita in acqua). La bentonite viene impiegata anche per la preparazione di una speciale pasta per tronchi utilizzata in agricoltura biodinamica e che è composta per 1/3 da bentonite, 1/3 da letame di vacca fresco senza aggiunta di paglia e 1/3 da sabbia silicea, il tutto miscelato ad un decotto di equiseto (Equisetun spp. ossia “code di cavallo”) fino alla consistenza giusta. Questa pasta fluida, di cui esistono anche delle varianti nella formulazione, si spalma letteralmente a pennellate sui tronchi delle piante da frutto adulte verso la fine dell’inverno ed ha la funzione di nutrire e stimolare il cambio, ovvero lo strato sottocorticale dove si moltiplicano le nuove cellule. La bentonite, ad ogni modo, trova ulteriore impiego come coadiuvante del rame nei trattamenti contro le diverse peronospore. 

A – La revoca del dimetoato impone un nuovo approccio per combattere la mosca (Bactrocera oleae) e le polveri di roccia (caolino, zeolite e bentonite) risultano comunque utile alternativa.

B – Olive cascolate del nostro territorio danneggiate dalla famigerata mosca (Bactrocera oleae), la cui presenza è stata sottovalutata e favorita peraltro da un mancato corretto monitoraggio.  



Per le coltivazioni familiari di orti e frutteti dove si coltiva per l’autoconsumo, così come per le piccole aziende miste non certificate, che hanno scelto nella sostanza la strada dell’agricoltura sostenibile, tutti i prodotti ammessi in agricoltura biologica sono comunque un punto di riferimento, importante per una seria difesa dalle diverse insidie, per favorire altresì il rispetto dell’ambiente e per poter conseguire produzioni il più possibile verosimilmente sane e di qualità. Occorre comunque evidenziare, concludendo e doverosamente, che non va sottovalutata l’importanza di dover mettere in atto, correttamente ed opportunamente, le diverse pratiche agronomiche, particolarmente concimazioni equilibrate e tempestive e corrette potature. Così, contrastando poi le larve e gli adulti della dannosa mosca (Bactrocera oleae), il temibile nemico delle olive, e disponendo tra l’altro ancora di fitofarmaci (insetticidi) le cui sostante attive (Deltametrina, Cipermetrina, Fosmet, Azadiractina, Olio di neem, Spinosad (Spyntor fly) sono già note e che con l’ausilio o l’alternativa delle polveri di roccia, come già accennato, da utilizzare opportunamente e tempestivamente, secondo le indicazioni riportate in etichetta, è possibile comunque ottenere lusinghieri risultati quali-quantitativi dalle coltivazioni rispettando peraltro le aspettative dei diversi olivicoltori, l’ambiente, l’economia e, particolarmente, la nostra salute.

Scritto da Giovanni Conca - Pubblicato sul numero 7 del 2021 del "Il Corace"