mercoledì 6 ottobre 2021

TRITTICO DELL'ASSURDO

Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce. Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino, per amore del suo nome. Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza. Davanti a me tu prepari una mensa sotto gli occhi dei miei nemici; cospargi di olio il mio capo. Il mio calice trabocca. Felicità e grazia mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita, e abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni. 

Del Salmo 23 della Bibbia, Bergson sosteneva che la lettura gli procurasse molta più speranza che non centinaia di altri libri letti nella sua vita. E a quel salmo si appella in una scena il protagonista del film “The Elephant Man”, di David Lynch, ossia il deforme Joseph Merrick, ribattezzato dai più “l’uomo elefante”, per via dell’aspetto del suo volto che è costretto a coprire indossando un sacco bucato cucito a sua volta a un cappello. Il suo caso è preso a cuore dalla Regina Vittoria e dall’alta borghesia, per via del carattere sensibile e sofisticato di Merrick. 

Tuttavia queste differenze non bastano in realtà a tramutarlo in un essere umano quale lui rivendica di essere. Sia nei buoni salotti che nei bassi vicoli dell’alcool e della prostituzione, egli viene sempre considerato un fenomeno da baraccone, alla stregua di un animale da circo da mostrare. Lasciamo un attimo in sospeso il destino di Merrick nel film del 1980 e spostiamoci su un’altra vicenda altrettanto assurda nella sua verità. È il caso di Big Mary, un’elefantessa indiana di 5 tonnellate uccisa il 13 settembre del 1916 a Erwin, nel Tennessee. Il singolare caso ha la sua genesi nella sera precedente la morte del pachiderma. Red Eldridge, un giovane operaio del circo, vedendo che l’elefante si attarda nel raccogliere una fetta di cocomero da terra, lo pungola, a detta di alcuni testimoni, con un gancio. Big Mary, infuriata, lo afferra con la proboscide e lo scaglia poco lontano, quindi lo raggiunge e con una zampa gli schiaccia la testa: così riportano le cronache dell’epoca. Il fatto è sulle bocche di tutti e, malgrado i tentativi di cambiare nome all’elefante per nasconderlo all’opinione pubblica, i giornali la ribattezzarono Mary l’Omicida. Il proprietario del circo si vede costretto ad abbatterla. Si pensano a metodi come avvelenamento, elettrocuzione, ma nel Tennessee all’epoca mancava sufficiente elettricità per uccidere un elefante. Si opta infine per l’impiccagione, ricorrendo a una gru e a una catena e fallendo il primo tentativo che costò a Big Mary la rottura dell’anca. 


Di questa storia resta una macabra foto e forse il fossile ricordo di Big Mary seppellita accanto ai binari nei pressi della ferrovia di Clinchfield. Torniamo alla finzione del film di Lynch “The Elephant Man”: il deforme Merrick, così incompreso e non accettato dalla società, decide infine di suicidarsi soffocando nella notte. Sarà infine la madre, nell’ultima scena, ad accogliere la sua anima citando il monologo del poeta Tennyson “Niente muore”. L’ultimo tassello di assurdità è però recente: è il 27 luglio 2016. Nello zoo di rabat in Marocco un elefante scaglia una pietra in aria. La parabola fatale termina sulla testa di una bimba di 7 anni sulle spalle del padre, una famiglia in visita allo zoo. Né i visitatori, né l’elefante sembrano aver commesso alcuna violazione dei rispettivi spazi. Salvo la tragica e assurda fatalità del tutto che non conosce né regole né spazi, e questa puntata è dedicata a quella bimba che non sapremo mai quale splendida persona sarebbe potuta diventare.

Scritto da Fabio Appetito - Pubblicato sul numero 7 del 2021 del "Il Corace"

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