martedì 2 novembre 2021

BABELE I

Ore 7. Già in piedi. Un’aria un po’ frizzante, al contempo umida della mattina. Una mattina di un umido autunno, solo insieme a tanta gente che aspetta un treno. Ultimamente, abbastanza puntuale. Una di quelle mattine che fai fatica ad alzarti avvolto da una luce che tarda ad arrivare. Ho preso il biglietto, in una stazione vuota nella sua calca disciplinata di persone. Tutti che vogliono prendere il treno, tutti che lo vogliono prendere per primi, tutti che vogliono sedersi al posto migliore. Tutti che vorrebbero parlare in un silenzio surreale. Devo ammettere che era un po’ di tempo che non avevo avuto più modo di prendere il treno. Lo ricordavo più scomodo, lo ricordavo più rumoroso, lo ricordavo più, più… non so come. Forse è quello che stai immaginando. Attento, non lo voglio sapere, attento voglio solo immaginare. Immaginare un viaggio lontano, un viaggio in una realtà irreale. In un mondo parallelo, dove tutti sono in grado di vedere cosa stai facendo, dove tutto non è come tu immagini.


Sì. Cosa immagini? Non lo so. Sì, immagino che oggi andrò verso il mare, in una spiaggia di sabbia ormai fredda. Ti vedo. Sei lì che leggi queste parole. Sei lì alla ricerca di una verità irreale, di una storia… Di una storia della tua vita, del nostro essere, del nostro mondo. Buongiorno, mi può dare il giornale? Con lo zucchero? Non il cappuccino. Solo un semplice giornale. Un giornale in grado di raccontare il mondo. Di raccontare un mondo un po’ diverso da quello che è. Il treno alla fine non era particolarmente affollato, in effetti ho trovato un comodo posticino vicino al finestrino. Un finestrino chiuso per non far scappare nulla. Neanche una parola. Proprio dietro di me ci sono due ragazze che sembrano lì sedute dalla notte dei tempi. Parlano, parlano, parlano. Il tono di voce è abbastanza acceso. Non sono lì ad ascoltare, ma in effetti non riesco a perdere neanche una parola. Parlano del loro lavoro, hanno cominciato da poco. Non sono molto convinte, non sembra che si capiscano molto. Sembra però che vadano molto d’accordo. Chissà. Il treno comincia a rallentare, si comincia a vedere una casa dopo l’altra. Siamo entrati in città. La corsa perde di vigore, comincia ad avere un affanno. Qualche strappo, qualche frenata poco sostenuta. 

Sento un fischio in lontananza, un ormai respiro. Sento la volontà di fermarsi in uno spazio oramai venduto, come le parole che lo riempiono. Parole in grado di librarsi nella leggera aria, di nascondersi in una nuvola di parole scomposte, forse sillabe pronunciate, partite, mai arrivate a destinazione. Ad un tratto mi hanno colpito i tuoi occhi spalancati, i tuoi occhi che sembrano attenti a non perdersi una parola. A non perdersi nei meandri di una irrazionale comunicazione. Ci devo pensare un po’, forse non riesco a raggiungerti, forse non riesco più a capirti. Forse sono solo alla ricerca di un senso, di un senso di una parola in una frase senza senso. Non riesco a spiegarmi, non riesco a capirti. O forse ci riesco fin troppo bene. Quegli occhi spalancati, luminosi in una giornata un po’ grigia, un po’ piena di parole. Parole che sono lì, che vengono sparate come i proiettili di una mitragliatrice. Molti raggiungono l’obbiettivo, molti non lo raggiungono. 

Forse i colpi raggiunti sono sufficienti. Sufficienti a far che? A fare quella cosa che ci è tanto cara, ascoltare quelle parole incomprensibili. Incomprensibili, sì. Io voglio solo interpretarle, chissà cosa vogliono dire. Parole in libertà, parole per te, parole costruite apposta per te solo per farti ascoltare tutto quello che TU vuoi sentirti dire. Perché? Ormai il treno è in stazione, le porte si aprono, tutte le parole escono, tutte le persone le seguono. State attenti, non fate tardi. Io sono qui e vi osservo.

Scritto da Antonio Moroni - Pubblicato sul numero 8 del 2021 del "Il Corace"

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