martedì 2 novembre 2021

VOTO AMMINISTRATIVO, PREMIATO IL CENTROSINISTRA, SCONFITTI I SOVRANISTI

Dalle elezioni amministrative che interessavano le grandi città è uscito un risultato che – al netto di un preoccupante grave astensionismo – ha premiato ampiamente le coalizioni di centrosinistra e il PD, con una netta sconfitta per le coalizioni di centrodestra e della destra in particolare (gli sconfitti hanno il volto di Meloni e Salvini), ed un nettissimo ridimensionamento dei Cinque Stelle.

Si è trattato di voto amministrativo e il voto politico nazionale segue spesso dinamiche diverse certo; ma la tendenza un qualche significato pure ce l’ha, anche perché le amministrazioni in campo erano, tra le altre, quelle di Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna, Trieste, e altri capoluoghi oltre anche alla Regione Calabria. Da più parti si è tentato d leggere il risultato elettorale come un ritorno al bipolarismo, il che francamente a me non convince molto: comprendo che soprattutto in casa PD e dintorni si avvalori questa tesi, però a mio avviso emerge un quadro un po’ diverso e più composito.


 
È vero che il terzo polo (i Cinque Stelle) di fatto non esiste più, per consistenza numerica e politica, ed oggi il partito di Conte è nei sondaggi sotto la metà dei voti del 2018, e non è più un’entità distinta da destra e sinistra, visto che prefigura (non senza contraddizioni però) un’alleanza col centrosinistra. È vero però che, in termini numerici, il cosiddetto nuovo centrosinistra, col campo largo lettiano (e quindi tutti dentro, da Renzi e Calenda a Bersani passando per Conte, e Letta al centro) nei sondaggi è comunque largamente in sofferenza rispetto al centrodestra. Quanto al centrodestra, esso ormai è più che altro destra-destra, tra Salvini e Meloni in lizza per la leadership e il centro berlusconiano molto sotto nei numeri e con ruolo politico molto affievolito: i consensi, stando ai sondaggi, ancora sono elevati, ma il voto amministrativo dovrebbe indurre alla cautela, perché è vero che gli italiani sono in larga parte moderati, ma non di destra e non della destra sovranista, cui ben difficilmente consegnerebbero le chiavi per far loro guidare un governo.

Abbiamo nominato un po’ tutti gli attori principali del gioco politico nostrano, ma a ben vedere c’è comunque un convitato di pietra, assente ma presente, che si chiama Mario Draghi. Il nostro Premier è personaggio autorevole e centrale non soltanto a livello nazionale, ma anche in Europa: non credo si adatti a fare il tecnico per una stagione (che poi ha dimostrato di essere anche un fine politico), né credo che possa adattarsi ad una assunzione di responsabilità a termine. Bisognerà vedere la partita per il Quirinale, per la scelta dell’erede di Sergio Mattarella (che non vorrebbe un mandato bis, ma mai dire mai): il nome di Draghi è certamente tra quelli in lizza, ma sia dovesse salire al Colle, sia dovesse proseguire a Palazzo Chigi fino al 2023, di sicuro il suo senso di responsabilità lo porrà in condizione di mettere in sicurezza il nostro Paese sotto l’aspetto politico e sotto quello economico-finanziario. E ciò implicherà un rimescolamento di carte nel quadro politico, che inevitabilmente ci allontanerà dal bipolarismo (e bisognerà capire con quale legge elettorale andare a votare).

Queste sono mie modeste considerazioni, ma lo scenario descritto è adombrato da molti osservatori politici di ben maggiore rilevanza, e ciò mi fa ben sperare.

Scritto da Antonio Belliazzi - Pubblicato sul numero 8 del 2021 del "Il Corace"

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