mercoledì 30 settembre 2020

IL VALORE DEL PATRIMONIO CULTURALE

Cari lettori, inizia una nuova stagione de “Il Corace”, da pochi giorni abbiamo salutato l’estate 2020, che verrà ricordata per la pandemia ancora oggi in atto nel mondo e nel nostro paese, eventi che segnano le nostre abitudini, vite, e non solo nel presente. Ma intorno a noi ci sono testimoni immobili, che se potessimo interrogarli, ci darebbero tante di quelle risposte e curiosità sul passato, che sicuramente non troveremmo sui libri di storia! Pensate al nostro caro Tempio d’Ercole, che è lì su, da tremila anni, cosa ci direbbe sulla vita di Cori dal II sec. a.C. ad oggi, o il Tempio dei Dioscuri, o le mura ciclopiche, o le varie chiese sopravvissute agli eventi bellici… Quando passeggiamo nei borghi, nelle grandi città, ed ammiriamo un monumento, una scultura, un quadro, un’incisione… pensate alla sua storia, alle epoche che ha attraversato, a quello a cui ha resistito, insomma come dice una famosa frase “Tutto il nostro passato è con noi, e per vederlo non dovremmo far altro che voltarci”. Lo stato di salute del nostro patrimonio culturale non è dei migliori, lo dimostrano anche alcune situazioni qui a Cori, come ad esempio la Chiesa di San Michele Arcangelo, la torre medievale quadrangolare in Via Accrocca, ma anche le Sipportica, ed altre situazioni… Nasce un estremo bisogno di tutela, che deve essere attiva e capace di integrarsi con le esigenze di sviluppo del territorio, a prescindere dalla proprietà pubblica o privata del bene, ai restauri, divenuti ormai la principale attività a scapito della prevenzione e della valorizzazione; dalla cura delle cose, invece che dei contesti, alla musealizzazione che ha di fatto cannibalizzato ogni altra forma di fruizione del patrimonio; dall'inadeguatezza della struttura organizzativa di modello ministeriale, al tentativo di individuare possibili forme gestionali differenti e innovative. Abbiamo assistito in questi anni al manifestarsi della natura che a volte si ribella alle azioni plasmanti dell’uomo e a volte, indipendentemente dalle manipolazioni antropiche, si manifesta in tutta la sua potente espressione attraverso terremoti e cataclismi, che non sempre l’intelletto umano riesce a presagire e mai ad arginare in tempo. Ed è proprio di fronte a questa potenza naturale che l’uomo coglie tutta la sua fragilità e la fragilità delle sue apparentemente “imponenti” opere, che incidono sul volto stesso della natura: il paesaggio. La prima necessità che avverte l’uomo di fronte al pericolo è quella di mettersi in salvo, trovare un riparo, quel riparo, che rovinosamente gli si ritorce contro. Ma subito dopo, e abbiamo recenti testimonianze, purtroppo, il successivo bisogno è salvare la propria memoria, riuscire a non alienarsi nella sofferenza e nella fuga. I recenti terremoti in Emilia, all’ Aquila e in Umbria, non molti anni fa, ci hanno portato le immagini della distruzione e le “rovine” di quei monumenti storici nazionali che fanno parte della nostra identità storica, quelle forme inconfondibili di guglie, campanili, orologi, torri, edifici che hanno determinato la rappresentazione mentale di un’Italia che ci appartiene singolarmente nella collettività storica. È in dubbio ormai che il patrimonio artistico-culturale oltre che paesaggistico è una fonte di investimento economico che se potesse realmente essere sistematizzata ed inserita in un circuito economico, porterebbe alla produzione di un rendimento utile al patrimonio stesso, sia in termini di conservazione, che in termini di risorse re-investibili in prospettive lavorative ed artistico - culturali nuove e non solo, nella logica del revival di un passato che torna. 

Vista sul Tempio d’Ercole
Foto Fernando Bernardi


L’attenzione va posta a quelle emergenze naturalistiche - paesaggistiche che richiedono un intervento immediato e mirato, volto alla tutela e alla messa in sicurezza dei siti archeologici e di tutte quelle aree di pregio artistico ed architettonico che sono a “rischio estinzione” in Italia. L’Italia stessa è un patrimonio da tutelare, un percorso vivo di arte e storie che si ritrae nell’aspetto urbanistico, nella storia civile, nelle peculiarità geografiche, fisiche e politiche, oltre che culturali e antropologiche. L’Italia costituisce con le sue “rovine”, con i suoi “scavi”, con i suoi borghi, le sue “vedute” e i suoi “panorami”, un museo a cielo aperto di molteplici civiltà storiche e antropologiche, nel crogiolo fluido di geni di creatività che hanno influito nella cultura e che continuamente incidono nel patrimonio di una umanità che si ricongiunge all’umanità globale, rivitalizzandosi e riformulandosi nella cultura. Il patrimonio artistico rappresenta anche un ponte tra il gruppo e l’individuo, un ponte che ravvicina le culture, che le riflette o le proietta come attraverso una lente su altri orizzonti. La capacità di un’opera d’arte è quella di creare un “decodificatore” intellettuale di emozioni capace di codificare simboli, di introiettare significati e di trasformarli entro coscienze diverse da quelle originarie dell’artista che ha realizzato l’opera e da quelle di un altro osservatore e della sua emotività. Il patrimonio culturale è un linguaggio completo e immediato, l’immagine allegorica della conoscenza che si compie in una ricerca continua di esistenza e di immanenza, un linguaggio metaforico e meta- cognitivo dell’esperienza umana. Non si può prescindere da questa ricchezza, non si può lasciare indifeso questo patrimonio, né si può permettere di dilapidarlo o confinarlo nei meandri di una burocrazia che è incapace di infondere dinamicità al sistema tutela e di reinvestire. Nel grande “cantiere” della cultura che vive ed elabora progetti sempre nuovi di ponti realizzabili e percorribili tra passato, presente e futuro deve trovare spazio e tempo quel patrimonio artistico che è riconoscimento di sé nell’universale umanità, segno indelebile di una “immortalità intermittente”.

Scritto da Fernando Bernardi - Pubblicato sul numero 6 del 2020 del "Il Corace"

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