mercoledì 30 settembre 2020

OLTRE I VINCITORI E VINTI

Passata l'onda caotica, come sempre, dei commenti a caldo dei leader e opinionisti, sul risultato elettorale sia del referendum che delle regionali e delle comunali, laddove si sono svolte il 20 e 21 settembre, proviamo, mentre è in corso un drammatico quanto surreale scontro all'interno dei pentastellati, a mettere in fila le deduzioni che si possono trarre dall'esito di questa doppia consultazione popolare. Lo facciamo ponendoci una prima domanda: Chi ha vinto? E cercando di rispondere a partire dai dati inconfutabili, perché poi gli altri appartengono alle legittime valutazioni dei partiti, dentro le quali ci sono le altrettanto legittime acrobazie per ribaltare, o per offuscare sconfitte o comunque delusioni. Si sa che in politica, anche la matematica, che non è un opinione, è piegata alle letture, spesso forzate, che schieramenti e leader danno dei risultati conseguiti. Ma procediamo nella risposta. Di sicuro hanno vinto i Governatori. Il leghista Luca Zaia, nel Veneto, con quel plebiscito che tutti sappiamo, Vincenzo De Luca in Campania che ha messo in campo un numero impressionate di liste (dove dentro ci stava di tutto e il contrario di tutto), travolgendo Stefano Caldoro, voluto da Forza Italia, contro il parere della Lega, Eugenio Giani in Toscana per il centrosinistra, che doveva essere lo sconfitto a scapito del centrodestra secondo tutti i sondaggi e che invece ha vinto di larga misura sulla rappresentante dello schieramento opposto, la leghista Susanna Ceccardi, in Puglia si è riaffermato Michele Emiliano, centrosinistra, anche in questo con pronostici molto più prudenti dei risultati ottenuti, in Liguria vince ma non stravince, Giovanni Toti, impegnato in una difficile sintesi tra le tre anime del centro destra che riescono ad imporsi nelle Marche, sottraendo la Regione ad una ventennale amministrazione di sinistra con Francesco Acquaroli. Questo il quadro generale, a cui va aggiunta la Val d'Aosta a statuto speciale dove vince la destra. Ma il dato politico è: perché sono stati riconfermati con alto suffragio i Governatori uscenti, pur appartenendo a schieramenti opposti. Lo sono stati solo perché, in periodo Covid, le popolazioni di quelle Regioni si sono sentite rassicurate dal loro impegno? Lo sono state perché hanno governato bene? Lo sono state perché, soprattutto in Campania, nel Veneto e in Toscana, esiste ormai un sistema di potere consolidato? Forse tutte e tre le cose messe insieme ma una certezza ci sta: i Governatori sono forti, e nessun partito può pensare di decidere strategie presenti e future, assetti dirigenziali senza tener conto del loro peso politico ed elettorale. Andiamo avanti: ha vinto il PD, semplicemente perché, dati alla mano, è risultato il primo partito quasi ovunque. È un dato inoppugnabile che di certo non solo non risolve i problemi interni al partito, ma chiama tutti ad uno sforzo unitario per portare avanti una azione di governo che affronti i temi strutturali del paese, a cominciare da come spendere i soldi del Recovery Found, a decidere cosa fare sul Mes, a tutte le atre questioni sul tappeto. E per farlo intanto anche gli oppositori interni a Zingaretti , loro malgrado, devono far quadrato intorno al segretrario che è l'altro vincitore di queste elezioni. Proseguiamo: ha vinto la Meloni che ormai non nasconde più di aspirare alla guida del centro destra: è a un passo dai Cinque Stelle e si avvicina sempre più alla Lega, che resta, con sempre maggiori difficoltà, il primo partito. Chi ha perso? Hanno perso i Cinque Stelle. Hanno, legittimamente cantato vittoria per la vittoria del Sì (voto comunque trasversale), ma per il resto una catastrofe più che una sconfitta, che ha aperto in modo frontale lo scontro dentro al movimento tra l'ala governista che punta ad una alleanza non più tattica ma strategica con il PD, guidata da Di Maio e da Fico, con la diretta ed esplicita benedizione del premier Conte, e l'ala ortodossa dei puri e duri, che dal primo momento hanno ostacolato la nascita del governo giallo-rosso e che fa capo a Di Battista, attivissimo in questa fase. È convinzione di tutti che la convocazione dei cosidetti "stati generali", praticamente il congresso del Movimento, non sia più rinviabile per una resa dei conti dalla quale verrà fuori il futuro dei 5S: se ritornare ad essere una forza antisistema, e quindi isolarsi nella loro orgogliosa identità, che tradotto in termini di concretezza vuol dire scomparire, oppure far diventare il movimento adulto e disegnare un progetto politico insieme alle forze del centrosinistra e governiste. E Salvini? Il "capitano" ripete come un mantra il numero di consiglieri e regioni leghiste che sono superiori a quelli del centro sinistra. Ma somma anche le precedenti consultazioni. Il che non toglie che sia tra i vincitori, ma non "il" vincitore. Avrebbe potuto esserlo se, travolto come al solito dal suo ego smisurato, non avesse enfatizzato oltre misura "l'assalto al cielo" della Toscana, pur consapevole della impossibilità di vincere nella storica regione rossa, come impossibile lo è stato in Emilia Romagna. Ed inoltre ci ha messo il carico da novanta della Puglia, per quanto in quella regione aveva l'attenuante che il candidato, Fitto, era stata imposto dalla Meloni. Ma ciò che più preoccupa Salvini, e gli rovina la festa, è il plebiscito per Zaia, sempre più papabile come leader della Lega. Un titolo del "Gazzettino Veneto", il giorno dopo le elezioni dice tutto: "Zaia travolge la Lega" (come De Luca travolge il PD, aggiungiamo noi). E quanto fosse giusto quel titolo lo dimostra la decisione di Salvini, presa tra mercoledì e giovedì, di aprire ad una ipotesi di segreteria del partito. Non è stata soltanto la vittoria di Zaia a convincerlo ma anche le posizioni critiche di Giorgetti e, in modo meno vistoso, le prese di posizione di Borghi. Ascoltatissimi "colonnelli" leghisti. Infine, ha perso Renzi, ridotto ovunque ai minimi termini. In Puglia il suo candidato, nonostante il sostegno della Bellanova, Ivan Scalfarotto si è fermato sotto al 2%. Davvero difficile aggiungere altro. E Conte? Non a caso lo citiamo per ultimo, perché "gli ultimi saranno i primi" e in questo caso è così. Sopra ogni vincitore, ci sta lui: il Presidente del Consiglio. Ha vinto non per quello che ha detto, ma per quello che non ha detto. Ha vinto, ancora una volta, il suo stile defilato e di mediatore. È riuscito a mettere insieme una esplicita e pubblica dichiarazione a favore del Sì al referendum, con un lavoro di cucitura della coalizione che non si è mai interrotta. I maggiori quotidiani sono stati unanimi: il suo governo è uscito rafforzato sia dal referendum che dai risultati elettorali. Ora Conte ha una grande responsabilità: far partire davvero il tavolo per la riforma elettorale e Costituzionale, altrimenti questa diminuzione del numero dei parlamentari non è servita, e non servirà assolutamente a nulla. E in più ha sul tavolo una agenda da far tremare le vene ai polsi. Oltre i vincitori e vinti ci sta un paese e un popolo che aspetta di uscire fuori dalla crisi, aspetta risposte su cose concrete: lavoro, scuola, sanità, lotta alla burocrazia, sostegni alle famiglie, ed altro ancora. Non c'è più tempo.

Scritto da Emilio Magliano - Pubblicato sul numero 6 del 2020 del "Il Corace"

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