Caro
lettore, nelle ultime settimane a rimbombare come un macigno caduto
dall'ottavo piano, è stata – ahinoi – la notizia della morte
violenta di Willy Monteiro Duarte, adolescente di Colleferro.
Un assassinio brutale, barbaro, quasi pasoliniano. Un assassinio che
parte da lontano, dalle viscere più profonde della nostra società,
nella quale giorno dopo giorno si fa sempre più strada un odio
ingiustificato verso l'altro, verso il diverso, verso ciò che non ci
rispecchia. Una società che ha tirato a lucido i suoi pregiudizi e
continua a sbandierarli in faccia come guanto di sfida a chiunque non
riesca a omologarsi a determinati canoni e correnti di pensiero.
Etichettati come “campioni” di MMA (mixed martial arts,
ovvero arti marziali miste), gli assassini – e non aggressori
(chiamiamo le cose con il loro nome) – di Willy sono quanto di più
lontano dai valori e dall'etica dello sport, che in diverse
circostanze ha rappresentato occasione di riscatto dagli ostacoli che
la vita impone (Alex Zanardi e Francesco Acerbi docet). Ma davvero
c'è bisogno di tutto quest'odio? Domanda retorica. A tal proposito,
Tre manifesti a Ebbing, Missouri (Three
Bilboards Outside Ebbing, Missouri - in lingua
originale), film del 2017 di Martin McDonagh, delinea una
tematica molto simile a quanto esposto.
Proiettato in concorso in
anteprima mondiale alla 74ª
Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, ricevendo un
consenso quasi unanime, il film narra le vicende di Mildred Hayes –
interpretata da Frances
McDormand
–, una madre intenzionata a rintracciare il colpevole
dell'assassinio di sua figlia e a farsi giustizia da sola, in quanto
il caso è stato archiviato troppo presto dalla polizia locale per
mancanza di prove sufficienti, affiggendo dei manifesti che mettono
in cattiva luce la polizia stessa. Senza dubbio Tre
manifesti
(per brevità) è una delle pellicole migliori che la cinematografica
mondiale ha prodotto negli ultimi anni, assai notevole nella
sceneggiatura e nei dialoghi, tanto da tirar fuori ben due Premi
Oscar: miglior attrice a Frances
McDormand;
miglior attore non protagonista a Sam
Rockwell,
poliziotto alcolizzato che si rivelerà un valido alleato di Mildred
nella ricerca al colpevole. Altrettanto valida l'interpretazione di
Woody
Harrelson,
sceriffo di Ebbing e malato terminale che all'interno della trama
svolgerà il ruolo fondamentale di mediatore tra le intenzioni di
vendetta di Mildred e il suo animo dopotutto gentile e pieno di
umanità. Tre
manifesti
non è solamente la classica ambientazione americana di montagna
stile Rambo,
dove lo sceriffo detta legge ma alla fine ognuno fa come gli pare.
No, Tre
manifesti
è soprattutto una sentenza, una spada di Damocle contro l'odio e la
violenza, un manifesto appunto, affisso sopra le teste degli odiatori
di professione. Vale davvero la pena spendere poco meno di due ore
per vedere Tre
manifesti a Ebbing, Missouri,
per il semplice fatto che al termine ognuno
capirà perché tra odiare (seppur con tutte le ragioni del mondo) e
farne a meno, valga sempre di più la seconda opzione. E non è poco.
Buona visione.
Buona visione.
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