Il mio ricordo è nitido. Lavoravo in
banca - ormai molto tempo fa - e quel signore a cui avevo dovuto
rispondere ‘no’ ad una domanda di finanziamento (motivato
dall’eccessivo indebitamento della sua impresa), si gira e con un
sorriso di plastica abituato a ricevere quei ‘no’, e mi dice: “se
lo ricordi, Cajelli: in Italia, per debiti, non si va in carcere e
non si muore”.
Quella frase rientrava a buon titolo tra i pensieri
da bar: ‘la legge aiuta sempre chi non vuole pagare’; ‘è più
facile, per un avvocato, difendere un debitore che un creditore’;
‘i “tempi” necessari al riconoscimento del proprio diritto (e
ancora di più la sua concreta attuazione) sono insopportabili’. E
via dicendo.
E’ vero: salvo precise e rare eccezioni, il mancato
adempimento di un contratto o di qualsiasi altra obbligazione resta e
resterà sempre confinato nell’ambito civilistico e raramente
sconfinerà nel penale. I latini, peraltro, dicevano “nemo ad
impossibilia tenuetur”, un principio secondo cui nessuno può
essere costretto a fare qualcosa che, per lui, è impossibile,
compreso pagare un creditore se non ha i soldi per farlo.
Esistono
eccezioni a questa prassi, come quando un debitore-imprenditore
commerciale è raggiunto da una sentenza di fallimento e il tribunale
che accerta l’insolvenza volontaria, lo accusa di bancarotta
fraudolenta. E’ vero però il contrario, che di debiti, cioè, ci
si ammala. E si muore.
Se si analizza la mortalità per causa dovuta
a episodi di violenza (omicidi, suicidi e tentati suicidi) si legge
che “la popolazione italiana è a basso rischio di suicidio, come
in tutta l’Europa Meridionale, ma il numero di suicidi per ragioni
economiche, in leggera crescita dal 2002, si impenna appena prima
della crisi e continua a salire con notevole velocità” (Costa et
al., 2012).
Alla Link Campus University hanno studiato come la crisi
economica, intesa come mancanza di denaro o come situazione debitoria
insanabile, rappresenta la motivazione principale del tragico gesto,
molto più della perdita del posto di lavoro. Senza contare i tentati
suicidi che sono fuori da questa statistica.
Vogliamo parlare poi di
quelle situazioni di indebitamento che portano a
fenomeni irrazionali o criminali quali
usura, estorsione, gioco d’azzardo?
Sì, ne vogliamo parlare. Per
capire cosa si può fare. E lo farò con due esempi. Il primo è
italiano. Da qualche anno si contano sempre più istituzioni che
scendono in campo direttamente nella lotta ai fenomeni dell’usura,
dell’estorsione e del gioco d’azzardo. La novità di questi
ultimi tempi sta però nel fatto di voler colpire la causa e non
l’effetto, mettendo a fuoco il fenomeno del sovraindebitamento, per
esempio, e quello (ancor più a monte) dell’uso consapevole del
denaro.
Credo che per contrastare questi fenomeni funzionino più la
prevenzione e l’educazione, meno la difficile repressione e la
caccia all’illegalità. Ci proviamo dal 2011.
Il secondo esempio
viene dal nord Europa (ma ci sono esempi paralleli anche nel
milanese), e dalla medicina, pensate un po’. Alcuni ricercatori di Stoccolma (Joel Ohm,
Karolinska Institutet - 2016) hanno scoperto che esiste un forte
legame tra disturbi cardiovascolari e status socioeconomico in certi
pazienti colpiti da patologie coronariche croniche. Di qui l’idea
che lo stato socioeconomico di una persona debba essere incluso nella
valutazione dei possibili rischi nella prevenzione.
Perché non lo
prendiamo in considerazione anche noi? Era il 1978 quando
l’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiarò che “la salute
è uno stato di completo benessere fisico mentale e sociale e non
soltanto assenza di malattia o di infermità. E’ un fondamentale
diritto umano (…) la cui realizzazione richiede l’azione di molti
altri settori sociali ed economici oltre al settore sanitario”.
Perché di soldi e di debiti si sta male. E qualche volta…
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