lunedì 2 ottobre 2017

AMMALARSI DI DEBITI

Il mio ricordo è nitido. Lavoravo in banca - ormai molto tempo fa - e quel signore a cui avevo dovuto rispondere ‘no’ ad una domanda di finanziamento (motivato dall’eccessivo indebitamento della sua impresa), si gira e con un sorriso di plastica abituato a ricevere quei ‘no’, e mi dice: “se lo ricordi, Cajelli: in Italia, per debiti, non si va in carcere e non si muore”.
Quella frase rientrava a buon titolo tra i pensieri da bar: ‘la legge aiuta sempre chi non vuole pagare’; ‘è più facile, per un avvocato, difendere un debitore che un creditore’; ‘i “tempi” necessari al riconoscimento del proprio diritto (e ancora di più la sua concreta attuazione) sono insopportabili’. E via dicendo.

E’ vero: salvo precise e rare eccezioni, il mancato adempimento di un contratto o di qualsiasi altra obbligazione resta e resterà sempre confinato nell’ambito civilistico e raramente sconfinerà nel penale. I latini, peraltro, dicevano “nemo ad impossibilia tenuetur”, un principio secondo cui nessuno può essere costretto a fare qualcosa che, per lui, è impossibile, compreso pagare un creditore se non ha i soldi per farlo.
Esistono eccezioni a questa prassi, come quando un debitore-imprenditore commerciale è raggiunto da una sentenza di fallimento e il tribunale che accerta l’insolvenza volontaria, lo accusa di bancarotta fraudolenta. E’ vero però il contrario, che di debiti, cioè, ci si ammala. E si muore.

Se si analizza la mortalità per causa dovuta a episodi di violenza (omicidi, suicidi e tentati suicidi) si legge che “la popolazione italiana è a basso rischio di suicidio, come in tutta l’Europa Meridionale, ma il numero di suicidi per ragioni economiche, in leggera crescita dal 2002, si impenna appena prima della crisi e continua a salire con notevole velocità” (Costa et al., 2012).
Alla Link Campus University hanno studiato come la crisi economica, intesa come mancanza di denaro o come situazione debitoria insanabile, rappresenta la motivazione principale del tragico gesto, molto più della perdita del posto di lavoro. Senza contare i tentati suicidi che sono fuori da questa statistica.



Vogliamo parlare poi di quelle situazioni di indebitamento che portano a fenomeni irrazionali o criminali quali usura, estorsione, gioco d’azzardo?
Sì, ne vogliamo parlare. Per capire cosa si può fare. E lo farò con due esempi. Il primo è italiano. Da qualche anno si contano sempre più istituzioni che scendono in campo direttamente nella lotta ai fenomeni dell’usura, dell’estorsione e del gioco d’azzardo. La novità di questi ultimi tempi sta però nel fatto di voler colpire la causa e non l’effetto, mettendo a fuoco il fenomeno del sovraindebitamento, per esempio, e quello (ancor più a monte) dell’uso consapevole del denaro.
Credo che per contrastare questi fenomeni funzionino più la prevenzione e l’educazione, meno la difficile repressione e la caccia all’illegalità. Ci proviamo dal 2011.

Il secondo esempio viene dal nord Europa (ma ci sono esempi paralleli anche nel milanese), e dalla medicina, pensate un po’. Alcuni ricercatori di Stoccolma (Joel Ohm, Karolinska Institutet - 2016) hanno scoperto che esiste un forte legame tra disturbi cardiovascolari e status socioeconomico in certi pazienti colpiti da patologie coronariche croniche. Di qui l’idea che lo stato socioeconomico di una persona debba essere incluso nella valutazione dei possibili rischi nella prevenzione.



Perché non lo prendiamo in considerazione anche noi? Era il 1978 quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiarò che “la salute è uno stato di completo benessere fisico mentale e sociale e non soltanto assenza di malattia o di infermità. E’ un fondamentale diritto umano (…) la cui realizzazione richiede l’azione di molti altri settori sociali ed economici oltre al settore sanitario”. Perché di soldi e di debiti si sta male. E qualche volta…

Scritto da Antonio Cajelli - Pubblicato sul numero 7 del 2017 nel "Il Corace"

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