Se “Il Corace” invece di essere un
mensile, e quindi luogo di riflessione e commenti, fosse un
quotidiano, volendo stare sul “fatto”, dovremmo partire dalla
elezione di Luigi Di Maio a candidato premier per i pentastellati.
Perché, al momento in cui scriviamo, domenica 24 settembre, questa è
la notizia che tiene banco sui giornali e nei tg. Una elezione che
certo non si può definire a furor di popolo, avendo votato un
iscritto su cinque, in tutto 31 mila voti, e che ha tutto il sapore
di una messinscena con candidati opposti al pupillo di Grillo, che
sono di certo persone perbene e preparate, ma dei perfetti
sconosciuti.
Se però ragioniamo al netto di questa, francamente
penosa sceneggiata, è evidente che Di Maio era ed è l’unico nome
spendibile per una candidatura cosi impegnativa. Di Battista e Fico,
il primo rappresentante dell’area di sinistra del movimento e il
secondo considerato “ortodosso” cioè pentastellato della prima
ora, possono andar bene per comizi ed interventi in aula, ma non
certo per assolvere al premierato. Non che Di Maio sia il novello
Adenauer, ma in giro di meglio, da quelle parti, non ci sta nulla.
I
cinque stelle sono la vera incognita del panorama politico, sono
sempre piazzati al primo posto, ma nel contempo laddove amministrano
non è che abbiano dato grandi risultati. Roma docet. Ma
non solo. Ciò che più spaventa è
l’andamento schizofrenico della loro linea politica estera, il
rapporto con l’euro in primis, ma anche più in generale l’idea
di Europa che hanno in testa, o che non hanno. Sulla immigrazione è
evidente uno scivolamento verso posizioni rigide, la polemica verso
le Ong è molto dura. E su questo oggettivamente non c’è molta
discordanza dalle posizioni leghiste. Vedremo la linea di Di Maio, e
capiremo anche se davvero l’investitura anche a leader del
movimento è reale o fittizia.
Ritornando ora a ragionare nella
visione tipica di un mensile, la questione che poniamo come centrale,
e che si collega a quanto scritto sopra sui Cinque Stelle, è la
palese mancanza di una prospettiva da parte di tutti i Partiti.
Cerchiamo di capire. Intanto di cosa si sta discutendo in questi
giorni? Si sta discutendo della riforma elettorale, che sembra
argomento noioso ma è importante. Tuttavia non sfugge che più che
un dibattito di largo respiro che vada realmente a porsi l’obiettivo
di una riforma utile al Paese, ancora una volta si discute su cosa
sia utile al singolo Partito.
E’ venuta fuori una proposta, detta
Rosatellum, dal suo proponente On. Rosato del PD, sulla quale pare
convergano PD, Forza Italia, Lega e Alfaniani. Una riforma che di
fatto premia le coalizioni, e sembra fatta apposta per escludere
Cinque Stelle e Mpd, lo schieramento di Bersani, Speranza e D’Alema,
sono i due schieramenti che non
avrebbero alleati. Ma è contrario anche Fratelli d’Italia, che con
questa presa di posizione tende ad acquistare visibilità e a
smarcarsi dalla Lega sulla quale in effetti sembra troppo
schiacciato. Il messaggio che però passa ai cittadini è che intorno
a questa legge ci sia un “corri corri” alla poltrona e,
soprattutto, passa il messaggio di futuri inciuci tra PD e Forza
Italia. Una grossa coalizione che prefigura quel Partito della
nazione che Renzi, nella sua testa, non ha mai abbandonato.
Nel
frattempo però, dall’esito referendario ad oggi, sono cambiate un
po’ di cose. Berlusconi è ritornato in campo, Gentiloni sta
governando più o meno bene il Paese ed è difficile disarcionarlo, è
venuta fuori in modo prepotente ed imponente la figura di Minniti che
con la sua linea decisionista sugli sbarchi e sulle Ong sta
riscuotendo consensi trasversali, a sinistra del PD qualcosa
comincia a muoversi, i cinque stelle , nonostante i guai sono sempre
al primo posto intorno al 29, 30%.
L’ex Premier sente che il suo
spazio e la sua centralità non è più quella di prima. E ha capito
da tempo che Mattarella non è Napolitano. A destra Berlusconi è il
primo a sapere che a 81 anni non è molto spendibile come risorsa per
il futuro e deve decidersi a trovare un erede, possibilmente senza
bruciarlo subito, come ha fatto sino ad ora. L’ultimo Parisi.
Tuttavia sa che
può fare ancora il padre nobile della
destra, ma deve fare i conti con un agguerrito Salvini sostenuto da
una fronda interna capeggiata dal Presidente della Liguria Toti, e
dal versante opposto con chi caldeggia un’alleanza tattica con il
PD. E non sono pochi.
Da questo quadro si evince che i Partiti, in
attesa del voto regionale in Sicilia, altro pastrocchio e altra
situazione caotica, si preparano alle elezioni nazionali della
prossima primavera navigando a vista. Non c’è un solo Partito, e
questa volta neanche i cinque stelle, che abbiano manifestato una
strategia vera e propria. E non parliamo di una prospettiva per il
paese che sarebbe pretendere troppo! Al momento solo tatticismi,
divisioni e polemiche su provvedimenti estemporanei che interessano
quasi nulla al paese, guerre interne ai Partiti, scaramucce, ma nulla
che possa dare dignità alla politica. Manca sempre di più quella
visione di insieme, quella idea dell’interesse generale del paese,
che alcuni dei leader della tanto bistrattata Prima Repubblica
avevano in mente. Una crisi profonda che a stento i giornali e i
media, ormai sempre più omologati ad una informazione che sa molto
di regime “morbido”, riescono a camuffare alterando dati
sull’occupazione, occultando scandali, creandone altri funzionali
al padrone di turno. O ai padroni di turno.
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