martedì 3 ottobre 2017

I PARTITI VERSO LE ELEZIONI SENZA STRATEGIA, CINQUE STELLE COMPRESI

Se “Il Corace” invece di essere un mensile, e quindi luogo di riflessione e commenti, fosse un quotidiano, volendo stare sul “fatto”, dovremmo partire dalla elezione di Luigi Di Maio a candidato premier per i pentastellati.
Perché, al momento in cui scriviamo, domenica 24 settembre, questa è la notizia che tiene banco sui giornali e nei tg. Una elezione che certo non si può definire a furor di popolo, avendo votato un iscritto su cinque, in tutto 31 mila voti, e che ha tutto il sapore di una messinscena con candidati opposti al pupillo di Grillo, che sono di certo persone perbene e preparate, ma dei perfetti sconosciuti.

Se però ragioniamo al netto di questa, francamente penosa sceneggiata, è evidente che Di Maio era ed è l’unico nome spendibile per una candidatura cosi impegnativa. Di Battista e Fico, il primo rappresentante dell’area di sinistra del movimento e il secondo considerato “ortodosso” cioè pentastellato della prima ora, possono andar bene per comizi ed interventi in aula, ma non certo per assolvere al premierato. Non che Di Maio sia il novello Adenauer, ma in giro di meglio, da quelle parti, non ci sta nulla.
I cinque stelle sono la vera incognita del panorama politico, sono sempre piazzati al primo posto, ma nel contempo laddove amministrano non è che abbiano dato grandi risultati. Roma docet. Ma non solo. Ciò che più spaventa è l’andamento schizofrenico della loro linea politica estera, il rapporto con l’euro in primis, ma anche più in generale l’idea di Europa che hanno in testa, o che non hanno. Sulla immigrazione è evidente uno scivolamento verso posizioni rigide, la polemica verso le Ong è molto dura. E su questo oggettivamente non c’è molta discordanza dalle posizioni leghiste. Vedremo la linea di Di Maio, e capiremo anche se davvero l’investitura anche a leader del movimento è reale o fittizia.

Ritornando ora a ragionare nella visione tipica di un mensile, la questione che poniamo come centrale, e che si collega a quanto scritto sopra sui Cinque Stelle, è la palese mancanza di una prospettiva da parte di tutti i Partiti.
Cerchiamo di capire. Intanto di cosa si sta discutendo in questi giorni? Si sta discutendo della riforma elettorale, che sembra argomento noioso ma è importante. Tuttavia non sfugge che più che un dibattito di largo respiro che vada realmente a porsi l’obiettivo di una riforma utile al Paese, ancora una volta si discute su cosa sia utile al singolo Partito.

E’ venuta fuori una proposta, detta Rosatellum, dal suo proponente On. Rosato del PD, sulla quale pare convergano PD, Forza Italia, Lega e Alfaniani. Una riforma che di fatto premia le coalizioni, e sembra fatta apposta per escludere Cinque Stelle e Mpd, lo schieramento di Bersani, Speranza e D’Alema, sono i due schieramenti che non avrebbero alleati. Ma è contrario anche Fratelli d’Italia, che con questa presa di posizione tende ad acquistare visibilità e a smarcarsi dalla Lega sulla quale in effetti sembra troppo schiacciato. Il messaggio che però passa ai cittadini è che intorno a questa legge ci sia un “corri corri” alla poltrona e, soprattutto, passa il messaggio di futuri inciuci tra PD e Forza Italia. Una grossa coalizione che prefigura quel Partito della nazione che Renzi, nella sua testa, non ha mai abbandonato.

Nel frattempo però, dall’esito referendario ad oggi, sono cambiate un po’ di cose. Berlusconi è ritornato in campo, Gentiloni sta governando più o meno bene il Paese ed è difficile disarcionarlo, è venuta fuori in modo prepotente ed imponente la figura di Minniti che con la sua linea decisionista sugli sbarchi e sulle Ong sta riscuotendo consensi trasversali, a sinistra del PD qualcosa comincia a muoversi, i cinque stelle , nonostante i guai sono sempre al primo posto intorno al 29, 30%.
L’ex Premier sente che il suo spazio e la sua centralità non è più quella di prima. E ha capito da tempo che Mattarella non è Napolitano. A destra Berlusconi è il primo a sapere che a 81 anni non è molto spendibile come risorsa per il futuro e deve decidersi a trovare un erede, possibilmente senza bruciarlo subito, come ha fatto sino ad ora. L’ultimo Parisi. Tuttavia sa che può fare ancora il padre nobile della destra, ma deve fare i conti con un agguerrito Salvini sostenuto da una fronda interna capeggiata dal Presidente della Liguria Toti, e dal versante opposto con chi caldeggia un’alleanza tattica con il PD. E non sono pochi.

Da questo quadro si evince che i Partiti, in attesa del voto regionale in Sicilia, altro pastrocchio e altra situazione caotica, si preparano alle elezioni nazionali della prossima primavera navigando a vista. Non c’è un solo Partito, e questa volta neanche i cinque stelle, che abbiano manifestato una strategia vera e propria. E non parliamo di una prospettiva per il paese che sarebbe pretendere troppo! Al momento solo tatticismi, divisioni e polemiche su provvedimenti estemporanei che interessano quasi nulla al paese, guerre interne ai Partiti, scaramucce, ma nulla che possa dare dignità alla politica. Manca sempre di più quella visione di insieme, quella idea dell’interesse generale del paese, che alcuni dei leader della tanto bistrattata Prima Repubblica avevano in mente. Una crisi profonda che a stento i giornali e i media, ormai sempre più omologati ad una informazione che sa molto di regime “morbido”, riescono a camuffare alterando dati sull’occupazione, occultando scandali, creandone altri funzionali al padrone di turno. O ai padroni di turno.

Scritto da Emilio Magliano - Pubblicato sul numero 7 del 2017 nel "Il Corace"

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