martedì 3 ottobre 2017

LA SINDROME DI PARIGI

Tanto tempo fa Edith Piaf cantava “Paris c’est la vie!” (Parigi è vita), esaltando le lodi e i fasti della Ville Lumière. Mia moglie invece poco tempo fa è tornata da Parigi letteralmente sconcertata dal degrado in cui versa la capitale francese, con tanto di foto e video. Ambulanti illegali, mendicanti, migranti ovunque che dormono sui marciapiedi, nelle stazioni del metrò con tende, materassi, cartoni, tra sporcizia e olezzi maleodoranti… Un nostro amico le ha fatto notare che in realtà è stata vittima, anche se in modo leggero, della cosiddetta Sindrome di Parigi.
Sinceramente non avevo mai sentito parlare di questa fantomatica sindrome, per cui sono andato ad informarmi, rimanendo decisamente stupefatto.

QUEI GIAPPONESI PAZZI PER LA VILLE LUMIÈRE
La sindrome di Parigi è una patologia psicosomatica rara che affligge in modo particolare i turisti giapponesi in visita alla capitale francese, i quali, come escono dall’aeroporto e intraprendono il viaggio verso il centro, cominciano subito a rendersi conto che Parigi non è certo quanto si aspettassero, sperimentando un disagio derivante dalla differenza fra la visione idealizzata della capitale francese che avevano maturato in patria (dove si nutrono delle aspettative esageratamente alte sulla capitale francese) e l’effettiva visione di cui prendono atto durante il soggiorno nella città. Le grandi differenze tra le rigide regole comportamentali nipponiche e quelle occidentali farebbero il resto.
La sindrome venne riconosciuta per la prima volta nel 1986 dal professore Hiroaki Ota, psichiatra giapponese espatriato in Francia, più tardi riscontrata anche dagli psichiatri dell’Hotel Dieu. È una patologia di cui si ammalano ogni anno decine di giapponesi (solo per i casi più gravi) che soggiornano a Parigi.
L’eccitazione che i soggetti sperimentano visitando la città (prevalentemente viaggiatori interessati all’aspetto artistico del loro itinerario) provoca disturbi che si presentano con sintomi diversi: si va dallo stordimento al senso di delusione fino a una percezione distorta del mondo e di sé stessi, stati d’ansia, allucinazioni, deliri di persecuzione, forte tachicardia e depressione, presentando una sintomatologia simile ad altre patologie, fra le quali la sindrome di Stendhal e quella di Gerusalemme. Tanto che l’ambasciata giapponese a Parigi ha istituito una linea telefonica, operativa 24 ore su 24, per fornire sostegno psicologico a tutti i turisti giapponesi che vivono questo disagio. Nelle manifestazioni più acute il rimpatrio è l’unica soluzione. Ritornati in Giappone, i malati guariscono nel giro di pochi giorni.
Una delle cause responsabili è che la capitale francese viene spesso dipinta come una terra idilliaca, patria della bellezza e dell’amore. La maggior parte dei giapponesi pensa alle strade di Parigi come allo sfondo della pubblicità di un profumo alla moda e ai suoi abitanti come alle persone più chic e gentili del pianeta. La realtà, tuttavia, è spesso un’altra: infatti Parigi è anche una metropoli costosa, pericolosa, rumorosa e sporca. Per non parlare poi delle banlieues, i quartieri periferici perlopiù abitati da stranieri, dove addirittura la polizia ha paura ad entrare, continuo bersaglio di sassaiole e agguati vari. Il primo contatto con questa realtà avviene nei treni sovraffollati della metropolitana, con la paura di essere derubati amplificata dai continui annunci che mettono in guardia dai borseggiatori. Usciti dai tunnel sotterranei della metro, si ritrovano immersi nel caos e nella sporcizia della città, cosa intollerabile per un giapponese. Passeggiando in cerca di monumenti, i visitatori si accorgono presto che quasi nessuno a Parigi è disposto a dedicarti più di cinque secondi del suo tempo per darti indicazioni, soprattutto se non conosci almeno un po’ di francese. Le cose non migliorano se ci si siede al tavolo di un bar o a quello di un ristorante: i camerieri parigini hanno la reputazione di essere tra i più maleducati al mondo e non fanno nulla per smentire questa fama. L’unica consolazione sono gli innumerevoli monumenti e i tanti musei con la loro immensa disponibilità di opere d’arte, ammesso che si accetti la bolgia di turisti e a sopravvivere alle lunghe file.

LE BANLIEUES PARIGINE
Il termine francese indica l’area periferica dei grandi agglomerati urbani, dove vi sono zone povere, con una bassa qualità della vita ed un'economia depressa. L'etimologia del termine (ban=bannato, bandito; lieu=luogo) fa riferimento al senso di esclusione che la periferia evoca rispetto al centro cittadino e fa quindi risalire l’origine del termine “alla messa al bando” (lontano dalla città) degli individui più poveri e ritenuti più pericolosi. Il termine è anche stato utilizzato come eufemismo per descrivere i grandi progetti residenziali a basso costo per gli immigrati stranieri. A partire dalla fine degli anni sessanta infatti la Francia ha conosciuto dei grandi flussi migratori provenienti dalle excolonie soprattutto dei Paesi arabi. Il degrado, la mancanza di infrastrutture, l’integralismo islamico diffuso con la conseguente mancanza di integrazione e il sovraffollamento hanno fatto sì che negli anni sia cresciuta la criminalità e in particolare il traffico di droga, di armi e la microcriminalità soprattutto fra i più giovani. Soprattutto la miopìa dei politici e l’incapacità di far rispettare le leggi, per paura di essere additati come razzisti, hanno prodotto una situazione fuori controllo, portando il degrado a livelli inaccettabili. Esattamente quello che sta succedendo oggi in Italia, di cui fra non molto potremo andar fieri di avere anche noi la nostra… Sindrome di Roma. La banlieue è così divenuta, nella percezione comune, sinonimo di insicurezza e precarietà sociale, tanto da poter essere considerata un vero e proprio ghetto. Nel corso degli anni si sono verificati spesso episodi di rivolta, scaturiti dall’emarginazione sociale, come quella catastrofica del 2005.

Insomma, la Parigi dolce, seducente e magica di Amèlie Poulain esiste ormai solo nei film e i giapponesi (ma non solo) devono farsene una ragione.

Scritto da Pino Varone - Pubblicato sul numero 7 del 2017 nel "Il Corace"

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