mercoledì 1 luglio 2020

FIGLI DI PUTIN CRESCONO

Da tempo immemorabile malvezzo vuole che il politico di professione (dopo farò una utile precisazione su questo termine) sia ormai una vera e propria figura di “lavoratore” a tempo indeterminato. Nel titolo dell’articolo (volutamente allusivo e ironico) il riferimento è al satrapo per antonomasia, colui che si è autoproclamato imperatore a vita, ma avrei potuto fare nomi in gran quantità (non solo italiani) per indicare chi della pratica politica ha dato il via ad una vera “occupazione” di ruolo pubblico. Mi eleggi? Grazie. Ma sappi, carissimo elettore, che per schiodarmi dalla poltrona/divano/scranno dovrai smettere di votarmi ed io (lui) farò di tutto per “meritarmi” (sigh) la rielezione perpetua. In alcuni luoghi dell’orbe terraqueo c’è chi ricorre, per gestire il potere, a mosse che di democratico hanno ben poco e c’è chi costruisce, con sapienza da aracnide, una tela di relazioni e rapporti che garantiscono la sua presenza nell’agone politico (locale o nazionale) praticamente a vita (sua o nostra). È una brutta faccenda lettori del Corace.
Un esempio (forse il più alto o basso) di come avere un ruolo pubblico, possedere il bastone del comando, occupare un ruolo, possibilmente apicale, nella gestione della cosa pubblica, abbia una fascinazione irresistibile che cattura chiunque assapori anche soltanto la presidenza di una semplice assemblea condominiale. Intendiamoci...se c’è il consenso espresso dal voto, nessun reato è contestabile a chi sta in un’assise pubblica per lustri e decenni. Avere i voti è purtroppo un dato incontestabile. Contano. Ma spesso “pesano” poco. Non sono, a mio avviso, espressione di una investitura spontanea ma spesso appaiono come “premio” alla carriera, frutto di un tributo al medico-avvocato-commercialista e compagnia cantando. Ruoli professionali che sovente esercitano un “potere” di suggestione difficilmente contrastabile. Fuori dai denti...il mio medico si candida alle elezioni comunali..mi chiede con tono suadente di votarlo. Come potrei dire di no a chi mi ausculta e mi guarda le tonsille? Dovrei cambiare medico per dirgli un no secco (anche sussurrato). Un condizionamento c’è! Ed ho fatto un esempio che spero abbia reso l’idea. Questa prassi accade soprattutto nei piccoli comuni. In piccoli borghi dove tutti conoscono tutti e dove sulla reale capacità di gestire le cose del paese poco importa. Il sindaco l’ho visto nascere compà! Grida uno. Che poi sappia fare il capo del villaggio conta fino ad un certo punto. Tutti scontenti i coresi che ho sentito. Poi, nel momento decisivo, tutti dimenticano i borbottii di dissenso. Scomodando Max Weber e pescando nei miei ricordi di studi sociologici, mi viene alla mente il concetto del "politico di professione" come sopra accennavo. Un uomo quasi toccato dal soffio divino che si immolava per la causa di tutti noi con un fine altissimo. Nessun interesse personale. Nessuna vocazione alla cura del proprio “particulare”. Una figura rarissima e quasi mitologica purtroppo.
Si perché al politico di professione (nel nostro Belpaese in particolare) si è sostituito il “politico per mestiere”. Dallo zenith al nadir. Un deputato o un senatore o un consigliere regionale o comunale si è, da eletto, trovato ad avere uno stipendio o un gettone di presenza che rappresenta il segno tangibile di un vero e proprio mestiere. Ecco come il nobile concetto espresso da Weber si ridimensiona ed un po’ si deturpa. Da professione a mestiere. Si passa dalla politica con la p maiuscola, che va fatta con passione e competenza, alla politica come mestiere con la quale si sbarca il lunario in mancanza di altro. A Cori (venendo a noi) c’è chi siede in consiglio comunale da secoli. Ha visto il proprio crine imbiancarsi e gli addominali sparire. Maggioranza e minoranza. Preciso che non muovo nessuna accusa e non voglio cadere in una polemica qualunquista, ma qualcuno converrà con me che “stare al Comune” per tanto tempo, anche se con ruoli diversi, mi pare un esercizio se non amorale ma quanto meno discutibile. Casa comunale significa altro. A Cori non è stata favorita alcuna ipotesi di ricambio generazionale nella politica locale.
Nessuna capacità di creare una nuova “classe dirigente” che potesse garantire un ricambio necessario. Nessun contributo al futuro della propria comunità che prescinda da se stessi. Si può dare una mano anche facendo il commercialista o il salumiere. Si fa un’esperienza pubblica, ci si mette il cuore e il talento possibilmente. Poi si passa la mano. Ci si cimenta in altri ruoli non necessariamente pubblici. Si torna ad “arare” i campi come Cincinnato (citazione mai tanto adatta) dopo aver servito la patria. Invece torna la tentazione del “mestierante” che, seppur disinteressato alla piccola cifra che il consigliere incassa, non resiste al desiderio di candidarsi e legittimamente essere eletto. La passione la si trova anche fuori da ruoli pubblici. Senza riflettori e senza “occhio di bue”. Bisognerebbe darsi un tempo. Sapersi sfilare. Non aspettare di essere silurati dai numeri che escono dalla cabina elettorale. Qui, come altrove, non accade. Ed è anche per questo che la Politica non affascina i ragazzi e le ragazze. Nessuno li fa avvicinare e li accompagna a coltivare un’arte nobile che grazie ai “poltronari” ormai è ridotta a mero esercizio di “occupazione". La politica si impara facendola (non vale per tutti). Non basta avere i voti. Quelli bisogna meritarseli e capire quando vanno destinati a chi rappresenta il nuovo che democraticamente chiede spazio.
Se la vedi "fare" dai soliti noti si chiama in un altro modo che qui non posso definire.

Scritto da Mario Trifari - Pubblicato sul numero 5 del 2020 del "Il Corace"

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