mercoledì 22 marzo 2017

L'INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DEL VOUCHER

Il Governo traduce in Decreto Legge (n.25 del 17/03/2017) l’emendamento approvato dalla Commissione Lavoro della Camera che prevede l’abrogazione degli articoli 48, 49 e 50 del Jobs Act, dedicati al lavoro accessorio.
Gli stessi articoli relativi a “definizione e campo di applicazione”, “disciplina del lavoro accessorio”, “coordinamento informativo a fini previdenziali”, che la Cgil aveva chiesto di eliminare con il referendum.

Dal 18 marzo 2017 non sarà più possibile acquistare i buoni lavoro per remunerare le prestazioni di lavoro occasionale, mentre per i voucher richiesti prima di questa data è previsto un periodo transitorio, fino al 31 dicembre 2017, in cui potranno essere utilizzati.

Il mondo delle imprese sembra preoccupato: il vicepresidente di Confindustria, Maurizio Stirpe, lo trova “un clamoroso errore, meglio proseguire con la tracciabilità aumentando l’area dei controlli sugli abusi”, Mario Resca, presidente di Confimprese, parla di “ennesimo passo indietro che compie il nostro Paese”, la Fida (Federazione Italiana Dettaglianti dell’Alimentazione di Confcommercio-Imprese per l’Italia) avrebbe “preferito procedere con la consultazione referendaria certi che gli italiani avrebbero partorito una soluzione meno catastrofica di quella proposta” come anche Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria, che ritiene la scelta “deludente, se proprio si deve fare si faccia il referendum. Smontare una cosa senza dibattito non ci sembra la strada giusta”.

La Coldiretti teme un rapido aumento del lavoro sommerso nel settore agricolo mentre i sindacati appaiono divisi. Se da un lato c’è chi ha accolto i voucher come strumento prezioso per far emergere il lavoro nero compensando prestazioni occasionali altrimenti difficilmente remunerabili, dall’altro arriva la denuncia per l’uso improprio che i committenti ne hanno fatto, impiegandoli al posto di contratti più stabili.

Nati nel 2003 e applicabili solo in determinati settori per prestazioni di natura occasionale, i buoni lavoro conoscono con la legge Fornero una vera e propria liberalizzazione: sono utilizzabili in qualunque settore, per qualunque categoria di lavoratore e non necessariamente per prestazioni occasionali.

Nel 2015 è stato innalzato il tetto di guadagni da voucher cumulabili in un anno passando da cinquemila a settemila euro ed è stato il boom. I report elaborati da Inps, Inail, Istat, e Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali sulle tendenze occupazionali del nostro Paese fotografano l’ampio ricorso al sistema dei buoni lavoro suggerendo che si tratta di un fenomeno più ampio di quanto potrebbe sembrare.

Non ricorrerebbero ai voucher solo le famiglie ma anche le amministrazioni pubbliche e soprattutto le imprese, dati Inps “una volta su quattro tra prestatore e committente, nel corso dello stesso anno, si realizza la commistione con un rapporto di lavoro più stabile: tale indirizzo fa ipotizzare che, in certi casi, si sia in presenza di un contratto di lavoro subordinato mascherato, vale a dire inquadrato in modo improprio e mal retribuito”.

Spesso con i buoni lavoro viene retribuita solo una minima parte del lavoro svolto dal lavoratore mentre la rimanente viene pagata in nero e così lo strumento che avrebbe dovuto allontanare le illegalità finisce per convivervi. Quella che emerge è, in buona sostanza, una nuova forma di lavoro precario e a basso costo, la sostituzione di contratti di lavoro parasubordinato con formule meno costose per le aziende e decisamente flessibili.

Poco importa se il lavoratore diventa un precario, senza tutele e garanzie sul futuro; pur lavorando un’ora a settimana configura come “occupato” se quell’ora è stata svolta nella settimana di riferimento dell’indagine Istat, anche per questo forse sarebbe opportuno rivedere e contestualizzare i dati che sembrano suggerire un considerevole aumento dell’occupazione grazie all’efficacia delle recenti politiche del lavoro.
Di certo non è abolendo i voucher che si alimenterà o scongiurerà il ricorso al lavoro nero, in quanto strumento atto a regolamentare le attività di breve durata hanno senso e risultano efficaci se applicati nel contesto per il quale sono stati ideati.

Legittimo il sospetto di profonda ipocrisia quando il dilemma “voucher si, voucher no” suscita tanto rumore mentre in sordina scorrono le dinamiche di un precariato imperante, quasi a non voler comprendere che il reale problema sia il riconoscimento e la tutela della dignità del lavoro e del lavoratore.


Scritto da Roberta Adolfi - Pubblicato sul numero 3 del 2017 nel "Il Corace"

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