Il Governo traduce in Decreto Legge
(n.25 del 17/03/2017) l’emendamento approvato dalla Commissione
Lavoro della Camera che prevede l’abrogazione degli articoli 48, 49
e 50 del Jobs Act, dedicati al lavoro accessorio.
Gli stessi articoli
relativi a “definizione e campo di applicazione”, “disciplina
del lavoro accessorio”, “coordinamento informativo a fini
previdenziali”, che la Cgil aveva chiesto di eliminare con il
referendum.
Dal 18 marzo 2017 non sarà più possibile acquistare i
buoni lavoro per remunerare le prestazioni di lavoro occasionale,
mentre per i voucher richiesti prima di questa data è previsto un
periodo transitorio, fino al 31 dicembre 2017, in cui potranno essere
utilizzati.
Il mondo delle imprese sembra preoccupato: il
vicepresidente di Confindustria, Maurizio Stirpe, lo trova “un
clamoroso errore, meglio proseguire con la tracciabilità aumentando
l’area dei controlli sugli abusi”, Mario Resca, presidente di
Confimprese, parla di “ennesimo passo indietro che compie il nostro
Paese”, la Fida (Federazione Italiana Dettaglianti
dell’Alimentazione di Confcommercio-Imprese per l’Italia) avrebbe
“preferito procedere con la
consultazione referendaria certi che gli italiani avrebbero partorito
una soluzione meno catastrofica di quella proposta” come anche
Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria, che ritiene la scelta
“deludente, se proprio si deve fare si faccia il referendum.
Smontare una cosa senza dibattito non ci sembra la strada giusta”.
La Coldiretti teme un rapido aumento del lavoro sommerso nel settore
agricolo mentre i sindacati appaiono divisi. Se da un lato c’è chi
ha accolto i voucher come strumento prezioso per far emergere il
lavoro nero compensando prestazioni occasionali altrimenti
difficilmente remunerabili, dall’altro arriva la denuncia per l’uso
improprio che i committenti ne hanno fatto, impiegandoli al posto di
contratti più stabili.
Nati nel 2003 e applicabili solo in
determinati settori per prestazioni di natura occasionale, i buoni
lavoro conoscono con la legge Fornero una vera e propria
liberalizzazione: sono utilizzabili in qualunque settore, per
qualunque categoria di lavoratore e non necessariamente per
prestazioni occasionali.
Nel 2015 è stato innalzato il tetto di
guadagni da voucher cumulabili in un anno
passando da cinquemila a settemila euro ed è stato il boom. I report
elaborati da Inps, Inail, Istat, e Ministero del Lavoro e delle
Politiche Sociali sulle tendenze occupazionali del nostro Paese
fotografano l’ampio ricorso al sistema dei buoni lavoro suggerendo
che si tratta di un fenomeno più ampio di quanto potrebbe sembrare.
Non ricorrerebbero ai voucher solo le famiglie ma anche le
amministrazioni pubbliche e soprattutto le imprese, dati Inps “una
volta su quattro tra prestatore e committente, nel corso dello stesso
anno, si realizza la commistione con un rapporto di lavoro più
stabile: tale indirizzo fa ipotizzare che, in certi casi, si sia in
presenza di un contratto di lavoro subordinato mascherato, vale a
dire inquadrato in modo improprio e mal retribuito”.
Spesso con i
buoni lavoro viene retribuita solo una minima parte del lavoro svolto
dal lavoratore mentre la rimanente viene pagata in nero e così lo
strumento che avrebbe dovuto allontanare le illegalità finisce per
convivervi. Quella che emerge è, in buona sostanza, una nuova forma
di lavoro precario e a basso costo, la sostituzione di contratti di
lavoro parasubordinato con formule meno costose per le aziende e
decisamente flessibili.
Poco importa se il lavoratore diventa un
precario, senza tutele e garanzie sul futuro; pur lavorando un’ora
a settimana configura come “occupato” se quell’ora è stata
svolta nella settimana di riferimento dell’indagine Istat, anche
per questo forse sarebbe opportuno rivedere e contestualizzare i dati
che sembrano suggerire un considerevole aumento dell’occupazione
grazie all’efficacia delle recenti politiche del lavoro.
Di certo
non è abolendo i voucher che si alimenterà o scongiurerà il
ricorso al lavoro nero, in quanto strumento atto a regolamentare le
attività di breve durata hanno senso e risultano efficaci se
applicati nel contesto per il quale sono stati ideati.
Legittimo il
sospetto di profonda ipocrisia quando il dilemma “voucher si,
voucher no” suscita tanto rumore mentre in sordina scorrono le
dinamiche di un precariato imperante, quasi a non voler comprendere
che il reale problema sia il riconoscimento e la tutela della dignità
del lavoro e del lavoratore.
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