venerdì 2 marzo 2018

PRESENTATO Il LIBRO “RICORDI D’INFANZIA” DI ANGELO CIOETA

Vi volevo segnalare un interessante libro dal titolo “Ricordi d’ infanzia” (per un mondo a misura di bambino)  presentato alcune settimane fa, per l’esattezza sabato 20 gennaio 2018, a Velletri presso l’associazione culturale “Chai Qi”, da un nostro concittadino di Giulianello, Angelo Cioeta.
La presentazione del libro è stata organizzata dallo studio di architettura “Atelier Creativo Acciarito” in collaborazione con l’associazione culturale “Chai Qi”. Sono intervenuti all’incontro, Valentina Profeta (ACA), Maria Milo (Chai Qi), Angelo Cioeta (Autore del libro) e Emanuel Acciarito (ACA), il quale, da architetto, ha posto all’attenzione dei partecipanti, con la relazione “L’architettura che non c’è”, una riflessione sul rapporto che c’è nelle città, tra l’infanzia e l’architettura per l’infanzia.
Angelo Cioeta, nel 2017, ha dato vita alla sua prima opera letteraria “Ricordi d’infanzia”, partendo da un contesto autobiografico ambientato a cavallo tra la fine degli anni ’90 e ‘2000, a Giulianello, dove l’autore, ha avuto una infanzia vissuta, libera e felice. Il libro, molto snello nella lettura e nell’introspezione, dona al lettore un piccolo manuale dei giochi d’infanzia, più popolari e facilmente gestibili, in un territorio dove non c’era nulla per i bambini, e dove un albero, o anche solo un marciapiede, diventavano grandi strutture architettoniche, o così potevano sembrare, nella fantasia spensierata dei bambini. “Il lavoro di Angelo - ha dichiarato Emanuel Acciarito - anche se è presentato come un manuale di giochi per l’infanzia, è anche uno strumento valido, che permette al lettore di fare un’analisi, anche se inconscia, dello stato dell’arte della struttura della città, in cui sono stati praticati i giochi descritti. Con questo lavoro, in un certo senso, Angelo ci restituisce una messa a fuoco di una parte di città, che purtroppo possiamo riscontrare anche in altre città del territorio, che è poco idonea e poco conforme con l’idea di struttura di città che deve garantire il soddisfacimento dei diritti dell’infanzia. Lo stato dell’arte delle città - ha concluso l’architetto - deve farci riflettere, in quanto, vede i bambini, insieme ad anziani e disabili, essere le vittime nascoste e silenziose di piani urbanistici che non li hanno presi in considerazione e non ne hanno rispettato i punti di vista”.  
L’incontro si è concluso con un interessante dibattito, e unanime, il pubblico, ha accolto l’appello dell’autore del libro Angelo Cioeta di tutelare, valorizzare e divulgare il diritto all’infanzia, affinché, si possa realizzare, finalmente, il diritto universalmente riconosciuto, ad una infanzia libera e spensierata in tutto il mondo e l’invito dell’architetto Emanuel Acciarito  di incominciare a vivere nel mondo dei bambini, non più su un’architettura che non c’è, ma bensì in un’architettura che c’è, e, con il disegno di questa nuova architettura urbana, di cercare di mettere le future generazioni, in condizione di guardare il loro futuro mondo, con molto più ottimismo di quanto lo abbiamo fatto noi, fino ad oggi.  Se siete curiosi e volete immegervi nella lettura, il testo lo potrete richiedere attraverso l’ autore alla mail cioetaangelo@gmail.com ed attraverso Facebook.
Scritto da Fernando Bernardi - Pubblicato sul numero 2 del 2018 nel Il Corace

L'AMICO DEGLI ANIMALI : Cane da pastore maremmano abruzzese

Il cane da pastore maremmano-abruzzese, tradizionalmente noto come pastore abruzzese, conosciuto anche come pastore maremmano , è una razza canina italiana del gruppo pastori e bovari, originaria dell’Italia centrale.
Storia: Pastore abruzzese a guardia di un gregge. Il pastore maremmano-abruzzese appartiene al ceppo dei grandi cani bianchi del Centro Europa, stirpe antichissima di guardiani di armenti e del gregge dal carattere diffidente e bellicoso, giunta in Italia dal Medio Oriente. Tale appartenenza lascerebbe supporre antenati comuni con i cani da montagna dei Pirenei, molto simile a lui. Citato  già in età romana da Catone, Columella, Varrone e Palladio, il canis pastoralis o pequarius (“pecoraio”) dal pelo bianco ha continuato a svolgere indisturbato le sue mansioni di guardiano di greggi nel corso dei secoli, senza mai allontanarsi dall’appennino centro-meridionale dove aveva fatto specie a sé. Nel 1898 furono registrati sul Libro delle Origini del Kennel Club Italiano quattro cani da pastore. Nel 1924 Luigi Groppi e Giuseppe Solaro stilarono il primo standard della razza. Non seguirono registrazioni per diversi anni, ma nel 1940 i cani registrati furono diciassette. Fino al 1958, il pastore abruzzese e il pastore maremmano erano ritenute due razze distinte e separate. Addirittura nel 1950 fu fondata una associazione degli allevatori del pastore abruzzese, e nel 1953 nacque un’associazione per gli allevatori del pastore maremmano. Il 1° gennaio 1958 l’ENCI unificò le due razze sotto un unico standard sostenendo che, a causa della transumanza delle greggi da una regione all’altra, processo favorito dall’Unità d’Italia, era occorsa una “fusione naturale” tra le due tipologie di cani. Fino al 1860, infatti, le montagne abruzzesi e le pianure toscane appartenevano a due stati diversi, ossia il Regno delle Due Sicilie e il Granducato di Toscana.
Oggi il pastore maremmano-abruzzese è ancora largamente impiegato nella guardia delle greggi dagli attacchi dei lupi. A tale scopo sono stati creati progetti, tra cui quello della Regione Piemonte, che prevedono l’assegnazione di esemplari ben addestrati ai pastori che ne fanno richiesta. Tali iniziative, al contempo, sono volte a ridurre gli atti di bracconaggio contro le specie di predatori a rischio di estinzione.
Carattere: Cane dotato di grande fierezza, dignità e tempra, ha temperamento molto forte, sicuro e indipendente. Spesso viene definito un “quasi felino”, talmente non gli si addicono le smancerie. Resta comunque legato al padrone da un affetto profondo, ma pretende di essere rispettato per rispettare a sua volta il leader. Con gli estranei si dimostra generalmente diffidente, ma evita qualsiasi forma di aggressività quando non strettamente necessario. Quindi ,non può essere definito un cane da compagnia puro.
AFFIDABILITÀ: basata prevalentemente sull’assenza del comportamento predatorio (assenza per esempio di aggressività nei confronti di agnelli o pecore deboli o in difficoltà), elemento che facilita oltre al lavoro sul gregge anche una buona convivenza in ambiente socializzato e a confronto con altri animali considerati facenti parte del “gregge”.
DEDIZIONE: attaccamento del cane nei confronti dei suoi fratelli adottivi che si sviluppa fin da cucciolo nel contatto delle pecore se al lavoro o dei componenti della famiglia se inserito nel contesto umano.
PROTEZIONE: capacità di reazione del cane di fronte all’estraneo o alla inconsuetudine con mirabile sensibilità nell’identificare ed avvisare casi di pericolo imminente, questo con abbai e ringhi minacciosi fino alla decisione che si assume prevalentemente il soggetto adulto di attaccare l’aggressore se non desiste dall’intrusione Il tipo di funzione strettamente legata alla pastorizia e alla vita pastorale ha fortemente vincolato il PMA alla cultura e alle tradizioni dei pastori e dei territori di provenienza. Oggi la sua presenza lavorativa è prevalentemente rintracciabile nelle terre d’Abruzzo dove ancora rimane cospicua l’attività economica di tipo pastorale, ma attualmente, pur mantenendo ancora intatta la loro peculiare e spontanea predisposizione alla difesa dei greggi ed alla loro custodia, è impiegato nei tempi moderni anche per la difesa di territori, custodia di case e proprietà private e in ambienti in libertà ma a contatto con l’uomo. 
Aspetto Generale:  Il pastore maremmano abruzzese è un cane di grande mole, fortemente costruito, di aspetto rustico e nel tempo stesso maestoso e distinto. La conformazione generale è quella di un pesante mesomorfo, il cui tronco è più lungo dell’altezza al garrese. E’ un cane forte di grande tempra con ottima salute di base e molto raramente necessita di cure aggiuntive a quelle di una equilibrata dieta. E’ un cane rustico e resistente a temperature rigide e calde oltre che a condizioni climatiche avverse quali temporali nevicate e forte vento. Non soffre di particolari patologie né cardiache né polmonari, scarsa è anche l’incidenza delle patologie ereditarie/degenerative scheletriche come quelle displasiche. Quindi, una vera e propria roccia. Il suo pelo ha una consistenza semi-vitrea assolutamente non recettivo all’accumulo di sporco e quando è secco con una spazzolatura accurata, con fecola di patate, ritorna bianco candido. Il suo mantello è dotato di un fitto sottopelo protettivo che gli garantisce una costante protezione da temperature rigide e da climi invernali che perde durante il periodo primaverile per poi recuperare in autunno. In questo periodo va spazzolato più frequentemente il pelo morto per permettere nella successiva stagione di ripresentare il mantello nuovo e senza infeltrite.
L’allevamento e le cucciolate non destano particolari preoccupazioni perché il PMA è cane forte molto autonomo. Durante la crescita i piccoli appaiono più precoci rispetto alle altre razze, aprendo gli occhi già intorno al dodicesimo giorno e lo svezzamento può iniziare intorno al ventesimo giorno integrando le poppate con tre piccoli pasti giornalieri. Il cucciolo fin dai 40 giorni appare molto sicuro di sé, indipendente, curioso e mai pauroso con una attitudine a sviluppare precocemente senso del dovere e della funzione; in sostanza, matura e diventa adulto precocemente dal punto di vista psichico e comportamentale mentre necessità circa tre anni per sviluppare la massima maturazione fisica soprattutto nel maschio. È, come detto, una razza inserita nelle razze canine pericolose del Ministero, perché può con la sua presa, uccidere qualsiasi essere vivente capiti sotto le sue fauci. È ovvio che non può essere definito un cane cattivo, ma può diventarlo se vengono alterati i suoi spazi, le sue abitudini e se viene oltraggiato nel suo territorio. Tra l’altro è un cane che può tranquillamente competere con più lupi contemporaneamente. Quindi Il Pastore Abbruzzese è un cane da lavoro, da guardia, molto impegnativo e soprattutto non consigliato a persone inesperte.
SALUTI DALL’AMBULATORIO VETERINARIO SAN VALENTINO ambvetsanvalentino@virgilio.it
Scritto da Stefano Moroni - Pubblicato sul numero 2 del 2018 nel Il Corace

IL CARCIOFO, UNA ECCELLENZA DEL MADE IN ITALY

Noto per le sue proprietà nutraceutiche e come ingrediente per svariate saporite pietanze, al tipico ortaggio italiano può giovare un efficace risanamento per evitare danni da patologie virali
Gli ortaggi sono i prodotti naturali commestibili, di piante erbacee coltivate negli orti, tipici della cucina mediterranea e ritenuti virtuosi per la salute dell’uomo. Di alcune di tali piante orticole si utilizzano le foglie (lattuga, spinaci, bietola), di altre le radici (carote, ravanello, rapa) di altre ancora i tuberi (patate), i bulbi (cipolle, aglio) o i fiori (cavolfiori, broccoletti, cime di rapa, carciofi); di altre ancora i frutti (pomodori, peperoni, melanzane) oppure i semi (ceci, fagioli, ecc.).
Tra queste il carciofo (Cynara scolymus), della Famiglia delle Composite, di cui si utilizza il “fiore” (detto capolino), è quella più rappresentativa ed importante nel panorama orticolo italiano. Deriva dal cardo (Cynara cardunculus) che è conosciuto come “gobbo” soprattutto nel Piemonte. C. scolymus, è una pianta antichissima, originaria dei Paesi del Mediterraneo e dell’Africa settentrionale, apprezzata già dagli antichi Egizi e successivamente dai Romani, così come risulta dalle testimonianze di antichi scritti di Plinio (Naturalis historia) e Columella (De re rustica). Nella mitologia si narra anche della bellissima ninfa Cynara, chiamata così per i suoi capelli color cenere, che aveva gli occhi verdi e viola, alta e snella: una autentica bellezza, ma orgogliosa e volubile! Zeus se ne innamorò perdutamente, ma non corrisposto; così stufo e sconsolato, in un momento d’ira, trasformò Cynara in un carciofo verde e spinoso come il carattere dell’amata. Al pungente ortaggio, quindi, resta il colore verde e violetto dei suoi occhi, il cuore (il suo interno) tenero, come sa esserlo quello di fanciulla, e una provocante tentazione di metterlo in padella. Il legame con la mitologia non è casuale poiché, come accennato, la pianta è originaria del bacino del Mediterraneo compreso le isole Egee, Cipro, l’Africa, l’Etiopia dove tuttora cresce spontaneamente. I fiorellini azzurri dei tipi selvatici servivano per far cagliare il latte nella produzione di formaggio.   Da Linneo fu denominata Cynara scolymus proprio per il suo riflesso cinereo e la spinosità delle foglie e delle brattee. Il carciofo, dall’arabo “kharshuf”, trovò ideali condizioni di vita in Sicilia e poi nel resto dell’Italia e nell’Europa meridionale. Nel XV secolo, coltivato nei giardini anche a scopo ornamentale, dalla zona di Napoli, dove fu introdotto da Filippo Strozzi, si diffuse in Toscana (Caterina dei Medici ne fu una grande consumatrice) e nelle altre Regioni del nostro Paese. 
Fino agli anni ’50 la sua coltivazione avveniva quasi esclusivamente nei normali orti e solo ad uso familiare, come accade spesso ancora oggi. In seguito si cominciò a coltivarlo in modo estensivo e le prime grosse produzioni venivano convogliate sui grandi mercati del Nord Italia. Da un ventennio circa, nel nostro Paese, è la coltura più diffusa dopo il Pomodoro. Infatti, con oltre 50 mila ettari coltivati a carciofo, su un totale mondiale di circa 100 mila, l’Italia era già il maggior Paese produttore al mondo primeggiando sulla Francia, su Spagna e su Cina e Stati Uniti. Fra le Regioni italiane maggiormente produttrici possiamo menzionare la Puglia (17 mila ettari), la Sicilia (14 mila), la Sardegna (12 mila), la Campania (3 mila) ed il Lazio con 1200 ettari.  Il Lazio con appena il 4% della superficie coltivata a questo noto ortaggio, in particolare nelle province di Latina, di Roma e di Viterbo, dove si produce quasi esclusivamente il ‘carciofo romanesco’ a produzione inverno-primavera, rappresenta una importante realtà produttiva della cinaricoltura italiana e con il prestigioso marchio europeo di “Carciofo Romanesco del Lazio IGP”.
Il carciofo è una pianta perenne dal portamento maestoso, ha un rizoma sotterraneo ed un fusto eretto a sezione circolare che può raggiungere anche 1,5 metri di altezza e termina con un capolino di g 150-400. Esso si può trovare in coltura specializzata o, come avviene talvolta in Puglia, consociata a piante da frutto o all’olivo. Preferisce un clima mite ma può essere coltivato anche in bassa collina, pur risentendo di un certo ritardo nella produzione dei capolini. Il capolino (parte edule) è un fiore (non un frutto) non del tutto sviluppato e costituito da un ricettacolo carnoso e da numerose brattee anch’esse carnose, di colore verde o violetto e con o senza spine all’apice. Successivamente alla produzione del capolino principale (cimarolo) il fusto si ramifica e ne produce altri secondari che, comunque, costituiscono un prodotto commerciabile per il mercato fresco e, particolarmente, per l’industria conserviera (per la produzione dei carciofini sott’olio). Ogni anno, come già noto, alla base della pianta si formano nuovi getti chiamati carducci o polloni i quali devono essere asportati in modo da lasciarne 1-2 per pianta. Essi sono commestibili e possono essere utilizzati sia per la riproduzione (nuove carciofaie) sia per l’alimentazione animale; possono peraltro essere anche sotterrati come materiale organico per favorire la fertilità del terreno. 
I carciofi si possono distinguere in due grandi gruppi per cui abbiamo: - quelli spinosi,  provvisti di spine sulle foglie e all’apice delle loro brattee; - quelli inermi, invece, privi di spine. Si possono anche distinguere in carciofi violetti e verdi nonché per il loro ciclo fenologico che li differenzia anche in autunnali o rifiorenti e in primaverili o uniferi: -i primi si prestano alla forzatura in quanto possono produrre capolini nel periodo autunnale con una coda di produzione nel periodo primaverile; -i secondi sono più adatti alla coltura non forzata in quanto producono capolini solo dopo la fine dell’inverno e fino al mese di giugno.
A tal riguardo è opportuno altresì ricordare che si conoscono numerose varietà (circa 90) delle quali circa 20 hanno ottenuto il riconoscimento ufficiale di “prodotto tipico”. Tra le più importanti cultivar diffuse nelle nostre Regioni possiamo menzionare: ‘Spinoso sardo’, ‘Spinoso di Palermo’, ‘Violetto di Toscana’, ‘Locale di Brindisi’, ‘Tondo di Paestum IGP’, ‘Campagnano’, il già citato ‘Romanesco del Lazio IGP’ e la ‘Nuova selezione C3’ che è normalmente coltivato, soprattutto, nel favorevole territorio di Cerveteri (RM).
Se il carciofo è il “fiore all’occhiello” dell’Italia, quello ‘romanesco’ è senza dubbio il simbolo del Lazio. I suoi capolini, chiamati anche “cimaroli”, “mammole” o “cardini”, sono grandi e di forma sferica, compatti, privi di spine, hanno poco scarto ed un “cuore” assai tenero e gustoso.  Un buon carciofo, pertanto, dovrebbe presentarsi fresco, con gambo tenero, un paio di foglie verdi, taglio netto, compatto, con brattee ben serrate, privo di ammaccature e senza peluria interna.
Il Carciofo, prezioso e tipico ortaggio dell’area mediterranea, è ritenuto dotato di molteplici aspetti culinari e terapeutici ed è un alimento importante della dieta mediterranea e famoso nel mondo. Con un apporto di appena 22 calorie è un prodotto ipocalorico in quanto privo di grassi e con un basso contenuto di carboidrati e di proteine. Per di più il suo amido, costituito in gran parte da inulina, è consentito ai soggetti diabetici. Le sue proprietà salutari, peraltro, sono dovute non solo al contenuto di sali minerali (sodio, potassio, calcio, fosforo, magnesio, ferro e zinco), di vitamine (A, B1, B2, C, PP) e di fibra solubile in grado di non ostacolare l’assorbimento del calcio e di stimolare la peristalsi intestinale, ma anche alla presenza di un principio attivo (cinarina) che favorisce la diuresi e la secrezione biliare.
Recenti studi, infatti, hanno dimostrato che il carciofo svolge un ruolo importante sia nel mantenere basso il livello di colesterolo e quello dei trigliceridi sia nel migliorare il flusso biliare e la diuresi a tutto vantaggio dell’apparato cardiovascolare. 
L’Italia, come già accennato, è oggi comunque il maggiore produttore mondiale di carciofi con circa 500 mila tonnellate di cui:  il 35% in Puglia, il 32% in Sicilia, il 21% in Sardegna, il 7% in Campania, il 4% nel Lazio e l’1% in altre aree. Grazie a questa produzione, il nostro Paese rappresenta il 35% circa del volume mondiale che risulta di 1,5 milioni di tonnellate. La superficie attualmente coltivata risulterebbe di 47 mila ettari sui 133 mila totali (rielaborazione Ismea su dati Fao, 2010). Tuttavia sembra, purtroppo, che sia la superficie mondiale che quella italiana coltivata a  carciofo, negli ultimi anni, stia evidenziando un trend negativo a ragione della scarsa remuneratività della cinaricoltura che avrebbe scoraggiato, ovviamente, alcuni orticoltori.  Ad ogni modo, l’Italia non ha rivali non solo riguardo alla quantità e qualità del prodotto ma  anche per la genialità e capacità di saperlo gustare a tavola in mille svariati modi, oltre che a berlo: si ottengono liquori “anti-stress” dal gusto gradevolmente amaro e ricchi di virtù salutari. Sono altresì conosciuti, in commercio, numerosi prodotti fitoterapici ottenuti soprattutto dalle foglie. Il re Egizio, Tolomeo Evergete (III sec. a.C.), li faceva mangiare ai suoi soldati, famosi per la forza e l’ardimento, in quanto si credeva dessero tali virtù. Il carciofo, peraltro, è sempre stato associato, forse per la sua forma, alle persone scontrose e “spinose”, tuttavia da un cuore “tenero”.
Per quanto riguarda l’aspetto culinario sono famosi i carciofini sott’olio da servire in mille occasioni, con i migliori salumi e sopra la pizza nonché tutte le diverse specialità regionali come la classica frittata di carciofi, i carciofi “ritti” toscani, quelli “fritti dorati” del Lazio o quelli ripieni della Sicilia, oltre alle tante saporite minestre e alla tipica e antica ricetta dei “Carciofi alla giudia” di origine ebraica, la variante dei “Carciofi alla romana” o alla “matticella” (cotti con la brace dei sarmenti della vite) che rappresentano l’optimum per la delicatezza del gusto e del  profumo. Sono assolutamente deliziosi anche freschi e teneri, in insalata o in pinzimonio, tagliati sottilmente e conditi con sale, olio extravergine d’oliva, limone e, volendo, scaglie di parmigiano. Comunque, crudi o cotti, brevemente stufati o a vapore, con un impiego modesto di aromi e opportuno condimento (come l’olio extravergine di oliva) risultano un contorno particolarmente raccomandabile per chi ha problemi di colesterolo alto, di diabete, di ipertensione e di sovrappeso. 
Sembra opportuno, tra le eccellenze italiane di questo ortaggio, qualche utile informazione circa il ‘Carciofo di Paestum IGP‘, noto anche come ‘Tondo di Paestum’, dal nome dell’ecotipo locale da cui deriva. È ascrivibile, peraltro, al gruppo genetico dei carciofi di tipo Romanesco per cui ha l’aspetto rotondeggiante dei suoi capolini, l’elevata compattezza e l’assenza di spine sulle brattee che sono le sue principali caratteristiche. Il carattere della precocità di maturazione può essere considerato un elemento positivo derivante dall’ambiente di coltivazione (Piana del Sele) che gli consente di giungere sul mercato prima di ogni altro carciofo di tipo Romanesco. Il clima fresco e piovoso poi della zona gli permette altresì un periodo di produzione che va da febbraio a maggio.
Infatti, Alfonso Esposito, il presidente della Società Cooperativa Terra Orti, avrebbe così dichiarato: “Il primo febbraio apre la stagione della raccolta 2018 per il nostro carciofo Igp di Paestum.  Contemporaneamente inizia anche la campagna di promozione, che è stata presentata nel convegno del 31 gennaio 2018 presso Agripaestum di Capaccio (Paestum). Il progetto di promozione prevede tutta una serie di attività per comunicare la bontà del prodotto e per incrementarne il consumo. Tra queste ricordiamo i diversi workshop con operatori e consumatori, gli eventi gastronomici nei ristoranti, le giornate d’informazione presso i punti vendita della grande distribuzione organizzata (GDO), i percorsi di gusto riservati ai giornalisti, la presenza in importanti esposizioni fieristiche come Fruit Logistica di Berlino, Cibus di Parma e Taste di Firenze per offrire una panoramica completa sull’importanza di questo ortaggio ed al contempo farlo conoscere all’estero.  Il Carciofo di Paestum Igp sarà inoltre presente nelle scuole – aggiunge il presidente Esposito - con le attività didattiche e di animazione e con incontri di educazione alimentare rivolti ad un pubblico differenziato per promuovere la bontà del prodotto e la sua importanza per la salute, essendo un concentrato di principi attivi e virtù terapeutiche. Il Carciofo di Paestum Igp, infatti, è ricco di potassio, sodio, magnesio, ferro e vitamine del gruppo A e B, ha proprietà digestive e diuretiche ed è un ottimo alleato per combattere il colesterolo”.
Dal punto di vista fitopatologico sembra, ad ogni modo, che  in generale non vi siano grossi problemi fitosanitari, tuttavia una delle maggiori problematiche della carcioficoltura italiana è sicuramente la presenza delle virosi, che causano danni diretti ed indiretti alla coltura. I danni diretti riguardano la riduzione della qualità e della quantità delle produzioni oltre ad un ritardo delle stesse produzioni, mentre quelli indiretti si evidenziano nella impossibilità di attuare una qualsiasi forma di propagazione agamica ossia di vivaismo. “Per ovviare a questo problema – spiega, infatti, Pier Paolo Porcu, tecnico presso l’azienda Sa Marigosa - dobbiamo basarci su approcci preventivi. Tra questi, assumono grande importanza la pronta disponibilità di saggi diagnostici rapidi ed affidabili e la possibilità di ricorrere all’uso di germoplasma sano per la creazione di nuovi impianti. La lotta ai vettori, ancorché possibile, riesce spesso poco efficace. Ad ogni modo, per concludere, si può dire che Carciofo e Orticoltura rappresentano per l’Italia una notevole ricchezza. Inoltre gli studi avviati sul risanamento per liberare le piante dai virus, la valorizzazione del germoplasma, il miglioramento genetico e la qualità del prodotto, sono obiettivi e già progetti di ricerca che dimostrano l’interesse per tale settore. Comunque, non si sottovaluti l’importante funzione sociale che, localmente, hanno le produzioni dei vari orti familiari.
Scritto da Giovanni Conca - Pubblicato sul numero 2 del 2018 nel Il Corace

I VACCINI SONO COSI DANNOSI?

Da più di un secolo, i vaccini vengono utilizzati contro specifiche malattie infettive, salvando milioni di vite. Eppure negli ultimi anni sono stati spesso demonizzati. Sempre più frequentemente si assiste ad un aumento di malattie infettive che sembravano scomparse da tempo. Il morbillo, per esempio, è tornato alla ribalta dopo un periodo in cui sembrava quasi scomparso. Secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, su oltre 2.000 casi segnalati di morbillo, l’86% riguardano bambini non vaccinati, evidenziando una forte avversione dei genitori a vaccinare i propri figli. Le paure che accompagnano la vaccinazione contro il morbillo risalgono alla fine degli anni ‘90 in cui venne pubblicato un articolo dell’allora medico Andrew Wakefield (poi radiato dall’Ordine dei medici) e collaboratori, secondo cui esisteva una correlazione tra la somministrazione del vaccino trivalente morbillo-parotite-rosolia (MPR) e lo sviluppo di autismo e di alcune malattie infiammatorie croniche intestinali. La campagna portata avanti dai movimenti antivaccinali ha purtroppo scatenato un allarmismo circa i suoi presunti effetti dannosi. Sebbene negli anni successivi numerosi studi epidemiologici abbiano smentito qualsiasi correlazione, si è assistito ad un calo delle vaccinazioni con una conseguente diminuzione dell’immunità di gruppo. L’American Academy of Pediatrics, inoltre, ha raccolto una serie di importanti studi scientifici internazionali sulla sicurezza dei vaccini, in cui si dimostra che, oltre la mancanza di correlazione, anche le probabilità di sviluppare una forma di autismo non sono correlate ad una somministrazione maggiore degli antigeni presenti nel vaccino.
I vaccini vanno a stimolare una risposta immunitaria specifica contro determinati agenti patogeni e svolgono un’azione protettiva, oltre che sul singolo individuo, anche sull’intera popolazione. La vaccinazione viene considerata come uno degli interventi di prevenzione più efficaci messi a disposizione dalla sanità pubblica per prevenire malattie gravi o che possono causare importanti complicanze. È per questo motivo che il Ministero della Salute e l’Agenzia Internazionale di Controllo e Prevenzione delle Malattie (CDC) raccomandano le vaccinazioni soprattutto in età pediatrica. La maggior parte dei bambini, trovandosi in buona salute, quando viene vaccinata non presenta reazioni avverse obiettivabili. Tuttavia, come qualunque trattamento sanitario, anche i vaccini non sono esenti da possibili effetti collaterali, anche se reazioni molto gravi sono rare. Per la maggior parte dei casi si tratta di reazioni locali semplici (lieve gonfiore o arrossamento nella zona dove viene praticato il vaccino), stati febbrili e reazioni di ipersensibilità cutanea, che scompaiono entro pochi giorni. Le reazioni definite “gravi” sono rappresentate da febbre elevata (>39,5°), convulsioni febbrili, reazioni di ipotonia/iporesponsività o viceversa pianto/ irritabilità, che si possono presentare nei bambini nel primo anno di vita ed episodi di cefalea negli adolescenti. Sono comunque eventi che si risolvono in tempi brevi senza lasciare alcuna sequela. Ad oggi i rischi correlati alla mancata vaccinazione sono notevolmente più alti rispetto ai possibili eventi avversi da attribuire ai vaccini. E ci preme ricordare come una capillare vaccinazione possa eradicare malattie estremamente pericolose per l’uomo, come è stato per il vaiolo. In questo caso una forte e coordinata campagna di vaccinazione su scala mondiale ha permesso di liberare l’intero pianeta da una malattia terribile. Adesso che il pericolo è passato non serve più vaccinarsi contro il vaiolo.
Scritto da Valentina Borro - Pubblicato sul numero 2 del 2018 nel Il Corace

IL METODO LITTLE

Il Metodo Little (Little method) è una forma di allenamento cardiovascolare anaerobico in High Intensity Interval Training (HIIT).
Caratteristiche
Il Metodo Little è una particolare forma di High Intensity Interval training (HIIT) che venne testata in uno studio del 2009 dal ricercatore Johnathan Little e colleghi, nel gruppo del Professor Martin Gibala presso la McMaster University in Canada. Il protocollo si imposta partendo con un riscaldamento da 3 minuti a cui segue la prestazione HIIT, la quale consiste in 60 secondi di esercizio fisico intenso al 95100% del VO2max alternato con periodi di recupero attivo a bassa intensità da 75 secondi, in un ciclo ripetuto per 8-12 volte per una durata totale tra i 18 e i 27 minuti. Il gruppo di ricercatori era riuscito a dimostrare precedentemente che l’HIIT portasse a numerosi adattamenti fisiologici analoghi a quelli osservati con la normale aerobica a moderata intensità (Steady State Training), nonostante il volume totale di allenamento molto ridotto. Il dato più significativo riguardo a questi dati era che il volume dell’esercizio e il tempo speso per svolgere un allenamento HIIT erano tra il 75 e il 90% inferiori rispetto allo steady state training. Questo suggerì che l’HIIT fosse una strategia efficace per indurre degli adattamenti muscolari metabolici e migliorare la prestazione fisica in tempi molto brevi. Dato che la mancanza di tempo è uno degli ostacoli più comunemente citati per l’esecuzione di un regolare esercizio fisico in una buona parte della popolazione, un allenamento HIIT, grazie ai bassi volumi, può rappresentare una valida alternativa al tradizionale esercizio di endurance per migliorare la salute metabolica e ridurre il rischio di malattie croniche.
Poiché la maggior parte degli studi sul HIIT si basavano ripetutamente sulla cosiddetta prestazione all-out (al massimo sforzo), lo scopo dello studio era quello di determinare se anche modelli di HIIT più pratici e a basso volume potessero portare a simili miglioramenti delle prestazioni e degli adattamenti metabolici e molecolari, per poter garantire una maggiore sicurezza, praticità e idoneità per una popolazione di individui più vasta. Sette uomini (età media 21 anni) eseguirono 6 sessioni di allenamento per oltre 2 settimane. Ogni sessione consisteva di 8-12 sprint su cicloergometro della durata di 60 secondi ad un’intensità di circa il 100% VO2max intervallati da 75 secondi di recupero. Al termine del periodo di studio, l’allenamento aumentò la capacità aerobica (VO2max). Dalle analisi rilevate, vennero stabiliti una serie di adattamenti muscolari come la biogenesi mitocondriale, che aumentò di circa il 56% a seguito del periodo di allenamento. L’allenamento aumentò anche il glicogeno muscolare a riposo e il contenuto totale di proteine GLUT-4, i trasportatori di glucosio insulino-sensibili.
Questo studio dimostrò che anche l’HIIT a basso volume rappresentasse un potente stimolo all’aumento della capacità mitocondriale del muscolo scheletrico e al generale miglioramento delle prestazioni fisiche. I risultati suggerirono inoltre che gli aumenti di alcune componenti molecolari possono essere coinvolti nel coordinamento degli adattamenti mitocondriali in risposta al HIIT nel muscolo scheletrico. I risultati di rilievo dimostrarono che i cambiamenti favorevoli osservati nell’attività enzimatica, nelle prestazioni e nei livelli basali di glicogeno muscolare erano paragonabili ai cambiamenti osservati precedentemente dallo stesso gruppo dopo 2 settimane di allenamento HIIT all-out, così come quelli riscontrati con il classico allenamento aerobico in steady state training con volumi molto maggiori. Il metodo Little non rappresenta una variante del HIIT molto distintiva, trovando delle analogie con altre modalità standard comunemente descritte da vari autori. Si tratta di uno dei tanti metodi di impostazione di allenamento HIIT testati dai ricercatori nell’ambito scientifico. Esempio di HIIT secondo il Metodo Little Riscaldamento bike 3′ 50% VO2max Parte Centrale bike 30″ 100% VO2max bike 75″ 50% VO2max •Ripetere il ciclo per 8-12 volte. Fonti Wikipedia, l’encilcopedia libera..
Scritto da Andrea Pistilli - Istruttore FIF - Pubblicato sul numero 2 del 2018 nel Il Corace

SAN VALENTINO: LA STORIA E LA TRADIZIONE

La sua origine coincide con il tentativo della Chiesa cattolica di «cristianizzare» il rito pagano per la fertilità. Per gli antichi romani febbraio era il periodo in cui ci si preparava alla stagione della rinascita. A metà mese, fin dal quarto secolo a.C., iniziavano le celebrazioni dei Lupercali, per tenere i lupi lontano dai campi coltivati. I sacerdoti di questo ordine entravano nella grotta in cui, secondo la leggenda, la lupa aveva allattato Romolo e Remo, e qui compivano sacrifici propiziatori. Contemporaneamente lungo le strade della città veniva sparso il sangue di alcuni animali. I nomi di uomini e donne che adoravano questo Dio venivano inseriti in un’urna e poi mischiati; quindi un bambino estraeva i nomi di alcune coppie che per un intero anno avrebbero vissuto in intimità, affinché il rito della fertilità fosse concluso.
I padri precursori della Chiesa, decisi a mettere fine a questa pratica licenziosa, vollero trovare un santo degli innamorati per sostituire l’immorale Lupercus. Nel 496 d.C. Papa Gelasio annullò la festa pagana decretando che venisse seguito il culto di San Valentino. 
Ma chi era questo santo?  San Valentino, nato a Interamna Nahars, l’attuale Terni, nel 176 d.C. e morto a Roma il 14 febbraio 273, era un vescovo romano che era stato martirizzato. Valentino dedicò la vita alla comunità cristiana e alla città di Terni dove infuriavano le persecuzioni contro i seguaci di Gesù. Fu consacrato vescovo della città nel 197 dal Papa San Feliciano, poi divenne il protettore dell’amore in tutto il mondo. Perché fu scelto come patrono degli innamorati?  È considerato il patrono degli innamorati poiché la leggenda narra che egli fu il primo religioso che celebrò l’unione fra un legionario pagano e una giovane cristiana. C’è qualche racconto particolare che lo riguarda?  Si dice che un giorno San Valentino sentì passare, vicino al suo giardino, due giovani fidanzati che stavano litigando. Allora gli andò incontro con in mano una rosa che regalò loro, pregandoli di riconciliarsi stringendo insieme il gambo della stessa, facendo attenzione a non pungersi e pregando affinché il Signore mantenesse vivo in eterno il loro amore. Qualche tempo dopo la coppia gli chiese la benedizione del loro matrimonio. Quando la storia si diffuse, molti decisero di andare in pellegrinaggio dal vescovo di Terni il 14 di ogni mese, il giorno dedicato alle benedizioni. Poi la data è stata ristretta solo a febbraio, perché in quel giorno del 273 San Valentino morì.
E per quanto riguarda la storia più recente? L’associazione con l’amore romantico è posteriore, anche se la questione sulla sua origine è controversa. Secondo una tra le tesi più accreditate, San Valentino sarebbe stata introdotta come festa degli innamorati grazie al circolo di Geoffrey Chaucer (1343 – 1400), che nel suo poema «Parlamento degli uccelli» associa la ricorrenza al fidanzamento di Riccardo II d’Inghilterra con Anna di Boemia. In ogni caso in Francia e Inghilterra, nel Medioevo, si riteneva che a metà febbraio iniziasse l’accoppiamento degli uccelli: evento che si prestava a far consacrare il 14 febbraio come la festa degli innamorati.
Nei Paesi anglosassoni il tratto più caratteristico è lo scambio (risalente al XIX secolo) di «Valentine», bigliettini d’amore con le sagome dei simboli dell’amor romantico (cuori, colomba, Cupido). La più antica «Valentine» di cui si abbia traccia risale al XV secolo, e fu scritta da Carlo d’Orléans, allora detenuto nella Torre di Londra dopo la sconfitta alla battaglia di Agincourt (1415). Carlo si rivolge alla moglie con le parole: «Je suis déjà d’amour tanné, ma très douce Valentinée». A metà Ottocento negli Stati Uniti tal Esther Howland iniziò a produrre biglietti di San Valentino su scala industriale. Con il passare del tempo la tradizione dei biglietti amorosi divenne secondaria rispetto allo scambio di scatole di cioccolatini, mazzi di fiori o gioielli.  Come si festeggia in altri Paesi?  In Germania gli innamorati scrivono bigliettini e acquistano regali, in genere non troppo costosi, e fiori per il proprio partner. In Olanda e in Inghilterra c’è chi spedisce biglietti non rivelando la propria identità. In Giappone la tradizione prevede che siano le ragazze a regalare una scatola di cioccolatini ai ragazzi, anche se non sono necessariamente i loro fidanzati: vanno bene pure amici e colleghi di lavoro. E gli uomini che ricevono cioccolato a San Valentino devono ricambiare il dono ricevuto regalando cioccolato bianco un mese dopo San Valentino, cioè il 14 marzo. In Spagna invece in quel giorno vanno a ruba le rose rosse. Negli Stati Uniti, San Valentino viene festeggiato da tutti: anche i bambini si scambiano biglietti raffiguranti gli eroi dei cartoni animati.
Scritto da Andrea Pontecorvi - Pubblicato sul numero 2 del 2018 nel Il Corace

UN LIBRO, UNA CANZONE, UN FILM E ALTRE STORIE

Caro lettore, ti sei mai chiesto cos’è il dolore? Oltre alla sensazione di sofferenza provocata da un male fisico, ti sei mai chiesto come mai il dolore che associamo a una sofferenza morale, a un patimento dell’animo, non si riesce a tener lontano? Semplicemente perché non è possibile.  Per quanti sforzi si facciano di far finta di niente, il dolore ci appartiene: dobbiamo abituarci a convivere con questa sensazione difficile da dominare. È fisiologicamente legata alla gioia, poiché non esiste gioia senza dolore, e di conseguenza il dolore avrà termine prima o poi. Imparare a comprendere che spesso il dolore è il nostro più fedele alleato; non si deve combattere. Così come per la sofferenza provocata da un male fisico svolge la funzione di “allarme difensivo”, in quanto sintomo di un potenziale pericolo per il nostro organismo, anche per la sofferenza morale è un avvertimento che ci consente di mettere in atto dei meccanismi di difesa: imparare a riconoscere ciò che ci fa soffrire e riuscire a neutralizzarlo. Il dolore, visto da questa prospettiva, perde il significato negativo che gli abbiamo sempre  attribuito. Diventa così la spinta che porta ogni essere umano a prendersi cura di se stesso; ogni santo giorno che passiamo sulla Terra. Molto spesso una canzone può essere la nostra arma di distruzione del dolore.
Nel 1997 Patty Pravo salì sul palco dell’Ariston di Sanremo con E dimmi che non vuoi morire, brano scritto da Vasco Rossi, Gaetano Curreri e Roberto Ferri. Vinse il Premio per la miglior musica e il Premio della critica “Mia Martini”, ma si piazzò solo ottavo nella classifica generale. Quell’anno vinsero i Jalisse, ma questa è un’altra storia. Nelle parole del ritornello c’è tutto quello di cui abbiamo bisogno. Rimanere in vita è l’unica cosa che conta. “La cambio io la vita che / non ce la fa a cambiare me / bevi qualcosa / cosa volevi / vuoi far l’amore con me? / La cambio io la vita che / che mi ha deluso più di te / portami al mare / fammi sognare / e dimmi che non vuoi morire”. E se un dolore è portato via con un soffio di vento, credimi, è come la polvere: senza consistenza, in grado solo di sporcarti le mani o di farti lacrimare per un po’; poi basterà lavarsi e tutto tornerà come prima. Buon ascolto! E dimmi che non vuoi morire – Patty Pravo, 1997
Scritto da Tommaso Guernacci - Pubblicato sul numero 2 del 2018 nel Il Corace

L’ITALIA E IL RISIKO LIBIA

Sabato scorso, il 17, mi telefona Souad Sbai per invitarmi a Roma, Teatro Valle,  dove ha organizzato una tavola rotonda:  “L’Italia e il Risiko Libia”. Souad, ex parlamentare, giornalista, scrittrice, attivista per i diritti delle donne, che ad oggi vive ancora “sotto scorta” è una persona seria. Seria quanto l’argomento che è stato trattato, quello della Libia.
Infatti, la Libia è un tassello decisivo ma troppo spesso sottovalutato della geopolitica internazionale; la nascita e lo sviluppo di Isis in Siria e Iraq ha fatto sì che tutte le attenzioni degli analisti e dei commentatori si concentrassero per lungo tempo su quel quadrante, dimenticando la sponda sud del Mediterraneo, ormai dal 2011 luogo di profonde fratture politiche e culla di una nuova forma di jihadismo. Dalla caduta di Gheddafi infatti nel territorio libico si sono incontrate e spesso fuse, come in un processo osmotico le mille varianti del terrorismo internazionale: da pezzi di Ansar al-Sharia, passando per Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI), i reduci di Isis e soprattutto le roccaforti di Al Qaeda ormai la Libia è vista come un territorio ’vergine’ in cui stabilire delle basi. Traffici di armi e migranti, in particolare sono il ’core business’ di questi gruppi di cui elementi qaedisti sono il trait d’union e la guida operativa.
La miccia che ha acceso questo meccanismo di cui oggi vediamo le conseguenze è rappresentata dalla lotta contro Gheddafi; nel giugno del 2017, infatti, è emerso da alcune informazioni rilasciate al quotidiano online “Middle East Eye” che molti combattenti e miliziani di origine libica sarebbero stati lasciati partire liberamente dall’Inghilterra verso Tripoli, senza alcun interrogatorio, pur avendo dichiarato che andavano ad unirsi alle fazioni anti-Gheddafi.Personaggi legati al movimento Jama’a al Islamiyah al Muqatilah bi Lybia, ben conosciuti in Occidente eppure lasciati partire. Un particolare di non poco conto ci introduce alla necessità di riflettere a fondo e costruire delle risposte sulla delicata tematica libica: a capo di questo asse del terrore costituitosi in Libia, infatti, ci sarebbe l’algerino Mokhtar Belmokhtar, uno dei profili terroristici più pericolosi del mondo, leader del gruppo Al-Murabitoun, che fa diretto riferimento ad AQMI. Chi conosce le vicende degli anni ’90 in Algeria, con i massacri degli islamisti coperti da grosse frange dell’esercito ne ricorda il nome.
Un clima reso ancor più esplosivo dai finanziamenti che il Qatar a pioggia catapulta sui movimenti islamisti. Conflitti politici, terrorismo, emergenza immigrazione: a sette anni dalla rivoluzione che ha posto fine al lungo regime di Gheddafi, la Libia è dunque ancora assai lontana dal raggiungere la stabilità interna, restando una grave fonte d’insicurezza per il Mediterraneo e per l’Italia in particolare. Quello che occorre fare in questo senso è prima di tutto capire, comprendere i nodi e i legami, verificare quel che sappiamo e studiare il medio termine.
Con la Tavola Rotonda “L’Italia e il Risiko Libia”, che si è tenuta sabato 17 Febbraio alle 17.30 presso l’Antica Biblioteca Valle a Roma, il Centro Culturale “Averroè” va proprio nella direzione di promuovere una nuova riflessione sulle sfide e sulle prospettive riguardanti il complesso scenario libico. Un confronto aperto, franco e a largo raggio fra analisti, esperti e giornalisti che prenderanno in esame gli aspetti fondamentali della crisi, insieme al ruolo dell’Italia quale partner privilegiato della Libia nel favorire la riconciliazione nazionale, il mantenimento dell’integrità territoriale, la ricostruzione e lo sviluppo socio-economico del Paese. Il pericolo da scongiurare è quello che io definisco la ’’algerizzazione’’ della Libia, con il rischio della creazione di una sacca di jihadismo, condita con una crisi migratoria incontrollata, ancora più esplosiva di quanto già non sia. In Nordafrica e specialmente in Marocco questo pericolo lo hanno capito da tempo e in questi giorni si terrà un summit contro il radicalismo e il jihadismo, con alla testa gruppi organizzati di donne. Segno che l’instabilità libica sta generando il timore di contagio non solo in Europa, ma anche in tutta la fascia rivierasca nordafricana.
Scritto da Costantino Pistilli - Pubblicato sul numero 2 del 2018 nel Il Corace

FLAT TAX

La Flat Tax (letteralmente “tassa piatta”, cioè tassa forfettaria) è un tipo di imposta sul reddito che prevede l’applicazione di un’aliquota unica per tutte le fasce di reddito, diversamente da ciò che accade con le imposte progressive, le cui aliquote d’imposta hanno un peso più elevato in base al reddito che si possiede. Nel caso di applicazione della Flat Tax, non sono previste deduzioni (riduzioni della base imponibile per il calcolo della tassa), né detrazioni (riduzione del valore dell’imposta applicata sul reddito). La nascita di detto tipo di imposta risale a tempi molto antichi, addirittura se ne dà una prima definizione all’interno delle Sacre Scritture e, a seguire, se ne trovano testi risalenti alle più antiche culture arabe, nonché fu oggetto di discussione nella Firenze dei Medici. Solo in tempi recenti, grazie all’economista Milton Friedman, se ne dà una spiegazione economica e sociale concreta, che analizza i pro ed i contro della sua applicazione.
Talmente tanto complessa che la maggior parte dei Paesi avanzati non la applica. Perché è così difficile da applicare? Partendo da un approccio microeconomico, vale a dire analizzando la situazione economica esclusivamente per famiglie ed imprese, l’utilizzo di tale tipo di imposta prevede appunto l’applicazione di un’unica aliquota per tutti i tipi di reddito quindi il gettito fiscale risulta più alto per le famiglie abbienti o per chi comunque ha redditi elevati. Facendo un paragone di semplice intuizione, gli imprenditori avranno sicuramente un reddito più alto rispetto ai lavoratori, e questo causa un peso d’imposta maggiore che si riflette sulla produttività del sistema imprenditoriale; d’altro canto le famiglie, che si presuppone abbiano un reddito da lavoro, sono avvantaggiate perché vedono ridursi il loro carico d’imposta, potendo così impiegare il loro capitale diversamente, quindi consumando di più ed aumentando la produzione di beni e servizi che permetteranno alle imprese di incrementare i profitti e quindi i redditi. Gli effetti quindi si posso dire ridotti.
Estendendo ora l’analisi ad un approccio macroeconomico, includendo in questo caso anche la Pubblica Amministrazione, la situazione su descritta non cambia, ma si deve tener conto degli effetti che tale imposta ha a livello Amministrativo. Una Flat Tax applicata su tutti i redditi, come proposto dagli esponenti politici in questi giorni, rende sì un prelievo d’imposta equo ed una buona redistribuzione della ricchezza, ma ci rende tutti “apparentemente” ricchi; chi ne giova in ultima analisi è proprio lo Stato, in quanto la base imponibile per l’applicazione di detta imposta, è più ampia quindi il gettito fiscale aumenta di molto e gli effetti sul PIL sono altrettanto notevoli. Un altro grande economista, Keynes, ha introdotto la Flat Tax nel moltiplicatore economico macroeconomico (Stato, famiglie, imprese) e ne dedusse che, per applicare al meglio tale imposta, sarebbe stato opportuno introdurre un’ulteriore tassa sull’extra-profitto generato dai redditi di capitale. Non è facile perciò trovare una giusta applicazione di questa imposta, e le variabili di cui si deve tenere conto sono moltissime, specie nel contesto economico attuale; se verrà trovata una soluzione equa anche nel lungo periodo, potrebbe essere d’aiuto per tutti gli attori economici. In caso contrario, ci ritroveremo di nuovo dinanzi ad un ennesimo errore di valutazione da parte dei nostri governanti.
Scritto da Eleonora Angelini - Pubblicato sul numero 2 del 2018 nel Il Corace

LA VITA COME LA MONTAGNA

Da sempre l’uomo paragona le vicissitudini della vita alla montagna. Riflettendoci, la nostra esistenza è totalmente vissuta come se fossimo eterni montanari, sempre in quota ad affrontare le nostre montagne interiori e spesso costretti ad essere i soccorritori di noi stessi durante le nostre bufere dell’anima. La montagna infatti rappresenta per eccellenza le difficoltà della vita, con le sue rocce da scalare, i suoi ripidi pendii, le avversità meteorologiche che la caratterizzano spesso ed infine la vetta, il meritato premio per avercela fatta.
La montagna è spesso una severa insegnante, ci fa confrontare con noi stessi, ci obbliga a testare i nostri limiti, facendoci scoprire dove possiamo e non possiamo arrivare. Essa ci dona il coraggio di guardare in faccia le nostre paure per poi affrontarle. Ci insegna quindi a tenere duro, a non mollare, perché scalando con tenacia e fiducia si arriverà soddisfatti al meraviglioso ed appagante panorama della vetta. La montagna è dunque una scuola di vita, ogni volta che passiamo del tempo tra i suoi maestosi ambienti apprendiamo una silenziosa e preziosa lezione che ci risulterà fondamentale poi applicare nella vita di tutti i giorni. In sostanza, essa ci aiuta ad avere un diverso approccio nei confronti di noi stessi, aiutandoci ad affrontare tutto in maniera più saggia e positiva. Non è poi così importante quante volte si sale lassù, ma piuttosto quante volte si mettono in pratica i suoi insegnamenti tra le nostre azioni quotidiane. Solo così si potrà dare il giusto valore ad un luogo che da secoli affianca le più profonde riflessioni dell’uomo.
Scritto da Gianpaolo Manciocchi - Pubblicato sul numero 2 del 2018 nel Il Corace

Il PATRIMONIO MUSICALE TRADIZIONALE DI SCENA A CORI E NEL LAZIO

Considerate le direttive che giungono continuamente dall’UNESCO, ma anche dal MIBCAT – Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo -, che stabiliscono di incentivare le iniziative per la salvaguardia dei Beni Culturali Immateriali, l’Associazione Culturale “Festival della Collina” di Cori anche in questo anno 2018 sta dando seguito alle attività riguardanti il Progetto di “SALVAGUARDIA DEL PATRIMONIO MUSICALE TRADIZIONALE”, mettendo in programma una serie di iniziative culturali, scientifiche e di spettacolo, anche a carattere internazionale, che daranno quest’anno un grosso contributo al progetto promosso dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali soprattutto nell’anno in cui il Parlamento Europeo ha proclamanto il 2018 “Anno Europeo del Patrimonio Culturale”.
Oltre all’Associazione interessata daranno nuovamente supporto al progetto il Coro Polifonico Giovanile “ALWAYS YOUNG CHOIR”, diretto dal M° Giovanni Monti, il Complesso Strumentale “fANfARRA ANTIQUA”, diretto dal M° Carlo Vittori. A questi si unirà quest’anno anche il gruppo di musica popolare “I TRILLANTI”, diretto dal tamburellista Mattia Dell’Uomo.

A tal proposito, in questo mese di Febbraio sono iniziati a Cori degli interessanti Laboratori con il fine di salvaguardare il Patrimonio Musicale Tradizionale. Il primo sarà un Laboratorio di «PRODUZIONE MUSICALE TRADIZIONALE», in continuità del lavoro fatto nel 2017 dal Coro Polifonico Giovanile “Always Young Choir”, che si interesserà di esecuzione, composizione, canto corale con il supporto del Complesso Strumentale “Fanfarra Antiqua”, ricerca etnomusicologica sulla musica popolare ed etnica d’insieme. Durante il Laboratorio verranno insegnati al Coro Giovanile canti a diverse voci, appartenenti alla tradizione popolare italiana, in particolare dell’Italia, ma anche internazionale, canti che saranno accompagnati dal Complesso Strumentale che per l’occasione userà diversi strumenti musicali della tradizione popolare.
Il secondo Laboratorio si interesserà di «TAMbURELLO E TAMMORRA», attraverso una ricerca etnomusicologica sull’uso di questi strumenti nei territori del sud Italia, in particolare la Campania, abbinata ad una conferenza e all’insegnamento di musica d’insieme per l’accompagnamento al ballo con il Tamburello e la Tammorra, le percussioni popolari, la voce e altri strumenti della tradizione popolare, un Laboratorio che sarà tenuto dal tamburellista Mattia dell’Uomo coadiuvato dal suo gruppo di musica popolare “I Trillanti” e dal Complesso Strumentale “Fanfarra Antiqua”.
I Laboratori saranno aperti soprattutto ai giovani di Cori e del territorio dei monti Lepini. Gli incontri in questi Laboratori tenderanno anche al recupero di storie e canti, ma anche sull’uso del Tamburello e della Tammorra nella tradizione popolare italiana, soprattutto del centro e sud Italia, patrimonio culturale che sarà rintracciato attraverso una ricerca etnomusicologica nel territorio. Il Laboratorio per la Corale Giovanile si sta tenendo ogni venerdì, dalle ore 19:30 alle 21:00, mentre il Laboratorio di Tamburello e Tammorra si terrà nel pomeriggio di domenica 25 febbraio presso l’antico Palazzetto Luciani di Cori.

I risultati dei Laboratori saranno divulgati sia a carattere nazionale che internazionale, durante lo svolgimento a Cori e nel Lazio del «CIOff® Spring EXCO and Council Meetings 2018», che si terrà a primavera dal 13 al 21 aprile 2018, dove arriveranno esperti di musiche e balli popolari dall’Europa e dal mondo, e durante lo svolgimento del «2018 LATIUM WORLD fOLKLORIC fESTIVAL – Musiche e danze popolari del mondo per una cultura della Pace - CIOff®», kermesse di tradizioni popolari che si terrà quest’estate dal 25 luglio al 7 agosto 2018. Entrambi gli eventi saranno organizzati con la collaborazione del CIOFF® mondiale (Conseil International des Organisations de Festivals de Folklore et d’Arts Traditionnels. ONG Partner Ufficiale dell’UNESCO, accreditata sempre presso l’UNESCO nel Comitato per la salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale. ONG presente in circa 120 Paesi in tutto il mondo). Un interessante Progetto quello messo in campo dall’Associazione Culturale “Festival della Collina” che sarà promosso nell’ambito di due importanti eventi internazionali attraverso l’organizzazione di un ricco palinsesto di spettacoli e di iniziative culturali, rivolte alla salvaguardia dei molteplici tesori della «cultura tradizionale e popolare» dell’Italia e del mondo, momenti conviviali, conferenze, workshops e mostre su «folklore, musica e danza tradizionale» intesi anche quale strumento per favorire la comprensione e l’integrazione tra i popoli.

Scritto da Tommaso Ducci - Pubblicato sul numero 2 del 2018 nel Il Corace

L'IMPORTANZA DI AVERE UN SOGNO

La maggior parte delle persone che hanno avuto successo nella vita lo hanno raggiunto grazie ad un loro sogno e ad una grande visione. Cristoforo Colombo aveva avuto la visione che la Terra era rotonda, ma tutti gli dicevano che la Terra era piatta ed era un pazzo nel fare la sua spedizione. Tutti gli davano contro, finché la Regina Elisabetta lo finanziò per la costruzione delle sue navi. Quindi si mise alla ricerca dell’equipaggio per iniziare il suo viaggio, e quest’uomo dopo che gran parte delle persone lo aveva criticato delle sue affermazioni e del suo credere dimostrò a tutti che la Terra era veramente rotonda e non piatta come tanti credevano.
Fin da quando siamo bambini, tutti abbiamo la capacità di sognare, poi quando si cresce non tutti continuano a sognare, a volte ci si dimentica anche come si fa. Questo accade magari perché qualcuno ci ha detto frasi come: ”Tu non realizzerai mai i tuoi sogni!” oppure “smettila di sognare tanto non si avvereranno mai!”. Ed ecco che magicamente smettiamo di sognare, e i sogni che abbiamo fatto fino a quel momento li chiudiamo in un cassetto, tanto qualcuno ci ha detto che non si avvereranno mai.

Conosco la storia di un uomo che quando era un giovane ragazzo aveva un grandissimo sogno. Il ragazzo era figlio di un domatore di cavalli, che girava molti paesi per svolgere il suo lavoro, ovviamente portava con se la sua famiglia, quindi la carriera scolastica del ragazzo veniva interrotta molte volte per via di questi spostamenti del padre. Un giorno al ragazzo venne chiesto di scrivere un tema, su quello che voleva essere e su cosa voleva fare da grande. Quel giorno scrisse un tema di 7 pagine descrivendo il suo obiettivo. Il suo sogno era quello di avere, un giorno, un ranch di cavalli. Scrisse del suo sogno in grande dettaglio, disegnò addirittura il ranch con la disposizione di tutti gli edifici, le stalle ed il maneggio. Poi disegnò una mappa dettagliata di una casa di oltre 300 mq che si sarebbe trovata nel ranch dei suoi sogni. Mise molta passione nel progetto. Consegnò il tema al professore, due giorni dopo gli venne restituito il tema, e sulla prima pagina c’era un grande 4 rosso, con una nota che diceva: ”Vediamoci dopo la lezione”. Il ragazzo andò ad incontrare il professore, e gli chiese il motivo di quel voto. L’insegnante gli rispose che il suo sogno era irrealistico per un ragazzo giovane come lui, continuò dicendogli che non aveva abbastanza soldi, che proveniva da una famiglia itinerante, per possedere un ranch di cavalli c’era bisogno di avere tanti soldi. Il professore terminò il suo discorso, proponendo al ragazzo di riscrivere il suo tema facendolo più realistico, e allora avrebbe riconsiderato il suo voto. Il ragazzo tornò a casa, ci pensò a lungo e intensamente, alla fine dopo averci riflettuto per una settimana, il ragazzo ripresentò lo stesso tema e disse al professore: “Lei si può tenere il 4, io terrò il mio sogno!”. Il ragazzo realizzò davvero il suo sogno, e appese il suo tema incorniciato sul camino della sua splendida casa. Dopo qualche anno, il professore portò un gruppo di ragazzi a fare campeggio nel suo ranch, e quando incontrò il ragazzo ormai diventato uomo gli disse: “Quando ero il tuo professore, ho rubato il sogno a molti ragazzi, fortunatamente tu hai avuto abbastanza coraggio per non mollare il tuo!”.

Quante persone ci hanno rubato o ci rubano i sogni ogni giorno? Quante persone lavorano per i sogni di qualcun altro invece di lavorare per realizzare i propri sogni! Walter Disney fu preso per pazzo quando decise di realizzare il primo lungometraggio nel 1934, nessuno voleva finanziarlo per la realizzazione del suo cartone animato perché molti pensavano che nessuno avrebbe mai visto un cartone animato così lungo. Oggi Biancaneve e i sette nani è il cartone d’animazione più conosciuto al mondo. I sogni si avverano, se si ha il coraggio di crederci (Walt Disney). L’importante è non smettere mai di sognare e di proteggere i nostri sogni da chi ce li vuole rubare!

Scritto da Claudia Antonetti - Pubblicato sul numero 2 del 2018 nel Il Corace

OLIMPIADI INVERNALI: COREA DEL NORD E COREA DEL SUD SFILANO SOTTO UN’UNICA BANDIERA

La cerimonia di apertura dei XXIII Giochi Olimpici invernali ha visto l’ingresso congiunto, sotto la bandiera azzurra su sfondo bianco della Corea unita, degli atleti della Corea del Nord e della Corea del Sud e la stretta di mano tra il Presidente della Corea libera e la sorella del dittatore Kim Jong Un. Altissimo il valore simbolico del gesto che incoraggia e prelude al dialogo che la diplomazia internazionale in tanti anni non ha saputo concretizzare. Solcato il 38° parallelo  e costituita una squadra mista di hockey femminile, i due paesi a rischio guerra disegnano una tregua e lo fanno in mondovisione, in un’edizione olimpica da record per l’alto numero di atleti e Stati partecipanti, ben 92.
La nostra nazionale sarà presente con 121 atleti e gareggerà in 14 delle 15 discipline previste, portabandiera la pattinatrice Arianna Fontana. Il Comitato olimpico Internazionale ha previsto, durante le riunioni organizzative volte a definire i dettagli dei Giochi del 9-25 febbraio, anche la partecipazione del Vaticano;  monsignor Melchor Sanchez de Toca, ex pentatleta e delegato allo sport, sottolinea come “l’apertura dei Giochi invernali a Pyeongchang, a pochi chilometri dalla frontiera che separa le due Coree, la frontiera più militarizzata del mondo, acquista un valore simbolico unico grazie alla presenza di atleti della Corea del Nord che parteciperanno formando un unico comitato con i colleghi della Corea del Sud.
L’esile tregua olimpica consente di continuare a sperare in un mondo senza guerre, nonostante i tanti conflitti attualmente in corso”. I valori olimpici di partecipazione, lealtà, solidarietà, impegno, rispetto, uguaglianza e pace mostrano la loro attualità e urgenza non solo in campo sportivo. Utopistico pensare che tanto buon senso possa proseguire oltre le “Olimpiadi della Pace”, così sono state già definite, orientando le politiche nazionali? Thomas Bach, presidente del Cio, senza retorica sostiene “Questo è il momento che tutti aspettavamo, dovete essere fieri di tutto ciò. Il potere dello sport serve a unificare e a non dividere, nel 2016 abbiamo presentato a Rio la nazionale dei rifugiati, adesso ci adoperiamo per le Coree”.
Scritto da Roberta Adolfi - Pubblicato sul numero 2 del 2018 nel Il Corace

WHISTLEBLOWING: TUTELATO Il DIPENDENTE CHE SEGNALA GLI ILLECITI

I lavoratori dipendenti che segnalano reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza per ragioni di lavoro saranno tutelati dall’ordinamento in base a quanto previsto dalla legge 30 novembre 2017, n. 179 in materia di “whistleblowing.

La nuova legge si compone di tre articoli ed ha come obiettivo principale quello di garantire una tutela adeguata ai lavoratori, ampliando così la disciplina di cui alla legge Severino che aveva già accordato una prima forma di tutela per il segnalante, prevedendo in suo favore un vero e proprio sistema di garanzie. La tutela, applicabile non solo ai rapporti di pubblico impiego, ma anche a quelli privati, impedisce che il dipendente che segnala illeciti, conosciuti in ragione del lavoro svolto, possa essere sanzionato, licenziato, trasferito, demansionato o sottoposto comunque ad altre ritorsioni. Tali comportamenti possono essere segnalati al responsabile dell’anticorruzione dell’ente (dirigente amministrativo o segretario per gli enti locali) o all’Autorità nazionale anti corruzione (ANAC) o all’autorità giudiziaria ordinaria. L’adozione di misure discriminatorie o ritorsive nei confronti del segnalante, viene comunicato dal segnalante o direttamente attraverso i sindacati ANAC, al Dipartimento della funzione pubblica e agli altri organismi di garanzia.
Nei confronti del responsabile delle misure citate potrà essere adottata una sanzione amministrativa fino a 30 mila euro, aumentata fino a 50 mila in caso di adozione di procedure discordanti dalle linee guida dell’autorità o di mancata verifica ed analisi della segnalazione ricevuta da parte del responsabile. E’ previsto il reintegro nel posto di lavoro ed il risarcimento del danno in caso di licenziamento ed ogni atto discriminatorio o ritorsivo adottato nei confronti del segnalatore sarà ritenuto nullo. Spetta all’amministrazione colpita da sanzione dimostrare che le misure adottate nei confronti del dipendente sono motivate da ragioni estranee alla segnalazione.  Tutte le tutele apprestate vengono meno nel caso di responsabilità penale del segnalante per calunnia o diffamazione, accertata anche con la sola sentenza di primo grado, o per reati commessi con la denuncia del medesimo segnalante, o laddove ne venga accertata la responsabilità civile per dolo o colpa grave. 

Nell’ambito della nuova normativa l’ANAC garantisce la riservatezza di chi segnala: è vietato rivelare l’identità di chi denuncia ma, in ipotesi di processo penale, il segreto perdura fino alla chiusura delle indagini preliminari. L’ANAC ha recentemente comunicato l’operatività di una app “whistleblower”, un’applicazione informatica che consente al lavoratore pubblico di effettuare una segnalazione in maniera impersonale ed anonima, attraverso l’uso di un codice identificativo che gli permette di attivare un dialogo incentrato sulla massima riservatezza. Basterà accedere all’applicazione presente sul portale dei servizi ANAC e compilare i dati richiesti; a quel punto il segnalatore riceverà un codice identificativo univoco che gli consentirà di dialogare con ANAC anonimamente ed essere informato sullo stato della segnalazione inviata. L’Autorità, qualora ravvisi la fondatezza della segnalazione, provvederà ad informare il Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza dell’Amministrazione cui si riferisce la segnalazione o potrà disporre l’invio direttamente della stessa alle autorità competenti.

Scritto da Manuela Rapino - Pubblicato sul numero 2 del 2018 nel Il Corace

UNA VITA A CENTOOTTANTA

E iniziato da poco un nuovo anno e come al solito ci siamo portati dietro per un po’ le solite discussioni sulla bontà o meno del nuovo periodo da poco entrato. Sono già passati quasi 2/12 del nuovo anno, ed io ancora non ci ho capito molto. Questa introduzione temporale sembra volata via con le solite cose, o le nuove cose per qualcuno introdotte. Questi due mesi sembrano passati alla velocità della luce. Stiamo per arrivare a quel fatidico Marzo, mese chiave di molti. Già, le votazioni, diritto e dovere ultimamente non molto esercitato. Sembrava così lontano, una figura mistica, inarrivabile, ed invece... ci siamo quasi. Ce la faremo? Sicuramente andremo avanti, di certo indietro non ci possiamo tornare.
Cari viaggiatori del tempo, non voglio privarvi di quello che ancora per adesso è un sogno, ma se ben ci pensate, non c’è bisogno di tornare indietro nel tempo per analizzare il passato alla ricerca dei più grandi errori del tempo ed approfondirne lo studio delle cause. In effetti è sufficiente guardare il presente ed analizzarlo attimo dopo attimo, tutti gli errori o sbagli fatti nel passato sono tutti nel nostro presente. Il tutto è esattamente tarato per fare in modo da essere alla portata di tutti. La storia è ciclica, è figlia del tempo presente, basta saper aspettare con calma e tutto passa davanti ai nostri occhi, forse con sfumature diverse ma è tutto li. Non te ne accorgi? Non vedi nulla? Non te ne rendi conto? Si, me ne rendo conto, gli eventi corrono via veloci. Tu cosa fai? Semplicemente sei fagocitato dalle tue cose, le devi mandare avanti tutte. Troppe cose contemporaneamente. E tu cosa fai? Semplice. Fai una delle cose che oggi vanno di moda: sei un runner. Si, sei un corridore. Non solo fisico, ma anche in pensieri, parole, fatti, amicizie, lavoro, amore ed emozioni. E’ la nuova vita di oggi, non più una vita a cento all’ora di cui si è tanto parlato, ma è diventata una vita a centoottanta. Vi sembra troppo? Non credo, è quella vita in cui tutto scorre via veloce, non c’è tempo di guardare nulla. A mala pena c’è il tempo di guardare la sequenza infinita di task che ci sono davanti. Per i quali non possiamo capire nulla, non ce n’è il tempo. Possiamo solo identificarli, analizzarli, eseguirli, mettere il segno d spunta ed andare avanti. Vuoi sapere avanti dove? Semplice, verso il prossimo task. Già il “task” che parola... Che cosa è? Semplicemente una qualsiasi cosa. Nei limiti del possibile da superare via veloce. In effetti non c’è più neanche il tempo di chiamarlo semplicemente “cose da fare” troppo lungo ed impegnativo. Fa perdere tempo meglio il “task”, ed in particolare tanti e belli elencati nel nostro “to do”.
Stiamo facendo confusione? Non lo so, attenzione, forse è solo la velocità, non c’è tempo. Non c’è tempo. Qualche esempio? Eccovi serviti: fare la spesa per domani, andare in palestra, portare fuori a cena la ragazza. Si quella dalla lunga treccia, o quella con il bel caschetto. Ogni tanto mi soffermo ad osservare i tuoi occhi, scuri, bellissimi. Forse inarrivabili. Scusa devo interrompere, non posso osservarli troppo.  Mi farei prendere dalle emozioni, e questo non me lo posso permettere. Le emozioni non possono essere incanalate in un tempo standard,. Vade retro... Torniamo ai nostri task, sono attività ben precise, hanno un tempo prestabilito. Non c’è tempo di rielaborarle, sono standard. Non sono ammesse deviazioni. Non c’è tempo di deviare, è tutto pre-standardizzato. Ti sembra che non va bene? Analizza meglio la storia. Andiamo troppo veloci, se non hai tutto predefinito, rischi di andare fuori strada. A centoottanta non si scherza, non ci si lascia prendere dalle emozioni. Devi essere come un automa, anzi, molto meglio un computer. E’ l’esecutore di task per eccellenza. Un inchino grazie, lui è inarrivabile. Il computer però è troppo asettico, non rende l’idea di questi nostri pensieri. La nostra interpretazione che scorre via veloce è resa meglio da un’automobile che corre in autostrada nella sua carreggiata ed osserva la linea tratteggiata a terra. Ogni tratteggio è uno dei nostri task, che si ripercorrono ed hanno una durata esatta. L’auto, o forse è meglio l’automobile li percorre a centoottanta all’ora. Faccio notare che esiste qualche trucco per far durare di più il nostro task, basta rallentare la velocità della nostra auto e forse appassionarsi un po’. Ora però scusate, ma ho finito il mio tempo standard e non posso andare oltre. Mi attende il prossimo task. Vi prometto però che ne riparleremo. Questo è troppo importante. Intanto, se ne avete il tempo,  vi lascio un compito con una frase di Alice: “Per quanto tempo è per Sempre? A volte solo un secondo”.

Scritto da Antonio Moroni - Pubblicato sul numero 2 del 2018 nel Il Corace

UN TEMPO PER NOI…UN TEMPO PER Il SIGNORE

Con la celebrazione delle sacre ceneri è iniziato un nuovo tempo che come per l’Avvento è segnato di violaceo: la Quaresima
Questo tempo, come del resto ogni tempo liturgico, ci vuole vedere protagonisti di uno spettacolo: la nostra vita di fede. Un tempo così particolare e lungo che giunge a noi come una provvidenziale manna per poterci fermare e riorientare o riordinare la nostra vita, non da soli ma alla luce della Parola di Dio. In questo tempo, “favorevole e opportuno” (cfr. 2 Cor 6,2)  occorre appunto far “cadere le maschere” non solo del carnevale ma anche quelle che forse abbiamo potuto far indossare al Signore: che immagine abbiamo di Dio? se dovessimo dire “chi sei Signore per me?” cosa risponderemmo?... L’importanza di considerare Dio come qualcuno che si incontra con noi, con le vicende che ci vedono maggiormente coinvolti e con ciò che abita il nostro cuore: paure, attese, speranze, preoccupazioni varie… ecco tutto questo al buon Dio sta a cuore perché come dice il profeta Gioele «il Signore si mostra geloso per la sua terra e si muove a compassione del suo popolo» (Gl 2,18) Dio come un padre per i suoi figli è geloso di noi. Dovrebbe farci riflettere questo.
La Quaresima, tempo opportuno per reimpostare la nostra immagine di Dio e parlare a cuore aperto con Lui, ossia pregare. Non scateniamo parole su parole ma sarebbe bello far tacere la mente dando voce al cuore riscoprendo ad esempio in questo periodo la bellissima preghiera del Padre nostro. Abbiamo bisogno oggi più che mai di decentrarci e capire che “non grava tutto sulle mie spalle” ma che in quelle fatiche che facciamo ogni giorno, ad ogni livello, non siamo soli ma abbiamo un Padre che ci sostiene e dei fratelli, i nostri cirenei, che condividono con noi quel tratto di strada più faticoso quando la croce si fa più pesante e la strada più irta e piena di ostacoli.
Abbiamo anche bisogno di perdono: perdonarci e perdonare. A volte non riusciamo a perdonare perché molto probabilmente siamo giudici aspri e spietati con noi stessi oltre che con il prossimo, allora accogliamo quell’invito che ci giunge da san Paolo “lasciatevi riconciliare con Dio” (2 Cor 5,20) e sforziamoci a stare anche in pace con noi stessi e tra di noi. Abbiamo del tempo da utilizzare per perfezionarci, per comprendere la nostra fede, per impegnarci in modo diverso ad esempio sul luogo del lavoro operando con responsabilità e senso di giustizia anziché cercando i nostri interessi, quel senso del bene comune si faccia strada dentro di noi e fuori di noi. Per tutto questo occorre del tempo da prendersi e da regalare: diamo tempo a noi e al Signore che colmerà quel bene che faremo nel segreto, senza tanti sfoggi ma solo davanti a colui che vede nel segreto e che a tempo debito ci ricompenserà (Cfr. Mt 6,1-6. 16,18).
Scritto da Giovanni Grossi - Pubblicato sul numero 2 del 2018 nel Il Corace

PERCHÉ VOTARLI

Alle prossime elezioni concorrono Renzo Dolci per le Regionali e Tommaso Conti per la Camera dei Deputati; quest’ultimo è uscito da un po’ di tempo dal PD poiché confluito nel Partito “Liberi e Uguali”. Dolci, invece, è Democristiano da sempre e scende in campo con la lista “Centro Solidale per Zingaretti”. I due figli veraci del nostro territorio, anche se con appartenenza diversa convergono politicamente, in quanto la lista del candidato alla Camera sostiene, in accordo con il PD, il governatore uscente Zingaretti, per il quale la lista Regionale dà il suo sostegno.
Io dico perché secondo me si devono appoggiare queste due candidature, prima di tutto bisogna crederci e poi non bisogna disperdere i nostri voti. Il fine è di consentire l’elezione di rappresentanti del nostro territorio, di gente che stia in mezzo a noi, che sappiamo dove sono di casa nel caso dobbiamo interloquire od arrabbiarsi con loro se non danno seguito alla credibilità delle loro promesse. Insomma è un’occasione per il nostro territorio. Secondo il mio punto di vista anche i cittadini di Cori e Giulianello che sono avversari politici per buon senso e opportunità possono sacrificare almeno questa voltai propri ideali politici per quella che sembra una giusta causa. Per quelli che non votano, che sono esasperati e per quelli che sono delusi dalla politica, dico infine che il voto è la più alta espressione della democrazia, chi non vota non esiste. Ed essendo tale delega agli altri a prendere le proprie decisioni, belle o brutte che siano; il voto è l’unico strumento per cambiare le cose; ce lo hanno insegnato i nostri padri fondatori nel primo dopo guerra quando hanno scritto la nostra meravigliosa Costituzione per il nostro Territorio. Votiamo Renzo Dolci alle Elezioni Regionali. Votiamo Tommaso Conti alle Elezioni per la Camera dei Deputati.

Scritto da Il cittadino Bruno Canale - Pubblicato sul numero 2 del 2018 nel Il Corace

DOPO SETTE MESI CI SEMBRA GIUNTO Il MOMENTO DEI BILANCI

Si farebbe presto a sintetizzare, basterebbe dire che L’Amministrazione corese a guida De Lillis, in sette mesi ha fatto poche cose e male; ma sarebbe riduttivo e non renderebbe giustizia al suo immobilismo se non facessimo almeno un elenco delle “malefatte”. Sono di questi giorni le notizie apparse sulla stampa, circa l’apertura, da parte della Procura della Repubblica di Latina, di inchieste su presunti abusi edilizi, li ricordiamo senza entrare nel merito poiché, come già detto, la stampa li ha spiegati con dovizia di particolari. Per dovere di cronaca dobbiamo precisare però, che i presunti abusi ricadrebbero sull’operato della precedente Amministrazione di cui De Lillis era assessore al bilancio. Stiamo parlando delle inchieste aperte per la costruzione di un supermercato e di alcune villette in una ex cava dismessa.
Ma qual’ è il legame tra questi fatti accaduti con l’Amministrazione precedente e l’attuale Amministrazione? C’è sempre. Lo stesso tecnico che oggi risulta indagato per fatti precedenti alla attuale amministrazione e che comunque è stato assunto dal sindaco attuale nonostante una pregiudiziale che, secondo le condizioni richieste dalla normativa vigente ne precludeva in via assoluta l’assunzione ma che contrariamente alle osservazioni manifestate pubblicamente dall’Altra Città, si è proceduto all’assunzione in Comune. Sembra che il Comune di Cori da tempo sia destinatario di sopralluoghi continui da parte della Procura che ci fanno preoccupare, come per il caso: “piscina comunale” che resta ancora incompiuta. Una storia che si trascina ormai da anni, cavallo di battaglia della campagna elettorale tanto della giunta Conti e poi della giunta De Lillis, impianto per il quale sono stati spesi ben 550.000 euro con un altro prestito già accordato di ulteriori 350.000 euro per la terza tranche dei lavori. Quasi un milione di euro, quindi, per trasformare una piscina per tuffi in una bagnarola bucata.
A proposito dell’ultima tranche, il 9 giugno 2017, due soli giorni prima delle elezioni amministrative, dovevano essere aperte le buste per l’affidamento dei lavori, ad oggi, dopo otto mesi le buste non sono ancora state aperte; perché? Quali problemi si celano dietro questo fatto? La domanda, oggetto di una nostra interrogazione consiliare, ha ricevuto solo risposte vaghe ed evanescenti. Ci chiediamo inoltre che fine abbiano fatto i 90.000 euro avanzati nei 2 precedenti interventi, Soldi di cui i cittadini stanno pagando gli interessi. Forse sono stati dirottati su altri interventi? Abbiamo notizie che la Procura della Repubblica di Latina e la Guardia di Finanza, ne hanno acquisito gli atti!! Ci sarà un’altra indagine, per questa vicenda? Vedremo...
Passiamo al Punto di Primo Intervento (PPI) dell’ex ospedale di Cori che secondo il nuovo piano sanitario regionale della giunta Zingaretti, il PPI di Cori diventerà, a partire dalla fine dell’anno, un punto del 118 medicalizzato, cioè sarà presente solo un’ambulanza dotata di medico. Abbiamo comunicato al Sindaco De Lillis la nostra disponibilità ad appoggiare qualunque iniziativa che abbia voluto intraprendere al fine di conservare il PPI, a salvaguardia della comunità di Cori e di Giulianello e delle altre località limitrofe. Quale migliore occasione per il Sindaco De Lillis, per avere il consiglio comunale tutto dalla sua parte a difesa degli interessi locali? Ad oggi stiamo ancora aspettando un’iniziativa da appoggiare. Che gli interessi di “bottega” stiano ancora una volta prevalendo sugli interessi del popolo? Non ci stupiremmo. Del resto è già accaduto. Alla giunta di sinistra di Badaloni (con la passività dell’allora giunta sempre di sinistra di Cori) dobbiamo la chiusura dell’ospedale. Oggi, è ancora una giunta di sinistra, quella di Zingaretti, a decretare l’ulteriore e probabilmente definitivo affossamento della struttura ospedaliera di Cori, con la complicità tacita del Sindaco De Lillis e della sua giunta. Dopo la devastante decisione della giunta Badaloni, se la struttura è arrivata fino ai giorni nostri, seppur fortemente ridimensionata, lo dobbiamo all’unica amministrazione non di sinistra che ha amministrato Cori. Se la nostra comunità perderà anche quel poco che è rimasto, riterremo direttamente responsabili De Lillis e la sua giunta.
Le “malefatte” della giunta De Lillis sono finite qui? Magari! Continuiamo. Incapaci di elaborare progetti per il rilancio economico e sociale di Cori e di Giulianello la giunta, monocolore PD, tira fuori il “coniglio” dal cilindro: il progetto SPRAR, acronimo di sistema di protezione per richiedenti asilo. L’Amministrazione ha deciso di aderire a questo progetto che, attraverso una cooperativa, gestirà 1,5 milioni di euro messi a disposizione dalla Stato Italiano. Attraverso un bando pubblico si è proceduto alla formazione di una graduatoria di appartamenti messi a disposizione da privati cittadini, con un bonus per quelli ubicati nel centro storico. Lo scopo è quello di ripopolarlo e riportarlo a nuova vita. Noi de L’Altra Città siamo fortemente contrari a questo progetto. Cercare di concentrare queste persone nel centro storico non favorisce l’integrazione ma al contrario rischia di creare un ghetto inaccessibile, come già accaduto nelle periferie di Parigi, Nizza, Bruxelles e di altre città europee. Riteniamo che un progetto così realizzato, possa apportare ulteriore degrado nel centro storico, accentuando i problemi di sicurezza che già si sono manifestati da alcuni anni. Riterremo la giunta De Lillis responsabile di eventuali ulteriori deterioramenti della vita sociale di Cori e di Giulianello.
Noi de L’Altra Città siamo del parere che la nostra comunità non meriti tutto ciò e chiediamo ai giovani consiglieri della maggioranza cosa ne pensano di tutto questo?  Ci piacerebbe sapere se sono d’accordo sul “modus operandi” del Sindaco e della giunta, se è così che immaginavano il loro impegno a favore della Città, quando hanno deciso assumersi delle responsabilità davanti alla nostra comunità e se oggi rifarebbero la stessa scelta. Se vogliono, possono comunicarlo anche attraverso i social, visto che durante le sedute consiliari, ma più in generale nell’azione di governo, sembrano non avere diritto alla parola!
Scritto da Il Gruppo Consiliare L’Altra Città - Pubblicato sul numero 2 del 2018 nel Il Corace

POST ELEZIONI: SCENARI POSSIBILI SUL TERRITORIO LA SFIDA DEI CANDIDATI

A pochi giorni dal voto, e a conclusione di una campagna elettorale caotica quanto mediocre nella forma e nella sostanza, si chiariscono le prospettive che attendono il Paese. Sono prospettive che già da mesi i sondaggisti avevano indicato, dati alla mano, e che la pubblica opinione aveva percepito. Solo che sino ad ora i partiti e i loro leader avevano camuffato puntando al solito refrain: “intanto pensiamo a vincere” mentre “sotto sotto” già partivano le prove generali di larghe intese.
L’elemento di novità è il seguente: da qualche settimana tutti gli istituti specializzati sono concordi nel dire che è tecnicamente impossibile che venga fuori una maggioranza in grado di governare. La soglia del 40% resta una rara possibilità, e a raggiungerla, nel calcolo  di questa rara possibilità, se dovesse accadere, sarà sicuramente del centrodestra. Il fatto è che la coalizione Berlusconi-Salvini-Meloni  più che una coalizione, che presuppone uno straccio (almeno) di programma in comune, è solo un cartello elettorale buono per vincere, ma non per andare a Palazzo Chigi. E laddove ci andasse avrebbe vita brevissima, dilaniata da visioni, proposte e programmi non solo diversi tra loro ma in qualche caso alternativi: come sull’euro ad esempio. Europeista Berlusconi, anti Salvini e la Meloni.  Lo scenario quindi che si prospetta è questo: un governo non esplicitamente di larghe intese, perché Renzi e Berlusconi si sono troppo compromessi nel dire che non faranno mai governi insieme, ma un governo di unità nazionale di breve durata con Gentiloni premier, sul quale  convergeranno  centrosinistra  e Forza Italia.
Leu non si sa, ed i grillini (che dovrebbero risultare il primo partito) in teoria “no” perché hanno già detto che loro non fanno alleanze e in caso di incarico presentano un programma e accettano eventuali adesioni. Ma in pratica potrebbero pure essere d’accordo a prendere tempo per riorganizzarsi, visti i problemi seri che hanno, e in qualche modo non opporsi più di tanto ad un prosieguo di Gentiloni. Una cosa è certa: il PD esce cornuto e mazziato da questa competizione. Renzi che  evocava un fantasioso 40% per il PD, sulla base di una sua narrazione sul risultato referendario (quel 40% di Si sono tutti nostri), ora ha posto l’asticella al 25% ma i sondaggi lo danno al 22, 23. Un disastro di cui dovrà dar conto alle minoranze interne, Orlando ed Emiliano, ma anche ad altri, come Cuperlo ad esempio, che lo attendono sulla riva del fiume. Altra cosa certa che la destra è viva e vegeta, alimenta paure e gioca con il fuoco: Macerata docet.
Non crediamo, tra rigurgiti neofascisti che ci sono ed esplosioni razziste e xenofobe, che la nostra Democrazia sia in pericolo. Ha anticorpi validi: tuttavia è necessario alzare la guardia che forse si era un po’ troppo abbassata.
Ma veniamo al gioco elettorale vero e proprio. Intanto tutti hanno capito, anche i cittadini meno interessati, che questa legge elettorale, il Rosatellum, è un pastrocchio incredibile, figlio di un accordo Renzi- Berlusconi che doveva favorire entrambi, con unico scopo, di far fuori i cinque stelle. Renzi sperava favorisse di più il PD, invece ha favorito molto di più Forza italia e associati. Dentro questa baraonda la sfida è tra chi è paracadutato e chi invece la partita se la gioca senza protezione.
Su questo terreno conta molto il territorio. E qui a Cori non è un caso se il consenso intorno ai due nomi di maggior rilievo, Tommaso Conti per Leu (camera) e Renzo Dolci per “Centro Solidale per Zingaretti” (regionali) è in costante ascesa. L’ex sindaco coagula l’area della sinistra che non si riconosce nel PD, ma anche cittadini non di sinistra che gli riconoscono meriti, passione e capacità, e Dolci rimette in campo quell’area di centro che ha guardato con diffidenza alla svolta neocentrista dei dem a trazione renziana e si è sottratta ai salti della quaglia che alcuni hanno fatto in questi anni.  Dolci e Conti hanno tutte le carte in regola per affermarsi, anche se Conti oltre ad avere come diretta competitor dal versante opposto (nel collegio) la Meloni, ha contro tutti i candidati del PD (Moscardelli al Senato, La Penna, Forte e Amici alla Regione e Fauttilli alla Camera) e l’apparato PD di Cori che teme che una sua buona affermazione potrebbe indebolire ulteriormente il partito locale e di riflesso l’amministrazione comunale. Ma come sempre in democrazia, l’elettore è sovrano.
Scritto da Emilio Magliano - Pubblicato sul numero 2 del 2018 nel Il Corace

NASCE LO SPORTELLO UNICO PER LE ATTIVITÀ AGRICOLE DEL COMUNE DI CORI

Per gli operatori coresi del comparto agricolo c’è oggi un’importante novità messa in campo dal Comune di Cori: lo Sportello Unico per le Attività Agricole (S.U.A.A.). Mercoledì 14 febbraio, nel teatro comunale ‘Luigi Pistilli’, presente anche l’assessore regionale all’Agricoltura Carlo Hausmann, si è svolto l’incontro pubblico con cui il S.U.A.A. è stato inaugurato e nel corso del quale sono stati presentati i cambiamenti introdotti anche grazie al nuovo servizio che è ora a disposizione di quanti operano nel settore. “Fortemente voluto da questa amministrazione comunale - hanno detto il sindaco Mauro De Lillis e l’assessore all’Agricoltura Simonetta Imperia – il S.U.A.A., tra i primi nel Lazio e il primo della provincia di Latina, opererà sulla base della riforma del settore prevista dalla Regione Lazio a partire dalla legge n.12 del 2016. Quello che vogliamo – hanno spiegato - è sviluppare tutte le potenzialità che fanno capo all’agricoltura, settore strategico per questo territorio. E l’integrazione in agricoltura tra attività primaria e produzione di servizi secondari favorita dalla nuova normativa regionale va proprio in questa direzione, aprendo una serie di possibilità che dobbiamo utilizzare per dare maggiore forza al nostro comparto agricolo”.
L’entrata in vigore della legge regionale 12/2016 introduce infatti il concetto di multifunzionalità nella nostra regione, promuovendo la diversificazione delle attività nel settore agricolo, e immette sostanziali novità in materia di turismo rurale e agriturismi anche attraverso un nuovo assetto normativo finalizzato a velocizzare l’iter amministrativo e stimolare la crescita del “turismo verde”. Mentre le leggi 38/1999 e 14/2006 stabiliscono che tutto quanto riguarda il sistema di autorizzazioni relativo ai Piani di Utilizzazione Aziendale (P.U.A.) non passi più attraverso la commissione dell’ufficio Tecnico ma divenga competenza della commissione comunale Agricoltura, che farà appunto capo al S.U.A.A.
Lo Sportello sarà, però, potenziato andando oltre questa pur fondamentale funzione. Oltre, cioè, al rilascio delle autorizzazioni, saranno offerti agli agricoltori servizi in termini di informazioni specifiche e indicazioni relative ai finanziamenti europei. Lo scopo è quello di costruire iniziative nel campo della programmazione agricola e lo Sportello sarà appunto uno degli strumenti che verranno utilizzati a tal fine. L’agricoltura rappresenta, come è noto, un settore fondamentale per il territorio corese e obiettivo dell’amministrazione comunale è svilupparne le potenzialità e favorirne la promozione. Tale iniziativa è, dunque, parte integrante di un progetto più ampio portato avanti dall’assessorato competente e finalizzato a dare maggiore forza al comparto agricolo. In tale ambito, peraltro, si inserisce pienamente il discorso sulle prospettive offerte dall’agricoltura multifunzionale, intesa cioè non solo quale attività primaria ma anche come capacità di produrre beni e servizi secondari di varia natura, tale è il caso ad esempio degli agriturismi. Anche di questo si è iniziato a discutere nell’assemblea del 14 febbraio, ossia di agricoltura multifunzionale come nuovo modello di sviluppo del territorio.
L’Assessore all’Agricoltura della Regione Lazio, Carlo Haussman, ha plaudito al Comune di Cori che “si è attivato per l’apertura dello Sportello, fondamentale per le autorizzazioni relative ai P.U.A. La Regione Lazio e Comuni come Cori – ha proseguito - sono laboratori della multifunzionalità nel settore agricolo e lo Sportello sarà strumento prezioso per questo tipo di realtà. Le imprese agricole e gli operatori, singolarmente o associati tra loro, potranno diversificare la propria offerta attraverso servizi al cittadino, dall’agricoltura sociale alle attività didattico-ricreative all’accoglienza, con tutte le opportunità di sviluppo che ciò comporta”. Sono intervenuti all’incontro anche Andrea Virgili, coordinatore del Comitato Ambiente e Territorio di Confagricoltura Lazio, e Massimiliano Porcelli, presidente della Cooperativa Utopia 2000. Quest’ultimo ha portato la sua esperienza nel campo dell’agricoltura sociale e nella sperimentazione di processi innovativi legati all’agricoltura multifunzionale fuori dal Lazio, in particolare nella regione Umbria.
Scritto dal Capogruppo di maggioranza Elisa Massotti - Pubblicato sul numero 2 del 2018 nel Il Corace

ELEZIONI, REGIONE E PARLAMENTO ALLA PROVA DEL VOTO CON I NUOVI SISTEMI ELETTORALI

Cori come tutti i comuni del Lazio si appresta a votare il rinnovo del presidente e del consiglio regionale del Lazio. Cori come tutti i comuni italiani il 4 marzo voterà anche per rinnovare il Parlamento.  La novità in entrambi i casi sono le leggi elettorali con le quali si andrà a votare. Sia la Regione Lazio che il Parlamento hanno votato nuove leggi elettorali che contengono novità rispetto al passato.  In Regione Lazio tra le novità più significative c’è l’abolizione del listino bloccato. Fino alla scorsa tornata elettorale il candidato presidente era accompagnato da un listino di dieci persone che entravano automaticamente alla Pisana in caso di vittoria. Adesso invece chi vuole diventare consigliere regionale dovrà farlo contando solo sui suoi voti e su quello della lista di appartenenza. Insomma, la vittoria si conquista sul campo e non a tavolino.
Inoltre, è stata introdotta la doppia preferenza di genere. L’elettore può scegliere fino a due candidati consiglieri ma di sesso diverso. Insomma, si vota un uomo e una donna (o solo un uomo o solo una donna). Questa novità ha costretto i partiti a creare liste composte per almeno il 40% di esponenti di sesso diverso. L’80% dei seggi sarà assegnato con metodo proporzionale, il restante 20 per cento sarà attribuito, come premio, direttamente alle liste circoscrizionali che sostengono il presidente e non più, come accaduto fino a oggi, attraverso il “listino”. In Regione è ammesso il voto disgiunto. Non esiste ballottaggio in Regione. Il candidato presidente con più voti vince direttamente al primo turno. In Parlamento invece il Rosatellum sostituisce il Porcellum. Spariscono i listoni bloccati e tornano i collegi uninominali. Un terzo circa dei seggi (232 seggi alla Camera, 116 al Senato), è assegnato in collegi uninominali e con il sistema maggioritario. Sulla scheda elettorale ciascuna coalizione indica un candidato al collegio uninominale: quello più votato prende il seggio. Ciascun partito o movimento inoltre propone una lista di quattro candidati, che si contendono un seggio alla Camera o al Senato con il voto proporzionale per un totale di 386 seggi alla Camera, 193 al Senato. Alla Camera 12 seggi sono riservati alla circoscrizione estero, 6 seggi per il Senato. Si può votare barrando il nome del candidato al collegio uninominale oppure il simbolo a cui è collegato il listino proporzionale. Anche in questo caso, non esiste doppio turno. Ma non è detto che la coalizione più votata riesca ad avere la maggioranza.

Sfatiamo un mito: gli italiani non votano per il premier. L’Italia è una repubblica parlamentare, gli elettori scelgono la composizione del Parlamento, il Presidente della Repubblica sceglie il Primo Ministro, il Primo Ministro va in Parlamento a chiedere la fiducia ammesso che riesca a formare la maggioranza. Ciascun partito può proporre al Presidente della Repubblica il suo leader come premier, ma sarà Sergio Mattarella a dare l’incarico e il Parlamento a decidere tramite la fiducia.

Scritto da Eleonora Spagnolo - Pubblicato sul numero 2 del 2018 nel Il Corace

L’ACQUA, QUESTO BENE PREZIOSO

L’acqua è il composto più abbondante presente sulla superficie della Terra: è tra i principali costituenti degli ecosistemi ed è alla base di tutte le forme di vita conosciute, l’uomo compreso. Chimicamente ce la descrivono sempre come una semplicissima molecola, composta da due atomi di idrogeno legati ad uno di ossigeno. Ma è molto di più, un componente eccezionale… probabilmente unico nel suo genere.
L’acqua è l’unico composto presente contemporaneamente nei tre stati (solido, liquido e gassoso); costituisce circa il 70 % del nostro peso corporeo; nelle piante è il componente principale della linfa. È necessaria alla maggior parte delle attività umane e ricopre un ruolo fondamentale nella nostra vita quotidiana: la beviamo, la utilizziamo per lavarci, per lavare i nostri vestiti, piatti e stoviglie, per cucinare, innaffiare le nostre piante, i nostri giardini e anche per divertirci. Senza dimenticare le attività industriali e agricole che consumano oltre i due terzi dell’acqua dolce disponibile sul nostro intero pianeta! Più aumenta la popolazione mondiale, più cresce il fabbisogno di acqua.
Ma le nostre risorse idriche, pur facilmente sfruttabili, stanno diminuendo; inoltre l’acqua è mal distribuita sulla superficie della Terra: ci sono Paesi che ne hanno in abbondanza ed altri che ne sono privi in maniera drammatica. Eppure l’acqua è per tutti un bene prezioso e una necessità quotidiana.

Ecco allora che nel 1992, durante la Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente Naturale è stato deciso di dedicare una giornata specifica all’acqua: da allora, il 22 Marzo di ogni anno ricorre la Giornata Mondiale dell’Acqua, per ricordare che preservare le risorse di acqua significa preservare la vita, proteggere l’ambiente naturale, ridurre la povertà, favorire l’equità e costruire la pace. Bastano pochi accorgimenti per effettuare un uso sostenibile dell’acqua: per l’igiene personale teniamo aperto il rubinetto solo per il tempo necessario e facciamo docce brevi; innaffiamo il prato e le piante dei nostri balconi nelle ore più fresche, cercando di usare acqua piovana o già utilizzata in cucina; per lavare l’automobile usiamo il secchio ricolmo d’acqua piuttosto che il tubo; cerchiamo di utilizzare la lavastoviglie e la lavatrice sempre a pieno carico e valutiamo correttamente i consumi degli elettrodomestici; applichiamo i frangigetto ai rubinetti; adottiamo scarichi “intelligenti” per i wc e non trascuriamo le perdite: un rubinetto che gocciola o un water che perde acqua possono sprecare anche 100 litri di acqua in un giorno! È importante sensibilizzare il mondo e i nostri bambini, che rappresentano il futuro, sull’importanza dell’acqua; è importante capire perché bisogna prendersi cura dell’acqua ed è importante sapere come utilizzarla al meglio. Così facendo, nel nostro piccolo contribuiamo a rispondere ad un appello più volte rinnovato anche da Papa Francesco: “… l’acqua è un diritto, è un bene che appartiene a tutti, all’umanità e al pianeta intero. Ascoltiamo il “grido del fratello che ha sete, perché ogni Stato e ognuno di noi nel suo piccolo, garantisca l’accesso universale all’acqua sicura e di qualità”.

Scritto da Emanuele Nobili - Pubblicato sul numero 2 del 2018 nel Il Corace