venerdì 2 marzo 2018

IL CARCIOFO, UNA ECCELLENZA DEL MADE IN ITALY

Noto per le sue proprietà nutraceutiche e come ingrediente per svariate saporite pietanze, al tipico ortaggio italiano può giovare un efficace risanamento per evitare danni da patologie virali
Gli ortaggi sono i prodotti naturali commestibili, di piante erbacee coltivate negli orti, tipici della cucina mediterranea e ritenuti virtuosi per la salute dell’uomo. Di alcune di tali piante orticole si utilizzano le foglie (lattuga, spinaci, bietola), di altre le radici (carote, ravanello, rapa) di altre ancora i tuberi (patate), i bulbi (cipolle, aglio) o i fiori (cavolfiori, broccoletti, cime di rapa, carciofi); di altre ancora i frutti (pomodori, peperoni, melanzane) oppure i semi (ceci, fagioli, ecc.).
Tra queste il carciofo (Cynara scolymus), della Famiglia delle Composite, di cui si utilizza il “fiore” (detto capolino), è quella più rappresentativa ed importante nel panorama orticolo italiano. Deriva dal cardo (Cynara cardunculus) che è conosciuto come “gobbo” soprattutto nel Piemonte. C. scolymus, è una pianta antichissima, originaria dei Paesi del Mediterraneo e dell’Africa settentrionale, apprezzata già dagli antichi Egizi e successivamente dai Romani, così come risulta dalle testimonianze di antichi scritti di Plinio (Naturalis historia) e Columella (De re rustica). Nella mitologia si narra anche della bellissima ninfa Cynara, chiamata così per i suoi capelli color cenere, che aveva gli occhi verdi e viola, alta e snella: una autentica bellezza, ma orgogliosa e volubile! Zeus se ne innamorò perdutamente, ma non corrisposto; così stufo e sconsolato, in un momento d’ira, trasformò Cynara in un carciofo verde e spinoso come il carattere dell’amata. Al pungente ortaggio, quindi, resta il colore verde e violetto dei suoi occhi, il cuore (il suo interno) tenero, come sa esserlo quello di fanciulla, e una provocante tentazione di metterlo in padella. Il legame con la mitologia non è casuale poiché, come accennato, la pianta è originaria del bacino del Mediterraneo compreso le isole Egee, Cipro, l’Africa, l’Etiopia dove tuttora cresce spontaneamente. I fiorellini azzurri dei tipi selvatici servivano per far cagliare il latte nella produzione di formaggio.   Da Linneo fu denominata Cynara scolymus proprio per il suo riflesso cinereo e la spinosità delle foglie e delle brattee. Il carciofo, dall’arabo “kharshuf”, trovò ideali condizioni di vita in Sicilia e poi nel resto dell’Italia e nell’Europa meridionale. Nel XV secolo, coltivato nei giardini anche a scopo ornamentale, dalla zona di Napoli, dove fu introdotto da Filippo Strozzi, si diffuse in Toscana (Caterina dei Medici ne fu una grande consumatrice) e nelle altre Regioni del nostro Paese. 
Fino agli anni ’50 la sua coltivazione avveniva quasi esclusivamente nei normali orti e solo ad uso familiare, come accade spesso ancora oggi. In seguito si cominciò a coltivarlo in modo estensivo e le prime grosse produzioni venivano convogliate sui grandi mercati del Nord Italia. Da un ventennio circa, nel nostro Paese, è la coltura più diffusa dopo il Pomodoro. Infatti, con oltre 50 mila ettari coltivati a carciofo, su un totale mondiale di circa 100 mila, l’Italia era già il maggior Paese produttore al mondo primeggiando sulla Francia, su Spagna e su Cina e Stati Uniti. Fra le Regioni italiane maggiormente produttrici possiamo menzionare la Puglia (17 mila ettari), la Sicilia (14 mila), la Sardegna (12 mila), la Campania (3 mila) ed il Lazio con 1200 ettari.  Il Lazio con appena il 4% della superficie coltivata a questo noto ortaggio, in particolare nelle province di Latina, di Roma e di Viterbo, dove si produce quasi esclusivamente il ‘carciofo romanesco’ a produzione inverno-primavera, rappresenta una importante realtà produttiva della cinaricoltura italiana e con il prestigioso marchio europeo di “Carciofo Romanesco del Lazio IGP”.
Il carciofo è una pianta perenne dal portamento maestoso, ha un rizoma sotterraneo ed un fusto eretto a sezione circolare che può raggiungere anche 1,5 metri di altezza e termina con un capolino di g 150-400. Esso si può trovare in coltura specializzata o, come avviene talvolta in Puglia, consociata a piante da frutto o all’olivo. Preferisce un clima mite ma può essere coltivato anche in bassa collina, pur risentendo di un certo ritardo nella produzione dei capolini. Il capolino (parte edule) è un fiore (non un frutto) non del tutto sviluppato e costituito da un ricettacolo carnoso e da numerose brattee anch’esse carnose, di colore verde o violetto e con o senza spine all’apice. Successivamente alla produzione del capolino principale (cimarolo) il fusto si ramifica e ne produce altri secondari che, comunque, costituiscono un prodotto commerciabile per il mercato fresco e, particolarmente, per l’industria conserviera (per la produzione dei carciofini sott’olio). Ogni anno, come già noto, alla base della pianta si formano nuovi getti chiamati carducci o polloni i quali devono essere asportati in modo da lasciarne 1-2 per pianta. Essi sono commestibili e possono essere utilizzati sia per la riproduzione (nuove carciofaie) sia per l’alimentazione animale; possono peraltro essere anche sotterrati come materiale organico per favorire la fertilità del terreno. 
I carciofi si possono distinguere in due grandi gruppi per cui abbiamo: - quelli spinosi,  provvisti di spine sulle foglie e all’apice delle loro brattee; - quelli inermi, invece, privi di spine. Si possono anche distinguere in carciofi violetti e verdi nonché per il loro ciclo fenologico che li differenzia anche in autunnali o rifiorenti e in primaverili o uniferi: -i primi si prestano alla forzatura in quanto possono produrre capolini nel periodo autunnale con una coda di produzione nel periodo primaverile; -i secondi sono più adatti alla coltura non forzata in quanto producono capolini solo dopo la fine dell’inverno e fino al mese di giugno.
A tal riguardo è opportuno altresì ricordare che si conoscono numerose varietà (circa 90) delle quali circa 20 hanno ottenuto il riconoscimento ufficiale di “prodotto tipico”. Tra le più importanti cultivar diffuse nelle nostre Regioni possiamo menzionare: ‘Spinoso sardo’, ‘Spinoso di Palermo’, ‘Violetto di Toscana’, ‘Locale di Brindisi’, ‘Tondo di Paestum IGP’, ‘Campagnano’, il già citato ‘Romanesco del Lazio IGP’ e la ‘Nuova selezione C3’ che è normalmente coltivato, soprattutto, nel favorevole territorio di Cerveteri (RM).
Se il carciofo è il “fiore all’occhiello” dell’Italia, quello ‘romanesco’ è senza dubbio il simbolo del Lazio. I suoi capolini, chiamati anche “cimaroli”, “mammole” o “cardini”, sono grandi e di forma sferica, compatti, privi di spine, hanno poco scarto ed un “cuore” assai tenero e gustoso.  Un buon carciofo, pertanto, dovrebbe presentarsi fresco, con gambo tenero, un paio di foglie verdi, taglio netto, compatto, con brattee ben serrate, privo di ammaccature e senza peluria interna.
Il Carciofo, prezioso e tipico ortaggio dell’area mediterranea, è ritenuto dotato di molteplici aspetti culinari e terapeutici ed è un alimento importante della dieta mediterranea e famoso nel mondo. Con un apporto di appena 22 calorie è un prodotto ipocalorico in quanto privo di grassi e con un basso contenuto di carboidrati e di proteine. Per di più il suo amido, costituito in gran parte da inulina, è consentito ai soggetti diabetici. Le sue proprietà salutari, peraltro, sono dovute non solo al contenuto di sali minerali (sodio, potassio, calcio, fosforo, magnesio, ferro e zinco), di vitamine (A, B1, B2, C, PP) e di fibra solubile in grado di non ostacolare l’assorbimento del calcio e di stimolare la peristalsi intestinale, ma anche alla presenza di un principio attivo (cinarina) che favorisce la diuresi e la secrezione biliare.
Recenti studi, infatti, hanno dimostrato che il carciofo svolge un ruolo importante sia nel mantenere basso il livello di colesterolo e quello dei trigliceridi sia nel migliorare il flusso biliare e la diuresi a tutto vantaggio dell’apparato cardiovascolare. 
L’Italia, come già accennato, è oggi comunque il maggiore produttore mondiale di carciofi con circa 500 mila tonnellate di cui:  il 35% in Puglia, il 32% in Sicilia, il 21% in Sardegna, il 7% in Campania, il 4% nel Lazio e l’1% in altre aree. Grazie a questa produzione, il nostro Paese rappresenta il 35% circa del volume mondiale che risulta di 1,5 milioni di tonnellate. La superficie attualmente coltivata risulterebbe di 47 mila ettari sui 133 mila totali (rielaborazione Ismea su dati Fao, 2010). Tuttavia sembra, purtroppo, che sia la superficie mondiale che quella italiana coltivata a  carciofo, negli ultimi anni, stia evidenziando un trend negativo a ragione della scarsa remuneratività della cinaricoltura che avrebbe scoraggiato, ovviamente, alcuni orticoltori.  Ad ogni modo, l’Italia non ha rivali non solo riguardo alla quantità e qualità del prodotto ma  anche per la genialità e capacità di saperlo gustare a tavola in mille svariati modi, oltre che a berlo: si ottengono liquori “anti-stress” dal gusto gradevolmente amaro e ricchi di virtù salutari. Sono altresì conosciuti, in commercio, numerosi prodotti fitoterapici ottenuti soprattutto dalle foglie. Il re Egizio, Tolomeo Evergete (III sec. a.C.), li faceva mangiare ai suoi soldati, famosi per la forza e l’ardimento, in quanto si credeva dessero tali virtù. Il carciofo, peraltro, è sempre stato associato, forse per la sua forma, alle persone scontrose e “spinose”, tuttavia da un cuore “tenero”.
Per quanto riguarda l’aspetto culinario sono famosi i carciofini sott’olio da servire in mille occasioni, con i migliori salumi e sopra la pizza nonché tutte le diverse specialità regionali come la classica frittata di carciofi, i carciofi “ritti” toscani, quelli “fritti dorati” del Lazio o quelli ripieni della Sicilia, oltre alle tante saporite minestre e alla tipica e antica ricetta dei “Carciofi alla giudia” di origine ebraica, la variante dei “Carciofi alla romana” o alla “matticella” (cotti con la brace dei sarmenti della vite) che rappresentano l’optimum per la delicatezza del gusto e del  profumo. Sono assolutamente deliziosi anche freschi e teneri, in insalata o in pinzimonio, tagliati sottilmente e conditi con sale, olio extravergine d’oliva, limone e, volendo, scaglie di parmigiano. Comunque, crudi o cotti, brevemente stufati o a vapore, con un impiego modesto di aromi e opportuno condimento (come l’olio extravergine di oliva) risultano un contorno particolarmente raccomandabile per chi ha problemi di colesterolo alto, di diabete, di ipertensione e di sovrappeso. 
Sembra opportuno, tra le eccellenze italiane di questo ortaggio, qualche utile informazione circa il ‘Carciofo di Paestum IGP‘, noto anche come ‘Tondo di Paestum’, dal nome dell’ecotipo locale da cui deriva. È ascrivibile, peraltro, al gruppo genetico dei carciofi di tipo Romanesco per cui ha l’aspetto rotondeggiante dei suoi capolini, l’elevata compattezza e l’assenza di spine sulle brattee che sono le sue principali caratteristiche. Il carattere della precocità di maturazione può essere considerato un elemento positivo derivante dall’ambiente di coltivazione (Piana del Sele) che gli consente di giungere sul mercato prima di ogni altro carciofo di tipo Romanesco. Il clima fresco e piovoso poi della zona gli permette altresì un periodo di produzione che va da febbraio a maggio.
Infatti, Alfonso Esposito, il presidente della Società Cooperativa Terra Orti, avrebbe così dichiarato: “Il primo febbraio apre la stagione della raccolta 2018 per il nostro carciofo Igp di Paestum.  Contemporaneamente inizia anche la campagna di promozione, che è stata presentata nel convegno del 31 gennaio 2018 presso Agripaestum di Capaccio (Paestum). Il progetto di promozione prevede tutta una serie di attività per comunicare la bontà del prodotto e per incrementarne il consumo. Tra queste ricordiamo i diversi workshop con operatori e consumatori, gli eventi gastronomici nei ristoranti, le giornate d’informazione presso i punti vendita della grande distribuzione organizzata (GDO), i percorsi di gusto riservati ai giornalisti, la presenza in importanti esposizioni fieristiche come Fruit Logistica di Berlino, Cibus di Parma e Taste di Firenze per offrire una panoramica completa sull’importanza di questo ortaggio ed al contempo farlo conoscere all’estero.  Il Carciofo di Paestum Igp sarà inoltre presente nelle scuole – aggiunge il presidente Esposito - con le attività didattiche e di animazione e con incontri di educazione alimentare rivolti ad un pubblico differenziato per promuovere la bontà del prodotto e la sua importanza per la salute, essendo un concentrato di principi attivi e virtù terapeutiche. Il Carciofo di Paestum Igp, infatti, è ricco di potassio, sodio, magnesio, ferro e vitamine del gruppo A e B, ha proprietà digestive e diuretiche ed è un ottimo alleato per combattere il colesterolo”.
Dal punto di vista fitopatologico sembra, ad ogni modo, che  in generale non vi siano grossi problemi fitosanitari, tuttavia una delle maggiori problematiche della carcioficoltura italiana è sicuramente la presenza delle virosi, che causano danni diretti ed indiretti alla coltura. I danni diretti riguardano la riduzione della qualità e della quantità delle produzioni oltre ad un ritardo delle stesse produzioni, mentre quelli indiretti si evidenziano nella impossibilità di attuare una qualsiasi forma di propagazione agamica ossia di vivaismo. “Per ovviare a questo problema – spiega, infatti, Pier Paolo Porcu, tecnico presso l’azienda Sa Marigosa - dobbiamo basarci su approcci preventivi. Tra questi, assumono grande importanza la pronta disponibilità di saggi diagnostici rapidi ed affidabili e la possibilità di ricorrere all’uso di germoplasma sano per la creazione di nuovi impianti. La lotta ai vettori, ancorché possibile, riesce spesso poco efficace. Ad ogni modo, per concludere, si può dire che Carciofo e Orticoltura rappresentano per l’Italia una notevole ricchezza. Inoltre gli studi avviati sul risanamento per liberare le piante dai virus, la valorizzazione del germoplasma, il miglioramento genetico e la qualità del prodotto, sono obiettivi e già progetti di ricerca che dimostrano l’interesse per tale settore. Comunque, non si sottovaluti l’importante funzione sociale che, localmente, hanno le produzioni dei vari orti familiari.
Scritto da Giovanni Conca - Pubblicato sul numero 2 del 2018 nel Il Corace

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